Mi
ha coinvolto. Del resto non può non farlo. Il libro si presenta come un breve
riassunto delle esperienze dell'autore come reporter in zone di guerra. Non è
scandito da un preciso ordine cronologico, anzi sembra che le varie
corrispondenze vengano riportate in base a quel che veniva in mente a Lupis mentre scriveva, almeno così sembra.
Il
libro vuole restituire l'idea di ciò che ha vissuto il reporter negli anni
seguendo diversi conflitti, eppure non si presenta come un'autobiografia, al
contrario, si presenta come una raccolta di diverse corrispondenze scritte in
modo più o meno personale in base al coinvolgimento emozionale di Lupis.
Il
titolo richiama lo scopo del libro: sostenere la tesi che tutta la violenza dei
conflitti sia inutile. Almeno questo è quello che ho pensato leggendo la prima
corrispondenza, quella più forte, da Timor Est. Eppure questo scopo dichiarato
già nel titolo, andando avanti nella lettura sembra quasi perdersi, venir meno,
per poi delinearsi come maggiore consapevolezza nel finale. Ma proseguiamo con
ordine.
Lo stile
La
prima cosa che salta subito all'occhio è la chiarezza dei testi: le frasi sono
scorrevoli, il linguaggio è semplice ma appropriato e l'obbiettività del
reporter si alterna fluidamente al suo pensiero critico e personale.
Quest'ultima differenza è spesso resa saltando una riga.
Altro
dettaglio da notare è come l'autore cambi registro in base al conflitto, ad
esempio quando parla del golpe nelle Figi "Golpisti nel Pacifico", l'autore utilizza uno stile più veloce e impersonale come se volesse rendere quei
giorni di tensione sotto la forma di un elenco, facendoli risultare piuttosto
grotteschi. Uno stile simile – anche se decisamente più ironico – è adottato ne
"Guida alle vacanze a rischio".
Al
contrario in altri capitoli l'autore fornisce molti più dettagli di natura
geopolitica per restituire un quadro più completo al lettore, in particolare in
tutti i conflitti legati al terrorismo del sud-est Pacifico, Lupis si sofferma
spesso su alcuni punti di collegamento in modo da permetterci di arrivare a
unire differenti conflitti in un unico disegno.
Possiamo
ritrovare anche un'altra differenza di stile: le interviste. Lupis durante i
suoi viaggi ha avuto la fortuna – e il peso – di incontrare anche personaggi
che credo gli stessero a cuore, è il caso del subcomandante Marcos, dell'attivista
Mireya Garcia e della militante Ingrid Betancourt. In questi resoconti delle
interviste fatte, più o meno ufficiali, il giornalista fa trasparire spesso un
sentimento di stupore o ineguatezza – entrambi intesi nel senso più positivo
possibile – nei confronti di quelle figure così importanti. L'autore permette
alle sue emozioni di trasparire, non è un caso che tutte e tre i resoconti si
chiudano con una frase forte dell'intervistato. Lupis mostra di essere
affascinato da questi personaggi e di rispettarli molto.
Lo scopo
Come
già accennato, lo scopo del libro è mostrare quanto le guerra sia dannosa per
tutti quelli che ne sono attori o spettatori (come appunto, i reporter).
Il
libro si apre con un capitolo molto impegnativo emotivamente sia per l'autore
che per lo scrittore ma progressivamente perde intensità altalenando momenti
drammatici a situazioni più leggere e positive. Questo non solo per rendere più
scorrevole la fruizione dell'opera, ma anche per trasmettere un senso di
ineluttabilità che ha accompagnato Lupis nei suoi viaggi per il mondo. Il male
inutile non si può evitare in modo semplice.
L'enfasi
su questo aspetto la pone lo stesso Lupis nei capitoli finali del libro: La
convivenza con i ricordi inaccettabili, con lo stress protratto per mesi e anni,
con il senso di pericolo e – mi fecero notare alcuni – con l’ansia e la
frustrazione derivante dal senso di impotenza generato dalla consapevolezza – anche soltanto inconscia – di non poter far nulla per
cambiare le cose terribili viste e testimoniate (Lupis, p.450). Un altro
aspetto che serve a porre enfasi sull'ineluttabilità dei conflitti riportati,
sono le conversazioni che Lupis ha con le sue varie redazioni: "rientrai
su ordine della redazione" compare più volte nel testo declinata in varie
forme.
Il finale è la
raison d'être del libro. Nell'ultimo capitolo Lupis inizia a scrivere il libro e riesce a
trovare una pace nei suoi ricordi, comprende il «perché» dei suoi viaggi,
capisce che ha fatto il reporter per aiutare gli ultimi, quelli che fanno le
spese dei conflitti di cui troppo spesso se ne parla in modo sterile. Il
male inutile appare come un manifesto dell'utilità del giornalismo di
guerra. Marco Lupis ci lascia con questa frase: Era grazie a loro e a quelli
come loro, che il mondo poteva ancora essere, malgrado
tutto, «quel posto bello, accogliente e dignitoso che avevo creduto». Io
verrei chiudere con quello che diceva il subcomandante Marcos, che mi pare
possa adattarsi bene al ruolo del reporter di guerra: La nostra è una lotta
per la sopravvivenza e per una pace degna. La nostra è una lotta
giusta (Lupis, p.232).
Amos Granata
M.
Lupis
Il male inutile. Dal Kosovo a
Timor Est, dal Chiapas
a Bali le testimonianze di un reporter di guerra,
Rubettino,
Soveria Mannelli, 2018.
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