Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

_________________

Scorrendo questa pagina o cliccando un qualunque suo elemento acconsenti all'uso dei cookie presenti nel sito.



29 febbraio 2012

In libreria

Andrea Capaccioni
Ricerche bibliografiche. Banche dati e biblioteche in Rete

Milano, Apogeo, 2011, 128 pp.
Descrizione
Saper utilizzare Google non basta. In presenza di una crescita esponenziale di contenuti online, la sfida consiste, nell'università come nel mondo del lavoro, nella capacità di individuare, valutare e utilizzare efficacemente l'informazione necessaria. Parte strutturata di questa informazione è disponibile alla consultazione grazie al nuovo universo bibliografico disponibile in Internet. Questo volume si propone come una guida affidabile per migliorare le nostre abilità di ricerca. Tenendo presente in modo particolare il panorama delle biblioteche universitarie, vengono messi a confronto i motori di ricerca e i cataloghi online delle biblioteche (OPAC, online public access catalogue) e ne sono analizzate caratteristiche e differenze. Il lettore viene poi introdotto alla conoscenza e all'uso dei repertori bibliografici e dei periodici elettronici. Vengono fornite indicazioni sul funzionamento e il miglior uso delle banche dati, soprattutto di area umanistica, e degli OPAC, con esempi pratici accompagnati da schermate esplicative. Sono infine esplorate le potenzialità di uno dei più noti programmi online dedicati alla gestione delle bibliografie personali (EndNote Web).
*link all' Indice
___

28 febbraio 2012

In libreria

Luca De Biase
Cambiare pagina. Per sopravvivere ai media della solitudine
Milano. BUR,  2011, 334 pp.
Descrizione
Per trent'anni, dal 1980 al 2010, l’immagine che ci siamo creati attraverso i media è passata soprattutto tramite la televisione: in tutto il mondo – e in modo particolare in Italia – la tv commerciale è stata la regina del circo mediatico, condannando ognuno di noi a una fruizione sempre più solitaria e imponendo i propri modelli a giornali, libri, cinema e teatro. Oggi, quel sistema sembra non funzionare più: nascono bisogni nuovi, si affermano valori diversi e cresce il desiderio di forme di socializzazione alternative. Spetta ai nuovi media accompagnare e costruire il cambiamento, quello italiano come quello globale. Ma in che modo? In questo saggio affascinante Luca De Biase affronta temi che coinvolgono da vicino la nostra quotidianità e il nostro avvenire. Con chiarezza e competenza illumina i meccanismi della comunicazione contemporanea e delinea i contorni di quella futura, per capire come la trasformazione del pubblico da spettatore a creatore – quasi da governato a governante – possa rivoluzionare non solo l’universo mediatico, ma la nostra stessa vita.
Luca De Biase è caporedattore di “Nòva24-Il Sole 24 Ore”, e un blogger molto seguito. Tiene il corso avanzato di Giornalismo all’Università Iulm di Milano ed è presidente della Fondazione Ahref, per la qualità dell’informazione nei media sociali.
___

27 febbraio 2012

L'Alfabeto di Flavio Baroncelli



Lunedì 27 Febbraio
Aula Magna della Facoltà di Lettere e Filosofia
Università di Genova, via Balbi 2
ore 16,30
Presentazione di Alfabeto
di Flavio BARONCELLI
a cura di Giosiana Carrara (Interlinea, Novara 2011)




Tavola rotonda con Dino Cofrancesco (Università di Genova), Gianni Francioni (Università di Pavia), Alberto Giordano (Università Statale di Milano), Michele Marsonet (Università di Genova), Mirella Pasini (Università di Genova), Renzo Trotta (RAI - Università di Genova) e con la partecipazione di Giorgio Scaramuzzino (Teatro dell'Archivolto - Università di Genova; presiede Roberto Sinigaglia (Università di Genova)
Il volume Alfabeto contiene una raccolta di scritti di Baroncelli a carattere divulgativo, intitolati con parole-chiave che ne condensano il contenuto e che si succedono in ordine alfabetico. Ci sono termini che rimandano alla filosofia ma anche alla politica (come "Laici", "Undici settembre" e  "Oro di Mosca"), a fatti di costume e all'osservazione della vita quotidiana ("Egoismo", "Fumo", "Gaffes", "Motocicletta", "Paure", "Villeggianti", ecc.), perché è proprio la vita di tutti i giorni che induce a riflettere al di là dell'ovvio per entrare nel vero "gioco della filosofia".
Alfabeto contiene inoltre una serie di contributi critici su Baroncelli, fra i quali spiccano importanti nomi della filosofia (Salvatore Veca e Carlo Augusto Viano), della critica cinematografica (Tatti Sanguineti ed Enrico Ghezzi) e del giornalismo (Pietro Cheli). Nell'insieme tratteggiano quadri della vita e dell'attività intellettuale di Baroncelli, articolano la sua biografia (Giovanni Assereto e Franco Astengo), profilano l'area dei suoi interessi o ricostruiscono specifici itinerari di ricerca (Nando Fasce, Gianni Francioni, Emilio Mazza, Valeria Ottonelli e Simone Regazzoni).
L'intento è quello di tracciare un profilo di Baroncelli dal quale emergano tanto l'attitudine critica e il talento artistico quanto la concretezza della persona, la carnalità dei tratti, l'inarrestabile tendenza alla provocazione istrionica e alla presa in giro: ovvero, per dirla con il savonese Tatti Sanguineti, il raffinato esercizio del “menabelino”.
Flavio Baroncelli (Savona 1944 - Genova 2007), filosofo ed ex allievo del Liceo “Chiabrera”, ha insegnato Filosofia morale e politica all'Università di Genova, ma ha tenuto lezioni anche a Trieste, Cosenza, Madison negli Stati Uniti, Reykjavik, Glasgow e in Norvegia. Si è occupato di tematiche storico-filosofiche ed etico-politiche, di Illuminismo e filosofia anglosassone di cui  ha dato conto in  pubblicazioni dai titoli intriganti come: Un inquietante filosofo perbene. Saggio su David Hume (1975), Il razzismo è una gaffe. Eccessi e virtù del politically correct (1996) o Viaggio al termine degli Stati Uniti. Perché gli americani votano Bush e se ne vantano (2006). Ha scritto su quotidiani e periodici quali “la Voce” di Montanelli e “l'Unità”, “Diaro” e "Village" e, soprattutto, “Il Secolo XIX”. A due anni dalla sua scomparsa è uscito Mi manda Platone. 
___

24 febbraio 2012

In libreria

Pierluigi Allotti
Giornalisti di regime
La stampa italiana tra fascismo e antifascismo (1922-1948)

Roma, Carocci, 2012, 278 pp.
Descrizione
Insieme alla radio e al cinema, la stampa fu un importante strumento di propaganda del regime fascista. Il giornalismo, secondo Mussolini, aveva una fondamentale funzione pedagogica e i giornalisti, durante il ventennio, furono gli "educatori della nazione". Il libro illustra come i principali giornalisti italiani nati intorno al 1890, entrati nella professione prima dell'avvento del fascismo, e quelli della generazione del 1910, che iniziarono la loro attività nei primi anni trenta, sostennero il fascismo e scrissero in favore del regime fino al giorno del suo crollo, il 25 luglio 1943. Dopo quella data la maggior parte dei giornalisti si distaccò dal fascismo attraverso un processo di autoassoluzione e di rimozione delle proprie colpe che permise loro a guerra finita di ritornare sulla scena giornalistica, ancora una volta da protagonisti.
*link all'Indice del libro.
___

23 febbraio 2012

Giornalismo (e non solo): istruzioni per l'uso.

Riporto un articolo di Beppe Severgnini, pubblicato oggi su il "Corriere della sera".

Con notevole stupore, e altrettanto piacere, noto che molti giovani italiani sognano di diventare giornalisti. I master di giornalismo sono pieni di ragazze e ragazzi determinati e preparati, che si dimostrano lungimiranti. Non guardano infatti al momento difficile dell'industria, ma alle opportunità e ai nuovi strumenti del mestiere, cui Internet ha regalato una terza giovinezza. I futuri colleghi, spesso, chiedono suggerimenti. Ho già offerto in passato, incoscienti decaloghi; oggi ci riprovo, e allungo. Non stupitevi: chi invecchia ama dare buoni consigli per consolarsi di non poter più dare cattivi esempi ( de la Rochefoucauld, ripreso da De Andrè).
1- Impegnatevi a fondo. Non perdetevi in chiacchiere e non mostrate indecisione. Se un giorno volete diventare giornalisti dovete esserne certi.
2- Imparate l'inglese! Non lo ripeterò mai abbastanza. Nell'industria in cui state per entrare buona parte della forza-lavoro parla inglese.
3- Non rubate. Anzi, non fate nulla che vi farebbe fare brutta figura alla macchina della verità.
4- Siate sempre puntuali.
5-Non accampate scuse, non incolpate gli altri.
6- Non datevi mai per malati. A meno che non vi amputino un arto, abbiate un'emorragia arteriosa, ferite al petto invalidanti o muoia un parente prossimo.
7- Pigrizia, sciatteria e lentezza sono cattive qualità. Intraprendenza, ingegnosità e iperattività sono buone qualità.
8- Siate preparati ad assistere a giustizie e follie umane di ogni sorta. Senza che vi mandino in tilt o vi avvelenino l'umore. Dovrete semplicemente sopportare le contraddizioni e le iniquità di questa vita.
9- Aspettatevi sempre il peggio. Da tutti. Ciononostante, non permettete che questa prospettiva negativa influenzi il vostro rendimento. Buttatevi tutto alle spalle. Ridete di ciò che vedete e sospettate.
10- Cercate di non mentire.
11- Evitate i programmi e i giornali che portano il nome del proprietario scritto sopra la testata. Quelli che mandano cattivo odore. E quelli dal nome buffo o patetico; stonerà sul vostro curriculum.
12- Pensate al curriculum! Che effetto farà su chi sta vagliando una pila di email il fatto che non abbiate mai lavorato nello stesso posto per più di sei mesi?
13- Leggete! Leggete giornali, libri sul giornalismo e riviste. Sono utili per tenersi aggiornati sulle tendenze dell'industria e per rubare idee.
14- Prendete le cose con umorismo. Ne avrete bisogno.
Un solidale aiuto ai giovani aspiranti giornalisti, offerto senza presunzione ma con l'obbiettivo di incoraggiare i sogni di chi quotidianamente li vede andare in frantumi, colpiti da una crisi che non sembra dare spazio alle ambizioni di chi una vita lavorativa deve ancora costruirla.
Grazie, dunque, a chi come Severgnini cerca di sostenere pubblicamente la classe giovane della nostra società, senza stroncarla sul nascere.
Con umorismo tagliente ci vengono offerti consigli che oltre a farci sentire spalleggiati da professionisti di maggior esperienza, ci aprono gli occhi su un mondo non del tutto rose e fiori.
L'aspetto più sorprendente di questo articolo è la conclusione: un Post Scriptum che rivela un dettaglio tutt'altro che immaginabile.
Severgnini ci informa, infatti, che:

Questi consigli vengono da Kitchen Confidential di Anthony Bourdain (Feltrinelli). Ho semplicemente sostituito "chef" con giornalista, "cucina" con giornalismo, "ristoranti" con giornali e "lingua spagnola" con lingua inglese. Le ricette del successo professionale sono le stesse dovunque, ragazzi.

Oltre ad essere una precisazione inaspettata, questo chiarimento di Severgnini garantisce al suo articolo maggiore riconoscienza. Sapendosi allontanare dalla sua professione ha voluto tendere la mano non soltanto ai suoi futuri colleghi, ma a tutti i giovani che con impegno tentano di costruire una carriera lavorativa.
L'insegnamento che la sua penna ha regalato alla carta stampata è quello di applicare in qualsiasi impiego una forte professionalità.
La speranza è che Severgnini sia solo l'apripista di una serie di professionisti, i quali decideranno di spendere poche parole per guidare i giovani verso il loro futuro.
Sara Azza

22 febbraio 2012

In libreria

Filippo De Vivo
Patrizi, informatori, barbieri.
Politica e comunicazione a Venezia nella prima età moderna
Milano, Feltrinelli, 2012, pp. 468.
Descrizione
U'esplosione di voci, manoscritti e libelli a stampa senza precedenti nell'Italia dell'epoca scoppiò quando papa Paolo V lanciò un interdetto sulla Repubblica di Venezia nel 1606. A partire dall'analisi attenta e originale di questo avvenimento famoso, Filippo de Vivo apre un'ampia finestra su un mondo di atti comunicativi molteplici e contrapposti, segnati lungo tutto il Cinque-Seicento da pulsioni contrarie - segretezza e curiosità, occultamento e divulgazione. Come in una cassa di risonanza, le notizie più diverse rimbalzavano in tutti gli angoli della città: tra i patrizi a Palazzo Ducale; tra ambasciatori, spie e informatori professionisti nel broglio e nelle anticamere dei palazzi; e fino al mercato di Rialto, tra mercanti, artigiani, barbieri e prostitute. Di ogni gruppo questo libro mostra i mezzi e i luoghi per lo scambio delle informazioni, e i reciproci contatti, sulla base di una ricca e variegata serie di fonti: dalle trascrizioni dei dibattiti consiliari alle relazioni dei confidenti, dai graffiti alle dicerie e ai libelli dell'interdetto (di cui offre la prima bibliografia completa). Filippo de Vivo ingaggia un dibattito con le tendenze più recenti degli storici politici e culturali per reintegrare politica "alta" e storia "dal basso" e fare paragoni con realtà diverse da quella veneziana, anche in riferimento all'attualità. La politica dell'informazione e l'informazione come fatto politico sono cominciate molto tempo fa. Una Venezia indimenticabile, popolata da mercanti e da spie, da nobili e da artigiani, da ambasciatori, barbieri e prostitute è il teatro di una storia politica in cui alto e basso, segretezza e propaganda si alternano intrecciandosi.
*disponibile anche in formato e-book.

21 febbraio 2012

Coltivare la propria saggezza

 

"[...] Siamo quello che siamo: ognuno di noi, anche il contadino, anche l'artigiano più modesto, è ricercatore, e lo è da sempre. Dal pericolo innegabilmente insito in ogni nuova conoscenza scientifica ci possiamo e dobbiamo difendere in altri modi. E' verissimo che (cito Ryle) «la nostra intelligenza si è accresciuta portentosamente, ma non la nostra saggezza»; ma mi domando, quanto tempo, in tutte le scuole di tutti i Paesi, viene dedicato ad accrescere la saggezza, ossia ai problemi morali? Mi piacerebbe (e non mi pare impossibile né assurdo) che in tutte le facoltà scientifiche che si insistesse a oltranza su un punto: ciò che farai quando eserciterai la professione può essere utile per il genere umano, o neutro, o nocivo, Non innamorarti di problemi sospetti. Nei limiti che ti saranno concessi, cerca di conoscere il fine a cui il tuo lavoro è diretto. Lo sappiamo, il mondo non è fatto solo di bianco e di nero e la tua decisione può essere probabilistica e difficile: ma accetterai di studiare un nuovo medicamento, rifiuterai di formulare un gas nervino. Che tu sia o no un credente, che tu sia o no un "patriota", se ti è concessa una scelta non lasciarti sedurre dall'interesse materiale o intellettuale, ma scegli entro il campo che può rendere meno doloroso e meno pericoloso l'itinerario dei tuoi coetanei e dei tuoi posteri. Non nasconderti dietro l'ipocrisia della scienza neutrale: sei abbastanza dotto da saper valutare se dall'uovo che stai covando sguscerà una colomba o un cobra o una chimera o magari nulla."
Primo Levi

*P. Levi, Covare il cobra, in "La Stampa", 21 sett. 1986.

20 febbraio 2012

In libreria

Alfonso Gatto
Viaggio per l'Italia all'insegna dell'"Unità" 
A cura di Roberto Vetrugno
Novara, Interlinea, 2011, pp. 128.
Descrizione
A conclusione dei 150 anni dell’Unità d’Italia sono qui raccolti gli articoli, inediti in volume, che il poeta Alfonso Gatto scrisse in occasione di un viaggio svolto nel 1949 in varie regioni del nord per conto del quotidiano “l’Unità”. Ispirati alle cronache del Giro d’Italia, i testi si presentano come un percorso attraverso paesi e province. La passione per il “paesaggio umano” si salda in questi testi con le ragioni ideologiche derivate dalla guerra finita da pochi anni. All’incontro appassionato con operai, contadini e gente comune si aggiunge l’incontro con un altro autore di cui Gatto conosceva la raccolta dedicata al suo paese, Casarsa: Pier Paolo Pasolini. Il giovane poeta accoglie così nella sua Cesarz il famoso intellettuale in mezzo al popolo: un incontro memorabile.

19 febbraio 2012

Verso la TV 3.0

Uno in cucina, uno in salotto. E poi quello in camera da letto per vedere un film sotto le coperte o per addormentarsi con il sottofondo di chiacchiere del talk show previsto per la seconda serata. Un altro nella cameretta dei bambini. Per i cartoni animati, ovviamente.
Ne è passato di tempo dalla nascita della Signora Televisione. Eh si proprio Signora; perché se volessimo impersonificare il media che ha cambiato la storia dell’umanità come ci suggerisce Luca Tomassini in Internet@TV.Dalla televisione alla retevisione, questa,sarebbe proprio una Signora alle soglie della sessantina.
E come ogni donna, nel corso degli anni, è cresciuta, è cambiata. Ha cambiato modo di vestire e di atteggiarsi, adeguandosi ai tempi che si evolvono.
Ne è passato di tempo da quando “guardare la tv” era considerato un evento. Da quando familiari e amici si riunivano intorno a questo magic box che per molti anni è stato appannaggio di pochi.
Il libro di Tomassini ci porta alla scoperta di questi cambiamenti, con un occhio verso l’Europa oltre che fra le mura di casa. Ma non è solo cambiata la tv, bensì il nostro modo di viverla, la tipologia di fruizione.
Un tempo esisteva un unico canale disponibile e quindi nessuna possibilità di scelta. Adesso la scelta è molto ampia, forse troppo.
La prima vera rivoluzione avvenne negli anni Settanta,con l’arrivo delle immagini a colori. E da li, una continua escalation. Immagini, video, montaggi. Una tv che non ha più come obbiettivo primario quello di informare ed istruire bensì di divertire. E’ l’era dell’infotainment.
Nuove parole iniziano a farsi largo tra le persone comuni e non solo tra gli addetti al settore.
Reclame, zapping, reality, iptv, pay per view, web tv e il tanto decantato audience. Il primo comandamento per quella che è ormai diventata una vera e propria industria commerciale. Il telespettatore non è più passivo, non subisce un’unica programmazione ma può scegliere all’interno di un’ampia offerta e diventa lui stesso autore di contenuti nel mondo del web.
Se un tempo televisione significava televisore, adesso i contenuti sono indipendenti e possono essere fruiti su molteplici dispositivi. Siamo di fronte al fenomeno della convergenza che non è una parolaccia.Internet e tv cominciano ad essere sempre meno estranei e confluiscono uno verso l’altro creando un’offerta originale. Possiam quindi parlare di TV 3.0, di una televisione che esce dal televisore ed invade la vita quotidiana. Un nuovo mercato quindi in cui i confini tra produttore e consumatore diventano molto labili.
Cresce la tv ed ognuno di noi è chiamato a prendere una posizione:o la si odia o la si ama.
Come ci suggerisce la prefazione ad opera di Irene Pivetti, in cui vengono sottolineati gli aspetti più romantici ed affettivi provocati dalla signora che tutti conosciamo, la Signora TV.
Giorgia Cenni





Luca Tomassini
Internet@Tv. Dalla televisione alla retevisione
Milano, Franco Angeli, 2010
*link al sito dell'autore Luca Tomassini

18 febbraio 2012

Il film "Diaz" premiato dal pubblico a Berlino

Diaz, Non pulire questo sangue, film di Daniele Vicari in concorso alla 62esima edizione della Berlinale è uno dei tre film della sezione Panorama ad aggiudicarsi il premio del pubblico. Co-produzione Italia-Francia-Romania, il film ripercorre le vicende della scuola Diaz, verificatesi in occasione del G8 del 2001.
Ecco le parole del regista, intervistato sull' "Unità" lo scorso 8 febbraio, alla vigilia dell'inaugurazione del "Filmfest" tedesco.
«Fin dai primissimi giorni della preparazione eravamo preda di un dubbio atroce: ci crederanno? Non solo gli spettatori, ma anche coloro che il film dovevano farlo, assieme a noi italiani. Mi sono premunito in due modi. Il primo è di metodo: nel film non c’è una battuta, una frase, un gesto che non vengano dalle oltre 10.000 pagine di documenti processuali che mi sono letto in due anni di scrittura del copione. Il secondo è stato strategico: ho preparato un video di 15 minuti ad uso “interno”, con tutti i dati necessari (numero dei feriti, numero dei poliziotti coinvolti…) e una selezione delle tante immagini girate a Genova in quei giorni, tutte reperibili in internet. Soprattutto quelle filmate da un ragazzo che si era nascosto sul tetto di un palazzo davanti alla Diaz, e che aveva girato l’arrivo e l’irruzione della polizia".
Un vero e proprio docu-film, dunque, quello girato da Vicari, che attendiamo di vedere anche sugli schermi di casa nostra (uscita prevista per il prossimo 13 aprile 2012). Vicari ha cercato di raccontare le vicende così come sono accadute, di portare sugli schermi la verità di una vicenda estrema, sconvolgente per la sua atrocità, in modo sempre non forzato né inasprito per crudezza e violenza. Solo a lavoro terminato, come previsto, si è potuta capire la portata di questa docu-fiction: quella della Diaz non è una vicenda solo italiana, bensì la sua eco esce dal territorio nazionale ed interessa tutti coloro che hanno il coraggio di non voltare lo sguardo altrove.
Commenta ancora Vicari: "Per l’Italia è uno snodo storico, perché quella notte si rompe un patto consolidato fra i cittadini e le istituzioni. Comincia la strada che ci ha portato ad una crisi che non è soltanto economica, ma anche istituzionale. Ma poniamoci una domanda: nei giorni successivi, per molte ore, alcuni cittadini di paesi della Comunità europea scompaiono letteralmente nel nulla, senza che le loro famiglie vengano avvertite, senza che ci siano accuse precise nei loro confronti. In altri momenti questo avrebbe comportato problemi diplomatici enormi. Perché non succede? Perché la vicenda è più grande dell’Italia stessa. Perché tutto il mondo sta prendendo una piega che diventerà evidente due mesi dopo, l’11 settembre 2001".
Anche per il fatto che, in quei giorni, tra i giovani della Diaz ci fossero anche molti stranieri (ben una quarantina di tedeschi, tra i 65 stranieri, su un numero totale di 90 giovani), il film ha avuto tale riscontro a Berlino, in una Germania che, è risaputo, non ha l'abitudine -ahimè più che altro italiana- di voltare le spalle al revisionismo storico. La sensibilità del pubblico tedesco ha premiato Vicari e il suo coraggio di raccontare una storia, la storia di tutti, della rottura del patto sociale a fondamento della nostra democrazia. Non a caso già nel trailer del film compare una citazione da Amnesty International: "La più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale". Diaz racconta fatti analoghi a quelli che erano già stati raccontati da altri (per esempio nel film del 2003 Ora o mai più, di Lucio Pellegrini, con Jacopo Bonvicini e Violante Placido, sulle violenze nella caserma di Bolzaneto), ma lo fa in modo nuovo, forte, senza paura di dire come sono andate realmente le cose.
Lo aspettiamo sui nostri schermi.
Elettra Antognetti

14 febbraio 2012

2012, un anno di crisi e di anniversari

L’anno in corso sembra nato all’insegna dei sacrifici e dell’austerity. I provvedimenti assunti al termine del 2011 dal Governo “dei Professori” e quelli approvati di recente, insieme a quelli ancora allo studio, promettono la risoluzione della grave crisi economica in cui l’Italia è sprofondata.
Contemporaneamente, però, hanno imposto una serie di misure che hanno ridimensionato le entrate delle famiglie, oltre ad un depauperamento dei risparmi. Misure che richiederanno una sensibile riduzione dei consumi o un notevole incremento dei costi da sostenere per soddisfare i bisogni.
Sull’onda delle gravi difficoltà che sono all’ordine del giorno non solo per l’Italia, ma anche per i Paesi più deboli dell’Eurozona e che ogni giorno interessano l’opinione pubblica e la stampa internazionale, anche oggi i quotidiani mettono in primo piano le gravi difficoltà in cui si dibatte il vicino dell’Italia, la Grecia; paese, a detta degli esperti, a grave rischio di fallimento. Ma i circa undici milioni di abitanti di questo Stato, già stremati dalla crisi in atto, sono in preda al panico per le implicazioni che si riverbereranno sul loro futuro. I ceti medio-bassi si stanno ribellando contro quello che considerano un autentico attentato alle loro condizioni di vita. La vita dei greci è infatti già pesantemente segnata dalla disoccupazione, giunta ormai a livelli insostenibili (si parla del 20%) e dai futuri tagli sia all’occupazione che ai salari minimi, che scenderanno a 500 euro mensili, ben al di sotto della soglia di povertà. L’interrogativo che appare scontato è quello di domandarsi quali sviluppi avrà l’incendio di piazza Syntagma ad Atene e se il fuoco potrà estendersi anche ad altre parti dell’Europa.
Queste notizie possono in qualche modo essere collegate a quelle divulgate ieri dal quotidiano “La Repubblica” e dai notiziari televisivi, che riferivano di incontri “segreti” tra il Primo Ministro italiano e il Leader del sindacato italiano con più iscritti, per cercare un’intesa sulla riforma del lavoro che salvaguardi i diritti e la dignità dei lavoratori.
Oltre che allarmare me e penso gran parte dell’opinione pubblica, queste notizie mi offrono nondimeno lo spunto per fare una riflessione sui vari momenti della storia in cui le condizioni economiche e le questioni sociali hanno significativamente richiamato l’attenzione della stampa sulle scelte della politica e di coloro chiamati a governare.
Gli avvenimenti importanti che hanno caratterizzato la storia in questo senso sono molti; tuttavia, in questo momento, intendo incentrare la mia attenzione sul fatto che proprio nel 2012 ricorre il centoventesimo anniversario della fondazione del Partito dei Lavoratori Italiani, avvenuto a Genova, alla Sala Sivori, nel 1892, che più di ogni altro si è battuto per i loro diritti.
In questa sede non mi sembra il caso di ripercorrere la cronologia degli avvenimenti di quell’anno; tuttavia mi piacerebbe fare una riflessione più approfondita sul profilo di un personaggio: un letterato-giornalista, rappresentante a tutti gli effetti della classe borghese del tempo, che è pervenuto alla scelta di aderire all’idea socialista attraverso un cammino anche molto sofferto sotto il profilo personale, proprio alla vigilia della fondazione del partito. Mi sto riferendo ad Edmondo De Amicis, nato ad Oneglia nel 1846.
Dopo aver frequentato l’Accademia Militare ed essere diventato ufficiale, nel 1867 De Amicis  fu incaricato della direzione della rivista dell’esercito “L’Italia Militare” a Firenze. Nel 1870, ancora come ufficiale, assistette alla presa di Roma come inviato speciale. Il successo delle sue corrispondenze, commissionate anche da altri quotidiani, lo indusse a interrompere la carriera militare per tentare la via della letteratura e del giornalismo.
    Viaggiò molto e come inviato prima de “La Nazione” e dopo dell’ “Illustrazione Italiana” scrisse una fortunata serie di volumi-reportages sui vari Paesi visitati: Ricordi di Londra (1872), Spagna (1872/73), Olanda (1874), Marocco (1876), Costantinopoli (1878) e Ricordi di Parigi (1879). In seguito risultò anche collaboratore di “Serate Italiane”, “Nuova Antologia”, “Rivista Minima”, “Capitan Fracassa”, “Cronaca Bizantina” e “Museo di famiglia”.
Su invito di un quotidiano di Buenos Aires, nel 1884 De Amicis si recò in Argentina ed ebbe l’occasione di fare una seria riflessione sul dramma vissuto dagli emigranti, puntualmente trattato nel romanzo-reportage del 1889, Sull’Oceano, che avrebbe determinato una svolta nella sua produzione letteraria. Il suo impegno sociale proseguì, infatti, con altri romanzi a sfondo politico: Il romanzo di un maestro (1890) e La maestria degli operai (1895) sono altrettante testimonianze della scarsa considerazione in cui erano tenuti maestri e maestre, ritratti come esempio di proletariato intellettuale.
De Amicis aderì sinceramente al nascente Partito Socialista nel 1891, al punto da spingersi ad una severa autocritica delle idee nazionaliste contenute nel suo libro di maggior successo, “Cuore”, del 1886. Suoi articoli critici apparvero in seguito sull’“Avanti!” e periodici come “Critica Sociale”, “Il Grido del Popolo”, “lotta di classe”, “Per l’Idea”, “Rassegna popolare del socialismo” e “La Squilla”.
Il suo impegno politico non venne mai meno, malgrado le cautele impostegli dall’editore Treves a cui era legato, e dal figlio Ugo che ostacolò fortemente le frequentazioni legate al socialismo del padre. Nonostante ciò, De Amicis scrisse altre opere che testimoniano la sua fede politica (Gli Azzurri e i rossi, 1897, Lotte civili, 1899 e La carrozza di tutti,1899). Nel 1891 Edmondo De Amicis iniziò la stesura di un romanzo, Primo Maggio, che rifletteva appieno la sua marcia di avvicinamento al socialismo e la sua visione della questione sociale. Primo Maggio è la storia di un intellettuale torinese che diventa socialista e si scontra per questo con i pregiudizi dei benpensanti. Il romanzo è ambientato nella Torino che vive la prima celebrazione del Primo Maggio, risoltasi peraltro un po’ ovunque in disordini che lasciarono sul terreno qualche morto e diversi feriti. Il romanzo autobiografico, testimonianza non solo del rigore delle sue letture marxiane, ma anche delle riflessioni dello scrittore sulla questione sociale, rimase incompiuto, nonostante che se ne avesse notizia e che la pubblicazione fosse stata più volte annunciata come imminente (del romanzo parlò D. Mantovani sul "Corriere della Sera" del 2 maggio 1909, con un articolo dal titolo Il Primo Maggio di Edmondo De Amicis e in tempi più recenti D. C. Eula in Il Primo Maggio 1894, apparso su “La Gazzetta del Popolo” del 9 gennaio 1937).
    De Amicis, i cui ultimi anni furono segnati dalla morte della madre a cui era profondamente legato, dal suicidio del figlio Furio poco più che ventenne e da aspri dissidi con la moglie, culminati con la separazione,  morì a Bordighera nel 1908. Il manoscritto de Il Primo Maggio fu donato, insieme a tutta la documentazione d’archivio dello scrittore, al Comune di Imperia dal figlio Ugo, che ne autorizzò la pubblicazione, nel 1980, a cura dei Professori dell’Ateneo genovese, G. Bertone e P. Boero.
    Tornando a parlare di anniversari: nel 2012, sempre con attinenza alla storia del partito socialista italiano, ricorre quello dell’istituzione dell’ENEL (nel novembre del 1962) da parte del quarto governo Fanfani. L’ENEL fu costituito su proposta dell’Onorevole Aldo Moro che accolse le richieste del P.S.I. I Socialisti, su spinta dell’esponente della sinistra del partito, Riccardo Lombardi, condizionarono il loro sostegno al Governo proprio all’istituzione dell’ENEL e alla nazionalizzazione dell’energia elettrica. L’anno successivo Pietro Nenni, leader storico dei Socialisti italiani, avrebbe ottenuto la vicepresidenza del Governo presieduto da Aldo Moro.
    Poiché ho parlato prima della nascita del partito socialista e poi della sua ascesa al governo, non posso tralasciare di citare un altro anniversario che cade nel 2012. Infatti, ricorre anche il ventennale della serie di avvenimenti individuati talvolta con l’appellativo di “Mani pulite”, talaltro con “Tangentopoli”. I fatti che all’epoca fecero molta sensazione ed ebbero grande risalto sull’opinione pubblica, documentavano inequivocabilmente un malcostume di corruzione che interessava buona parte della classe politica dell’epoca ed in primis una forma diffusa di finanziamenti illeciti dei partiti politici. Questi avvenimenti hanno segnato la fine della prima Repubblica e con essa di vari partiti storici, tra cui anche il Partito Socialista, che era al Governo. Il partito esiste di fatto ancora, ma con una percentuale di voti (inferiore all’1%) che lo esclude dal Parlamento.
    Nel ventennale di Tangentopoli, la subentrante “seconda Repubblica”, stando alle vicende di cronaca apparse proprio di recente sulle pagine dei quotidiani, non sembra aver modificato di molto i costumi della classe politica, perciò il titolo di un articolo di Ernst Nolte del 1986, Il passato che non passa, è tuttora e sempre attuale.
 Claudio Odino 
____
                 

13 febbraio 2012

Propaganda in democrazia: nuova frontiera del marketing?

Il fenomeno poliedrico della propaganda, da sempre oggetto di studio delle più varie discipline, può essere analizzato da diverse prospettive, da quella storica politica a quella antropologica. L’obiettivo di questo volume è quello di analizzare il fenomeno da un punto di vista sociologico e comunicativo, soprattutto in relazione alla formazione dell’opinione pubblica. In Comunicazione e Propaganda Massimo Ragnedda si preoccupa di fissare, per quanto possibile, il fenomeno non tanto nelle sue definizioni, quanto nelle sue funzioni e caratteristiche, in riferimento al target e ai differenti obiettivi che si vogliono perseguire.
L’autore dunque comincia la sua analisi individuando le diverse tecniche di produzione e di trasmissione della propaganda: dalla censura all’uso di slogan e frasi allusive, dal ruolo dei mass media e dell’arte alle svariate strategie di semplificazione. A queste tecniche, valide sempre, se ne aggiungono altre, più specifiche, in tempo di guerra: l’indispensabile identificazione di un “buon” nemico che deve rispettare determinate caratteristiche, l’enfatizzazione della paura, l’individuazione di un capro espiatorio e via dicendo. Nel complesso il libro di Ragnedda riesce a classificare in modo chiaro i metodi usati dai propagandisti e i diversi obiettivi che possono essere perseguiti. Talvolta però questi processi vengono catalogati e separati in modo eccessivamente netto e scientifico, lasciando nel lettore l’idea che i diversi tipi di propaganda siano più formule matematiche, etichette da applicare di volta in volta, che fenomeni inevitabilmente più sfumati, dai contorni foschi e ambigui. D’altra parte è lo stesso autore, denunciando la sua opinabile e personale catalogazione dei vari tipi di propaganda, a lasciare spazio a nuove e diverse nomenclature ed interpretazioni del fenomeno. Quella di Ragnedda infatti non vuole essere un’analisi definitiva e completa, quanto invece una chiave di lettura tra le tante disponibili.
La scelta interessante del volume è quella di presentarci con maggiore attenzione la propaganda dell’oggi nelle società moderne, lasciando in secondo piano la propaganda delle grandi dittature del passato. Diversamente da ciò che si è comunemente portati a pensare, infatti, le democratiche e libere società contemporanee sono continuamente sottoposte ad operazioni di propaganda politica, culturale, pubblicitaria, in modo paradossalmente più capillare rispetto a quanto succede in dittatura. La dittatura non è mai riuscita a imbrigliare il pensiero, interessata piuttosto all’omologazione della sua manifestazione. In democrazia invece la propaganda cerca di agire alla base, cioè di influenzare il pensiero. Ecco il paradosso a cui ci conduce l’autore: esiste una maggiore libertà di pensiero critico in dittatura che non in democrazia. In democrazia ogni gruppo di potere tende a far uso di tecniche di propaganda, spesso inconsapevolmente, al fine di estendere la proprio influenza o semplicemente legittimare la propria posizione. Se il discorso vale in tempo di pace, è evidente quanto sia ancora più determinante in tempo di guerra, dal momento che, nelle società democratiche, ogni tipo di iniziativa bellica deve necessariamente trovare l’appoggio dell’opinione pubblica. La propaganda nelle libere democrazie è dunque onnipresente, ma spesso invisibile e dunque inevitabilmente più insidiosa. Questo è uno dei punti focali analizzati da Ragnedda dopo una breve introduzione storica: con occhio critico il lettore è portato a discernere i contemporanei metodi di propaganda in tempo di pace ed in tempo di guerra, con riferimenti alle guerre degli ultimi decenni: dalla Guerra del Golfo ai conflitti balcanici, fino ad arrivare ultime avventure belliche degli Stati Uniti in Afganistan ed in Iraq. Quali strategie sono state messe in atto dalla Casa Bianca nelle diverse occasioni? Quali sono state le reazioni della Comunità Internazionale? Quale il ruolo della propaganda commerciale, che per sua natura reclamizza i valori della società da cui è prodotta? Quale il peso dei mass media, dei giornalisti, talvolta inconsapevolmente schierati a servizio di un determinato orientamento? Ma soprattutto, quale compito svolgono le agenzie di Public Relations? Ecco un altro punto essenziale del volume: la “privatizzazione della propaganda”, ossia il sempre maggior peso avuto in questo senso dalle agenzie di Public Relations, vere agenzie di influenza sociale. Ai nostri giorni infatti non necessariamente chi promuove, organizza e coordina una campagna di propaganda deve anche “condividerne la causa”. I professionisti della comunicazione offrono i proprio servizi a chiunque sia in grado di pagare a prescindere dal messaggio che si vuole veicolare. In modo disincantato scopriamo che oggi la propaganda non è più legata ad un’ideologia, a specifici ideali: scalzato il problema etico, rimane il puro prodotto commerciale.
Veronica Marzolla

Massimo Ragnedda
Comunicazione e propaganda.
Il ruolo dei media nella formazione dell’opinione pubblica
Roma, Aracne, 2011, 224 pp.

Ascoltatela!


"L'indifferenza è il peso morto della storia... L'indifferenza è la materia bruta che si ribella all'intelligenza e la strozza... Ciò che avviene, non avviene perchè alcuni vogliono che avvenga, quanto perchè la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia promulgare leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere uomini che solo un ammutinamento potrà rovesciare... Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia. Odio gli indifferenti".
Antonio Gramsci, " La città futura",
p.1, numero unico febbraio 1947, Torino.

E' un avvertimento importante per la politica italiana quello che parte dalle primarie di Genova: è una richiesta di rinnovamento che va ben oltre il singolo ideale politico; è il segnale che la società civile non fagocita bulimicamente tutte le opinioni che le vengono suggerite, ma finalmente si pone in una posizione critica.
Stanca di assistere alla messinscena del vuoto, l'opinione pubblica si è risvegliata da quel male antico chiamato indifferenza e ha sbaragliato ogni previsione. Lo ha fatto nella speranza che finalmente le istanze che nascono dal basso possano confluire in un progetto unitario fatto di partecipazione, di confronto, di trasparenza...ascoltatela!
Simona Tarzia

12 febbraio 2012

Alla ricerca della buona informazione

L’oggettività dell’informazione è il nodo cruciale attraverso il quale tutto il testo prende forma. Flaminia Festuccia, giornalista ventisettenne, alle prese con quella che risulta essere la problematica maggiore dei nostri tempi - e non solo – concede al lettore in un centinaio di pagine, da leggere in un fiato, una panoramica articolata, ma ben delineata, dell’informazione, di quello che ci offre e di come ce lo offre. Si può essere obiettivi, si può essere oggettivi nel momento in cui si fa informazione? A questa ‘semplice’ domanda non è possibile, purtroppo dare una semplice risposta.
Il testo ripercorre le problematiche che rendono difficile la certezza di poter fare buona informazione seguendo criteri di oggettività.
Innanzitutto l’autrice tende a mettere bene in evidenza la distinzione che si pone tra obiettività e oggettività, una distinzione da non sottovalutare. Mentre la prima si presenta essere come una dote, come la volontà e la possibilità di un individuo di ‘non ingannare’, facendo quindi fede sull’onestà dell’uomo, l’oggettività consiste invece nella pubblica controllabilità di ciò che si dice. E da qui un altro problema, quello della scientificità. Il giornalismo può essere scientifico? Qui i due temi si mescolano tra loro fornendo al lettore ulteriori risposte. Il testo è una lotta tra il credere nella possibilità che l’oggettività esista, che possa essere messa a frutto dal professionista dell’informazione e chi invece crede che l’oggettività sia sempre stata, e probabilmente sempre sarà, solo un mito. Nel ripercorrere la storia, nel ripercorrere teorie, opinioni, e discussioni a riguardo, Flaminia Festuccia va oltre la possibilità di dover fare una scelta tra mito e realtà. Mescola le ipotesi senza scartare niente a priori, ma basandosi su tutto ciò che possa dare ulteriore appoggio alla sua tesi. L’oggettività esiste, e va perseguita, ciò che conta è farlo nel modo giusto, o meglio, saperlo fare. Troppo semplice? Si, troppo semplice. La storia ci insegna, e insegna all’autrice, che far bene il lavoro del giornalista, aggiungendo quel pizzico di scientificità metodologica, che potrebbe permettere all’informatore di fare al meglio il proprio lavoro, non è poi così scontato.
Il giornalista, infatti, con metodo scientifico dovrebbe offrire al pubblico quell’unica informazione che riesce a dargli, quella che non può fare a meno di essere filtrata attraverso i suoi occhi, ma che nonostante tutto non risente di falsificazioni, pregiudizi e preconcetti, che invece il pubblico spesso vedrà. Insomma, un’informazione «falsificabile ma non ancora falsificata». Nella ricerca scientifica risultano indispensabili non solo una molteplicità di ipotesi, ma anche un’incessante critica delle stesse.
L’apertura e l’onestà che il giornalismo spesso richiede è stata nel tempo più volte minata, e la capacità dell’autrice sta proprio nel riuscire a far trapelare questo, in maniera semplice e schietta, senza però far perdere al lettore le speranze in una Informazione con la I maiuscola.
Centrale per definire la posizione della giornalista è il razionalismo critico popperiano, di cui l’autrice si serve per proseguire nelle sue tesi. Tra le problematiche storiche in cui l’autrice inevitabilmente inciampa, come ad esempio il problema della censura e dell’autocensura, ne esce vincitrice, se non proprio nei fatti quantomeno nella convinzione che obiettività non sia un sinonimo di utopia. Per dirla come Giampaolo Pansa, nota firma italiana, “il giornalismo di precisione non è un’araba fenice, bensì un traguardo possibile”, quindi non resta che seguire la via dello scienziato e dare all’informazione la sua ragion d’essere.
Un libro adatto anche ai non adetti ai lavori, che hanno voglia di vivere percorsi storici, attuali e culturali senza perdere il filo del discorso. Una lettura chiara e semplice, ma mai scontata, in grado di aprire gli orizzonti a chi ha voglia di capire, a chi ha perso le speranze, e a chi, invece, non ha mai dubitato.
Barbara Morello
Flaminia Festuccia
L’oggettività dell’informazione. Tra mito professionale e ideale regolativo
Roma, Armando Editore, 2010.

____

11 febbraio 2012

In libreria

Edoardo Tortarolo 
L'invenzione della libertà di stampa. Censura e scrittori nel Settecento

Roma, Carocci, 2011 pp. 224. 
Descrizione
 L’indagine storica degli ultimi decenni ha profondamente rinnovato le nostre conoscenze su aspetti, figure, temi che hanno formato la trama delle vicende intellettuali, politiche e sociali dell’illuminismo. Interrogato a partire dalle domande tipiche dei nostri giorni, esso perde così la rigidità di quel razionalismo astratto che gli è stato attribuito in passato e rivela una passione per la ragione ricca di sfumature, di curiosità per il mondo della natura e per le istituzioni umane e di aperti contrasti interni, che animarono un’ampia e spesso vivacissima discussione tra i philosophes. Guardato nella prospettiva di fine millennio, l’illuminismo ci appare un momento di rottura nella cultura europea nei confronti delle tradizioni religiose, culturali, politiche, intellettuali in genere, che nelle speranze dei suoi teorici avrebbe dovuto porre le premesse per un’esistenza umana più libera e consapevole delle proprie forze. La conoscenza dell’illuminismo rappresenta quindi un precedente necessario a capire la condizione di modernità che costituisce il nostro orizzonte attuale: gli illuministi si mostrano uomini con i quali condividiamo, al di là delle fondamentali trasformazioni intervenute in questi due secoli, speranze di emancipazione e consapevolezza dei limiti intrinseci alla condizione umana, inesauribile volontà di sapere e dubbi sulla forza della ragione.
*link all'Indice del libro.
___

10 febbraio 2012

Salviamo i giornali, salviamo la società

A chi non è mai capitato di sedersi davanti alla schermata principale di Internet, magari durante una breve pausa dal lavoro, senza sapere che sito andare a visitare? E' un po' come trovarsi davanti ad un universo potenzialmente infinito di informazioni, musica, film, chat... ed essere spiazzati davanti a questa immensità, dove si può trovare tutto, ma non si sa che cosa cercare. E' questo il rischio che corrono gli utenti del web, i nuovi cittadini digitali che hanno sostituito alla lettura dei giornali l'uso di Internet. Perchè c'è un lusso che questi "first globals" (primi cittadini globali, come vengono definiti dal sondaggista americano John Zogby nel libro The Way We’ll Be) non possono permettersi: quello di assorbire passivamente le informazioni preconfezionate da altri, come succedeva all'epoca della carta stampata. Una volta non ci si poneva il problema "che cosa mi interessa sapere oggi?". Bastava leggere un quotidiano, uno dei numerosi nazionali, per avere almeno un'idea di quello di cui bisognava essere informati. Oggi, invece, possiamo sapere tutto quello che vogliamo sapere... al punto che ormai solo stabilire che cosa vogliamo sapere è il problema.
L'invenzione e la diffusione di Internet hanno generato una grave crisi dei giornali e della carta stampata; Enrico Pedemonte nel libro Morte e resurrezione dei giornali sostiene che l'unica soluzione possibile sia recuperare la funzione fondamentale che i giornali hanno svolto fino a questo momento per la società e reinterpretarla adattandola al formato della rete. Gli studiosi di comunicazione del Novecento hanno dibattuto su quale fosse il compito dei giornalisti: il vero giornalismo è giornalismo di notizie o giornalismo di opinioni? Oggi questa domanda non ha più senso, perchè le notizie non sono più appannaggio esclusivo dei giornalisti. Tutti possono generare notizie ed informazioni e condividerle in tempo reale su Internet. Tutto è notizia, tutto è conosciuto, tutto si può sapere. Il giornalista di oggi è colui il quale, in questo fiume di notizie, individua quelle di reale interesse per la comunità (il pubblico) a cui si rivolge, e le comunica in modo accattivante, interessante, in modo da attirare il più alto numero di lettori possibili.
Internet permette a tutti di accedere in breve tempo alle notizie più specializzate che corrispondono sempre con maggiore precisione ai gusti del lettore. Poiché è possibile venire a conoscenza quasi in tempo reale degli accadimenti nazionali e internazionali più importanti, i fatti a cui una volta si riservava la prima pagina non fanno più notizia. Di conseguenza, i giornali hanno cercato di tenere vivo l'interesse dei lettori radicandosi sul territorio e creando edizioni on line incentrate sulle notizie dei quartieri dove il giornale è particolarmente diffuso. La risposta dei giornali al web è, secondo due illustri giornalisti americani, l'iperlocalismo. Rob Curley, che ha rilanciato numerosi quotidiani locali on line, afferma che per interessare i lettori la sua ricetta è stata quella di aumentare a dismisura i dettagli delle informazioni fornite. Ugualmente anche Chris Anderson, direttore di Wirde, scrive sul suo blog: "Il nostro interesse per un argomento è inversamente proporzionale alla sua distanza geografica ed emozionale (...). La notizia di mia figlia che si è sbucciata un ginocchio in giardino per me è più importante di un'auto bomba a Kandahar."
Il giornale costruisce e rigenera l'identità collettiva di una società, se la sua funzione viene meno, i giovani avvertiranno un crescente senso di disinteresse e di distacco per la comunità che li circonda. I social network stanno cercando di ridurre questo allontanamento, introducendo il concetto di geo- networking: la localizzazione delle persone permette di offrire loro notizie sui luoghi di ritrovi, sugli avvenimenti, su bar e ristoranti. Questa tendenza priva i giornali del loro tradizionale ruolo di colla sociale, di creatori della solidarietà locale e di produttori di identità.
Internet, i social network e i motori di ricerca hanno creato un popolo di utenti, che sa scambiarsi informazioni e incontrarsi in rete. Ma chi orienterà gli utenti in questo mare di notizie? Chi spingerà i loro interessi in una direzione piuttosto che in un'altra? E' a svolgere questo compito che vengono chiamati i giornali: essi devono ripensare il loro formato e privarsi di tutti i contenuti che non servono a svolgere un ruolo chiave nella democrazia (e che vengono svolti, meglio, dal web). La risposta è l'ipergiornale on line, che fornendo tutte le informazioni indispensabili alla vita dei cittadini diventa "il centro pulsante della comunità" (p. 188).
L'ipergiornale, il sostituto del vecchio formato cartaceo, non è un'araba fenice che si è rigenerata dalle sue ceneri, ma è un prodotto nuovo, che nasce dalla consapevolezza che i giornali svolgono un ruolo importante e ben determinato nella società democratica: la creano. Non c'è democrazia senza società civile, senza cittadini informati e consapevoli, non c'è democrazia senza giornali. Questa è tutta l'eredità che i nuovi giornali in formato digitale possono permettersi di ricevere dagli antenati cartacei.
Ilaria Bucca

Enrico Pedemonte
Morte e resurrezione dei giornali, chi li uccide, chi li salverà,
Milano, Garzanti, 2010, 237 pp.
____

 

09 febbraio 2012

Non c'è mai stato un momento migliore per essere giornalisti

Il giornalismo è in crisi? Chiusura di testate, licenziamenti in massa e tagli all'editoria fanno pensare decisamente di si.  La risposta di Sergio Maistrello, giornalista professionista e docente a contratto presso l'Ateneo di Trieste, non è di quelle scontate, anzi è una vera e propria scossa elettrica: “Non c'è stato mai momento migliore per essere giornalisti” sentenzia l'autore parafrasando Mark Briggs.  Il saggio di Maistriello infatti sta a dimostrare proprio questo assunto. Le potenzialità del web, le sue dinamiche reticolari e orizzontali permetterebbero un riorientamento del giornalismo senza pari. A condizione che il giornalista abbia la consapevolezza di rappresentare un inedito“narratore multimediale, costruttore di comunità, selezionatore affidabile di destinazioni, animatore di reti collaborative”, sfruttando l'opportunità di interagire direttamente con il proprio pubblico, senza limiti di spazio e tempo, di divenire all'interno della rete un vero e proprio nodo fra i nodi.
Prima di arrivare a questa conclusione l'autore nella prima parte del saggio ci da una rapida ed efficace spiegazione di come funzione esattamente la rete, le sue applicazioni, la nuova frontiera dei  blog e dei social network (da Facebook a Twitter passando per Myspace e Youtube). Come lo stesso cittadino attraverso questi semplici mezzi possa diventare esso stesso fonte di notizie: è il caso del blog della madre di Stefano Cucchi o la vicenda del cittadino-reporter che per primo attraverso la sua pagina facebook riuscì a condividere le foto dell'incendio nella stazione di Viareggio nel 2009. Ma anche la politica può trarre vantaggi da queste nuove grammatiche: si pensi alla campagna elettorale di Barack Obama per le ultime presidenziali americane e al suo uso innovativo dei social network per essere sempre più vicino ai potenziali elettori.
Dopo questa ampia e scorrevole mappa dei nuovi media è il turno nella seconda parte del lavoro delle implicazioni sul giornalismo tout court. Le esperienze di grandi quotidiani internazionali, dal "Washington Post" al "Wall Street Journal", dal "Daily Telegraph" al "New York Times", tra resistenze e innovazioni, tra integrazioni di redazioni e sinergie tra rete e carta, sono accuratamente descritte e documentate con chiarezza. Se queste testate si sono dovute adattare alla situazione vivendo ancora dei difficili periodi di transizione, non mancano al contrario i progetti nati proprio da questo nuovo modo di fare giornalismo, caratterizzato in particolare dall'abbandono del contenuto generalista a favore della iperspecializzazione economica e commerciale. Politico, ProPublica, Global Post, BNO sono solo degli esempi, negli Stati Uniti in particolare, di queste nuove tendenze, ancora ingiudicabili negli effetti ma dalle enormi potenzialità.
Nel complesso il libro di Maistrello si può senza dubbio consigliare a chi ha voglia di farsi una mappa chiara ed esaustiva dei nuovi media e delle sue intime relazioni con la professione giornalistica accettando il giudizio di fondo sinceramente positivo e ottimistico dell'autore per questi processi. Lo eviti invece chi intravede più rischi (poca cura e selezione delle notizie, dispersione, mancanza di qualità, talvolta manipolazione e aperta disinformazione) che vantaggi nell'abbraccio fatale tra rete e giornalismo.
Salvatore Gaglio
___

Sergio Maistrello
Giornalismo e Nuovi Media.
L'informazione al tempo del citizen journalism
Milano, Apogeo, 2010, 228 pp.

08 febbraio 2012

Doveri dell'informazione economica?

Anticipando il dibattito contemporaneo su una morale ormai schiacciata dal compromesso e vittima di vecchi e nuovi conformismi, Norberto Bobbio sintetizzava così sulla rivista "Etica e Politica":
“Il nostro senso morale avanza, posto che avanzi, molto più lentamente del potere economico, di quello politico e di quello tecnologico…” Non sono pochi gli episodi di market abuse, cioè di turbativa del mercato prodotta dalla diffusione dolosa o colposa di una notizia che altera l’andamento delle quotazioni o nasconde situazioni di dissesto, ai quali abbiamo assistito negli ultimi anni (pensiamo al crack Parmalat nel 2003 o a Lehman Brothers nel 2008); è per questo motivo che pubblico il testo integrale della Carta dei Doveri dell’Informazione Economica, perché un giornalista non dovrebbe trasformarsi nel portavoce occulto del verbo aziendale, come fosse embedded, dimenticando il dovere di Verità.


 CARTA DEI DOVERI DELL’INFORMAZIONE ECONOMICA
1) Il giornalista riferisce correttamente, cioè senza alterazioni e omissioni che ne alterino il vero significato, le informazioni di cui dispone, soprattutto se già diffuse dalle agenzie di stampa o comunque di dominio pubblico. L'obbligo sussiste anche quando la notizia riguardi il suo editore o il referente politico o economico dell'organo di stampa.
2) Non si può subordinare in alcun caso al profitto personale o di terzi le informazioni economiche e finanziarie di cui si sia venuti a conoscenza nell'ambito della propria attività professionale né si può turbare l'andamento del mercato diffondendo fatti o circostanze utili ai propri interessi.
3) Il giornalista non può scrivere articoli che contengano valutazioni relative ad azioni o altri strumenti finanziari sul cui andamento borsistico abbia in qualunque modo un interesse finanziario, né può vendere o acquisire titoli di cui si stia occupando professionalmente nell'ambito suddetto o debba occuparsene a breve termine.
4) Il giornalista rifiuta pagamenti, rimborsi spese, elargizioni, vacanze gratuite, regali, facilitazioni o prebende da privati o enti pubblici che possano condizionare il suo lavoro e la sua autonomia o ledere la sua credibilità e dignità professionale.
5) Il giornalista non assume incarichi e responsabilità in contrasto con l'esercizio autonomo della professione, né può prestare nome, voce e immagine per iniziative pubblicitarie, in quanto incompatibili con la credibilità e autonomia professionale. Sono consentite, invece, a titolo gratuito, analoghe iniziative volte a fini sociali, umanitari, culturali, religiosi, artistici, sindacali o comunque prive di carattere speculativo.
6) Il giornalista, tanto più se ha responsabilità direttive, deve assicurare un adeguato standard di trasparenza sulla proprietà editoriale del giornale e sull'identità e gli eventuali interessi di cui siano portatori i suoi analisti e commentatori esterni in relazione allo specifico argomento dell'articolo. In particolare va ricordato al lettore chi è l'editore del giornale quando un articolo tratti problemi economici e finanziari che direttamente lo riguardino o possano in qualche modo favorirlo o danneggiarlo.
7) Nel caso di articoli che contengano raccomandazioni d'investimento elaborate dallo stesso giornale va espressamente indicata l'identità dell'autore della raccomandazione (sia esso un giornalista interno o un collaboratore esterno). Occorre inoltre, nel rispetto delle norme deontologiche già in vigore sulla affidabilità e sulla pubblicità delle fonti, che per tutte le proiezioni, le previsioni e gli obiettivi di prezzo di un titolo siano chiaramente indicate le principali metodologie e ipotesi elaborate nel formularle e utilizzarle.
8) La presentazione degli studi degli analisti deve avvenire assicurando una piena informazione sull'identità degli autori e deve rispettare nella sostanza il contenuto delle ricerche. In caso di una significativa difformità occorre farne oggetto di segnalazione ai lettori.
Simona Tarzia

03 febbraio 2012

Aspettando la notte degli Oscar

L'inverno è di sicuro il periodo più piacevole per andare al cinema e quest'anno più che mai, non solo per il freddo polare che si sta abbattendo in tutta la penisola, ma soprattutto perché le possibilità di incappare in un film brutto sono decisamente basse. Infatti, se già Gennaio è stato un mese ricco di piacevoli sorprese cinematografiche (come ad esempio la piccola perla La Talpa, spy story con un cast eccezionale), Febbraio si preannuncia ancora più entusiasmante. Quest'anno all'attesissima notte degli degli Oscar che si terrà a fine mese, come da tradizione al Kodak Theatre di Los Angeles, possiamo arrivarci davvero preparati anche noi italiani, di solito fanalino di coda delle anteprime americane. Sono infatti in uscita nelle sale alcuni dei film più belli del 2011, fra i candidati all'Oscar come miglior film, che quest'anno per la prima volta non sono più dieci bensì nove, potremo assistere alla prima di Hugo Cabret di Martin Scorsese (in uscita dal 3 febbraio), che ha collezionato 11 nomination tra cui anche quella per la miglior regia. Dal 17 febbraio sono in programma: Paradiso amaro di Alexander Payne con un George Clooney toccante, che per questa interpretazione ha già vinto il Golden Globes come miglior attore protagonista e il commovente War Horse di Spielberg, già vincitore di due Golden Globes. Sono già usciti invece, Midnight in Paris di Woody Allen fra i campioni d'incasso del periodo natalizio, The tree of life di Terrence Malick vincitore della Palma d'oro a Cannes e The Help” (ancora in programmazione nelle sale), il tanto discusso film sul razzismo dell'America degli anni '60. Ed è già una bella lista di appuntamenti al cinema da segnarsi, ma non è finita qui. Infatti, anche se dovremmo aspettare la primavera per vedere gli altri tre film in nomination per la statuetta di “best movie”, ci potremmo gustare tre interpretazioni femminili davvero da Oscar (oltre a quella di Viola Davis in The Help che ho già citato). Si tratta delle intramontabili Meryl Streep nel ruolo di Margaret Thatcher (The Iron Lady), per il quale ha già portato a casa la statuetta a forma di globo e uscito in Italia solo qualche giorno fa, e Glenn Close in Albert Nobbs (dal 10 febbraio al cinema) con la sua straordinaria interpretazione di una donna che si traveste da maggiordomo per poter lavorare nell'Irlanda del XIX secolo. Infine la sorpresa è la semi sconosciuta Rooney Mara salita alla ribalta per il ruolo di Lisbeth Salander della saga tratta dall'omonimo libro di Sieg Larsson, Millennium- Uomini che odiano le donne nelle sale dal 3 febbraio.
Insomma, il “toto-Oscar” è già partito ed è davvero agguerrito, il 26 febbraio tutti sintonizzati su Sky Cinema 1 per seguire l'evento della notte più glamour dell'anno in diretta e scoprire se i vincitori delle statuette d'oro saranno quelli che avreste premiato anche voi oppure no.
  Margherita Graziani

___


02 febbraio 2012

George R.R. Martin
I guerrieri del ghiaccio

Le cronache del fuoco e del ghiaccio
Milano, Mondadori, 2011, 441pp.

Decimo libro della longeva ed epica saga: Le cronache del Ghiaccio e del fuoco (titolo originale: A Song of Ice and Fire ndr) partorita dalla mente dello scrittore e sceneggiatore americano George Martin. La saga é nata nel lontano 1996, miscelando elementi della fiaba classica di stampo medievale, alla ben più brutale realtà dei cosiddetti "secoli bui". Il lettore si trova quindi proiettato in un mondo (il continente Occidentale o "Westros") popolato da cavalieri, principesse, re e regine, nani e castelli. Tuttavia "non è tutto oro ciò che luccica". Infatti, l'autore sconvolge le "favolistiche" figure classiche mostrando un lato oscuro, sicuramente più realistico: quindi il cavaliere galante e coraggioso si rivela essere un bruto, rozzo reclutato con la forza del denaro da questo o quel lord e non si farà scrupoli a saccheggiare città e perpetrare uccisioni. Allo stesso modo il grasso e bonario re, in verità è un usurpatore che occupa il trono (detto Trono di Spade) con la forza dopo una insurrezione generale contro la vecchia dinastia, infedele alla moglie e amante dei piaceri del cibo e dell'alcol a scapito degli "affari di stato". Martin però non si dimentica dei valori "classici" del guerriero o degli ideali romantici delle fanciulle innamorate, quindi con lo scorrere delle pagine il lettore incapperà in nobili fedeli al proprio re e al proprio codice d'onore e fanciulle di nobile nascita o popolane in attesa della magica storia d'amore con il bel guerriero che dovranno fare i conti con un mondo decisamente avverso. Il tutto supportato da una trama decisamente accattivante e una ambientazione varia e innovativa insaporita da riflessioni di alcuni personaggi amaramente ironiche. Elementi che hanno portato la fortunata serie ad essere una delle più amate nell'ambito fantasy.
Simone Castellini

____

01 febbraio 2012

Omaggio alla memoria dello studioso Duilio Gasparini

Duilio Gasparini. Un percorso di studi, un percorso di vita.
Al termine dell’anno appena trascorso è stato pubblicato il volume Le dimensioni dell’educare e il gusto della scoperta nella ricerca. Studi in memoria di Duilio Gasparini, a cura di Luciano Malusa e Olga Rossi Cassottana (Armando Editore, Roma 2011), poi presentato nell’omonimo convegno tenutosi il 2 dicembre 2011 presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova. Un libro, anzi un ricordo e un omaggio sentito alla memoria di Duilio Gasparini, pedagogista triestino nonché Professore di Pedagogia all’Università degli Studi di Genova, offerto dai colleghi e amici che vi hanno collaborato. È un’opera importante, che si apre con una biografia della ricca esperienza di vita e di studi del Prof. Gasparini, ed un’approfondita bibliografia cronologica dei suoi scritti. L’opera si snoda come un lungo percorso, concentrandosi inizialmente sulla situazione delle scuole e, più in generale, dell’istruzione a Trieste, città natale di Gasparini, dalla grande cultura mitteleuropea, il quale si distinse anche qui per i suoi metodi di insegnamento innovativi e vicini agli studenti anche in un periodo difficile come la Seconda Guerra Mondiale, quando la libertà era fortemente condizionata dai tedeschi anche in ambito scolastico. Fondamentali le riflessioni di Gasparini sui concetti di cultura, di uomo come struttura dinamica e “officina humanitatis”, di educazione e pedagogia stesse, tutte volte al raggiungimento di “un vero e proprio gusto della ricerca storica e della scoperta”. Un altro importante ambito di studio e ricerca per Gasparini è stato il linguaggio, in relazione agli studi di glottodidattica, disciplina fondamentale nello studio delle relazioni in società, e ai nuovi sviluppi tecnologici nel campo della comunicazione.   Sempre in onore del Professore viene tratteggiato un excursus sulla figura del maestro elementare dall’Unità al 1919, mestiere attraverso il quale era iniziata l’attività di Gasparini, ma anche un elogio alla bellezza del suo amato paesaggio istriano, e una ripresa del suo principio (derivato dalla filosofia di Locke) secondo il quale il bambino non deve mai subire costrizioni, né nel gioco, né nella lettura. Il suo scopo primario era quello di rivalutare gli apporti anche minori degli studiosi, nei vari ambiti della sua ricerca professionale. Vicino ai giovani, assecondava il loro “anelito utopico”, introducendoli in una società che doveva essere dominata da una pedagogia cristiana aperta al principio di speranza che deve contraddistinguere le nuove generazioni; nei suoi studi, portati avanti con rigore e metodo scientifico, si passa dalla pedagogia alla filosofia, soprattutto all’etica, fino a giungere alle scienze sociali. Passando a un’analisi più specifica, l’opera si divide in varie parti, che seguono il ringraziamento di Giovanna Imperatori, la prefazione di Michele Marsonet, direttore del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genova, e le introduzioni di Olga Rossi Cassottana e Luciano Malusa, rispettivamente Professore associato di Pedagogia generale e Professore ordinario di Storia del Cristianesimo all’Università di Genova; Biografia e bibliografia di Duilio Gasparini; La personalità e l’attività educativa negli scritti di Duilio Gasparini; Testimonianze su Duilio Gasparini; La didattica tra la teoria e la pratica; La ricerca storico-antropologica e la storia delle istituzioni scolastiche ed educative; La letteratura per ragazzi e l’educazione infantile; La teoresi educativa tra esperienzialità e interpretazione. Nella prima parte troviamo gli interventi di Giovanna Imperatori Gasparini e della Prof. Cassottana; nella seconda Claudio Desinan, Professore ordinario di Pedagogia generale all’Università di Trieste, e Olga Rossi Cassottana ci accompagnano in un percorso da Trieste all’approdo a Genova, pretesto per un’analisi in loco della situazione scolastica e universitaria, mentre Sira Serenella Macchietti, Professore ordinario di Pedagogia generale all’Università di Siena, e Gianfranco Spiazzi, Professore di Storia della Pedagogia e di Storia della Scuola all’Università di Trieste, approfondiscono il concetto di educazione e il rapporto con i giovani nell’opera di Gasparini. Per quanto riguarda la terza parte, vi sono svariate testimonianze sull’amabilità del Professore e sulla sua professionalità, oltre a un interessante elaborato di Giovanna Imperatori sulla “passione educativa” e sul “gusto della scoperta” sempre presenti nell’attività del marito, come anche il rispetto della dignità della persona umana e l’attenzione al mondo della scuola.
Nella quarta parte si distingue in particolar modo il contributo di Cesare Scurati, Professore ordinario di Pedagogia generale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, intitolato Didattica “tecnologica”: riflessioni fra nuovo e vecchio; con un elenco (e le relative spiegazioni) di diversi approcci al momento teorico-pratico della didattica, l’autore si accosta alla “sfida antropologica” connessa all’affermarsi dell’odierna cultura della virtualità, che diventa quasi una seconda realtà, parallela a quella reale. Il problema che ne deriva è la confusione, e il rischio è la scomparsa della vera relazionalità. Tuttavia lo sviluppo delle nuove tecnologie può essere un ottimo strumento didattico se utilizzato correttamente, anche in ambito pedagogico, (ad esempio nelle scienze cognitive) e la grande conseguenza è la valorizzazione di quelle attività proprie dell’intelletto umano, come elasticità e creatività, in un aristotelico contrasto tra “logica” e “psicologia”. Nella quinta sezione si distinguono svariati interventi: il primo è quello di Bruno A. Bellerate, Professore emerito di Storia della Pedagogia all’Università Roma Tre, su Comenio e la pace, del quale viene sottolineato l’interesse teologico ripercorrendo le sue opere in ordine cronologico e nel loro contesto, sullo sfondo della Guerra dei Trent’anni.  Segue Mario Gennari, Professore ordinario di Pedagogia generale all’Università di Genova, con uno scritto circa La Svizzera di Pestalozzi nella pittura di Albert Anker; nell’ottica di Pestalozzi, i motivi pedagogici e didattici si schierano a favore delle masse povere, e specialmente dei loro figli, pur non intaccando l’integrità economica, sociale e ideologica del sistema politico vigente. Il filosofo promuove il culto della famiglia, dell’educazione, della piccola comunità e delle tradizioni. Attraverso le splendide immagini a colori riportate nel volume, possiamo notare come la Gemeinschaft pestalozziana, si proietti anche nell’arte di Albert Anker, dove sono sempre presenti la sua vita, la sua famiglia e la piccola comunità dove è cresciuto; è una “poetica del sentimento del mondo”, in un’ottica romantica ma priva di titanismo, attenta alle piccole cose. Da qui il punto di partenza per scene davanti a un camino, dove si riuniscono le varie generazioni di una famiglia, o immagini di piccoli scolari, o poetici paesaggi innevati. Interessante anche lo scritto di Luciano Malusa, Antonio Rosmini-Serbati “educatore” della nazione italiana: si può notare una certa unità di intenti tra il filosofo roveretano e Gasparini, basato sull’educazione alla consapevolezza e alla cittadinanza da parte degli italiani. Le principali opere di Rosmini, La Costituzione secondo la giustizia sociale e Sull’Unità d’Italia, ne sono una chiara testimonianza, in un’ottica sociale e giuridico-politica (fornendo un concreto modello di costituzione per lo Stato Italiano), ma anche cristiana e scolastica (per il binomio tra lo spirito di unificazione nazionale e lo spirito cattolico del popolo italiano, proposto attraverso opere scritte e insegnamento nelle scuole ai più giovani). Pietro Zovatto, Professore ordinario di Storia del Cristianesimo all’Università di Trieste, nel suo saggio intitolato Mons. Ugo Mioni, la scuola, il tempo e i fondamenti cristiani dell’educazione, rivaluta la figura di questo scrittore per l’infanzia; fortemente criticato da Gramsci, Mioni analizza l’uomo come composto di anima e corpo, sovrastato dall’anima e dall’intelletto, ciò che lo rende superiore alle altre creature. L’educazione diventa il fine ultimo della famiglia e delle istituzioni scolastiche, in un’ottica di etica cristiana. La pedagogia deve sempre essere accompagnata dall’elemento trascendentale della religione, poiché solo questo binomio può formare un individuo dotato di una propria volontà e di un proprio carattere; per questo motivo l’insegnante assume anche il ruolo di maestro di vita.
Per quanto riguarda la settima parte del volume, il primo intervento è quello Simone Eros Beduschi, dottorando di Ricerca all’Università di Genova, connesso a quello di Luciano Malusa, su La formazione di Antonio Rosmini: provvidenza ed educazione cristiana: Rosmini ha saputo coniugare armonicamente le sue tre vocazioni, sacerdotale, filosofica ed educativa. Dalle lettere scritte dal filosofo roveretano, si può comprendere come la sua etica cattolica fosse aperta anche a moderate influenze illuministe, e l’importanza data al cristianesimo nel suo ruolo civilizzatore. Costante è l’unione dei termini educazione e devozione, anche per quanto riguarda l’educazione del clero, e la fiducia nella provvidenza divina. Segue il saggio di Andrea Bobbio, Professore associato di Pedagogia generale all’Università della Valle d’Aosta, Il sapere pedagogico. Evento, storicità e progetto; l’autore ci ricorda come Gasparini abbia saputo coniugare ricerca didattica, storica, teoretica ed empirica in una sintesi sempre attenta al dettaglio. Uno dei temi fondamentale dell’epistemologia e della pedagogia è il rapporto tra teoria e prassi nella ricerca educativa; che oscilla tra l’”essere” e il “dover essere”, tra pedagogia e didattica. Da sottolineare poi lo scritto di Francesco Camera, Professore associato di Ermeneutica filosofica all’Università di Genova, intitolato L’educazione religiosa secondo Kant: viene ripercorso il ciclo di lezioni di Pedagogia tenuto da Kant presso la Facoltà Filosofica dell’Albertina, di carattere sia teorico che didattico, che mostra l’interesse per l’educazione dell’uomo, unico mezzo che può portarlo a distinguersi dagli animali e a una destinazione morale, ma solo in un’ottica filantropica. La religione diventa quindi completamento dell’esperienza morale. Vorrei infine evidenziare gli ultimi due saggi del volume: Quale identità per la pedagogia? di Giuseppe Serafini, Professore ordinario di Pedagogia generale all’Università di Siena, e La pedagogia dell’Umanesimo nell’interpretazione di Eugenio Garin di Stefania Zanardi, dottoranda di Ricerca all’Università di Genova. Per quanto riguarda il primo, Serafini fa un excursus dello sviluppo e dello studio in ambito pedagogico da Giovanni Gentile, che la lega indissolubilmente alla filosofia, all’opposta corrente non idealistica ottocentesca, dalle riflessioni epistemologiche di Rosmini alla pedagogia italiana del secondo dopoguerra come disciplina pratica, fino ad arrivare a Duilio Gasparini.
In quello della Zanardi, infine, viene trattata la vasta produzione di studi sull’educazione, sulla formazione dell’uomo, sulla nascita e trasformazione degli istituti scolastici e universitari, prodotti dal Prof. Eugenio Garin; fautore del cosiddetto concetto di “Umanesimo civile”, promosse lo sviluppo di uomo come essere completo, dalla solida formazione intellettuale ma anche politica e civile, possibile solo grazie agli studi umanistici per la formazione di una coscienza storica e critica e di una vita sociale e civile. Molti altri argomenti e spunti di riflessione sono presenti in questo ricco volume, vero e proprio viaggio metaforico attraverso l’esperienza biografica e professionale di un grande studioso, nel quale si possono trovare pedagogia, filosofia, ma anche arte, letteratura, e molto molto altro.
Arianna Borgoglio
____

Archivio blog

Copyright

Questo blog non può considerarsi un prodotto editoriale, ai sensi della legge n. 62/2001. Chi desidera riprodurre i testi qui pubblicati dovrà ricordarsi di segnalare la fonte con un link, nel pieno rispetto delle norme sul copyright.