Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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29 febbraio 2016

In libreria

Salvatore Merlo
Fummo giovani soltanto allora.

La vita spericolata del giovane Montanelli
Mondadori, Milano, 2016, 225 pp.

Descrizione
Romanzo di formazione, cinematografico, movimentato, in cui il protagonista, imbevuto di letture e fantasie risorgimentali, si muove all'interno della Grande Storia, ci sbatte dentro, con incoscienza e ironia, con coraggio e infantilismo, a volte con iattanza, ma con un romantico gusto ottocentesco per l'avventura. Dall'esperienza coloniale (come volontario) in Africa Orientale alle corrispondenze di guerra per il «Corriere della Sera», dalle amicizie, non prive di scintille e contrasti, con Dino Buzzati, Curzio Malaparte, Galeazzo Ciano, ma soprattutto Leo Longanesi, fino al progressivo e tormentato distacco da Mussolini e dal regime, la prigionia a San Vittore e la fuga rocambolesca in Svizzera, Indro Montanelli ha condotto il suo lungo viaggio attraverso il fascismo (e la giovinezza) dimenandosi con la violenza e la voluttà di chi ce l'ha nel sangue di rompere e scuotere via ogni ceppo e catena. Il papà mazziniano lo voleva diplomatico, la mamma cattolica lo esortava all'autocontrollo, mentre il Regime e lo Stato volevano scandirgli l'esistenza e la giornata. Ma per lui la vita era una camera delle meraviglie, un teatro verso il quale bastava allungare un braccio per cogliere un'occasione. Fummo giovani soltanto allora ripercorre i tanti e avventurosi episodi che hanno costellato la giovinezza di Montanelli, così immersa nell'atmosfera culturale e politica della sua epoca da tramutarsi nell'affresco di un'intera generazione: quella dei tanti giovani italiani che il fascismo lo trovarono già nato e cresciuto, che vissero le contraddizioni di un secolo, il Novecento, ribollente e drammatico, contrassegnato da tensioni ideali violente e smodate, ma anche da furbo opportunismo e cinica realpolitik. Ma come ci ricorda l'autore in una delle tante pagine felici di questo libro, il Montanelli degli anni Trenta e Quaranta non è ancora il Montanelli stecca nel coro unanime del dopoguerra, «non è ancora l'italiano che si sente sempre altrove, sempre contro, sempre fuori, e che afferma il suo impegno civile sotto la specie di un affetto ombroso e sarcastico per l'Italia alle vongole. Indro viveva ancora, malgrado l'altalena degli umori, di passioni faziose, da italiano appunto». Nel tornare con il ricordo ai tempi della sua giovinezza, il vecchio giornalista era solito abbondonare la zavorra, ormai pesante e inutile, della spiegazione autoindulgente per mettersi in ascolto di se stesso e rispondere: «Sono i mie vent'anni, i miei stupidi e bellissimi vent'anni. E non li posso rinnegare».
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20 febbraio 2016

Umberto Eco

 "[...] la comunicazione pesante era entrata in crisi verso la fine degli anni settanta. Sino ad allora lo strumento principe della comunicazione era il televisore a colori, una scatola enorme che troneggiava in modo ingombrante, emetteva nel buio bagliori sinistri e suoni capaci di disturbare il vicinato. Un primo passo verso la comunicazione leggera era stato fatto con l'invenzione del telecomando: con esso non solo lo spettatore poteva abbassare o addirittura azzerare l'audio ma anche eliminare i colori e lavorare di zapping. Saltellando tra decine e decine di dibattiti, di fronte a uno schermo in bianco e nero senz'audio, lo spettatore era già entrato in una fase di libertà creativa, detta «fase di Blob». Inoltre la vecchia tv, trasmettendo avvenimenti in diretta, ci rendeva dipendenti dalla linearità stessa dell' evento. La liberazione dalla diretta si è avuta col videoregistratore, con cui non solo si è realizzata l' evoluzione dalla Televisione al Cinematografo, ma lo spettatore è stato in grado di mandare le cassette all' indietro, sfuggendo così del tutto al rapporto passivo e repressivo con la vicenda raccontata. A questo punto si sarebbe potuto persino eliminare completamente l' audio e commentare la successione scoordinata delle immagini con colonne musicali di pianola, sintetizzata al computer; e - visto che le stesse emittenti, col pretesto di venire in aiuto ai non udenti, avevano preso l' abitudine di inserire didascalie scritte a commento dell' azione - si sarebbe pervenuti ben presto a programmi in cui, mentre due si baciano in silenzio, si sarebbe visto un riquadro con la scritta «Ti amo». In tal modo la tecnologia leggera avrebbe inventato il film muto dei Lumière. Ma il passo successivo era stato raggiunto con l' eliminazione del movimento dalle immagini. Con Internet il fruitore poteva ricevere, con risparmio neurale, solo immagini immobili a bassa definizione, sovente monocolori, e senza alcun bisogno del suono, dato che le informazioni apparivano in caratteri alfabetici sullo schermo. Uno stadio ulteriore di questo ritorno trionfale alla Galassia Gutenberg sarebbe stato - dicevo allora - l' eliminazione radicale dell'immagine. Si sarebbe inventata una sorta di scatola, pochissimo ingombrante, che emetteva solo suoni, e che non richiedeva neppure il telecomando, dato che si sarebbe potuto eseguire lo zapping direttamente ruotando una manopola. Pensavo di aver inventato la radio e invece stavo vaticinando l' avvento dell' I-Pod [...]".
Umberto Eco
"Repubblica", 31.1.2006.

17 febbraio 2016

I valori dell'Europa comunitaria

"Considerato l’andamento delle guerre in Siria, Somalia, Eritrea, Yemen e Sudan, ci si aspetta che gli ingressi e le richieste d’asilo non diminuiranno nel prossimo futuro, anche e soprattutto perché le migrazioni verso i Paesi europei sono espressione di una domanda dei valori che l’Ue oggi rappresenta. I valori della pace, della democrazia, dei diritti dell’uomo, dello Stato di diritto, della libertà e della mobilità. Il complesso di questi valori è conosciuto come acquis communautaire e costituisce l’insieme sedimentato di regole, disposizioni, politiche, trattati, accordi e decisioni che l’Ue ha adottato fin dalla sua origine. L’acquis communautaire, oltre a costituire la frontiera materiale e immateriale per gli Stati che desiderano integrarsi nell’Unione europea, è divenuta la motivazione principale per la quale i migranti decidono di attraversare le frontiere europee per inserirsi nella società europea."
Il Mulino.it, 17.2.2016

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13 febbraio 2016

In libreria

Alessandro Gazoia
Senza filtro. Chi controlla l'informazione
Minimum Fax, Roma, 2016, 404 pp.
Descrizione
Chi ha, oggi, il potere sulla comunicazione? I canali tradizionali stanno perdendo sempre più peso a favore dei nuovi attori, i social media e il web, e lo strumento dominante non è più rinchiuso nelle pareti domestiche ma nelle nostre mani e nelle nostre tasche, lo smartphone. Nel ricambio tecnologico, gli strumenti di interpretazione e le nostre stesse coscienze stanno subendo una mutazione profonda. Il crollo delle usuali mediazioni fa sì che concetti fondamentali della democrazia, quali il diritto di parola e la libertà d'informazione, vengano ridiscussi accanto a nuove categorie, come l'imperante sharing economy e i dati azionari, e parole come "inconscio" e "mercato" si miscelino in combinazioni diverse. Tutti siamo coinvolti: la stessa salute democratica passerà dalla nostra consapevolezza di fruitori e produttori di informazione. Alessandro Gazoia si inserisce nel dibattito internazionale, interrogando insieme il lettore sulla sua capacità di creare una coscienza critica individuale che vada a formare una nuova opinione pubblica.

12 febbraio 2016

Leo Longanesi


Francesco Giubilei ci descrive nei minimi dettagli la vita, la carriera e il pensiero di Leopoldo (detto Leo) Longanesi, una delle figure più poliedriche che la storia del giornalismo e dell’editoria italiani ricordino. Longanesi era insieme giornalista, scrittore, editore, aforista ma anche pittore, scultore, fotografo, autore di disegni e schizzi.
Romagnolo, da giovanissimo aderisce al fascismo. Il rapporto di amore-odio che avrà con esso resterà sempre uno dei tratti peculiari delle sue opere. Così come sarà peculiare la sua analisi e visione critica della società italiana. Soprattutto nel periodo all’indomani della seconda guerra mondiale, quando rimpiange con nostalgia il ventennio fascista e non riesce ad adattarsi alla nuova Italia repubblicana e democratica che sta nascendo. Sarà proprio in questi anni che arriverà la sua critica più aspra alla borghesia italiana, che secondo lui adesso ha anche vizi ben peggiori di quelli che aveva nel periodo fascista. Anche con la borghesia ebbe un rapporto ambivalente: nei confronti di essa alternava articoli ammiccanti, i cui lettori di riferimento erano gli appartenenti alla classe media, con feroci attacchi.
Da notare come la rivista su cui pubblicava tutti questi suoi scritti si chiamasse proprio Il borghese (una delle sue più importanti creazioni). Se a questo aggiungiamo il fatto che nacque in una famiglia medio-borghese, allora comprendiamo la scelta di Giubilei di dare al titolo del libro il sottotitolo di Il borghese conservatore, che suona decisamente come un ossimoro.
Personaggio sui generis, con la battuta sempre pronta e dal sarcasmo pungente, aveva uno stile tutto suo, unico e inconfondibile, sia quando scriveva sia quando disegnava. Per lui era molto importante curare tutto nei minimi dettagli, affinché ogni rivista e ogni libro avesse il miglior aspetto possibile, tale da attirare il lettore. Così come era molto importante il ruolo della fotografia, poiché una commistione tra testo e immagini assicurava al lettore una maggiore comprensione.
Longanesi fu uno dei più geniali intellettuali italiani. Rivoluzionò per sempre il modo di fare e di concepire il giornalismo e l’editoria in Italia: a lui dobbiamo l’invenzione dei settimanali d’informazione nel nostro paese. Era il 1937, quando fondò Omnibus, una rivista settimanale per le masse vicina alle posizioni del regime, che tuttavia la censura fascista chiuderà due anni dopo, nel 1939. Negli anni cinquanta, da Omnibus avrebbe preso spunto il rotocalco, uno dei tipi di rivista più diffusi in Italia.
A tutt’oggi, la casa editrice Longanesi & C., da lui fondata nel 1946 e per la quale pubblicò molti dei suoi libri, continua a essere uno dei principali gruppi editoriali italiani.
Fu anche un talent scout: tre grandi scrittori italiani come Dino Buzzati, Vitaliano Brancati ed Ennio Flaiano furono scoperti da lui.
Eppure, già da qualche anno, sulla figura di Longanesi è calata una coltre di silenzio, e i suoi meriti non sono adeguatamente riconosciuti.
Giuseppe Albergamo


Francesco Giubilei
Leo Longanesi. Il borghese conservatore
Odoya, Bologna, 2015

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11 febbraio 2016

Viaggi attraverso l’Oriente



L’India e la Cina sono due colori: il rosso dei sari, delle pitture e il verde delle campagne. Carlo Levi descrive nei suoi reportages un mondo diverso, fatto di luoghi immersi nella magia dell’antico: gli abitanti sono i contadini, i bambini, le donne, i mendicanti. L’India è la terra dei poeti, dove ancora le rappresentazioni a teatro sono cantate e piene di epiteti, la Cina è il paese della forza del cambiamento.
Le città che vengono descritte non sono solo i grandi centri, ma soprattutto i villaggi, dove il tempo scorre lento, seguendo il ritmo delle stagioni. È difficile trovare scuole, si suona buona musica e si accolgono gli ospiti con antichi rituali. L’autore descrive le persone che incontra con minuziosità, coglie ogni particolare, ad esempio il bambino che porta un carico di fieno sulle spalle e che si appoggia a un albero, con uno sguardo “quasi morto in un incanto di solitudine”. Levi presenta queste figure con dei colori che potrebbero essere paragonati a quelli delle fotografie di Steve McCurry.
Nelle grandi città dell'India il tempo scorre frenetico sui marciapiedi affollati da mendicanti, venditori e coolies, molti si propongono come guide turistiche per guadagnare qualche rupia.
La Cina è un paese cresciuto senza religione, seguendo la morale della ragione. Levi è colpito soprattutto dalle persone. Gli uomini sembrano tutti uguali nel loro modo ordinato di comportarsi, al punto che se ci si immerge in questo mondo basato sulla collettività ci si vergogna quasi del principio di personalità occidentale. È un grande corpo dalla bellezza unitaria. Dice che ad un primo sguardo è quasi difficile scorgere la presenza delle donne, che in realtà sono moltissime e hanno compiuto una grande rivoluzione per conquistarsi il loro spazio nella società.
Levi parla delle grandi rivoluzioni di crescita che hanno dovuto affrontare questi paesi, che ancora però sono fortemente influenzati dai governi precedenti. I due paesi sono legati da una immensa grandezza e un difficile equilibrio da mantenere. Esiste una grande disparità tra le risorse del territorio e la popolazione.
Tutto ciò con cui viene a contatto nei suoi viaggi deve essere trasmesso nel modo più dettagliato e fedele possibile al lettore, in qualche modo regala un’avventura. 
I reportages raccolti in questo volume vennero pubblicati a puntante sul quotidiano "La Stampa", tra il 1957 e il 1959. L’autore è ricordato soprattutto per Cristo si è fermato ad Eboli, romanzo autobiografico che racconta il suo periodo di confino in Lucania durante il regime fascista.



Arianna Pronestì



Carlo Levi
Buongiorno, Oriente.
Reportages dall’India e dalla Cina

Donzelli Editore, Roma, 2014, pp. 240.


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10 febbraio 2016

Ieri e oggi: viaggio nel giornalismo di guerra


“Il giornalismo di guerra fa parte della logica delle cose, è nella natura dell’uomo, non sta a noi giudicare se le guerre sono giuste o sbagliate, l’importante è raccontarle e dare ai nostri lettori le ragioni delle due parti”. 

Queste sono le parole dell’inviato speciale del Corriere della Sera Lorenzo Cremonesi da cui Letizia Magnani avvia la sua riflessione sul giornalismo di guerra, in particolare sul cambiamento che lo ha permeato negli ultimi venti anni. Le volontà dell’autrice sono chiare fin dall’inizio: da un lato, vuole capire chi è e che cosa fa il corrispondente di guerra, com’é il giornalismo visto con gli occhi di fa questo lavoro. Dall’altro, vuole tentare di comprendere le ultime guerre in relazione dei diversi media e delle diverse risorse impiegate, e il rapporto fra media e potere sul tema dell’informazione, della censura e della propaganda. Per farlo, si avvale delle conversazioni avute con trentatré giornalisti inviati in giro per l’Italia e del confronto con molti altri giornalisti incontrati nelle redazioni di testate nazionali e locali. Come è cambiato il loro mestiere? Come sono cambiate le guerre? Come la società? Dai dati raccolti si desume che si possa parlare di una specificità del giornalismo di guerra in Italia dai primi anni Ottanta, quando le redazioni dei giornali iniziano a mandare gli inviati nei luoghi dove si consumano le crisi internazionali, ad oggi. Questo lasso di tempo si può suddividere in tre periodi:
·       -  dal 1979 (guerra in Afghanistan) o dal 1982 (guerra in Libano): nasce la vera e propria categoria dei giornalisti di guerra;
·       - dal 1989 o dal 1991, con il crollo del muro di Berlino e la guerra del Golfo: in questo periodo la televisione assume un ruolo preponderante, e il giornalismo classico è costretto a ripensarsi in forme nuove, prima sotto la pressione del piccolo schermo e poi sotto quella dei nuovi media, cambiando anche il rapporto fra poteri;
·       - dall’11 settembre 2001 a oggi, dove non ci sono più campi di battaglia o dichiarazioni di guerra, adesso il nemico è il “terrorismo internazionale” in nome del quale vengono meno gli accordi internazionali,  per cui anche il rapporto tra potere e media cambia. Gli inviati, secondo la definizione di Ennio Remondino (RAI) durante un’intervista, “sono sempre più spesso conduttori prestati alla guerra e sempre meno giornalisti che esercitano il giornalismo del dubbio”, i cosiddetti embedded che seguono le truppe.
 Tra i giornalisti intervistati da Magnani ce ne sono alcuni più anziani, che si occupavano dei fatti del mondo durante gli anni Ottanta: Bernardo Valli, Ettore Mo, Mimmo Candito e Roberto Fabiani, Alfredo Passarelli e Ulderico Piernoli. Altri più giovani, come Claudio Monici, Alberto Negri, Lorenzo Bianchi, Toni Fontana, Gabriel Bertinetto, Franco di Mare, Ferdinando Pellegrini, Antonio Ferrari, Lorenzo Cremonesi, Giovanni Botteri, Gian Micalessin, Gabriella Simoni, Pietro Veronese, Renato Caprile, Franco Maria Piddu, Alberto Bobbio, Maria Cuffaro, Tiziano Ferrario, Francesco Battistini e Luca Geronico: quasi tutti hanno iniziato la loro esperienza di inviati di guerra nei primi anni Ottanta o nel Libano nel 1982 o in Medio Oriente. Altri giornalisti qui intervistati sono a capo delle redazioni estere, come Gianni Perrelli, Nicola Lombardozzi e Gianfranco D’Anna. Altri ancora sono anche teorici del mestiere, come Marco Guidi, Ennio Remondino, Sandro Petrone.
Chi è il corrispondente di guerra e come lo diventa? Cosa fa il giornalista proiettato in uno scenario bellico? E ancora: come è cambiato il mestiere dell'inviato di guerra? E le guerre? Cosa sappiamo davvero dei fronti di guerra? Quanto e come agisce la censura? Letizia Magnani inizia il suo lavoro con una premessa metodologica dove espone i metodi, gli strumenti e gli scopi della ricerca svolta, compresa una bozza di domande di cui si serve come traccia per condurre le interviste-conversazioni con gli inviati, che verranno poi declinate in base all’interlocutore. Si passa poi all’esposizione dei temi oggetto del suo studio attraverso le interviste agli inviati, in primo luogo l’argomento di chi sia e cosa faccia il giornalista di guerra. Attraverso le testimonianze riportate emerge una sorta di identikit del giornalista di guerra: egli registra i fatti del mondo, è il testimone di ciò che accade e riporta i fatti come notizie, magari “sul tamburo” (Ettore Mo) sceglie le fonti e ne determina l’attendibilità. Deve essere mosso da curiosità e passione, spirito critico e consapevolezza dei rischi della professione. Il giornalista di guerra è un “curioso giramondo, con un pizzico di gusto per l’avventura, una dose di egocentrismo e una passione per la politica internazionale, mosso dall’insana ambizione di raccontare storie tristi raggiungendo luoghi da cui la gente normale preferisce scappare” (Gian Micalessin) che “va là dove le cose accadono davvero” (Roberto Fabiani) per “capire e per far capire” (Marco Guidi). Il giornalista racconta ciò che vive, cioè la guerra vera, in maniera più diretta rispetto a tutto il resto del mondo.
Nel terzo capitolo viene analizzato il rapporto fra poteri: quello dei media da un lato e quello della politica e militare dall’altro, con una riflessione su come agiscono censura e autocensura. Mimmo Candito afferma che si instaura un rapporto triangolare “fra il giornalista di guerra e la guerra (meglio fra il giornalismo e la guerra), mettendo come terzo elemento di questo triangolo il potere, cioè la gestione e il controllo dell’informazione che poi diventa la notizia nelle mani del giornalista”.
Nel quarto capitolo l’autrice affronta il problema del modo di fare giornalismo, quello nuovo e quello vecchio, e il suo rapporto con la storia. Giornalista e storico, infatti, sono mestieri affini ma al tempo stesso diversi: al centro del loro lavoro ci sono la comprensione e la narrazione delle storie umane. Ma lo storico raramente vive la guerra: in genere egli la studia a distanza di tempo, mentre il giornalista inviato è incollato alla guerra, la segue da vicino, vive ogni sua vicenda, dunque è parte integrante della storia stessa. Lavora quando le cose avvengono, mentre avvengono, addirittura a volte muore in esse, lo storico no; eppure entrambi tentano di comprendere.
Negli ultimi capitoli, Letizia Magnani analizza altri elementi del nuovo giornalismo, come i conflitti dimenticati e le donne giornaliste, per poi lasciare spazio alle esperienze personali dei giornalisti inviati, la cui collezione dà una visione d’insieme della categoria in Italia. Questi giornalisti non sono “eroi” né “villani” (Alberto Negri), ma persone curiose, aperte al confronto e alla ricerca costante.
Il lavoro di Laura Magnani si conclude riassumendo il concetto preponderante della sua ricerca: il giornalista di guerra, l’inviato speciale, che si fa testimone della realtà, indaga, vuole comprendere, non esiste più. Questa figura è cambiata così come sono cambiate le guerre e la società in generale: il giornalista non è più da solo a seguire le guerre da vicino, i sistemi mediatici hanno assunto n ruolo sempre più importante rispetto al singolo; ciononostante la voce del corrispondente di guerra è vista dall’autrice come una figura indispensabile per una società democratica, perché può fornire un racconto soggettivo e preciso. Egli ha un ruolo civile, etico, che è fondamentale nella società dell’informazione odierna.
Silvia Marcenaro


Magnani Letizia 
C'era una volta la guerra... e chi la raccontava: da Iraq a Iraq. 
Storia di un giornalismo difficile 
Edizioni Associate, Roma, 2008, 570 pp.
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09 febbraio 2016

Il giornalismo culturale: un bilancio in continuo aggiornamento

Gli scritti sul giornalismo hanno molto in comune con il giornalismo stesso: l'ambito di riferimento è quello della labilità, del tempo che passa e si lascia alle spalle in un batter d'occhio fatti, dati, realtà. Ne è il perfetto esempio Il giornalismo culturale di Giorgio Zanchini, dato alle stampe per la prima volta nel 2009 e bisognoso di aggiornamento a soli quattro anni dalla pubblicazione. Nella nuova edizione del 2013, infatti, la prefazione chiarisce subito come i tempi della rivoluzione digitale in atto impediscano di adagiarsi sugli allori. Il mondo della comunicazione e dei media si evolve costantemente, e con esso si evolvono i modi di fare e di intendere il giornalismo culturale. Giornalismo culturale di cui Zanchini può parlare a ragion veduta, essendo egli giornalista e conduttore radiofonico di RAI Radio3.
     Interessante il punto di partenza, nient'affatto scontato: cosa si intende per giornalismo culturale? Cosa si intende per cultura? L'autore fa notare come il termine “cultura” sia «tra i più complessi e polisemici dell'intero vocabolario», come con il tempo abbia via via inglobato al suo interno tutta una gamma di attività umane che prima non venivano considerate culturali in senso stretto. La storia del giornalismo culturale non può essere isolata da quella del giornalismo, e Zanchini ne racconta le fasi principali, partendo dalle gazzette del Settecento, passando per la Terza pagina, le riviste, gli inserti culturali, fino ad approdare ai blog letterari. E non c'è solo la carta, la parola scritta: anche in radio si fa giornalismo culturale, anche in televisione, anche sul web. All'aumentare dei media, il giornalismo culturale ha saputo adattarsi e si è rivelato transmediale, e l'autore ne dà abilmente dimostrazione con dovizia di esempi.
   È anche di mercato che si parla, in questo libro, e di come il giornalismo debba farci inevitabilmente i conti, oggi come tre secoli fa. Zanchini non ce lo nasconde: i dati non sono incoraggianti, soprattutto per quanto riguarda gli italiani e le loro abitudini di lettura. Pochi lettori forti, pressoché infinite fonti, testate, firme desiderose di farsi leggere e consultare. In modo particolare adesso, con tutto ciò che internet ha da offrire, può risultare davvero difficile barcamenarsi in questo mare di notizie, informazioni, recensioni e riflessioni. Ed è qui che entra in gioco il mediatore, il giornalista culturale: «sono molti a sostenere che la realtà sia troppo complessa e la giornata delle persone troppo limitata perché venga meno il bisogno di intermediari». Con una tale sovrabbondanza di contenuti si sente più che mai il bisogno di qualcuno in grado di aprire la strada, di fare da guida.
 Francesca Fabbricatore


Giorgio Zanchini
Il giornalismo culturale

Carocci, Roma 2013, 160 pp.
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08 febbraio 2016

Tutti sorvegliati?

Ci siamo tutti, siamo tutti lì, come in un piccolo paese si sa tutto di tutti: chi tradisce, chi va in vacanza, dove e quanto ha speso.
Ma è più grande di un paese, molto, è il mondo e il nostro vicino sta dall'altra parte dell'emisfero; e ci sono i  cattivi che possono rovinare questo paese con tutto quello che sanno.... un' intelligenza malvagia che può privarci della libertà.
Non è un film, è internet e le chiacchiere sono le tracce che noi lasciamo nella rete e dicono tutto di noi a chi ci vuole controllare mentre navighiamo in questo spazio virtuale assaporando la libertà e nuove conoscenze.
Questi sono gli argomenti trattati nel libro, appena edito di G. Ziccardi, professore di informatica giuridica e coordinatore del corso di perfezionamento in Investigazioni digitali presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli studi di Milano che, nel testo ha particolare riguardo ad aspetti tecnici e giuridici inerenti l'uso di internet delle odierne tecnologie: dai cellulari ai droni, dal security by design al GlobalLeaks passando per microspie e profili di sicurezza.
Una traccia affiancata sempre dall'attenzione ai diritti del singolo fino ai diritti in internet.
La teoria trova riscontri in fatti, recentemente verificatisi, di portata mondiale come i noti Wikileaks e Datagate e si sviluppa in considerazioni di ordine politico,giudiziario e legislativo con la citazione di esperti delle varie discipline: dal Presidente S. Rodotà a Julian Assange, da David Lyon, uno dei teorici più noti relativamente ai problemi correlati alla sorveglianza nell'età,  moderna a Geoffrey R. Stone, lo studioso incaricato da Barak Obama di proporre, nell'ambito dei lavori di una commissione appositamente creata, idee riformatrici della National Security Agency.
Lo studio approfondisce in particolare gli aspetti legati alla sorveglianza ma non tralascia alcuni suggerimenti tecnici a tutela del singolo e della privacy attraverso i quali potrebbe passare l'apertura ad uno scenario nuovo e positivo che argini ed escluda la sorveglianza globale.
L'induzione a nuovi comportamenti dell'utente che , mentre garantiscono la protezione dei dati, restituiscono  valore alla sfera intima del soggetto.
Partendo da un'idea bibliografica orwelliana, attraverso una filmografia di genere, il libro di Ziccardi imposta, in una godibilissima lettura, i profili di una materia che può apparire solo per addetti ai lavori ma che invece pervade le nostre vite e che è bene conoscere se vogliamo continuare ad avere di queste ultime il controllo e, possibilmente, migliorarne i contenuti senza cederne, inconsapevolmente, i diritti a terzi.
Cinzia Aluigi

Giovanni Ziccardi
Internet, controllo e libertà. 
Trasparenza, sorveglianza e segreto nell'era tecnologica 
Raffaello Cortina Editore, Milano, 2015, 252 pp.
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06 febbraio 2016

In libreria

Gian Piero Galeazzi
L’inviato non nasce per caso
Rai-Eri, Roma, 2016, 280 pp.
Descrizione
L’inviato non nasce per caso è il  principio ispiratore che ha animato tutta la carriera giornalistica di Gian Piero Galeazzi e che dà il titolo a questo libro. È il suo personale grido di battaglia che lo ha accompagnato nella lunga carriera iniziata negli anni '70 al Giornale Radio, al seguito dei grandi maestri come Sandro Ciotti, Enrico Ameri e Guglielmo Moretti, e proseguita in Tv nel Tg1 di Emilio Rossi e nella redazione sportiva di Tito
Stagno, al fianco di Beppe Viola. Sempre con l’obiettivo di portare a casa il “pezzo” ad ogni costo per raccontare il grande sport italiano einternazionale: dai Mondiali di calcio ai più importanti incontri di tennis degli Internazionali di Roma e della Coppa Davis, dal grande calcio italiano alle appassionanti imprese del canottaggio azzurro che hanno entusiasmato gli italiani e che la sua voce ha reso indimenticabili. È un racconto autobiografico che mostra, attraverso le luci dell’anima, le stagioni più intense della sua vita, un viaggio appassionante che porta un giovane cronista a diventare un inviato di razza sempre pronto ad esaltare i primati
dello sport mondiale.
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02 febbraio 2016

In libreria

Ivano Granata
L'"Omnibus" di Leo Longanesi
Politica e cultura (aprile 1937-gennaio 1939)

Franco Angeli, Milano, 2016, 280 pp.

Descrizione
Il settimanale “Omnibus”, uscito nell’aprile 1937 e diretto da Leo Longanesi, segnò una tappa nel giornalismo. Ispirato a modelli internazionali, esso viene ritenuto, per l’importanza data alla fotografia, il prototipo del rotocalco moderno che avrebbe trovato la propria consacrazione negli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale. Oltre a contribuire a sprovincializzare, sotto certi punti di vista, la stampa, “Omnibus” si distinse, negli anni del regime fascista, per originalità, vitalità, spregiudicatezza e anticonformismo. Queste peculiarità gli procurarono tuttavia, nonostante la fede mussoliniana di Longanesi, l’ostilità di una parte del mondo fascista, finché il duce, nel gennaio 1939, decise la soppressione della rivista. L’atteggiamento del settimanale e la sua sbrigativa fine hanno contribuito a collocare “Omnibus” nell’ambito della cosiddetta “fronda” fascista, la corrente schierata su posizioni critiche, e addirittura a far ritenere che in esso ci sia stato spazio anche per lo sviluppo dell’antifascismo. Ad anni di distanza una rilettura critica di “Omnibus” consente di verificare, senza pregiudizi, la veridicità delle tesi in merito all’atteggiamento assunto nei confronti della fronda e dell’antifascismo e di definire meglio la posizione della rivista verso il regime.
Indice: Premessa / La nascita di “Omnibus” / Il fascismo di Longanesi / Una rivista frondista? / La politica interna / La politica estera / La cultura (Il cinema; Il teatro; La musica; Architettura e urbanistica) / La fotografia / “Omnibus”, una “palestra di antifascismo”? / La soppressione / Indice dei nomi.
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