“Ne ammazza più la penna” è un titolo ambivalente che
mette il pubblico di fronte ad una serie di brevi letture lasciando quesiti
aperti e disparati.
Chi sono le vere vittime della penna?
La penna, forse, ha “ammazzato” i protagonisti delle
storie d’Italia riportate negli articoli dei diversi giornalisti che si sono
susseguiti nel tempo?
O, forse, sono state più le volte in cui gli stessi
giornalisti e scrittori si sono visti soccombere di fronte a quelle notizie e
idee da loro portate alla luce e che mai avrebbero dovuto raggiungere
l’opinione pubblica nei diversi momenti storici e politici vissuti?
Nel percorso storico intrapreso e riportato da Vercesi,
dai tempi della caduta di Napoleone fino agli anni Sessanta del Novecento,
attraverso fatti, notizie ed aneddoti, emerge come vi sia stata un’evoluzione
del giornalismo e come, allo stesso tempo, ciò che accadeva nel periodo post
giacobino si sia mantenuto e ripetuto nel tempo.
Vi sono giornalisti eroici che hanno rischiato la loro
stessa esistenza in nome della verità e della loro onestà intellettuale.
Silvio Pellico, durante i dieci anni di detenzione nel
duro carcere dello Spielberg, avrebbe scritto un’opera letteraria come “Le
mie Prigioni”, senza conoscerne e goderne mai il successo meritato e
riconosciuto, a posteriori, dal pubblico. Scontata la pena, una volta tornato
libero, decise di tenersi lontano dalla politica, senza mai rinnegare le
proprie idee e continuando a coltivare la sua vena giornalistica e letteraria.
Vi sono, quindi, giornalisti che non hanno mai tradito sé
stessi.
Giuseppe Mazzini, il quale dedicò la sua intera esistenza
al mondo dell’informazione, può essere considerato, nuovamente, un vero eroe.
Non bastava impegnarsi; ogni articolo doveva riportare la firma in calce. Ci si
doveva esporre in prima persona.
Non sempre, però, si poteva rischiare ed apporre la firma
sugli articoli pubblicati.
O meglio, forse ci si sarebbe anche potuti scontrare con i
grandi poteri centrali e le estreme dittature, ma a quale prezzo?
Così, soprattutto in tempo di guerra, la maggior parte dei
professionisti avrebbe optato per l’autocensura e, così, per
l’autoconservazione.
Vi sono i codardi e “fifoni”: quelli che hanno respirato
una boccata di libertà con l’uscita dalla scena politica di Napoleone e che,
appena sono venuti a conoscenza dell’imminente ritorno di Sua Maestà, ne
hanno condiviso la gioia universale sui giornali e con il popolo.
E poi, vi sono i carrieristi, gli ambiziosi o, meglio ancora,
gli arrivisti che sanno quando è giunto il tempo di cogliere un’opportunità;
quelli avidi di successo e potere e che, per questo, sanno cavalcare l’onda
cambiando repentinamente la propria direzione, senza vergogna e senza alcuno
scrupolo.
Vercesi, nelle vicende narrate in piccoli paragrafi e
scorci di storia, ha la grande capacità di far emergere nel lettore un’immagine
del giornalista alquanto complessa.
Emerge l’amante della verità, dell’amor proprio e
dell’onestà intellettuale.
Emerge il timoroso che preferisce mettersi al riparo da
ogni possibile ritorsione.
E, infine, emerge l’arrampicatore.
Lo sguardo al passato di Vercesi sembra unirsi e
mescolarsi con quello dei giorni nostri, facendo diventare il ruolo del
giornalista ed i problemi ruotanti intorno alla sua professione quanto mai
attuali e in continuità con quelli dei secoli precedenti.
In conclusione, risulta significativo il paragone che lo
scrittore utilizza tra due personaggi fantasiosi della letteratura italiana:
Pinocchio da un lato e Gian Burrasca dall’altro.
Pinocchio, il burattino che vedrà allungarsi il naso tutte
le volte in cui dirà una bugia, già da bambino è abbastanza adulto e
responsabile da sapere che il mondo, senza il suo senso di colpa, non sta
insieme. Pinocchio è un libro aperto, come appare.
Pinocchio è la vittima predestinata delle autorità.
Gian Burrasca, invece, è bugiardo come il demonio e le sue
vittime se ne accorgeranno troppo tardi (quando se ne accorgono). E’ la
disperazione dei genitori, è il prototipo di tutti i no global, un kamikaze.
Gian Burrasca rappresenta l’estremismo ed è nemico di tutte le autorità.
Pinocchio rappresenta il politically correct; Gian
Burrasca è l’outsider.
Di fronte a
questi due immaginari, l’Italia non è mai riuscita a scegliere.
Valentina Trinchero
Pier Luigi Vercesi
Ne ammazza più la penna.
Storie d'Italia vissute nelle redazioni dei giornali
Palermo, Sellerio, 2014, pp. 384