Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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26 giugno 2020

Liguaggio



I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo.
Ludwing Wittgenstein

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16 giugno 2020

Una vita tra fantasia e realtà


Il cinema è fatto di storie concrete e astratte, che ci incuriosiscono, appassionano, commuovono e anche rattristano. Guardare un film significa vivere tutte le emozioni che i personaggi provano e riflettere sulle scelte che fanno, giudicandole con il nostro proprio metro di giudizio. Spesso ci si consuma molto tempo a riflettere sul perché di quelle scelte e conversiamo volentieri con amici e familiari sulle diverse interpretazioni di una certa scena o un episodio o persino sul significato del film. Di solito queste conversazioni rimangono fine a se stesse, magari con l’aggiunta di risposte che vengono date dai critici cinematografici, ma che, bensì molto specializzate e studiate nel dettaglio, alla fine dei conti anche esse sono delle interpretazioni sulla reale ambizione del regista. 
A volte, però, succede una cosa rara e inestimabile nell'ambito della storia del cinema. Questa particolarità fa riferimento a quelle piccole delucidazioni che il regista stesso fa su un film, magari impreziosendo il valore del resoconto aggiungendo anche aneddoti sulle retroscene, gli attori e la produzione. 
Un avvenimento più unico che raro è quello di possedere una intervista di 188 pagine con un regista che ha segnato un’epoca nel cinema italiano, ma anche in quello mondiale, come Federico Fellini. 
Seguendo uno stile che ricorda l’intervista che Truffaut fece a Hitchcock, che fu pubblicata in un libro che corrisponde al titolo italiano de Il cinema secondo Hitchcock (1966), questa bellissima intervista fatta da Giovanni Grazzini a Federico Fellini nel 1983 per Laterza è stata ripubblicata da Il Saggiatore nel 2019, in occasione dei cento anni dalla nascita del regista. 
Si tratta di quasi un intero monologo di Fellini, interrotto brevemente da Grazzini per fare delle domande o chiedere delle specificazioni. Fellini ci porta in un viaggio nel suo passato e nel suo presente, tutte e due caratterizzati da una voglia di vivere e assaggiare la vita. In certi momenti del libro ci troviamo a Rimini, con un Fellini adolescente che si avventura a scoprire se stesso e, successivamente, arriviamo a Roma, capitale del cinema non limitato soltanto al piccolo mondo italiano, ma frequentato anche da grandi registi e divi americani, che sceglievano Cinecittà per girare i loro film. Nella narrazione di Fellini si può toccare con mano quella vita movimentata e gloriosa della capitale italiana. Oltre ad essere una testimonianza importante sul cinema della seconda metà del xx secolo, quest’intervista è anche, e soprattutto, un racconto dettagliato del processo creativo di un regista senza eguali, che confessa di non essere molto sicuro sul proprio passato poiché nei suoi film ha svuotato tutti i suoi ricordi e che ormai sono mischiati con la fantasia. Su cosa guidi il processo creativo, Fellini risponde: 
“Chi ci guida nell'avventura creativa? (…) Soltanto la fiducia in qualcosa o in qualcuno nascosto dentro di te, qualcuno che conosci poco, che si fa vivo ogni tanto, una tua parte sorniona e sapiente che si è messa a lavorare al posto tuo può aver favorito la misteriosa operazione.” 

Adriola Doda 


Federico Fellini 
Sul cinema 
Il Saggiatore, Milano, 2019, pp. 188.
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14 giugno 2020

In libreria

Pierluigi Allotti
La libertà di stampa. Dal XVI secolo a oggi
Il Mulino, Bologna, 2020, pp. 240.
Descrizione
Il libro racconta la lunga storia della libertà di stampa: un diritto concepito nell’Inghilterra del Seicento come corollario alla libertà di coscienza, proclamato a fine Settecento in Francia dalla Dichiarazione dell’uomo e del cittadino e negli Stati Uniti dal Primo emendamento alla Costituzione. In Italia fu riconosciuto nel 1848 dallo Statuto albertino. Lo scoppio della Grande Guerra e l’avvento dei totalitarismi determinarono una battuta d’arresto nel cammino della libertà di stampa, poi solennemente sancita nel 1948 dalla Dichiarazione universale dei diritti umani. Ancora oggi, tuttavia, in molti paesi questo diritto fondamentale è negato e i giornalisti sono perseguitati.
Pierluigi Allotti, giornalista professionista e studioso di storia contemporanea, insegna Storia del giornalismo alla Sapienza Università di Roma. Ha pubblicato per Carocci Giornalisti di regime. La stampa italiana tra fascismo e antifascismo (1922-1948) (2012) e Quarto potere. Giornalismo e giornalisti nell'Italia contemporanea» (2017); per il Mulino Andare per stadi (2018).
Indice del libro
Introduzione / I. Papi e monarchi censori / II. Londra 1695 / III. Parigi 1789
IV. Filadelfia 1798 / V. Tra restaurazione e rivoluzione / VI. La libertà in America / VII. Il Quarantotto / VIII. Il trionfo / IX. L’eclissi / X. La libertà totalitaria / XI. La crociata americana / XII. Comunisti e anticomunisti / XIII. Il Sessantotto / XIV. La libertà d’antenna / XV. I nemici di oggi / Conclusioni
Indice dei nomi.
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12 giugno 2020

Ri-occasioni di approfondimento musicale

Selezione della critica e cronaca musicale di Giorgio Pestelli dal 1971 al 2001

Ascoltare è mettersi attivamente a disposizione di uno stimolo sonoro, non semplicemente sentirlo, come dalle finestre chiuse si sente la città col suo respiro di automobili, se ne avvertono rombi e frenate ma non ci si fa caso, come tra le corsie di un supermercato, tra lo sferragliare di carrelli e l’accartocciarsi di involucri plastici, si percepiscono musichette orecchiabili, ma non ci si fa caso. Ed è proprio nell'approcciare la musica che è più difficile abbandonare la passività di colui che sente per assumere un ruolo attivo nei suoi confronti: “sottrarre la musica all'ascolto indifferente e integrarla nella vita e nella coscienza come occasione di comprensione, arricchimento e diletto”. Queste parole, che indicano quanto è necessario fare per cogliere ciò che la musica può avere da offrire, racchiudono il proponimento, l’obiettivo che secondo Giorgio Pestelli, nell'introduzione al suo libro La pulce nell’orecchio. Temi svolti di critica musicale (Marsilio, 2001), dovrebbe animare il critico musicale nel suo impegno di “testimone e tramite fra compositori, interpreti e pubblico”. In questi termini emerge l'interpretazione educativa, formativa del mestiere di critico e musicologo che ha accompagnato Pestelli, grande appassionato di teatro musicale e storia della critica, durante tutta la sua carriera, sia sulle pagine de "La Stampa", dove è stato a lungo critico musicale titolare, successore di Massimo Mila, e dei migliori periodici musicali italiani, sia dietro alle cattedre dell’Università di Torino e di Genova. 
Ascoltare musica è quindi dedicare ad essa orecchie e intelletto, e trasformarci in Ascoltatori è il compito della critica, che sulle pagine dei giornali o in rete dovrebbe darci spunti di comprensione, tenderci ami ai quali abboccare per gustare più consapevolmente quel fluire di vibrazioni che da secoli chiamiamo ‘musica’. Ma “le recensioni sul giornale a pensarci bene non si leggono veramente” e quindi, con quella “recollection in tranquillity” (rievocazione in tranquillità) che Wordsworth ricercava per scorgere la poesia nel mondo che aveva già vissuto e farne versi, è bene che si torni a risondare le esperienze musicali “su una pagina più calma” per “favorire la connessione di opinioni che superano la circostanza immediata” e “orientare verso altri ascolti e altre letture.
Pestelli aveva già, con questa logica, proposto una raccolta di suoi articoli, Di tanti palpiti. Cronache musicali 1972-1986 (Studio Testi, 1986), e La pulce nell'orecchio si presenta come un proseguimento di questo lavoro antologico. Gli articoli di questa selezione, a parte qualcuno inedito, sono usciti perlopiù su "La Stampa", ma anche su "Il Giornale della Musica", "Amadeus" e altri, tra il 1987 e il 2001. È un percorso di lettura sì cronologico, ma anche tematico, in cui le cronache musicali vere e proprie, le recensioni, seguono una sezione dedicata a ritratti, profili e ricordi di musicisti e studiosi, composizioni e libri musicali; l’ultima parte, a chiusura, è occupata da commenti di natura più eterogenea, note sul costume musicale e curiosità. 
“La musica non si racconta; l’unica cosa che si può raccontare è il dialogo che si apre fra l’immagine storica dell’opera e la sua viva rappresentazione in teatro”. La pulce nell'orecchio ha un connotato, come già segnalato, cronologico: è una passeggiata tra alcuni importanti momenti della recente storia della musica ‘colta’ e del teatro musicale che fornisce il pretesto per una riscoperta di opere, interpreti, direttori, compositori e, grande pregio di questa raccolta, offre un validissimo punto di vista sull'arte di far critica e cronaca musicale, vista attraverso la metodologia e lo stile di Pestelli, fonte di insegnamenti preziosi per l’aspirante critico. Ma il filo conduttore di questa collezione di scritti, che non deve essere sottovalutato a maggior ragione dallo studente/ studioso, è da seguire nell'impegno quasi androgogico mirato a forgiare ascoltatori non indifferenti, bensì coscienti e consapevoli (seppure il critico debba poi saper ritrovare una certa ‘ingenuità’ d’ascolto, per non estraniarsi del tutto da quello che è parte fondamentale dell’esperienza musicale: l’impatto emotivo immediato). 
E poi: la musica, evidente protagonista. Da ascoltare, appunto, perché queste non siano solo parole, ma un “pretesto di cultura musicale più durevole della prima impressione”. Se questa lettura stimolerà l’ascolto delle opere musicali trattate e anzi, dico io, se l’ascolto sarà ad essa associato come necessario complemento, “la raccolta avrà avuto la sua ragion d’essere”.
Davide Audino

Giorgio Pestelli 
La pulce nell'orecchio. Temi svolti di critica musicale, 
Marsilio, Venezia, 2001
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09 giugno 2020

Politica, propaganda e media


La Fabbrica delle verità di Fabio Martini (Venezia, Marsilio Editori, 2017) racconta la storia dell’uso dei mezzi di informazione da parte della politica italiana, a partire da Mussolini fino all'avvento di Grillo. I mezzi di comunicazione si sono evoluti, la tecnologia ha invaso le nostre vite, eppure, dalla carta stampata fino al web (passando da radio e televisione), la capacità di sfruttare i media da sempre rappresenta il mezzo di fare propaganda e di ottenere il consenso.
Martini, firma di tutto rilievo del quotidiano "La Stampa", ripercorre l’alternarsi delle forze politiche nel panorama italiano e ci fornisce per ciascuna di esse (siano di maggioranza o di opposizione) una chiave di lettura sulle leve utilizzate ciclicamente dai leaders per influenzare e manipolare l’opinione pubblica: ottimismo e autopromozione, vilipendio del nemico, paura. 
Il saggio inquadra, per ciascuna fase storica, contesto, fatti, sentiments, mezzi di comunicazione e personaggi chiave, consentendo al lettore di mantenere il filo grazie all'utilizzo accurato di fonti, citazioni ed eventi con cui Martini dispiega il suo racconto. Lo stile è semplice e scorrevole, anche quando il contesto da descrivere risulta particolarmente complesso: il risultato è che anche gli avvenimenti più lontani da chi legge sembrano recenti, come se fosse successo tutto pochi anni fa’. Riesce a suscitare un’attenta riflessione sullo spirito del tempo nel quale viviamo e su quanto la propaganda continui a pervadere l’immaginario collettivo: oggi, rispetto al passato, la pluralità dei mezzi di informazione (da manipolare) e il fattore tempo di una società frenetica come quella contemporanea la fanno da padrone e possono determinare il successo (o l’insuccesso) di un leader politico. 
Non si tratta solo di una cronistoria puntuale: l’autore arricchisce la lettura con una serie di retroscena che suscitano nel lettore l’idea di leggere un romanzo di spie e trame occulte, di burattinai che muovono i fili dell’immaginario collettivo sempre alla costante ricerca di mantenere o ottenere il consenso. E di cui Martini fa nomi e cognomi: da Mussolini a De Gasperi, dal Vaticano a Bernabei, fino a Berlusconi, alla Lega e al Movimento 5 stelle. Ma oggi viviamo nel tempo del “post-truth” (post-verità, parola chiave decretata come parola dell’anno 2016 da Oxford Dictionaries), inclinazione particolarmente viva in Italia ma con esempi eclatanti negli Usa e in GB: il rapporto dell’opinione pubblica con le bugie dei politici indica che i fatti oggettivi esercitano una influenza minore rispetto ai convincimenti e ai sentimenti degli individui. La censura serpeggia comunque, in maniera più o meno esplicita, a volte si trasforma in autocensura perché frutto di una manipolazione più sapiente da parte dei poteri forti.
Elena Pastorino

Fabio Martini
La Fabbrica delle verità. 
L’Italia immaginaria della propaganda da Mussolini a Grillo 
Venezia, Marsilio Editori, 2017

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