Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

_________________

Scorrendo questa pagina o cliccando un qualunque suo elemento acconsenti all'uso dei cookie presenti nel sito.



29 dicembre 2017

In libreria

Mario Cuxac
Stampa e regime, i giornalisti piemontesi

negli anni del fascismo (1922-1940)
Effedì Editore, Vercelli, 2017, pp. 250.

Descrizione
La stampa fu una delle armi più potenti utilizzate dal fascismo per la creazione e gestione del consenso. Ma quale fu il ruolo esercitato – e quali le attitudini manifestate – dai giornalisti nel loro ruolo di «funzionari» del regime? Il volume intende indagare tale realtà con particolare riferimento al caso piemontese, osservatorio particolarmente significativo sia per via del numero di giornalisti attivi durante il Ventennio, sia per via del rilievo dei quotidiani che vi si pubblicavano. Il volume è curato dal Centro Studi per il Giornalismo ‘Gino Pestelli’.

___

27 dicembre 2017

In libreria

Daniele Barbieri
Semiotica del fumetto
Carocci, Roma, 2017, pp. 144.
Descrizione
 La semiotica del fumetto è un campo ancora scarsamente esplorato. Il libro pone le basi di questa disciplina partendo dalle nozioni classiche della semiotica, come enunciazione e narratività, per comprendere il senso specifico del raccontare a fumetti, anche per analogia e contrapposizione con cinema e romanzo. Esplora poi le specificità grafiche del fumetto, nella sua peculiare interazione tra immagine e scrittura. E conclude con la costruzione del ritmo e la gestione dell’attenzione del lettore, e le  tecniche di conduzione delle tensioni narrative, comuni a tutti i tipi di narrazione e tuttavia operativamente diverse caso per caso.
Indice
Introduzione
1. Racconti senza racconto: enunciazione e narratività
Il racconto senza narrazione di cinema e fumetto/Strutture
narrative/Elementi micronarrativi
2. Disegni di segni: immagini e scritture
Segni di scrittura/Segni di disegno/Segni di tempo e di modo/Segni grafici e
narrativi
3. Leggere con leggerezza: tensione e ritmo
Elementi di teoria del ritmo/Lo scorrere del tempo/Costruzione di effetti
tensivi/Serialità/Vivere il tempo raccontato. L’umorismo/Analisi di una
storia/Il racconto come strumento per costruire una sintonia
Bibliografia
____

26 dicembre 2017

Genova in libreria

Marisa Celestina Traxino
Storie della storia di Genova
fatti, personaggi, aneddoti, curiosità…

Gammarò edizioni, Sestri Levante, 2017, pp. 222.
Descrizione
Ricco di informazioni anche poco note, corredato da un notevole apparato iconografico, Storie della storia di Genova è un libro gradevolissimo, che l’autrice porge in maniera garbata e colloquiale, senza fare mai pesare le proprie conoscenze, che anzi condivide col lettore come in una amabile conversazione fra amici. A libro chiuso ci si dispiace della brevità del piacevole intrattenimento che, come in un susseguirsi di piccoli documentari, ci ha posto a contatto con una moltitudine di personaggi e di eventi.
____

19 dicembre 2017

Milano Sera: 10 anni di buon giornalismo

I giornali cartacei sono la memoria storica del nostro paese, sono un valore che nel tempo va scomparendo, con l’avvento del web ( computer, tablet, telefonini).
Ci sono stati giornali che hanno rappresentato tanto per il nostro paese come “Milano Sera” che pur essendo un piccolo giornale, con poche risorse finanziarie ha lasciato una traccia nella storia dell’Italia,  durato non più di 10 anni si è trovato in un periodo molto particolare dell’Italia pieno di avvenimenti.
A Milano nel 1945 con la caduta del fascismo i giornali d’ideologia di destra vennero tutti eliminati , tra questi c’era il Corriere della Sera che per un certo periodo rischiò di scomparire.
Gli unici giornali che avevano il permesso di uscire erano quelli di ideologia comunista: Il Sole, l’Italia, l‘Unità, l’Avanti, il Risorgimento Liberale, Il Popolo, Italia Libera. Tra i settimanali si riuscì a salvare il Corriere della Sera ma cambiando il nome alla testata fu chiamato “La Domenica”
Gaetano Afeltra era un giornalista che lavorava per il Corriere della Sera ma non era iscritto al partito fascista, egli fu un assiduo sostenitore del  giornale cercò i tutti i modi di salvarlo, incontrò vari giornalisti antifascisti tra cui Parri, Vagliani. Insieme pensarono che bisognava rinnovare il giornale con idee democratiche e che non avessero nulla a che fare col passato e col partito fascista , prima di tutto bisognava convincere il Comitato Nazionale di Liberazione. Per prima cosa si decise di trovare un direttore d’indubbia fedeltà alla repubblica decisero per Mario Borsa .
Mario Borsa fu un giornalista tenace assertore dei diritti di libertà e giustizia sociale, sotto il fascismo fu messo due volte in carcere e anche in un campo di concentramento. Borsa fu messo quindi alla direzione del Corriere della Sera, che solo nel 1946 tornò nelle edicole sulla testata in piccolo c’era la scritta ”Il Corriere Nuovo”. Si decise questo nome in ricordo dello storico giorno dopo la liberazione, giovedì 26 Aprile 1945 quando il giornale fu lanciato dai furgoncini nelle strade (come anche) dalle finestre di Via Solferino sede storica del Corriere della Sera.
Tra i sostenitori per l’abolizione del Corriere c’era Sandro Pertini socialista e accanito sostenitore delle sue idee di sinistra,  in quel periodo si vendevano solo giornali di ideologia comunista, come L’Unità, l’Avanti che trattavano solo notizie politiche , la popolazione iniziò a stufarsi e così si capì che ci voleva qualcosa di nuovo e di alternativo ai soliti giornali , nacque così “Milano Sera” un giornale con pochi mezzi ma tante idee che parlava  principalmente della città di Milano dei suoi cittadini. 
Usciva nel pomeriggio, l’impegno, l’entusiasmo dei giovani redattori era molto ma l’esperienza poca, si riunivano al mattino per leggere le testate dei principali giornali e poi nel pomeriggio dopo aver lavorato i pezzi facevano uscire il giornale. Questo foglio fece  molta fatica a   decollare, la grafica era mediocre e le foto banali, si vedeva l’impegno dei giornalisti  ma il giornale non vendeva. Negli anni passarono in redazione  molti bravi giornalisti e parecchi intellettuali. Alfonso Gatto era un poeta che collaborò insieme a molti altri nomi famosi  come Manlio Bonfantini, Oreste del Buono e  lo stesso Afeltra. Essi contribuirono alla buona riuscita del giornale che incominciò la sua ascesa  L’Italia appariva distrutta da 20 anni di dittatura  fascista . Negli anni che vanno dal 1946 e 1950 ci furono molti avvenimenti che Milano sera prese in considerazione dalle Elezioni politiche che furono vinte dalla Democrazia Cristiana con amara delusione dei Comunisti , alla scissione del sindacato CGIL e la nascita del sindacato Cisl più moderato e più verso la Democrazia Cristiana.

L’attentato a Palmiro Togliatti occupò parecchi fogli e per parecchi giorni, perché in seguito a quell’avvenimento gli operai insorsero e vi furono una serie di scioperi duri in tutto il paese . Una vera guerriglia che stava par trasformarsi in una piccola guerra civile . A smorzare gli animi si vocifera che fu la notizia della vincita di Bartali al Tour de  France.  L’arrivo dei film hollywoodiani, la morte del bandito Giuliano e altri casi di cronaca distolsero la popolazione dal clima di guerriglia che si era formato tra forze dell’ordine e operai.
Il 4 novembre 1954 nella prima pagina di Milano Sera si legge un comunicato rivolto ai lettori dove si annunciava la chiusura del giornale.
Questa notizia coglie i lettori di sorpresa e lascerà un grande vuoto nel mondo dell’editoria. "Le gravi difficoltà finanziarie ci costringono a chiudere, ci dispiace dover lasciare dopo 10 anni di avvenimenti importanti per il nostro paese.”
I giornali cartacei non possono e non devono sparire, sono un’abitudine, una tradizione una consuetudine importante, è bello pensare alle persone che la domenica mattina escono per andare a messa e tornando a casa comprano il giornale e le paste.
Fabrizio Dolcino

 Rinaldo Gianola
“Milano Sera”.  Un giornale per la Repubblica (1945 -1954)
Book time, Milano, 2016, pp. 120.
____




17 dicembre 2017

Tra disinformazione e manipolazione

È da qualche anno ormai che mi sono appassionata alla lettura delle distopie riguardanti il futuro. Il filo rosso che collega tutte quelle che finora mi sono capitate fra le mani è la distorsione della realtà, finalizzata al controllo coercitivo della popolazione. Autori come Orwell, Huxley e Zamjatin sono figli della prima metà del ‘900, hanno vissuto le guerre e le rivoluzioni sulla propria pelle, hanno visto nascere le dittature più crudeli con i propri occhi. Hanno saputo prevedere alcune delle tecniche di manipolazione in uso oggi e che questo volume analizza dettagliatamente.
Leggendo il libro Disinformazione e manipolazione delle percezioni mi è capitato pensare alla parabola della rana che viene buttata in una pentola piena d’acqua fredda e messa sul fuoco lento. La temperatura sale piano piano e la rana è inconsapevole che l’acqua si sta scaldando e non fa nulla per salvarsi la vita. La società mi ricorda molto la rana, perché è composta da molti individui che si muovono inconsapevoli in un ambiente gradualmente sempre più ostile. Impotenti e senza speranza, molti si impigriscono sempre di più, subendo gli avvenimenti e vivendo le notizie in modo emotivamente primitivo. Il saggio Disinformazione e manipolazione delle percezioni spiega dettagliatamente e in modo molto semplice i problemi che devono essere affrontati sia da parte del fruitore delle notizie, che degli addetti ai lavori per quanto riguarda l’informazione in questa nostra società tecnologica. Il libro nasce dal convegno omonimo del 2015 cui partecipanti sono professionisti di diversi settori e che hanno in comune la lotta alla disinformazione.
Leggendo questa raccolta ho imparato a fare un utile distinguo fra la parola deception (inganno), disinformazione e mala informazione. La prima è usata prevalentemente nella letteratura anglosassone in riferimento al fenomeno della disinformazione nell’ambito militare, diplomatico e dell’intelligence, ed è utile per esempio a indurre un avversario a credere a una sorta di cover story, al fine di ottenere una reazione utile ai propri interessi. La disinformazione invece è un’azione ostile, che persegue un vantaggio in modo subdolo, diffondendo informazioni false sapientemente distorte e proprio per questo motivo richiede uno sforzo nella pianificazione. Una volta chiarito lo scopo finale, i deception planners devono mettere a punto una strategia che comprende per esempio la pianificazione dei contenuti e l’individuazione dei canali. La mala informazione non è intenzionale invece, si tratta di informazioni errate presentate come vere a causa di superficialità o ignoranza di chi le diffonde.
L’intervento meno utile e meno interessante è quello del rappresentante del Dipartimento Informazioni per la Sicurezza (DIS). Rispetto a tutti gli altri professionisti l’ho trovato povero di contenuti significativi rispetto al tema così importante, ma pieno invece di inutili anglismi come outreach oppure the last but not the least. Come se la lingua italiana non fosse così ricca di vocaboli che permettono di esprimere degnamente un concetto! Il signor Rappresentante, lo scrivo con la maiuscola dal momento che non ci è dato
saperne il nome, è stato molto corretto politicamente e non si è sbilanciato di una virgola, rendendo onore alla categoria di coloro che parlano molto senza dire niente.
Il presidente dell’Istituto francese delle Analisi Strategiche, François Géré, è stato molto illuminante, sostenendo che la disinformazione trova il terreno fertile in ambienti psicologici dove sono diffusi il sospetto, l’ansia, la credulità e la superstizione. Guardo l’ambiente in cui viviamo e noto che tutte le caratteristiche da lui citate sono dominanti. Noi tutti siamo quel terreno fertile, facili prede degli interessi di potere di qualcuno che probabilmente cerca di realizzare il proprio piano mentre siamo occupati con qualcosa di futile.
Quando ho la fortuna di trovare del materiale interessante, collego tutte le informazioni che mi hanno colpito con la realtà che osservo. Leggendo questo capitolo mi è venuto in mente il corso di Linguistica e pragmatica della comunicazione, che ho frequentato durante il primo anno della laurea magistrale in Informazione e Editoria. Durante le lezioni si parlava spesso delle manovre politiche dannose per il cittadino (come i tagli alla sanità o all’istruzione), che contribuiscono senz’altro ad allontanare il cittadino dalle istituzioni, istupidirlo e creare così un ambiente proficuo dove poter diffondere la superstizione e la paura a proprio vantaggio. Sarebbe sicuramente difficile far passare certe manovre politiche o monetarie sgradevoli, senza addolcire in qualche modo la pillola per i cittadini vestendo per esempio le manovre con gli abiti di innovazione. Difatti solo leggendo e informandosi molto si costruisce una mente critica reazionaria. Il signor Géré cita un suo amico che lavora in radio, che gli confida di non fare più informazione, bensì comunicazione, perché non ha più la capacità di creare un’informazione vera, assicurandosi così che quello che presenta al pubblico sia una “vera realtà”. È stato uno dei pochi che ha proposto 3 possibili prospettive per fare controdisinformazione. La prima è ristabilire la verità, ma spesso è troppo tardi. La seconda riguarda il tentativo di fare la contro-disinformazione, ovvero una reazione simmetrica all’azione di manipolazione. Per farlo però bisogna accertarsi che la campagna di disinformazione sia stata effettivamente commessa. La terza prospettiva riguarda la creazione di deterrenza, che consiste nella previsione e prevenzione. Per mettere in pratica questa strategia bisognerebbe conoscere molto bene le capacità di disinformazione dell’avversario.
Probabilmente tutte e tre le prospettive sono indirizzate agli addetti ai lavori, ma da cittadina normale quale io sono, posso dire che essere informata, cercare le fonti di informazione attendibili e leggere, leggere e ancora leggere sia già un grandissimo passo. Incoraggiare gli altri a fare altrettanto è un passo enorme.
Nel proprio intervento Giovanni Brauzzi, rappresentante del Ministero degli affari Esteri, cita il libro di Moses Naim La fine del potere, che chiarisce molto bene il suo pensiero. Brauzzi focalizza il suo intervento sulla logica della disinformazione e sul fatto che quest’ultima è collegata all’uso e al mantenimento del potere. È lodevole che egli abbia specificato che i mezzi più avanzati di lotta contro la disinformazione siano un vantaggio solo apparente, giacché ci costringerebbero a rinunciare a qualcosa di molto più importante. Non dovremmo rinunciare allo stato di diritto per sentirci più protetti dalle misure di sicurezza più invasive. Inoltre è uno dei pochi partecipanti che cita della letteratura e alcuni film a sostegno della propria tesi.
L’intervento di Cristiano Turriziani, ricercatore in filosofia teoretica, è stato quel tassello fondamentale nella comprensione di come, dal punto di vista più pratico, le masse vengono persuase e manipolate. In parte ne è responsabile anche il nostro cervello e la sua attività elettrica. I ritmi dell’apprendimento e della formazione delle convinzioni sono sempre ritmi lenti. Un veloce esempio di condizionamento al quale potremmo in qualche
misura essere stati sottoposti, è quello di condurre una vita veloce all’insegna della produttività, proprio per non avere tempo per sublimare, approfondire e fissare le nostre idee e il nostro bene.
Il fatto che questo volume non sia un’opera distonica di qualche autore del novecento mi turba molto. È tutto vero, sta accadendo proprio adesso. A mio avviso la rivoluzione che cambierà le carte in tavola è quella individuale. È la rivoluzione del risveglio di ogni essere umano, lenta ma inesorabile. Si realizzerà come una catena, attraverso il dialogo e la lotta. Sarà una rivoluzione armata di libri e articoli, di arte e musica, al posto di pietre e bastoni, molotov e pistole.
Ho notato che tutti i relatori citati nel libro sono uomini. Confesso che questo fatto mi ha stupita molto. Sarebbe stato così avanguardistico inserire l’intervento di una professionista donna? Il mio grande desiderio è che nei prossimi convegni gli organizzatori siano più attenti a questo “dettaglio”, e spero che ci siano sempre più donne forti e risolute che lottano per la propria affermazione. Io vorrei considerarmi una di loro.
Vladyslava Balasyukova

Disinformazione e manipolazione delle percezioni
Una nuova minaccia al sistema-paese
a cura di Luigi Sergio Germani
Eurilink, Roma, 2017, pp.154.


___

16 dicembre 2017

Il crepuscolo dei media


Il tramonto della carta stampata, il suo inevitabile declino e superamento in favore di nuovi media, questo l’argomento trattato dal saggio Il crepuscolo dei media di Vittorio Meloni, esperto di comunicazione. L’analisi effettuata risulta impietosa, il quarto potere, così lo definì il politico e scrittore inglese Edmund Burke, dopo una storia ultracentenaria dedicata all’orientamento del grande pubblico sui temi più disparati, sta affrontato un gravissimo periodo di crisi, non destinato ad arrestarsi. I dati del Censis, Centro Studi Investimenti Sociali, mostrano come i lettori di quotidiani e periodici siano diminuiti del 26,5% nell’arco di tempo che va dal 2007 al 2016, nel medesimo intervallo un significativo declino è toccato anche alle vendite complessive, passate da 5,8 milioni di copie giornaliere a 3 milioni; questo crollo editoriale si è fatto maggiormente evidente in seguito alla grande crisi mondiale cominciata proprio nell’anno 2007, costringendo gli italiani a rinunciare all’acquisto di alcuni beni di consumo, ritenuti superflui, come i giornali.
La situazione editoriale italiana risulta nettamente peggiore rispetto a quella di altri grandi paesi europei, infatti, per via degli scarsi investimenti statali nel settore dell’istruzione, la penisola italiana risulta essere uno dei paesi meno colti, tanto che i cittadini, non possedendo gli strumenti minimi indispensabili per la comprensione degli articoli eccessivamente costellati di termini tecnici, tendono a prendere le distanze dai quotidiani. A causare un preliminare calo editoriale contribuirono la radio, potente mezzo di propaganda a partire dagli anni 20, seguito dalla televisione negli anni 50, dapprima con la Rai, emittente pubblica, e dalle reti private Mediaset dell’imprenditore Silvio Berlusconi successivamente, capaci di accalappiare un vasto pubblico palesemente meno elitario rispetto a quello della carta stampata.
Ai giorni nostri i media sopraccitati, denominati vecchi media, si trovano a dover costituire un fronte compatto nei confronti dei nuovi media, termine che sta ad indicare internet con social network e app, favoriti dai giovani per via dei contenuti maggiormente adatti alla loro cultura e ai loro gusti personali. Attraverso social come Facebook, il più popolare, ogni individuo può partecipare direttamente alla creazione di notizie e opinioni diventando uno scrittore per caso, nonostante nella maggior parte dei casi chi pubblica in rete lo fa con un’insufficiente padronanza della lingua italiana e, cosa ancor peggiore, rischia di alimentare le cosiddette fake-news, notizie inventate, create con il solo scopo di disinformare il lettore.
La pubblicità rappresenta da sempre il maggiore introito finanziario di quotidiani e periodici, fondamentale quindi per la loro sopravvivenza, tuttavia, proprio con l’arrivo di internet, numerosi investitori pubblicitari, attratti dall’immediatezza e dai costi inferiori del nuovo mezzo, hanno deciso di pubblicizzare i propri prodotti attraverso questa innovativa piattaforma, causando pertanto il crollo di numerosi giornali, costretti a chiudere avendo perso ben il 65% di fondi a disposizione.
L’ultimo grande periodo del quotidiano risale agli anni della rivolta studentesca avvenuta nel 1968, durante il quale i giovani nutrivano un grande interesse nei confronti della politica, per questa ragione si poté assistere alla fondazione di numerose testate; nell’epoca attuale questo interesse è quasi totalmente svanito, i ragazzi non consultano gli organi di stampa quanto facevano le generazioni precedenti e la fascia di età di lettori di periodici e quotidiani è quella degli over 65. Per contrastare il dominio del web, la carta stampata è corsa ai ripari dando vita ad una propria versione digitale, si tratta dei quotidiani online, consultabili tramite smartphone e tablet nella maggior parte dei casi gratuitamente, raramente a pagamento come nel caso de “ Il Sole 24 Ore”; quel che li diversifica rispetto alla versione cartacea è l’aggiornamento in tempo reale e l’utilizzo di nuove tecnologie come video e registrazioni, ma nonostante un gran numero di utenti ne venga attirato i ricavi rimangono ugualmente esigui per via di software AdBlock che impediscono all’utente di visionare i banner pubblicitari, non consentendo ai giornali di assicurarsi un guadagno. Anche la televisione ha tentato di arginare il web aumentando i propri incassi con la Pay tv, ma difficilmente si potrà reggere il passo con la televisione del futuro rappresenta da Netflix e Amazon, consultabile direttamente dal proprio computer.
Quel che appare certo è che nei prossimi anni l’informazione subirà una totale mutazione, gli investimenti pubblicitari destinati ai social network aumenteranno ulteriormente, rendendoli sempre più centrali nel loro ruolo informativo, dunque all’industria editoriale non rimane altro che rinnovarsi e sperimentare nuovi sistemi per coinvolgere il lettore.
Giulia Novello

Vittorio Meloni
Il crepuscolo dei media. Informazione, tecnologia e mercato
Laterza, Bari-Roma, 2017, pp. 133.



____







15 dicembre 2017

La guerra di Francesca



La Guerra Dentro, non è un classico réportage; è un diario. Una narrazione. Una narrazione che non è lineare, non è fluida. È appositamente pensata e costruita da Francesca Borri, free lance classe 1980, che spezza il filo del suo scrivere insieme ai colpi dei mortai e ai proiettili di cecchini che le sfiorano la testa.
Ci porta con lei in Siria, nella sua Siria.
Quella Siria che viene presa in considerazione nell'agosto del 2013, quando viene sferrato un attacco chimico alla periferia di Damasco. Peccato, però, che la guerra civile siriana sia in corso già da due anni.
Quella Siria che riprende il suo posto nel dimenticatoio quando Obama decide, con grande delusione dei giornalisti, di non intervenire, evitando di bombardare le forze governative di Assad.
Quella Siria che viene confusa con la Libia, con l'Iraq, addirittura con l'Egitto.
 “Ma sai che lei sta ad Aleppo? Ad Aleppo?
Ma Gheddafi non era stato ucciso? Credevo la guerra fosse finita.
Ma no, quella è la Libia. Lei sta in Siria. Sta con i talebani.
Due anni. E nessuno sa niente.” (Borri, p. 226).
Quella Siria che è straziata due volte: dalle bombe prima e dall'ignoranza occidentale dopo. Da quei giornalisti che ricercano solo lo scoop, la storia-icona del bambino soldato che, sigaretta in bocca e kalashnikov in mano, vuole uccidere gli infedeli.
Possibilmente tagliando loro la gola.
Perchè al direttore di testata cosa importa della vita quotidiana del Signor X, civile siriano che, tra un cecchino e una mina, si preoccupa principalmente di arrivare, più che a fine mese, integro a fine giornata? Scrivere un pezzo su di lui non lo farà guadagnare.
È anche questa la guerra di Francesca.
Contro il cinismo delle redazioni giornalistiche, contro un'informazione che non scava in profondità, che non vuole le persone, ma lo scoop che faccia sensazione. Quello scoop che se non c'è viene creato ad hoc. Contro quei giornalisti che pretendono di scrivere di Siria dalla loro scrivania a Roma.
Crudele e lucida, ogni pagina è un grido di rabbia e di frustrazione, sapientemente strutturata per farci vivere tutto l'orrore, la devastazione e il senso di impotenza.
Per farci capire che la guerra la sta vivendo lei stessa dentro di sé. Non solo in Siria.
Adesso sono qui, che provo a scrivere, a raccontare, ma mi alzo nervosa ogni cinque minuti, leggo, telefono, mi distraggo, ogni volta cerco un pretesto per interrompere, per rinviare. Scappo dalla pagina perché quando hai scritto, poi non puoi più dimenticare, quando hai visto, non puoi più non vedere”(Borri, p. 228).
È anche questa la guerra di Francesca: il dover imparare a conviverci.
Perché una volta che la vivi, la guerra, diventa parte di te.
Anita Caprioli


Francesca Borri
La Guerra Dentro
Bompiani, Milano, 2014, pp. 236.
____

14 dicembre 2017

Kapuscinski giornalista del mondo


Trenta fotografie metà delle quali a colori e l’altra in bianco e nero chiudono il libro di Ryszard Kapuscinski Nel turbine della storia (2015) . Questo testo non si limita a mostrarci l’autore in veste di reporter e di scrittore, corrispondente estero dell’Agenzia di stampa polacca (Pap), ma rivela una sua sorprendete preparazione professionale. Kapuscinski era uno storico di formazione, conosceva la storia e la cultura delle regioni nelle quali si recava.
Immagini significative che raccontano di guerre, di uomini e donne rassegnati, disperati, che pregano.. Immagini che rivelano come la civiltà dei media cerchi di imporre gli standard di massa (Jeans, Coca-Cola..) ai quali le culture, rimaste fedeli ai loro valori nazional-religiosi si oppongono.
D’altro canto, Ryszard Kapuscinski ha trascorso la sua vita professionale ad osservare il “divenire” della storia della seconda metà del XX secolo, chiedendosi fino a che punto i nostri strumenti siano in grado di rispecchiare questo “fluire”; fino a che punto si riesca a comprenderne l’intero corso e fino a che punto sia possibile farne poi una sintesi. 
Le foto fanno riflettere, così come colpisce la narrazione.   
L’autore parte da molto lontano, evoca Erodoto su una domanda fondamentale: vuole scoprire le cause della guerra. Si chiede come mai gli avversari si combattano tra loro.
Considera molto importante la memoria personale che differenzia ognuno di noi, sulla quale ha una sua tesi molto singolare: sostiene, infatti, che l’uomo cominci ad essere “uomo”, in quanto essere umano, partendo dal suo ricordo più remoto, definendolo una parte essenziale della coscienza umana.
Nel secondo capitolo del libro analizza il fenomeno della cosiddetta decolonizzazione. All’inizio del XX secolo il piccolo ma importante gruppo di Stati che governavano il pianeta erano i padroni delle colonie d’oltremare, territori a loro assoggettati e da loro dipendenti nel Sud del mondo, oggi, a distanza poco più di cento anni queste colonie sono comparse.
Circa 200 Stati profondamente diversi tra loro, formalmente indipendenti, sono nati attraverso il processo della cosiddetta decolonizzazione che si è svolta quasi ovunque secondo un medesimo schema, ossia: forze politiche che al termine della seconda guerra mondiale si sono raggruppate, quasi sempre attorno ad un fronte unitario composto in maggioranza da intellettuali.
La divisione dei “tre mondi” risale alla metà del secolo scorso e la denominazione “Terzo Mondo” proviene dal demografo francese Alfred Sauvy.
Nel capitolo l’autore si trova ad analizzare l’epoca coloniale, nello specifico valuta l’Africa occidentale ove la conquista si è compiuta sotto forma di graduale penetrazione economica.
L’autore descrive l’Africa come la più preziosa di tutte le sue esperienze. Sostiene che la parola “Africa” sia un modo molto riduttivo per definirne il continente, mentre, in realtà si tratterebbe di un mondo quanto mai variegato.
Negli anni della Guerra Fredda nel continente si intromisero subito le grandi potenze, che favorirono personaggi di infimo grado, magari non troppo perspicaci ma obbedienti: Mobuto, Bokassa, Idi Amin, Menghistu, Hailè Mariam solo cinici opportunisti, disposti a tutto e dotati di astuzia animalesca.
Gli anni 60 furono il decennio dei colpi di stato militari. Durante le guerre etniche gli intellettuali divennero “selvaggina cui dare la caccia”. Massacri sanguinosi e lontani dalla nostra “Europa” spesso dimenticati dal resto del Mondo.
È anche una denuncia ai paesi occidentali che quando non erano direttamente coinvolti in un conflitto, vi mantenevano comunque i loro interessi economici, e stavano ben attenti alla loro immagine “pulita” nei confronti dell’opinione pubblica.
Il comportamento delle nazioni si riflette in quello dell’informazione.
I corrispondenti spesso vengono inviati sul posto solo dopo lo scoppio dei conflitti e una volta sul posto fanno solo il conto dei morti e feriti per poi andarsene. Il giornalista è cosi sballottato da una zona di guerra all’altra, strumentalizzato dalle forze politiche. Kapuscinski cercava di scoprire e di andare oltre la facciata e le scarne informazioni che gli arrivavano dalle fonti istituzionalizzate.
Nel terzo capitolo Kapuscinski racconta di quando arrivò nel Congo (1960) con la stampa mondiale che traboccava di articoli sull’estrema pericolosità del conflitto in atto. Si temeva il peggio, l’Africa era sempre associata a qualcosa di molto pericoloso e di incerto.
Anche se le nazioni occidentali si facevano promotrici dei diritti umani e della tutela della libertà di ogni persona nel mondo, nei casi di genocidio e di conflitto nei paesi Africani e nel Medioriente, la popolazione civile era spesso dimenticata, riducendo il tutto a scontri tribali, brutali e privi di senso. Kapuscinski descrive le difficoltà che il corrispondente estero si trovava ad affrontare una volta arrivato sul posto.
I capi della Pap proposero a Kapuscinski di diventare il loro corrispondente fisso dall’America Latina. Partito nell’autunno del 1967 vi trascorse quattro anni fino al 1972. Vi giunse per la prima volta due mesi dopo la morte, a 39 anni, di Ernesto Che Guevara e la brutale liquidazione del suo reparto partigiano in Bolivia. Tuttavia la figura del Che continua a sopravvivere nelle memorie e nelle coscienze. La sua morte chiudeva la fase del cruento e violentissimo scontro impersonato dalla lotta armata e dai moti partigiani dei contadini contro le élite al governo quasi sempre dominate dai militari.
Per trovare informazioni e scoop bisognava sapersi destreggiare tra pratiche burocratiche molto severe e segreti militari che non ammettevano l’uscita di alcun tipo di notizia. Ci sono rigide regole a cui il giornalista deve attenersi se non vuole incorrere a gravi conseguenze o esporsi ai rischi che un’area di guerra può dare.
In America latina la scena politica era divisa in due partiti: quello dei militari e quello dei civili. La storia di questi paesi si riduceva alla continua lotta tra i due gruppi diventando una delle caratteristiche distintive dei regimi dell’America Latina: l’alternarsi di governi militari e civili.
Kapuscinski incontra l’islam nel 1956 durante il suo primo viaggio in India, Pakistan e Afghanistan. Nel capitolo quinto narra di questa sua nuova esperienza. Islam è una delle grandi religioni planetarie che penetra i continenti, culture e lingue quanto mai diversi tra loro. Rilevava il profondo senso religioso della vita dei mussulmani che conferisce loro un sentimento straordinariamente forte di identità, di comunione, di unità.
Intorno all’islam, oggi, vi è in corso un grande gioco politico, i media cercano di creare nell’inconscio dello spettatore di massa un associazione islam-terrorismo anche se in realtà i movimenti terroristici non costituiscono che una minima parte del mondo islamico.
Nel capitolo sesto Kapuscinski racconta di quando visita la Russia e ne analizza la storia. La descrive come un immenso paese situato in una posizione molto importante del nostro pianeta. La storia della Russi è stata per secoli la storia di un’incessante espansione, improntata per centinai di anni allo spirito di scoperta di nuove zone del mondo. Ma le sue dimensioni, all’inizio del XX secolo sono diventate una sorta di trappola. Nessuno è riuscito a prevedere il momento della caduta dell’impero sovietico, la caduta è da ricollegare a vari motivi, il principale, secondo Kapuscinski, era l’enorme dispendio di risorse per tenere testa alla corsa al potenziamento dell’arsenale nucleare messo in atto dall’amministrazione americana nell’era Regan. La peculiarità è che la Russia pur non essendo mai stata sconfitta sul campo, è crollata per la sua stessa incapacità di adeguarsi ai cambiamenti. Il crollo della struttura statale e di quella ideologica innescarono un inevitabilmente periodo di crisi profonda.
Oggi la Russia si trova ad un bivio ove si trovano a scontrarsi due forze: quella degli slavofili che vorrebbero mantenere la Russia come un mondo a parte e quella degli occidentalisti che vorrebbero annettere la Russia all’Occidente.
Nel settimo capitolo Kapuscinski afferma di essersi occupato per interi decenni del Terzo Mondo convinto che solo li si svolgesse la vera storia. Riportando però il suo interesse sull’Europa, si accorse la presenza di “due Europe”: quella occidentale “sviluppata” e quella orientale “sottosviluppata”. Sostiene inoltre, che in seguito ai suoi viaggi tra i Paesi dell’ex Unione Sovietica e in Russia la divisione in due Europe non solo permane ma si è addirittura approfondita. L’emigrato russo Heller sostiene che il comunismo è stato sconfitto su tutti i fronti tranne che su quello dell’educazione dell’uomo. Si tratta di un sistema che lascia tracce durature nella mentalità, nel modo di vedere il mondo, nella valutazione della realtà.
Nel 1989 subito dopo la caduta del muro ci fu un grande momento di euforia, presto seguito dalla delusione. Quello che ha colpito Kapuscinscki è stata la mancanza da entrambe le parti dell’Europa, di un tentativo di avvicinamento, del desiderio di conoscersi a vicenda e di cercare una piattaforma comune. In realtà, sostiene Kapuscinski l’Europa occidentale: “parla molto della creazione di un’unica Europa, ma in realtà non la vuole”. La nuova configurazione si traduce in sempre più società e sempre meno stato. Oggi che non esiste più il mondo bipolare le questioni sono diventate molto più complicate e complesse.
Negli ultimi 5 secoli, ossia dal tempo delle spedizioni di Colombo la cultura dominante del nostro pianeta era quella europea i cui modelli, i cui simboli hanno rappresentato un criterio universalmente accettato.
Visitare il mondo, oggi, riferisce l’autore, significa partire per zone contrassegnate da caratteristiche molto più specifiche di una volta. Un tempo la dominazione europea ci faceva sentire a casa nostra più o meno in tutto il mondo. Oggi la presenza europea si va sempre più restringendo. È iniziata la detronizzazione dell’Europa. Una volta erano solo gli europei a viaggiare per il mondo ora si assiste al processo inverso: gli europei si ritirano in Europa. 
L’esclusività dell’Europa occidentale è finita, la tanto sognata Europa non esiste più. Il processo di creazione di un’Europa multiculturale si svolgerà ad un ritmo sempre più veloce. Le trasformazioni demografiche in atto nel mondo assumono proporzioni delle quali nemmeno ci rendiamo conto.
L’Europa sta perdendo la sua identità tradizionale: è sempre meno un continente di cristiani bianchi e sempre più una zona multiculturale e multireligiosa. Il rapporto con l’islam sta diventando un problema interno del mondo europeo. Gli americani rimproverano gli europei occidentali di essersi chiusi in sé stessi, una chiusura che oggi è il punto più debole della cultura del Vecchio continente. L’Europa deve trovarsi un nuova collocazione sulla mappa del Mondo, l’autore è convinto che stiamo passando dall’ “Europa-Mondo” all’ “Europa nel Mondo”, questa, è la grande svolta davanti alla quale si trova il nostro continente.
Nell’ottavo capitolo Kapuscinski apre una profonda riflessione sul mondo attuale sopravvissuto a tutti gli sconvolgimenti del XX secolo: un mondo multiforme una sorte di variegato collage.
Kapuscinski non esista a ritornare su Erodoto: “ci si rende conto dell’impossibilità di conoscere la propria cultura senza conoscere quella degli altri”, si tratta della “teoria degli specchi”, secondo la quale la nostra cultura si specchia nelle altre, solo a quel punto inizia a diventare comprensibile. Le altre culture sono specchi nei quali ci riflettiamo e nei quali riusciamo realmente a vederci come siamo. Quello che dobbiamo chiederci è se, vivendo in culture, civiltà e religioni diverse, vogliamo cercarvi gli aspetti peggiori per rafforzare i nostri stereotipi, oppure sforzarci di scoprirvi dei punti di contatto.
Siamo 6 miliardi di individui che vivono in decine di culture, religioni e lingue diverse, con migliaia di interessi e bisogni diversi.
Diffondere oggi il conflitto di civiltà è pericoloso. Il problema sta nel vedere che cosa finirà per dominare il mondo.
L’autore pone il focus della questione sulla tragedia dell’11 settembre che in ultima analisi considera una conseguenza del prevalere dell’economia sulla politica.
In tutto il mondo si nota un progressivo indebolimento dello Stato, in effetti lo Stato ha perso i suoi principali attributi di governo e di controllo, a causa dell’odierno stratosferico sviluppo dei mezzi di comunicazione e di collegamento globale. L’economia del mondo sfugge al controllo statale, essendo la Stato una forza di tipo prettamente territoriale. Tutto ciò accade perché dalla fine del XX secolo è avvenuto un forte processo di eliminazione del controllo sociale sul potere. Conseguentemente tutti i meccanismi di controllo, di pressione e di correzione, una volta potenti, sono stati completamente esautorati, le sedi in cui vengono prese le decisioni si sono liberate da ogni controllo sociale. In base a questa consapevolezza molte persone non va più nemmeno a votare. Il voto è considerato un gesto puramente formale, tale atteggiamento esprime la totale indifferenza della società verso il potere, dovuta ad un senso di impotenza.
Affrontando il contemporaneo problema del terrorismo Kapuscinski rileva come i grandi Stati tentino di reagire al fenomeno con metodi puramente militari, dimenticando in tal modo che lo si può limitare, spiare, indebolire.. ma non liquidare. Qui l’autore giunge al nucleo centrale della riflessione: il terrorismo in prospettiva richiederà una guerra lunga di fronte alla quale non ci saranno né effetti immediati, né soluzioni spettacolari.
Ritornando sulla questione della globalizzazione Kapuscinski ci avvisa di tutta una serie di minacce incombenti sul mondo: il modo ricco non riuscirà più a isolarsi e a starsene per proprio conto, le riserve mondiali sono troppo esigue e i meccanismi della loro distribuzione o redistribuzione troppo imperfetti.
Secondo la propaganda semplificante dei grandi media la globalizzazione rappresenterebbe la via del benessere per tutti, ma non è proprio così, a guadagnarci, di fatto, sono solo i più potenti: banche, corporazioni che tengono al libero mercato. Esiste una teoria secondo la quale la globalizzazione sarebbe una diversa forma di colonizzazione.
Queste riflessioni ci consentono d’interpretare in maniera diversa gli avvenimenti dell’11 settembre, in quanto ci dimostrano che abbiamo a che fare con forze che nessuno realmente controlla e che in futuro saranno ancora più difficili da dominare. Kapuscinski afferma che si potrebbe identificare l’11 settembre come un sintomo delle malattie che pesano sul Mondo e, di conseguenza, si dovrebbe aprire un dibattito su quelle forze che, accumulatesi per anni, hanno finito poi per manifestarsi in modo così atroce.
Il libro non finisce senza una nota di speranza. Nel nono capitolo Kapuscinski individua nell’Asia centro-orientale, definita “la civiltà del Pacifico” la nuova nascente civiltà del XXI secolo, ove attualmente si concentra la maggior parte del capitale. È lì che si sposta il cuore pulsante dell’economia mondiale, il capitale vi affluisce non solo per motivi economici, ma anche culturali. Esiste una condizione particolarmente favorevole proprio nell’ambito delle culture asiatiche, che offrono la possibilità di coniugare tre importanti elementi della cultura asiatica tradizionale: il lavoro, il risparmio e la disciplina.
Nella storia dell’umanità esistono dei momenti in cui il mondo sboccia producendo una meravigliosa esplosione del pensiero umano. Purtroppo finora nessuno ha mai pensato di accomunare, in modo concreto, le culture gravitanti sulle diverse sponde del Pacifico. Oggi, grazie alla rivoluzione elettronica e tecnologica questa civiltà, si auspica, potrà finalmente organizzarsi.
La Cina è lo Stato demograficamente più vasto del mondo e in continua crescita. Come l’islam, la civiltà cinese si dimostra refrattaria agli influssi della civiltà americana. La Cina, molto ambiziosa, aspira a svolgere un ruolo egemone nella cosiddetta “Civiltà del Pacifico”.
Su questa riflessione Kapuscinski innesta il fenomeno delle migrazioni. Oggi gli immigrati stanno fisicamente in un luogo, ma attingono altrove la loro aspirazione culturale. L’emigrazione è un’unione tra la speranza ed il movimento. La speranza si avvera grazie al movimento. La gente cerca di migliorare le proprie condizioni di vita attraverso il movimento spostandosi da un luogo che considera “cattivo” ad un luogo che considera “buono”. Kapuscinski afferma che si tratta di un processo irreversibile, profondamente connaturato al pensiero dell’uomo. L’emigrazione è un processo che esiste da sempre, ma la scala su cui attualmente si svolge è immensa e finora mai riscontrata nella storia.
La storia tradizionale è stata una “storia di popoli”. Oggi per la prima volta dai tempi dell’Impero romano esiste la possibilità di creare una “storia delle civiltà”.
Questa nascente civiltà del Pacifico, rivela Kapuscinski con grande suggestione, rappresenterà un nuovo tipo di rapporto tra il mondo sviluppato e quello sottosviluppato, un rapporto basato sull’apertura, sulla speranza, sulla pluri-nazionalità.
Kapuscinski ci lascia con l’auspicio di un mondo trasformato dove i rapporti saranno improntati più alla collaborazione e costruttività, che allo sfruttamento e alla distruzione.
Giuseppe Angelini


Kyszard Kapuscinski 
Nel turbine della storia. Riflessioni sul XXI secolo
Feltrinelli, Milano 2015, pp. 191 (Prima edizione 2009)
 

____

08 dicembre 2017

In libreria

Giuseppe Ghigi
Oro e piombo. Il mercato della Grande guerra.
Pubblicità, cinema, propaganda. 1914-1918
Rubettino, Soveria Mannelli, 2017, pp. 264.
Descrizione
Nella prima Guerra mondiale, la propaganda che aveva il compito di mobilitare le masse trasse spunto dalla pubblicità e la pubblicità sfruttò il conflitto per vendere al meglio le merci, diventando al contempo parte integrante della comunicazione bellica. In definitiva la pubblicità si trasformava in propaganda così come la propaganda utilizzava la pubblicità: un intreccio diabolico costruito per vendere sia le merci che la guerra. Incuranti del massacro, della violenza, dei sacrifici che milioni di uomini erano costretti a subire, le aziende del fronte interno sfruttavano l'evento per aumentare i loro profitti: il patriottismo degli affari non aveva alcun pudore. Lo Stato divenne onnipresente nella vita sociale, e il marketing patriottico collaborò traendo profitto dalla guerra delle immagini. È in questo tragico contesto che nasce la moderna fabbrica del consenso.
___

05 dicembre 2017

In libreria

Flavio Fusi
Cronache infedeli
Voland, Roma, 2017, pp. 288.
Descrizione
Un diario di viaggio. Un viaggio di trent’anni attraverso i cambiamenti di un mondo in tumulto. Nuove geografie e frontiere, fragili paesi che nascono, antiche nazioni che si spengono come stelle fredde, intere comunità costrette all’esilio. Da Sarajevo assediata a Berlino liberata dal Muro, da New York inginocchiata davanti alle rovine delle Twin Towers a Mosca che maledice il proprio passato, il cronista raccoglie e racconta, cercando di mettere ordine nel caos che lo circonda. Il cronista è un testimone incantato: di notte vengono a trovarlo in sogno gli spettri benevoli dei compagni che ha incontrato lungo i sentieri dell’Africa, nei villaggi massacrati dell’America Latina e dei Balcani, nelle province dell’Impero sovietico in agonia. Il cronista non è un giudice, ma sempre e soltanto un complice. Un libro di memorie, sogni e ricordi. Una storia vera, autentica e infedele: una storia, in fondo, sommamente bugiarda.
___

02 dicembre 2017

Salsa & Chips 2017: così si è evoluto il giornalismo



La recente esplosione del fenomeno Internet offre al giornalismo possibilità straordinarie per rinnovarsi”.

È questa frase di Franco Carlini, a cui è stato dedicato il convegno, il punto fermo attorno al quale si è svolto l’evento Chips&Salsa che ha avuto luogo a Palazzo Ducale nella mattinata del 1 Dicembre 2017.
Franco Carlini lo aveva intuito già a partire dagli anni ’90: la rete impegnerà tutti i settori. E così all’evento hanno partecipato non solo giornalisti, ma anche professionisti in altri ambiti interessati al mondo del giornalismo.
Ai professionisti ospiti di questo convegno non piace parlare di crisi del giornalismo, quanto piuttosto di un forte cambiamento, di nuovi modi di lavorare e di sperimentare. Già nel 1997 Franco Carlini affermava “Come la radio non è stata spiazzata dalla televisione, ma vive perfino un nuovo momento felice, così anche i giornali di carta possono riscoprire il motivo più profondo, quello più utile per cui il lettore li va cercando”, a sostegno del fatto che internet e la rete e, più in generale, la trasformazione digitale, non sono un ostacolo per il giornalismo, ma uno strumento di sostegno e di rinnovo. Il mondo del web ha, per esempio, permesso ai giornali di sottrarsi dal tipico ”impoverimento” della notizia dettato dal poco spazio disponibile sulla carta stampata, permettendo di acquisire più spazio e maggiore libertà di scrittura.
Rispetto al modo di fare giornalismo di qualche decennio fa, e agli strumenti allora disponibili, oggi lo scenario è completamente rinnovato. La rete, e in particolare i social network, hanno offerto al mondo del giornalismo e della comunicazione nuove possibilità di cambiamento: cambiamento nel metodo di produzione delle notizie, cambiamento del pubblico, sempre più ampio e variegato, e cambiamento del prodotto. Ciò che non è cambiato sono i valori professionali.
Il profondo cambiamento avvenuto, soprattutto nell’ultimo ventennio, nella professione del giornalista, ha permesso ai professionisti di diventare inventori del proprio lavoro, osando e sperimentando.
Soprattutto nell’ultimo decennio, anche professionisti di altri settori hanno studiato il giornalismo e hanno, con esso, lavorato, sfruttando tutte le possibilità di conoscenza date dal web. Ne sono un esempio Matteo Moretti, il quale si occupa di visual journalism facendo un ampio uso di metafore visive, e Federico Mazzoleni, ideatore del progetto Graphic News, che ha scelto di fare informazione attraverso il fumetto, e permettendo di raccontare con maggiore facilità temi complessi come quelli di carattere scientifico.
Il mondo del giornalismo è senza dubbio cambiato, e con esso i metodi di lavoro dei singoli giornalisti, ma non per questo è giunto al capolinea: imparando a governare correttamente gli strumenti a nostra disposizione e accettando il progresso, possiamo dare vita a una nuova era del giornalismo.
 Roberta Condò


___

Archivio blog

Copyright

Questo blog non può considerarsi un prodotto editoriale, ai sensi della legge n. 62/2001. Chi desidera riprodurre i testi qui pubblicati dovrà ricordarsi di segnalare la fonte con un link, nel pieno rispetto delle norme sul copyright.