Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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28 dicembre 2018

In libreria

Attilio Bolzoni
Giornalisti in terre di mafia.
Quelli che scrivono e quelli che si voltano dall'altra parte
Melampo, Milano, 2018, pp. 176.

Descrizione
Ci sono notizie che fanno male e ci sono notizie che non disturbano mai. Cronache irriverenti e quell'informazione "morbida" che piace a tanti, conformista, remissiva e conciliante. Le due facce del giornalismo in terre di mafia. Quando le grandi organizzazioni criminali si nascondono è più difficile raccontarle, meno sparano e meno finiscono sui giornali. Quando non "parlano" con il linguaggio delle armi - uccidendo, organizzando stragi e attentati - le mafie è come se non ci fossero. Vengono riconosciute solo quando non portano la maschera. In questi anni si è fatto un gran rumore intorno a fenomeni criminali che si sono proposti sulla scena violentemente e si è fatto un gran silenzio su quei sistemi mafiosi o paramafiosi legati ai poteri legali.

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27 dicembre 2018

In libreria

Enzo Mignosi
Quelli di via Solferino.
Un cronista, i suoi anni con il Corriere e la guerra di Palermo
Di Girolamo editore, Trapani, 2018, pp. 210.

Descrizione
Una storia di vita e di giornalismo raccontata come un romanzo da un cronista che ha vissuto per 35 anni sulla linea del fuoco nella Sicilia devastata da delitti e stragi di mafia. Reportage rimbalzati sulle pagine del Corriere della Sera, il santuario della carta stampata. Un pezzo di storia d’Italia che torna d’attualità nella narrazione di un testimone di tragici eventi che hanno sconvolto il Paese: i mille morti ammazzati degli anni Ottanta, i primi pentiti, i grandi processi, gli attentati a Falcone e Borsellino, il crollo dell’impero corleonese. Pagine ricche di pathos in cui l’autore lascia sfilare in sequenza una serie di flash che partono da lontano, dai tempi in cui, ancora ragazzo, combatte a mani nude contro una sorte malevola che sembra sbarrargli la via d’accesso alla professione. La tenacia lo premierà con la firma del contratto di praticante al Giornale di Sicilia e subito, a seguire, con l’incarico di corrispondente del Corriere della Sera. L’inizio di un’avventura straordinaria, che apre le porte del mondo fatato di via Solferino, il tempio del giornalismo nazionale.
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21 dicembre 2018

In libreria

Gabriele Giacomini
Potere Digitale.
Come Internet sta cambiando la sfera pubblica e la democrazia
Meltemi, Milano, 2018, pp. 352.
Descrizione
Come Internet sta cambiando la sfera pubblica e la democrazia? Per rispondere abbiamo intervistato autorevoli esperti dalle cui parole emergono posizioni ricche e plurali. Attraverso un’analisi dei recenti cambiamenti sociali, questo volume intende affrontare problemi come la crisi dei partiti e dei media tradizionali, l’affacciarsi di nuovi intermediari (come le piattaforme social), la frammentazione e la polarizzazione della sfera pubblica, la sfida della partecipazione online fra limiti e opportunità, l’ipotesi della democrazia digitale. Il web è il luogo dell’informazione libera e autonoma o le informazioni si stanno organizzando attorno a inediti centri di potere? Internet promuove un pluralismo dialogico o rischia di nutrire una crescente polarizzazione? La democrazia rappresentativa è da superare oppure rimane la soluzione migliore per governare? La democrazia è certamente un sistema aperto (quindi sempre imperfetto e in evoluzione), ma è anche responsabilizzante: è compito dei cittadini e delle classi dirigenti gestire al meglio gli esiti dell’innovazione tecnologica.
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19 dicembre 2018

Migrazioni e migranti

"Essere "pro o contro" la Grande Migrazione non ha senso: sarebbe come essere "pro o contro" un'inondazione o una tempesta di neve che stanno seppellendo le nostre case. È molto più assennato cercar di capire che cosa è, cosa significa e cosa comporterà, e organizzare risposte adeguate prima che a fornirle siano i fatti"
Raffaele Simone, "L'ospite e il nemico. La Grande Migrazione e l'Europa", Garzanti, Milano, 2018, p. 23.
Infatti nel 2002 Zygmunt Bauman* aveva scritto:  
"Le porte possono anche essere sbarrate, ma il problema non si risolverà, per quanto massicci possano essere i lucchetti. Lucchetti e catenacci non possono certo domare o indebolire le forze che causano l’emigrazione; possono contribuire a occultare i problemi alla vista e alla mente, ma non a farli scomparire."
Riflessione trascritta da Bauman in tempi non sospetti o per lo meno in tempi in cui l'emigrazione non era così dilagante e debilitante per i migranti e per la Società: impreparata o egoista?
Joannes Timurian


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*Zygmunt Bauman, La società sotto assedio, Laterza, Bari-Roma, 2002.

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18 dicembre 2018

La presenza utile


Mi ha coinvolto. Del resto non può non farlo. Il libro si presenta come un breve riassunto delle esperienze dell'autore come reporter in zone di guerra. Non è scandito da un preciso ordine cronologico, anzi sembra che le varie corrispondenze vengano riportate in base a quel che veniva in mente a Lupis mentre scriveva, almeno così sembra.
Il libro vuole restituire l'idea di ciò che ha vissuto il reporter negli anni seguendo diversi conflitti, eppure non si presenta come un'autobiografia, al contrario, si presenta come una raccolta di diverse corrispondenze scritte in modo più o meno personale in base al coinvolgimento emozionale di Lupis.
Il titolo richiama lo scopo del libro: sostenere la tesi che tutta la violenza dei conflitti sia inutile. Almeno questo è quello che ho pensato leggendo la prima corrispondenza, quella più forte, da Timor Est. Eppure questo scopo dichiarato già nel titolo, andando avanti nella lettura sembra quasi perdersi, venir meno, per poi delinearsi come maggiore consapevolezza nel finale. Ma proseguiamo con ordine.
Lo stile
La prima cosa che salta subito all'occhio è la chiarezza dei testi: le frasi sono scorrevoli, il linguaggio è semplice ma appropriato e l'obbiettività del reporter si alterna fluidamente al suo pensiero critico e personale. Quest'ultima differenza è spesso resa saltando una riga.
Altro dettaglio da notare è come l'autore cambi registro in base al conflitto, ad esempio quando parla del golpe nelle Figi "Golpisti nel Pacifico", l'autore utilizza uno stile più veloce e impersonale come se volesse rendere quei giorni di tensione sotto la forma di un elenco, facendoli risultare piuttosto grotteschi. Uno stile simile – anche se decisamente più ironico – è adottato ne "Guida alle vacanze a rischio".
Al contrario in altri capitoli l'autore fornisce molti più dettagli di natura geopolitica per restituire un quadro più completo al lettore, in particolare in tutti i conflitti legati al terrorismo del sud-est Pacifico, Lupis si sofferma spesso su alcuni punti di collegamento in modo da permetterci di arrivare a unire differenti conflitti in un unico disegno.
Possiamo ritrovare anche un'altra differenza di stile: le interviste. Lupis durante i suoi viaggi ha avuto la fortuna – e il peso – di incontrare anche personaggi che credo gli stessero a cuore, è il caso del subcomandante Marcos, dell'attivista Mireya Garcia e della militante Ingrid Betancourt. In questi resoconti delle interviste fatte, più o meno ufficiali, il giornalista fa trasparire spesso un sentimento di stupore o ineguatezza – entrambi intesi nel senso più positivo possibile – nei confronti di quelle figure così importanti. L'autore permette alle sue emozioni di trasparire, non è un caso che tutte e tre i resoconti si chiudano con una frase forte dell'intervistato. Lupis mostra di essere affascinato da questi personaggi e di rispettarli molto.
Lo scopo
Come già accennato, lo scopo del libro è mostrare quanto le guerra sia dannosa per tutti quelli che ne sono attori o spettatori (come appunto, i reporter).
Il libro si apre con un capitolo molto impegnativo emotivamente sia per l'autore che per lo scrittore ma progressivamente perde intensità altalenando momenti drammatici a situazioni più leggere e positive. Questo non solo per rendere più scorrevole la fruizione dell'opera, ma anche per trasmettere un senso di ineluttabilità che ha accompagnato Lupis nei suoi viaggi per il mondo. Il male inutile non si può evitare in modo semplice.
L'enfasi su questo aspetto la pone lo stesso Lupis nei capitoli finali del libro: La convivenza con i ricordi inaccettabili, con lo stress protratto per mesi e anni, con il senso di pericolo e – mi fecero notare alcuni – con l’ansia e la frustrazione derivante dal senso di impotenza generato dalla consapevolezza – anche soltanto inconscia – di non poter far nulla per cambiare le cose terribili viste e testimoniate (Lupis, p.450). Un altro aspetto che serve a porre enfasi sull'ineluttabilità dei conflitti riportati, sono le conversazioni che Lupis ha con le sue varie redazioni: "rientrai su ordine della redazione" compare più volte nel testo declinata in varie forme.
Il finale è la raison d'être del libro. Nell'ultimo capitolo Lupis inizia a scrivere il libro e riesce a trovare una pace nei suoi ricordi, comprende il «perché» dei suoi viaggi, capisce che ha fatto il reporter per aiutare gli ultimi, quelli che fanno le spese dei conflitti di cui troppo spesso se ne parla in modo sterile. Il male inutile appare come un manifesto dell'utilità del giornalismo di guerra. Marco Lupis ci lascia con questa frase: Era grazie a loro e a quelli come loro, che il mondo poteva ancora essere, malgrado tutto, «quel posto bello, accogliente e dignitoso che avevo creduto». Io verrei chiudere con quello che diceva il subcomandante Marcos, che mi pare possa adattarsi bene al ruolo del reporter di guerra: La nostra è una lotta per la sopravvivenza e per una pace degna. La nostra è una lotta giusta (Lupis, p.232).
Amos Granata


M. Lupis 
Il male inutile. Dal Kosovo a Timor Est, dal Chiapas 
a Bali le testimonianze di un reporter di guerra, 
Rubettino, Soveria Mannelli, 2018.

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15 dicembre 2018

Le sfide etiche della società virtuale


Nel 1970 Masahiro Mori, studioso giapponese, teorizzava la “Uncanny Valley”, ovvero una sorta di repulsione per le macchine quando queste diventano troppo simili all'essere umano, una reazione emotiva negativa paragonabile al perturbamento.
In che modo, quasi cinquanta anni dopo, viviamo l'evoluzione delle tecnologie della comunicazione? Come possiamo interagire con i dispositivi e gli ambienti virtuali in modo sano?
Nel saggio Etica per le tecnologie dell'informazione e della comunicazione (2018), Adriano Fabris, professore di Filosofia morale ed Etica della comunicazione all'Università di Pisa, analizza opportunità e problemi della società tecnologica in cui viviamo.
A partire da un approfondimento dei concetti di “tecnica”, che implica una presenza costante dell’agire umano e “tecnologia”, che implica invece un certo livello di autonomia, il discorso si sviluppa attraverso un'indagine dell'interazione con i mezzi contemporanei: smartphone, computer e macchine in generale.
Il tema è affrontato dal punto di vista etico, metodo necessario, dato il grado di autonomia che le macchine hanno raggiunto.
Fabris si interroga anche su come i dispositivi che usiamo più spesso incidano sui nostri comportamenti e soprattutto sulle nostre scelte. Si tratta di scelte fondamentali, che ci permettono di accedere agli “ambienti comunicativi”, reali o virtuali, in cui ci muoviamo tutti i giorni: il rischio è che le relazioni reali siano fagocitate da quelle virtuali, in cui “l'altrove è più importante del qui e ora”.
In relazione agli ambienti, in particolare quelli virtuali, da noi abitati, il testo esamina anche le questioni etiche proprie dell'agire di chi opera o anche solamente naviga nella Rete, ad esempio la dibattuta questione della raccolta dei dati degli utenti da parte dei colossi del web, la non neutralità dei motori di ricerca, la differenza tra il condividere ed il partecipare.
L'intelligenza artificiale propria di questi anni si esercita, come tutte le altre tipologie, attraverso molteplici forme di relazione; la differenza è che l'intelligenza artificiale  coinvolge non solo l'azione del dispositivo, ma i dispositivi stessi, rendendo essenziale un approccio etico che vada di pari passo con uno deontologico.
Nonostante il linguaggio piuttosto settoriale, il libro riesce a presentare una visione complessiva della situazione; in particolare aiuta ad analizzare quali siano i modi migliori di rapportarsi alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ormai massicciamente presenti in quasi tutti gli ambiti in cui viviamo.
Martina Todde
Adriano Fabris
Etica per le tecnologie dell'informazione e della comunicazione
Carocci, Roma, 2018.
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14 dicembre 2018

In libreria

Raffaele Simone
L'ospite e il nemico. La Grande Migrazione e l'Europa
Garzanti, Milano, 2018, pp. 262.
Descrizione
La storia ricorderà i nostri anni come gli anni della Grande Migrazione, cioè quel processo attraverso cui milioni di persone in fuga dall'Africa e dall'Asia si sono messe in marcia verso il continente europeo sperando di trovarvi salvezza e benessere. Mai nella storia si era avuto un flusso tanto imponente e inarrestabile. Per quanto sia difficile stabilirne la portata complessiva, è evidente fin d'ora che esso costituisce uno dei tratti salienti del nuovo mondo che la globalizzazione sta modellando. Per l'identità europea, questa ondata (quasi interamente islamica) comporterà differenze difficilissime a assorbirsi e ancor più a integrarsi: punti di vista drasticamente difformi su temi-chiave per l'Occidente (la laicità, l'uguaglianza uomo-donna, l'amministrazione della giustizia, la separazione tra Stato e fedi), concezioni religiose talvolta aggressive, idee premoderne sullo Stato. Irresponsabilmente, l'Europa ha lasciato entrare queste masse senza avere alcun piano di azione comune, consegnando così l'intera questione alle destre. La pubblica opinione, per parte sua, si è divisa tra chi vede nello straniero che attraversa il mare un ospite da accogliere e aiutare e chi invece lo addita come un pericoloso nemico. Il libro di Raffaele Simone assume questa contrapposizione e l'analizza fino in fondo. Distinguendo la retorica politica dai fatti, intrecciando una scrupolosa cura dei dati con originali elaborazioni concettuali, dando nomi e definizioni alle nostre paure quotidiane dinanzi al diverso e sfidando i rischi del Politicamente Corretto, Simone offre una riflessione dura, pungente e libera da ideologie, e propone categorie e criteri per capire che cosa è, cosa significa e cosa comporterà la Grande Migrazione per il Vecchio Continente.
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13 dicembre 2018

Genova, un futuro possibile... se non trascurata


Lunedì 3 dicembre 2018 il quotidiano "Repubblica-Il Lavoro" ha pubblicato l’articolo Genova, splendida asimmetria firmato da Alberto Diaspro. L’autore mette su carta una vera e propria dedica alla sua città: Genova. Bella nonostante le sue contraddizioni e nonostante le sue magiche asimmetrie che “teletrasportano” chiunque lo voglia da una parte all’altra della città. Un’ esperienza che può essere fatta da tutti.
Non mi era mai capitato di raggiungere un quartiere attraverso un palazzone. Eppure è andata così, proprio mentre mi recavo all’Università presso l'Albergo dei Poveri. Mi è bastato scendere in stazione di Genova Piazza Principe, percorrere duecento metri, attraversare il predetto palazzone e salire un’ultima rampa di scale antiche. Mi sono ritrovato da un quartiere all’altro altro, così, senza neanche accorgermene. La fatica e il tempo sono stati interamente annullati dalla moltitudine di cimeli storici sparsi di qua e di la per i corridoi e dalle suntuose scalinate viste solo nei film e raramente in palazzi istituzionali. L’odore di storia che il legno delle alte porte antiche ha profuso e i marmi splendenti hanno creato un’atmosfera davvero suggestiva che mi ha accompagnato per tutto il percorso. Il viaggio è poi terminato con delle ultime scale esterne - oserei dire malconce, effettivamente frequentate da gerani che “...i giovani oggi lasciano crescere...”.
Ma Genova non è solo fatta di palazzoni storici che si adattano alla città che cresce e che collega più quartieri. Genova è dinamica anche geo-morfologicamente dal momento che sa estendersi in altezza e in larghezza. E l’uomo in questo contesto è stato protagonista indiscusso giacché con tenacia ha voluto costruire anche là dove era difficile e inimmaginabile. Oggi però si inizia a pagare il conto. Penso ovviamente al ponte Morandi, ma penso anche alla particolare rete urbana che nel tempo è andata sviluppandosi, causa di ostruzione dei violenti nubifragi; si ricordano in proposito quelli che qualche anno fa hanno propriamente distrutto il quartiere di Genova Brignole; neanche le sue strade così larghe (via xx Settembre e vie limitrofi) hanno potuto nulla contro la furia della natura. Eppure sembra che queste esperienze non bastino a far capire agli addetti quanto sia opportuno e ancor di più doveroso rivedere i piani urbanistici. E così che Genova-Culturale balza agli onori delle cronache per cose brutte come emergenze mal gestite piuttosto che per cose belle come i tanti eventi culturali.  Quella in gioco, è una partita perduta in partenza sia perché non c’è gara contro la natura e sia perché in Italia le politiche preventive di gestione per simili allarmi dovrebbero essere più efficaci e più studiate. Come a Genova, così nel resto dell’Italia. Non fosse così, non sarebbero accadute molte stragi tra le quali ad esempio quella di Rigopiano: ricordiamo tutti la struttura alberghiera costruita alla base di una suggestiva gola montuosa, poi investita da una valanga causa di 29 morti. Ma questa è altra storia....
A parere personale, penso che l’opportunità offertami di leggere un articolo del genere abbia consentito di dare forma ma soprattutto di dare un nome a quell’insieme di lunghezze differenti che si sviluppano sul territorio genovese e che lo contraddistinguono; sono misure che al fine di non essere contro producenti vanno sviluppate opportunamente, sia che riguardino aspetti geo-morfologici sia che riguardino eventi culturali esclusivi che fanno di Genova un importante luogo di incontro di più culture. Credo che tra le tante città conosciute, Genova sia tra le prime per suggestione e per versatilità. Merito delle sue “...spettacolari asimmetrie!” per dirla come Alberto Diaspro.
Joannes Timurian


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12 dicembre 2018

In libreria

Stefano Mannucci
 L’Italia suonata
 Dagli anni del boom al nuovo millennio: la storia e la musica 
Mursia e Rtl 102.5, Milano, 2018, pp. 780. 
Descrizione
C’è un sentiero che unisce i fatti della storia e la colonna sonora della nostra vita. La prima e unica storia d’Italia suonata a ritmo di pop e rock. Con Modugno gli italiani sognano di volare e si risvegliano nella notte del Vajont. Si scandalizzano con gli amori proibiti di Mina e la follia di Celentano. E poi gli enigmi della morte di Tenco, Gaber che rivendica la libertà dal conformismo, il processo degli autonomi a De Gregori, De André che solidarizza con i suoi rapitori, Dalla elogiato da Berlinguer, Guccini all’osteria con Wojtyla. E ancora: Rino Gaetano, l’irregolare, la rivalità tra Vasco e Ligabue, Pelù di fronte a Gelli, Pino Daniele e i lazzari moderni di Napoli. E mille altre storie, fra stragi impunite, terrorismo, il caso Moro, Tangentopoli e le tragedie dei migranti. Un mare di canzoni indimenticabili per chi c’era e per i millennial che cercano di suonare il futuro. 
Stefano Mannucci, nato a Roma nel 1958, è il Doctor Mann del canale rock Radiofreccia (Gruppo RTL) e scrive su «il Fatto Quotidiano». Dal 1995 al 2016 è stato caporedattore, responsabile del Servizio Spettacoli e inviato de «Il Tempo». Negli anni Ottanta e fino a metà dei Novanta è stato tra i conduttori di Rai Stereonotte e tra le firme di punta del prestigioso periodico specializzato «Rockstar». Con Mursia ha pubblicato Il suono del secolo. Quando il rock ha fatto la storia (2017).
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10 dicembre 2018

In libreria

 Bruno Soro 
Capire i fatti. Saggi divulgativi di politica economica e società
Epoké, Novi Ligure, 2018, pp. 272.

Descrizione
Il titolo scelto dall’autore per questa raccolta di saggi lascia intendere che discutere seriamente di economia non è questione banale, in quanto la comprensione dei fatti economico-sociali è cosa diversa dalla loro percezione, tanto più al giorno d’oggi in cui l’informazione viene acquisita in larga parte da fonti incontrollabili come i social media. La percezione, spesso mediata da informazioni imprecise, se non scorrette, ci mette di fronte ai fatti, mentre la spiegazione li ordina in rapporti tra cause ed effetti e ci dà indicazioni su come prevenire effetti avversi intervenendo sulle cause. Ma in economia le cose non sono sempre così semplici. Chiare, brillanti e mai noiose, queste pagine spiegano in modo accattivante perché un sistema economico sia molto più che complicato.

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06 dicembre 2018

In libreria

Giancarlo Tartaglia 
"Il giornale è il mio amore". 
Alberto Bergamini, inventore del giornalismo moderno. 

Edizioni All-Around, Roma, 2018, pp. 288.
Descrizione

Alberto Bergamini, (1871-1962), giornalista e politico del ’900 è stato l’inventore del giornalismo moderno. Fondatore e direttore de «Il Giornale d’Italia», il quotidiano più diffuso per decenni nel centro e nel Mezzogiorno, ha inventato la terza pagina, ha introdotto l’uso delle illustrazioni e delle fotografie, ha messo al centro del giornalismo la ricerca e l’inseguimento costante delle notizie, arrivando a pubblicare sino a sette edizioni al giorno del suo giornale. Senatore del Regno, è stato, insieme ad Albertini e Frassati, l’artefice e l’interprete di una stagione irripetibile della storia politico-giornalistica del nostre Paese.
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04 dicembre 2018

In libreria


Marco Pacini,
Epocalisse. Appunti di un cronista pessimista
Mimesis, Milano, 2018, pp. 120.
Descrizione
“Sono un vecchio giornalista di carta che vede cadere a pezzi, giorno dopo giorno, calcinaccio dopo calcinaccio, il suo mondo. Tutto qui.” Marco Pacini intreccia in queste pagine la sua esperienza personale e il suo lavoro di cronista per analizzare le vicende di maggior attualità – dallo sfascio post-elettorale alle tanto discusse fake news –, utilizzando una sana dose di “pessimismo attivo”. Senza scadere in logiche disfattiste, Pacini sottolinea la necessità di opporre a un ottimismo acritico l’arma del buon senso. Basta osservare, guardarsi intorno, per scoprire che, oltre il diktat del tecno-ottimismo, non esiste soltanto il deserto della diffidenza e del pregiudizio. Come sostiene l’autore, il pessimismo “è reazionario solo nel senso che prova a reagire alla progressiva scomparsa del pensiero critico”. Un libro che invita a guardare la realtà con lo sguardo del pessimista che si augura di avere torto e porta avanti la sua battaglia intellettuale proprio sperando che sia così. 
Marco Pacini, caporedattore del settimanale “L’Espresso”, ha lavorato per venticinque anni nei quotidiani, dapprima come cronista politico e autore di inchieste, poi come caporedattore centrale del “Piccolo” di Trieste.
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03 dicembre 2018

In libreria

Nicola Attadio
Dove nasce il vento. Vita di Nellie Bly
Bompiani, Milano, 2018, pp. 204.
Descrizione
Settembre 1887: una ragazza bussa alla porta di John Cockerill, direttore del ''New York World'' di Joseph Pulitzer. Chiede di essere assunta come reporter. Nessuna donna aveva mai osato tanto. Il suo nome è Elizabeth Cochran, ha ventitré anni, ma già da tre scrive per un quotidiano di Pittsburgh firmandosi Nellie Bly. Una donna reporter non si è mai vista, ma la sua idea di un'inchiesta sotto copertura a Blackwell Island, manicomio femminile di New York, convince Cockerill e Pulitzer ad accettare la sfida. Ne nasce un reportage che farà la storia del giornalismo. Da qui, in un crescendo di popolarità e sotto mille travestimenti, Nellie racconterà l'America agli americani. Diventerà l'incubo di politici e benpensanti, viaggerà in tutto il mondo, vivrà amori e fallimenti. Mentre i grattacieli, i treni, il telegrafo e poi la guerra trasformano la realtà, Nellie Bly si trova a essere pioniera di una figura mai esistita prima: la donna indipendente, artefice del proprio destino, la giornalista intrepida armata solo del proprio sguardo libero e della propria voce.

01 dicembre 2018

In libreria

Alberto Manguel
Vivere con i libri. Un'elegia e dieci digressioni
Einaudi, Torino, 2018, pp. 128.
Descrizione
«Manguel ha tracciato una cartografia dell'eros della lettura. È il Don Giovanni delle biblioteche». «The Guardian» «Uno scrittore scrive quello che può, un lettore legge quello che vuole», disse una volta Jorge Luis Borges. Intendeva che il lettore gode di una libertà che allo scrittore è preclusa: libertà di immaginare e di imparare, certo, ma anche libertà di leggere o non leggere un libro, di decidere cosa è o non è un classico, di ignorare le mode o gli obblighi di lettura. Un lettore o è libero o non è. Forse non è eccessivo definire Alberto Manguel, scrittore, traduttore, critico, direttore della Biblioteca nazionale argentina, il «lettore definitivo». E infatti nel corso di una vita intera dedicata ai libri ha costruito una biblioteca personale di oltre 35 000 volumi. Ma cosa succede quando si ritrova a dover traslocare dalla sua casa nella Loira a un piccolo appartamento newyorkese? Succede che deve scegliere quali volumi portare con sé e quali lasciare in un deposito, passarli in rassegna, uno dopo l'altro, e ascoltare la loro voce. La biblioteca di Manguel, a parte una manciata di esemplari, non possiede volumi particolarmente rari: è composta tanto di umili tascabili quanto di volumi rilegati in pelle, di novità luccicanti e di malconci libri che si porta dietro in ogni trasloco fin da quando era bambino, libri belli e libri brutti. Il fatto è che i libri raccontano tutti una storia. Non solo quella che c'è scritta dentro (che a volte non è nemmeno la piú importante), ma quella che si portano dietro. Perché ogni biblioteca è un luogo di memoria: sugli scaffali si succedono non solo i volumi ma anche il ricordo di quando leggemmo quel determinato testo, la città in cui l'abbiamo comprato, la persona che ce lo consigliò, il piccolo o grande dolore che quella lettura ha saputo lenire. Una libreria è una collezione di malinconie e di gioie, un repertorio di persone amate o dimenticate, un tributo alla speranza (o all'illusione) che quell'inerme massa di carta possa in qualche modo restituirci l'immagine degli individui che siamo. Cosí, mentre imballava la sua biblioteca e ne ascoltava la voce, Manguel ha scritto questa luminosa elegia con «dieci digressioni» che è tanto un diario di letture quanto una meditazione appassionata e urgente sulla lettura nel tempo presente; un'autobiografia e una riflessione sull'importanza delle biblioteche pubbliche e delle librerie per cucire insieme il tessuto civile di una comunità; una storia d'amore e di libertà degna di Eco e di Borges.
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