Le riviste dell'informazione
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28 gennaio 2010
I giornali di trincea
Il Piave mormorava. I Giornali satirici di trincea nella Prima Guerra Mondiale. Catalogo della mostra realizzata al Museo della Satira e della Caricatura, Forte dei Marmi, 19 dicembre 2009 - 28 febbraio 2010, a cura di Cinzia Bibolotti e Franco A. Calotti, Forte dei Marmi, Museo della satira, 2009, 105 pp.
Il volume presenta un'ampia panoramica dei giornali di trincea italiani ed esteri pubblicati durante la Prima Guerra Mondiale. Nella mostra sono esposti giornali e riviste delle collezioni di Francesco Maggi di Genova e Raffaele Bozzi di Serravalle Pistoiese.
Piazza Garibaldi - Forte dei Marmi
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Giornalismo di guerra,
Satira,
Storia del giornalismo
27 gennaio 2010
Giornata della memoria
"[...] Negli anni io ho letto ogni libro su quell’epoca, in ogni lingua che conosco, cercando di capire gli assassini. In che modo il male ha potuto raggiungere una tale profondità e una tale portata ? Non sono in grado di spiegare neanche la passività di chi è rimasto a guardare a tutti i livelli. Non era così difficile salvare una vita umana. [...]"
Elie Wiesel
Discorso al Parlamento italiano nella Giornata della Memoria, 27 gennaio 2010 [..leggi tutto].______________________
26 gennaio 2010
La comunicazione aziendale
Foyer del Teatro della Corte - Genova
I poeti del mercato
Quando la cultura incontra la pubblicità
Dal 1895 a oggi
Quando la cultura incontra la pubblicità
Dal 1895 a oggi
Ciclo di cinque incontri, organizzato in collaborazione con la Fondazione Mario Novaro. Il programma prevede cinque conferenze di carattere storico, corredate da un ricco apparato iconografico proiettato su uno schermo. Il primo appuntamento è il 22 gennaio 2010, quando Maria Novaro parlerà, con il supporto esemplificativo delle immagini, del tema Fra “La Riviera Ligure” e la Belle Epoque (1895-1920): De Amicis, Serao, Novaro, Pascoli e Palazzeschi.
Il ciclo proseguirà poi, sempre alle 17.30, venerdi 29 gennaio (La rivoluzione della “reklame” - 1920-1945: dannunzianesimo, futurismo e autarchia, relatore Claudio Bertieri), venerdì 5 febbraio (Verso il boom economico - 1945-1960: Calvino, Longanesi, Savinio, Soldati e Sinisgalli, relatore Antonio Todde), venerdì 12 febbraio (Comunicazione è cultura? - 1960-1990: da “Carosello” ai persuasori occulti, relatore Ferruccio Giromini), per concludersi venerdì 19 febbraio con l’intervento di Marco Vimercati sul tema: Cortocircuiti e linguaggio globale: 1990 e poi…
L’ingresso è libero. *link al Programma
*link al sito della Fondazione Mario Novaro di Genova, in cui é conservato un importante archivio di documenti sulla Pubblicità e la Comunicazione aziendale. Dal 1990 la Fondazione Mario Novaro pubblica i "Quaderni della Riviera ligure" (gli indici di tutti i numeri pubblicati sono consultabili nl sito della Fondazione).
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*Genova,
Eventi,
Poesia,
Pubblicità,
Storia del giornalismo
25 gennaio 2010
Albert Camus giornalista
Jean Daniel
Resistere all´"aria del tempo" (con Camus)
Messina, editore Mesogea, 2010, pp. 192.
Resistere all´"aria del tempo" (con Camus)
Messina, editore Mesogea, 2010, pp. 192.
Jean Daniel, uno dei decani del giornalismo europeo, nel suo saggio-racconto Resistere all'«aria del tempo» (con Camus), dispiega la trama dei ricordi del suo rapporto umano e professionale con l’autore de L’uomo in rivolta. Ne emerge il profilo meno noto, ma non certo meno importante, di Albert Camus giornalista, impegnato in prima persona nella pratica dell'informazione critica e nella resistenza a ogni forma di omologazione, all'aria del tempo. Ragioni e necessità di rileggere un autore e la sua opera fanno così tutt'uno, in queste pagine, con un'ampia riflessione su temi e inquietudini che ci riguardano da vicino.
*Leggi un capitolo del libro pubblicato sul sito dell'editore Mesogea.
v. anche la recensione di Bernardo Valli, Albert Camus. Così Jean Daniel racconta le passioni di un inviato speciale, "Repubblica", 25 gennaio 2010.
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Libreria,
Reportage,
Storia del giornalismo
24 gennaio 2010
In libreria
Massimo Bonanni
Discutere e decidere
Milano, Guerini associati, 2010.
Scheda
Discutere e decidere
Milano, Guerini associati, 2010.
Scheda
La discussione è la scoperta culturale che, insieme al teatro, all’oratoria e alla filosofia, caratterizza la cultura greca. Le sue origini sono già nell’epica omerica ma la sua nascita filosofica è dovuta a Socrate e a Platone nei cui dialoghi si trova anche la prima formulazione di quello che ai giorni nostri sarà il dibattito tra retorica e logica, tra dialettica e positivismo. La riabilitazione della retorica, accompagnata dalla frantumazione della logica in diverse logiche, ha generato uno sconvolgimento sia nelle scienze umane che in quelle della natura. E qualcosa di analogo è avvenuto con la rivalutazione delle passioni nelle scienze della mente. Dopo aver proposto una sistemazione sociologica delle varie forme di interazione verbale, A. esplora quell’arcipelago sismico che meglio rappresenta oggi il sistema delle nostre conoscenze. Una particolare attenzione è dedicata a quanto è avvenuto negli ultimi anni in discipline quali la logica, il diritto, l’economia, la politologia e la psicologia sociale.
Massimo Bonanni è professore di Teoria politica all’Università di Genova; ha lavorato alla Commissione di Bruxelles (Gabinetto del Commissario Altiero Spinelli) ed è stato direttore delle ricerche all’Istituto Affari Internazionali.
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In libreria
Massimo Baldini
Popper, Ottone e Scalfari
Roma, Luiss University Press, 2010, 140 pp.
L'oggettività nel giornalismo: ideale da perseguire o mito da sfatare? Il viaggio di un filosofo attraverso tendenze e tendenziosità della stampa dalle origini ai giorni nostri.
Percorsi di approfondimento:
Popper, Ottone e Scalfari
Roma, Luiss University Press, 2010, 140 pp.
L'oggettività nel giornalismo: ideale da perseguire o mito da sfatare? Il viaggio di un filosofo attraverso tendenze e tendenziosità della stampa dalle origini ai giorni nostri.
Percorsi di approfondimento:
Piero Ottone, Intervista sul giornalismo italiano a cura di Paolo Murialdi, Roma-Bari, Laterza, 1978.
Piero Ottone, Le regole del gioco, Milano, Longanesi, 1984.
Piero Ottone, Preghiera o bordello: storia, personaggi, fatti e misfatti del giornalismo italiano,Milano,: Longanesi, 1996.
Piero Ottone, Storia del giornalismo italiano : preghiera o bordello, Milan, TEA, 1998.
Piero Ottone, Il buon giornale: come si scrive, come si dirige, come si legge, Milano, Longanesi & C., 1987. Piero Ottone, La guerra della rosa, Milano, Longanesi, 2009 (prima edizione 1990)
.Eugenio Scalfari, La sera andavamo in via Veneto. Storia di un gruppo dal «Mondo» alla «Repubblica», Torino, Einaudi, 2009 (prima edizione 1986).
.Eugenio Scalfari, La sera andavamo in via Veneto. Storia di un gruppo dal «Mondo» alla «Repubblica», Torino, Einaudi, 2009 (prima edizione 1986).
Angelo Cannatà, Eugenio Scalfari e il suo tempo. Un viaggio nelle idee di Scalfari e nei fatti, gli avvenimenti più importanti della recente storia d'Italia, Milano, Mimesis. 2010.
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23 gennaio 2010
Grande invito al grandioso incendio
Scintille tra giornalismo e letteratura
Spazio e tempo. Dove siamo? A che punto? Giusto il tempo di controllare la bussola, di guardarci un attimo intorno e indietro. Il saggio è brevissimo, potrebbe esser un male non fosse fatto bene, potrebbe esser spazzatura finisse con la sola lettura, invece non solo è scheletrico e sintetico ma anche essenziale ed emblematico. Tanti, non troppi, esempi. Corsi all’ultima pagina vien da correre ad altre di pagine. Perché in un’intera vita non si legge mai abbastanza, ancora un quinto in quella di un ventenne, studente al quale questo testo è principalmente rivolto (Clotilde Bertoni è docente universitario). Più che un piccolo saggio credo sia quindi un grande invito alla lettura. A meno che non si riesca a resistere al grande ottocento francese (illusioni) o a un sottovalutato novecento italiano (allusioni), alla ferocia di Balzac e alla delicatezza di Flaubert (doti intercambiabili), al tocco femminile della Cederna e della Serao, al tocco umoristico di Pirandello, quello fantastico di Buzzati, a meno che non si riesca a resistere a Capote, a sangue freddo. Il tempo di controllare la bussola, di guardarci intorno e indietro: bene, andiamo di là. Il rapporto tra giornalismo e letteratura. Pochissime pagine per ripassare e riscoprire lungo l’asse dello spazio le differenze tra il giornalismo italiano e quello anglosassone, tra la letteratura europea e quella americana. Per ricordare e riflettere lungo l’asse del tempo, per esser spettatori della tradizionale “lotta corpo a corpo” tra i due generi che “tendono costantemente a ribadire la loro specificità e a confermare la loro lontananza, ma altrettanto costantemente a confrontare le loro dinamiche e a confondere i loro confini” (Clotilde Bertoni, Letteratura e giornalismo, Roma, 2009). L’esclusività di questo punto di vista, la promiscuità tra questi due mondi, è il senso dell’invito, del testo. Sì, tutti avranno letto qualcosa di Balzac e di Pirandello, ma probabilmente pensando a tutto il resto, pensandoli come altro. Il senso dell’invito è a cercare nelle Illusioni perdute o tra vita e forma come giornalismo e letteratura si siano incontrati, scontrati. Sì, tutti sapranno almeno qualcosa della Cederna e di Capote, ma l’invito è a cercare dietro una donna, un’altoborghese, dietro a Il lato debole, oltre le polemiche di una memoria collettiva smemorata e smaniosa, e dietro un dandy, a un omosessuale, dopo una Colazione da Tiffany, oltre tutto, come l’essere giornalista e l’essere letterato si siano abbracciati. Questo testo funziona, anche se qualche approfondimento in più serviva (una pennellata in più nei ritratti degli autori o nei paesaggi storici), anche se qualche posizione netta non serviva (non è detto che l’asciuttezza della scrittura sia cosa buona e giusta sempre, sarebbe alzare il braccio del giornalismo come vincitore della lotta), questo grande invito alla lettura funziona perché non invita (solo) a leggere Balzac, Pirandello, Cederna e Capote, ma a leggerli con la bussola puntata esattamente là, a metà tra giornalismo e letteratura, e con il tempo fermo. Non avrebbe senso, non ha senso un invito a qualcosa già visto o dovuto (“Oggi vieni con me? Ti faccio vedere casa tua. Un consiglio intanto: respira regolarmente”). Ecco che, lo spazio d’affacciarsi dalla scrivania, il tempo di finire il libro, tutti corrono per assistere all’incontro tra giornalismo e letteratura, all’incendio: “un barbaglio di luci e di splendori, indimenticabile turbinio di nudità femminili, ecco lo spettacolo che la vita mondana offre di quando in quando allo stanco monocolo del disincantato croniqueur”, l’emblematico personaggio di Campanile che continua così il suo pezzo a metà tra giornalistico e letterario, un pezzo di cronaca né nera né rosa, quanto rosso fuoco: “ieri sera, nei sontuosi saloni di palazzo Folena s’è svolto un grandioso, indimenticabile incendio a cui hanno partecipato tutti gli inquilini dello stabile” (Achille Campanile, In campagna è un’altra cosa, Milano, Rizzoli, 1999, p. 268).
Spazio e tempo. Dove siamo? A che punto? Giusto il tempo di controllare la bussola, di guardarci un attimo intorno e indietro. Il saggio è brevissimo, potrebbe esser un male non fosse fatto bene, potrebbe esser spazzatura finisse con la sola lettura, invece non solo è scheletrico e sintetico ma anche essenziale ed emblematico. Tanti, non troppi, esempi. Corsi all’ultima pagina vien da correre ad altre di pagine. Perché in un’intera vita non si legge mai abbastanza, ancora un quinto in quella di un ventenne, studente al quale questo testo è principalmente rivolto (Clotilde Bertoni è docente universitario). Più che un piccolo saggio credo sia quindi un grande invito alla lettura. A meno che non si riesca a resistere al grande ottocento francese (illusioni) o a un sottovalutato novecento italiano (allusioni), alla ferocia di Balzac e alla delicatezza di Flaubert (doti intercambiabili), al tocco femminile della Cederna e della Serao, al tocco umoristico di Pirandello, quello fantastico di Buzzati, a meno che non si riesca a resistere a Capote, a sangue freddo. Il tempo di controllare la bussola, di guardarci intorno e indietro: bene, andiamo di là. Il rapporto tra giornalismo e letteratura. Pochissime pagine per ripassare e riscoprire lungo l’asse dello spazio le differenze tra il giornalismo italiano e quello anglosassone, tra la letteratura europea e quella americana. Per ricordare e riflettere lungo l’asse del tempo, per esser spettatori della tradizionale “lotta corpo a corpo” tra i due generi che “tendono costantemente a ribadire la loro specificità e a confermare la loro lontananza, ma altrettanto costantemente a confrontare le loro dinamiche e a confondere i loro confini” (Clotilde Bertoni, Letteratura e giornalismo, Roma, 2009). L’esclusività di questo punto di vista, la promiscuità tra questi due mondi, è il senso dell’invito, del testo. Sì, tutti avranno letto qualcosa di Balzac e di Pirandello, ma probabilmente pensando a tutto il resto, pensandoli come altro. Il senso dell’invito è a cercare nelle Illusioni perdute o tra vita e forma come giornalismo e letteratura si siano incontrati, scontrati. Sì, tutti sapranno almeno qualcosa della Cederna e di Capote, ma l’invito è a cercare dietro una donna, un’altoborghese, dietro a Il lato debole, oltre le polemiche di una memoria collettiva smemorata e smaniosa, e dietro un dandy, a un omosessuale, dopo una Colazione da Tiffany, oltre tutto, come l’essere giornalista e l’essere letterato si siano abbracciati. Questo testo funziona, anche se qualche approfondimento in più serviva (una pennellata in più nei ritratti degli autori o nei paesaggi storici), anche se qualche posizione netta non serviva (non è detto che l’asciuttezza della scrittura sia cosa buona e giusta sempre, sarebbe alzare il braccio del giornalismo come vincitore della lotta), questo grande invito alla lettura funziona perché non invita (solo) a leggere Balzac, Pirandello, Cederna e Capote, ma a leggerli con la bussola puntata esattamente là, a metà tra giornalismo e letteratura, e con il tempo fermo. Non avrebbe senso, non ha senso un invito a qualcosa già visto o dovuto (“Oggi vieni con me? Ti faccio vedere casa tua. Un consiglio intanto: respira regolarmente”). Ecco che, lo spazio d’affacciarsi dalla scrivania, il tempo di finire il libro, tutti corrono per assistere all’incontro tra giornalismo e letteratura, all’incendio: “un barbaglio di luci e di splendori, indimenticabile turbinio di nudità femminili, ecco lo spettacolo che la vita mondana offre di quando in quando allo stanco monocolo del disincantato croniqueur”, l’emblematico personaggio di Campanile che continua così il suo pezzo a metà tra giornalistico e letterario, un pezzo di cronaca né nera né rosa, quanto rosso fuoco: “ieri sera, nei sontuosi saloni di palazzo Folena s’è svolto un grandioso, indimenticabile incendio a cui hanno partecipato tutti gli inquilini dello stabile” (Achille Campanile, In campagna è un’altra cosa, Milano, Rizzoli, 1999, p. 268).
Alessandro Ferraro
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21 gennaio 2010
Tacchi a spillo e dreamers solo di notte
Ho già scritto sulla questione Mediaset vs Youtube, ho già invitato a riflettere sui provvedimenti delle istituzioni e le limitazioni delle libertà personali. Se nell’episodio precedente è stata la magistratura a decidere sul web, in questo è il governo a decidere sulla tv. Dopo l’abbattimento della legislazione a sostegno delle produzioni indipendenti di fiction e di cinema italiano, il freno agli affollamenti pubblicitari per il satellite, la stretta sul web, l’articolo 9 del così detto decretoTv, che entrerà in vigore tra una settimana, vieta "la trasmissione, anche a pagamento, dei film ai quali sia stato negato il nulla osta per la proiezione o la rappresentazione in pubblico o che siano stati vietati ai minori di anni diciotto nonché dei programmi classificali a visione per soli adulti dalle 7 alle 23 su tutte le piattaforme di trasmissione". In un primo momento ho pensato fosse un bene, pensando ai film porno. In un secondo momento ho realizzato che la realizzazione e la fruizione di queste opere generano lavoro e guadagno. In un terzo momento ho letto e riflettuto che confinare i film per adulti sarà confinare film come Tacchi a spillo di Almodovar e The dreamers di Bertolucci (i primi che mi vengono in mente). In un quarto momento mi sono documentato come fosse principalmente colpita SkyTv che ha cinque canali per adulti con un fatturato di 45 milioni di euro, che continua sia a esser colpita, dopo i tetti pubblicitari, sia a rimaner estranea alla polemica politica. In un ultimo e sesto momento (e non è servito il sesto senso) ho scrollato la testa per l’ennesimo colpo basso, nel corpo a corpo Berlusconi-Murdoch. Non penserò male, ritornerò ai primi momenti della mia riflessione. I bambini vanno tutelati, ma serve coerenza (per la cultura). Un film troppo spinto può far male, ma uno violento fa male uguale; uno spot televisivo ferisce come una scena cinematografica; una battuta detta in una trasmissione o un’esasperazione fatta in un talk possono infastidire come una scena a letto in un film così o un pugno tirato in un film colà; infine c’è il telecomando per cambiare canale e ci sono i genitori per cambiare camera. Infine c’è che bisogna tener conto di tutti i momenti della riflessione, fino al sesto, e se necessario aggiungerne un settimo e un ottavo. È una questione di libertà personali, come sempre.
Alessandro Ferraro
19 gennaio 2010
In libreria
Giancarlo Leone - Giovanni Scatassa
Economia e gestione dei media
Roma, Luiss University Press, 2010, 307 pp.
Economia e gestione dei media
Roma, Luiss University Press, 2010, 307 pp.
La rivoluzione digitale e la crisi globale stanno evidenziando e accelerando processi di cambiamento prima latenti, ridefinendo scenari, operatività, quadro concorrenziale e modelli di consumo dei media.
In questo contesto in continuo, rapido cambiamento il libro parte dall'analisi dei business editoriali "classici" per spostarsi gradualmente verso televisione, on-libe, radio e cinema, mostrandone specificità, integrazioni e prospettive nell'era della comunicazione multimediale, multipiattaforma, costantemente aggiornata, interattiva, personalizzata, capace di raggiungerci in ogni momento, in ogni luogo e con ogni mezzo. Dedicato agli studenti e agli appassionati della materia, Economia e Gestione dei Media racconta questo universo attraverso l'analisi dei suoi protagonisti, le aziende che vi operano, approfondendone il lato industriale, economico e organizzativo.
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18 gennaio 2010
In libreria
Piero Ottone
La guerra della rosa
Milano, Longanesi, 2009 (prima edizione 1990)
La guerra della rosa
Milano, Longanesi, 2009 (prima edizione 1990)
Il gruppo Mondadori-Espresso, formato alla fine degli anni Ottanta attraverso la fusione di due gloriose case editrici, era il più importante complesso editoriale in Italia: pubblicava un quotidiano nazionale, la Repubblica, tre newsmagazine, L'Espresso, Panorama, Epoca, una quindicina di quotidiani locali, settimanali di varietà e femminili. Era inoltre il primo editore di libri. Principale azionista: Carlo De Benedetti. Ma Silvio Berlusconi decise di affrontarlo, per strappargli il controllo. Nacque così uno scontro frontale che fu poi chiamato la Guerra della Rosa, prendendo lo spunto dal simbolo della casa editrice fondata da Arnoldo. Piero Ottone, lui stesso rivestito allora di incarichi alla Mondadori, conosceva da lungo tempo i vari personaggi, e assisteva allo scontro in prima fila. Quando ancora le sorti del gruppo non erano decise, Ottone scrisse e pubblicò questo libro, raccontando gli eventi con la partecipazione del testimone e con il distacco dello spettatore. C'è stato un seguito. Nel 2007 i giudici hanno però definitivamente accertato che una sentenza decisiva per la proprietà del gruppo era stata comperata a beneficio della Fininvest di Berlusconi attraverso la corruzione di un giudice, e il Tribunale civile di Milano, in seguito a tale corruzione, ha condannato la stessa Fininvest a pagare alla CIR di De Benedetti un risarcimento di settecentocinquanta milioni di euro. In questa nuova edizione, Ottone ripercorre gli ultimi avvenimenti.
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17 gennaio 2010
Perché i giornali sono necessari
"Le immagini di Haiti devastata non dicono per intero il disastro, come quasi sempre accade nelle grandi calamità naturali. Dicono il punto terminale di una storia lunga, accorciandola e sforbiciandola d’imperio.
Ritraggono la tragedia ignorando le tragedie già avvenute: tremando, la terra le inuma ancor più profondamente. Raffigurano in modi sconnessi lo sguardo di un bambino salvato, struggente di bellezza, e il fulgore tremendo dei machete impugnati da superstiti a caccia di cibi, acqua, medicine. Orrore, bellezza, empatia, discordia: sono frammenti caotici di un tutto inafferrabile. Sono istantanee, e ogni istantanea è la punta di iceberg che restano inesplorati. Vediamo solo questa punta, commossi da eventi estremi. Facendo uno sforzo sentiamo l’odore di morte, descritto dai reporter. La base dell’iceberg, quel che viene prima del sisma, s’inabissa sotto le macerie con i morti. È il terribile destino di parole come umanità, soccorsi umanitari, guerre umanitarie: parole cui si ricorre in simili emergenze e che cancellano la storia, eclissano le responsabilità dei grandi e dei piccoli, dei singoli e delle autorità pubbliche. Parole che narrano una catastrofe solo naturale, non anche umana e politica. Per questo è così prezioso il giornalismo scritto. La televisione mostra solo un pezzetto di realtà, più o meno bene (i telegiornali italiani meno bene della Bbc).
Twitter cattura l’urlo di Munch. Solo lo scritto ha la respirazione lenta della storia. Solo lui può dire quel che era prima del punto terminale, e come possa succedere che l’acme sia questo e non un altro, se possibile meno esiziale.
Le fotografie delle catastrofi sono sempre in qualche modo taroccate. Ci viene «rifilata» una realtà, contorta magari inconsciamente. Privilegiando un riquadro e trascurandone altri falsifichiamo l’immagine, come ben spiegato in un blog attento alle manipolazioni visive (G.O.D., Ghostwritersondemand): ci lamentiamo dei trucchi, «ma siamo noi i grandi rifilatori». Noi che aggiustiamo le foto dei cataclismi, i reportage, trasformando individui e popoli in nuda umanità indistinta alle prese con la natura e sconnessa dalla pòlis. Foto e telecamere mostrano la mano che soccorre, non quella che ha distrutto e aumentato la vulnerabilità d’un Paese. Denunciano la natura matrigna della natura, non della politica; l’eclisse di Dio, non dell’uomo imputabile. Basta leggere su La Stampa i due articoli scritti da Lucia Annunziata, il 14 e 16 gennaio, per scoprire dietro l’Ultimo istante e l’Ultimo uomo una miserabile storia fabbricata dai politici. [...leggi tutto]"
Barbara Spinelli
B. Spinelli, Catastrofe non solo naturale, "La Stampa", 17 gen. 2010.
* link all'articolo di Lucia Annunziata segnalato nell'editoriale di Barbara Spinelli
Lucia Annunziata, Povertà sangue e voodoo, "La Stampa", 14 gen. 2010.
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16 gennaio 2010
In libreria
Franco Bevilacqua
Corpo otto. Scelte di carattere
Roma, Edizioni Ponte Sisto, 2009, 240 pp.
Corpo otto. Scelte di carattere
Roma, Edizioni Ponte Sisto, 2009, 240 pp.
Descrizione
Un libro di ricordi, di "antiche storie" e incontri, in parte scritto e in parte disegnato, ricco di informazioni, di vignette, di aneddoti, di personaggi di oltre quarant'anni della vita giornalistica ed editoriale italiana. Giornalista, grafico, illustratore e vignettista, Franco Bevilacqua è della generazione che ha fatto la storia del giornalismo grafico in Italia, a partire dagli anni Sessanta. Dopo le prime esperienze nei giornali studenteschi, Bevilacqua comincia il suo percorso professionale nel settimanale "Vita", per poi passare alla "Fiera Letteraria" e ai settimanali illustrati del "Corriere della Sera". Nel 1970, Bevilacqua è a "Paese Sera"; nel 1976 è tra i fondatori de "la Repubblica". Dopo essere stato art director de "L'Europeo" e de "Il Globo", realizza numerosi progetti grafici per quotidiani e periodici. Con Giorgio Forattini partecipa all'ideazione e alla realizzazione di campagne pubblicitarie. Nella prefazione, Miriam Mafai ricorda con emozione gli anni a "Paese Sera", in particolare "alcune pagine", come quella inventata da Bevilacqua per la morte di Picasso, quando spostò la testata a centro pagina per far posto in alto a un grande titolo e, su nove colonne, a una striscia con un particolare del famoso quadro Guernica: "Non era mai successo, prima di allora, che una testata non fosse al suo posto".
Un libro di ricordi, di "antiche storie" e incontri, in parte scritto e in parte disegnato, ricco di informazioni, di vignette, di aneddoti, di personaggi di oltre quarant'anni della vita giornalistica ed editoriale italiana. Giornalista, grafico, illustratore e vignettista, Franco Bevilacqua è della generazione che ha fatto la storia del giornalismo grafico in Italia, a partire dagli anni Sessanta. Dopo le prime esperienze nei giornali studenteschi, Bevilacqua comincia il suo percorso professionale nel settimanale "Vita", per poi passare alla "Fiera Letteraria" e ai settimanali illustrati del "Corriere della Sera". Nel 1970, Bevilacqua è a "Paese Sera"; nel 1976 è tra i fondatori de "la Repubblica". Dopo essere stato art director de "L'Europeo" e de "Il Globo", realizza numerosi progetti grafici per quotidiani e periodici. Con Giorgio Forattini partecipa all'ideazione e alla realizzazione di campagne pubblicitarie. Nella prefazione, Miriam Mafai ricorda con emozione gli anni a "Paese Sera", in particolare "alcune pagine", come quella inventata da Bevilacqua per la morte di Picasso, quando spostò la testata a centro pagina per far posto in alto a un grande titolo e, su nove colonne, a una striscia con un particolare del famoso quadro Guernica: "Non era mai successo, prima di allora, che una testata non fosse al suo posto".
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15 gennaio 2010
Media del domani: siamo tutti reporter
Ustation, il portale dei media universitari italiani, promuove per la prima volta un'iniziativa sul tema del giornalismo partecipativo e lancia una sfida aperta alla diffusione delle notizie nell'era del web 3.0.
Gli studenti aspiranti reporter sono inviati a partecipare al contest di Ustation Challenge sul giornalismo partecipativo "I media del domani. Siamo tutti reporter" comunicando la personale visione della società attuale e del futuro in un mondo che cambia grazie alle nuove tecnologie.
I "giornalisti dal basso" possono inviare inchieste, servizi, reportage, piccoli documentari realizzati in formato video, audio o immagini; una giuria tecnica e gli utenti del portale Ustation voteranno i migliori; ai vincitori saranno assegnati notebook MacBook.
Sono previste a giugno 2010 altre 2 iniziative analoghe rispettivamente dedicate a due temi di attualità: "Un paese sostenibile" e "La realtà come la vuoi tu".Per tutti i dettagli consultare Ustation.
Silvia Dini
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14 gennaio 2010
Anobii, il grande naso letterario
Non esiste barba di prova che sia stato Gutenberg ad inventare i caratteri mobili né a stampare un libro. Così scrive Guy Bechtel, uno tra i pochi credibili biografi dell’affarista-tipografo magontino, che non fu certo in grado di cogliere la portata dell’invenzione che gli viene, dai più, attribuita.
La proto-tipografia per circa cinquant’anni userà la carta stampata più o meno come accidentale contenitore e la produzione libresca sarà sostanzialmente plagiara del lavoro degli amanuensi, che si andranno estinguendo sotto il piombo dei primi monotipi.
Impigliati nella Rete, la stessa sorte toccherà ai tipografi.
Con Aldo Manuzio nasce l’editoria e quindi si può parlare di diffusione dei saperi e dell’informazione. Il contenitore diverrà finalmente un pragmatico supporto per servire il contenuto e, per la prima volta, si daranno alle stampe stupefacenti progetti culturali.
Il banchetto che poi, produzione e cultura, mercato e media - il Quarto più che il Quinto potere, hanno fatto di questa storia, è sotto gli occhi di tutti.
Se guardiamo con lo specchietto retrovisore, tanto per citare McLuhan (meglio lui di un elettro-profeta), e vogliamo comparare due momenti emozionanti legati a invenzioni della galassia libresca, uno è quello che ci mostra, appunto, l’officina aldina a Venezia, a partire dal 1494; l’altro potrebbe essere aNobii.com di Greg Sung, Hong Kong, 2005 (e nel 2007 a Firenze, la versione “.it ”).
Implacabile con autori illusionisti e autorini illusi e con le loro vacue scatolette letterarie, nasce, diciamo, l’homo aNobii, un critico libero dall’editoria inessenziale, alla quale proprio lui potrebbe, chissà, restituirgli autorevolezza e credibilità, che sia essa di carta o a led.
Le comparsite mediatiche dei Soliti serviranno a poco con la crescente diffusione della Rete. Gli editori managers, cosiddetti, dopo un effimero boom editoriale grazie anche all’edicola (dove oggi, mentre la carta stampata - giornali in testa - è in caduta libera, sale la vendita di raccolte di coltelli, piatti, crocifissi, ecc), raschiano il fondo del barile rimbrottandoci dal pulpito delle loro rotative la nostra riluttanza verso il mercato. Gli riuscirà sempre meno rifilarci, anche solo come gadget, le Filippiche di Cicerone o Il libro delle Vergini di D’Annunzio, rilegati in pelle editoriale (plastica, sic).
aNobii squarcia, annusa, distrugge o degusta per noi la pagina letteraria. Polverizza quella banale e quella furba, premia quella che nutre, quella che ci fa sognare. E’ il naso etico che revocherà l’isolamento critico al lettore, brutalizzato dai troppi autori che vilipendiano la letteratura consapevole e ci ammiccano dalla quarta di copertina o dalla terza dei giornali, come se mostrarci la loro faccia fosse garanzia di qualcosa.
Il 5 novembre 1995 ad Acquasanta (Ge), dentro una vecchia cartiera e sotto gli occhi del lettore (oggi, on demand), fu prodotto Libretto di Edoardo Sanguineti (disegni di Mario Persico) con tecnologia Xeros, non certo adeguatamente sofisticata allora. Probabilmente per la prima volta, fu distribuito on line un libro inedito di un grande protagonista della letteratura italiana del Novecento, che si poteva produrre anche in ambiente domestico con una semplice stampante.
Si è trattato di un progetto di ecologia culturale così come voleva il Manifesto dell’antilibro (G. Dorfles, F. Pirella, M. Persico, E. Sanguineti): stampare cosa serve quando serve.
L’autore poteva consapevolmente diventare editore di sé stesso - “l’autoproduzione rende liberi” - mettendo fine alle lobby delle intermediazioni libresche. Il vero libro non sarebbe stato più quello di carta (documento), ma quello posato nella memoria del pc (oggi, E-book).
I sacrosanti diritti riservati alle opere dell’intelletto, invece, sono divenuti ormai esigibili con i software in circolazione.
Però mancava ancora un cardine: come informare i lettori?
La risposta potrebbe essere proprio aNobii, un passaparola che ci rimanda alla nobiltà dell’uomo libro e forse non lo sa ancora ma potrebbe essere anche un neo-editore, mecenate democratico, disinteressato a cavalcare il web e mutare la cartastampata in cartamoneta, semplicemente perché un social networking non riconosce il sistema produttivo.
E lì, evviva, non c’è barba di mercato che tenga. Per ora.
Francesco Pirella
"FILI d’ARCAL", 1:10
*pubblicato per gentile concessione dell'autore.
*link al sito aNobii.com
*link all'edizione italiana aNobii.it
Francesco Pirella é il fondatore ed il direttore di ARMUS Archivio Museo della stampa di Genova). Per saperne di più leggi: Intervista a Francesco Pirella, a cura di Marco Picasso, metaprintart.info, 1° dicembre 2009.
*link all'edizione italiana aNobii.it
Francesco Pirella é il fondatore ed il direttore di ARMUS Archivio Museo della stampa di Genova). Per saperne di più leggi: Intervista a Francesco Pirella, a cura di Marco Picasso, metaprintart.info, 1° dicembre 2009.
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13 gennaio 2010
"Un diverso parlare"
La possibilità per una società civile di creare un’informazione di tipo multiculturale è direttamente proporzionale al grado di civiltà della società stessa.
Il testo Un diverso parlare di Marcello Maneri e Anna Meli, descrive come in Italia il percorso di integrazione delle comunità immigrate passi anche attraverso i media. Questi, definiti dagli autori “media multiculturali”, rivestono una particolare rilevanza perché informano ed intrattengono questo pubblico che difficilmente troverebbe rappresentanza nei canali tradizionali. I canali presi in considerazione sono la carta stampata, la radio e la televisione, rappresentati con le dovute differenze di creazione, gestione e target a cui indirizzare il proprio lavoro.
Il testo Un diverso parlare di Marcello Maneri e Anna Meli, descrive come in Italia il percorso di integrazione delle comunità immigrate passi anche attraverso i media. Questi, definiti dagli autori “media multiculturali”, rivestono una particolare rilevanza perché informano ed intrattengono questo pubblico che difficilmente troverebbe rappresentanza nei canali tradizionali. I canali presi in considerazione sono la carta stampata, la radio e la televisione, rappresentati con le dovute differenze di creazione, gestione e target a cui indirizzare il proprio lavoro.
Il problema che interessa gli autori del testo è la potenzialità di questi progetti all’interno dei media italiani. Mentre la carta stampata può definire a priori il proprio pubblico, per scelte di campo e soprattutto per scelte linguistiche, i media culturali di radio e televisione vivono in una situazione decisamente più complicata perché ospiti della (monolingue) tv italiana. Ma all’interno della programmazione radiotelevisiva, i format creati per i migranti possono raggiungere un pubblico decisamente più ampio della free press distribuita nelle agenzie Western Union. Il canale perfetto non esiste, soprattutto per una realtà che si tende erroneamente sempre più spesso a generalizzare.
Dfficilmente si può trovare un punto in comune negli usi e nei costumi delle diverse etnie che compongono la società dei migranti che si è stabilita in Italia. Non esiste una lingua dell’immigrato. Queste diversità portano ad un’ ovvia difficoltà ad uniformare un format utile ad informare ed intrattenere.
Il problema italiano è complesso. L’immigrazione è vista come un elemento negativo, i media la dipingono in una maniera che spaventa l’italiano medio. L’immigrato, seppur integrato, rischia sempre la messa in discussione; le mele marce, che sono marce sia indigene che barbare, sono messe nella condizione di reiterare i propri reati. L’Italia ha paura del diverso, dimentica il fatto di essere stata il trampolino di milioni di uomini che hanno raggiunto tutti i continenti alla ricerca di una nuova vita negli anni della crisi. L’Italia ha grosse divisioni interne che ne minano la stabilità. La crisi fa chiudere a riccio e gli aculei devono essere ben serrati per garantire la sicurezza.
Qui il problema dei media multiculturali. Spesso sono portatori di ghettizzazione perché non si interessano di far da ponte tra le culture. Il giornale scritto per un etnia è in lingua, è autoreferenziale, tratta dell’Italia solo nel momento in cui l’Italia tratta di quell’etnia. Sicuramente utile per mantenere il legame con la madrepatria e con le tradizione, sicuramente lodevole perché nessuno deve dimenticare le proprie origini, sicuramente isolazionista.
L’italiano non si interessa a questo tipo di editoria. Non c’è piacere nel conoscere chi sta intorno. Si vive di pregiudizio o al contrario di cieca devozione interessata. Questa editoria non fa nulla per invitare il migrante ad essere un po’ più italiano, ma soprattutto per invitare l’italiano nel mondo del migrante.
Il problema della lingua potrebbe essere il primo da cui partire. In Italia solo ora si inizia a parlare un’altra lingua, per motivi di studio o lavorativi. L’italiano non è la lingua più semplice da imparare, anche per chi in Italia è nato e cresciuto. Inoltre il colonialismo non ha assolutamente esportato la nostra lingua negli stati da cui provengono i migranti. Queste premesse ci aiutano a capire le motivazioni di una comunità nel preferire la propria lingua a quella del paese ospitante. Ma le lingue degli immigrati sono tante e tanti saranno i free press, le trasmissioni radiofoniche e i programmi televisivi. Tutto questo porta ad una dispersione enorme di risorse, ad una impossibile collaborazione tra i vari attori della scena multiculturale ma soprattutto ad un disinteresse della comunità autoctona nei confronti del nuovo che avanza.
Stati in cui la lingua nazionale è più globalizzata possono permettersi di integrare meglio alcune etnie che parlano allo stesso modo. L’Inghilterra è l’esempio più eclatante ormai quasi tutti conoscono l’inglese. In Italia nessuno arriva con un’infarinatura scolastica di italiano. Nascono le difficoltà, perché se nessuno ti capisce nessuno riesce ad aiutarti. Se in Italia fosse diffuso il bilinguismo, non il tedesco del Trentino ma il semplice inglese o i vicini francese e spagnolo, sicuramente una parte di immigrati riuscirebbe a farsi comprendere e magari a creare una stampa di interesse più generale.
Secondo problema è l’interesse suscitato dagli argomenti. L’italia è una spugna culturalmente esterofila. I film e le serie televisive straniere (doppiate dalla migliore scuola di doppiaggio del mondo) riempono i nostri palinsesti. I libri stranieri, tradotti, sono nelle nostre librerie. La musica straniera va di pari passo, più o meno, con la nostra. Il terreno pare fertile per un altro tipo di contaminazione. I temi autoreferenziali delle pubblicazioni multiculturali ci allontanano come il crocifisso per i vampiri. Probabilmente non ci interessa la spiegazione della politica italiana che riguarda l’immigrazione o più semplicemente già non ci interessa se scritta in italiano, figuriamoci in una lingua a noi sconosciuta.
Qui il problema che a mio avviso è il più determinante: la questione culturale. La cultura in Italia latita. Non c’è interesse se non per argomenti standardizzati e svuotati di contenuto per essere assorbiti dalla massa. La tv generalista è piena di belle donne e vuota di concetto. I giornali sono anacronistici per chi li compra e un’incognita per chi no. La radio è in leggera ripresa grazie alle interminabili ore passate nel traffico. Chiedere agli italiani di sforzarsi nel comprendere le altre culture è uno sforzo troppo grande. Si prende il diverso, gli si mette addosso il clichè (peraltro facilmente indossabile) ed il gioco è fatto.
Concludendo l’analisi di Maneri e Meli è decisamente interessante, anche nel metodo di ricerca, e mostra una situazione che deve cercare di uscire fuori e di far capire che il diverso non è sempre e comunque un male, evitando però la sterile ghettizzazione. Nel momento in cui da parte sua ci sarà questo intento starà a noi rispondere all’appello e capire che il diverso non è sempre e comunque un male.
Francesco Traverso
Un diverso parlare. Il fenomeno dei media multiculturali in Italia a cura di Marcello Maneri e Anna Meli
Roma, Carocci, 2007, 128 pp.*link all'Indice del libro.
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12 gennaio 2010
La comunicazione non basta mai
Come é possibile che la comunicazione non basti mai? Peppino Ortoleva ne Il secolo dei media* affronta il tema dei mezzi di informazione procedendo attraverso una ricostruzione storica degli ambienti in cui i media si sono sviluppati.
I mezzi di comunicazione hanno cambiato lo stile di vita della persone, non solo a livello pratico ma anche ad un livello più profondo, quello della coscienza. La consapevolezza di vivere in un mondo condiviso e il fatto di poter annullare le distanze attraverso le nuove tecnologie e conoscere realtà lontane, ha sempre condizionato e continuerà a condizionare fortemente la società.
Così come la musica è diventata portatile, così come la canzone è diventata visibile e il videoclip ha ucciso le star radiofoniche, così come i film a luci rosse hanno dato vita ad un filone cinematografico nuovo infrangendo i tabù e modificando le tradizioni, così come la pubblicità si è radicata nelle nostre vite ed è diventata anima del commercio, così come internet permette di inventare realtà virtuali, la comunicazione e i suoi mezzi continueranno e ad evolversi come un infinito fiume in piena.
Alimentando ed essendo a sua volta alimentato da quel tessuto intrecciato tra innovazione tecnologica e sviluppo sociale, la comunicazione non basta e non basterà mai.
I media, prodotti dalla necessità di informazione e insieme portatori di informazione, hanno lo straordinario compito di permettere la comunicazione. Nonostante il rischio di cadere nella ridondanza, di diventare troppo invadenti e di sommergere di informazioni, continueranno a crescere in un processo a spirale, e la loro evoluzione punterà all’ulteriore soddisfacimento delle esigenze degli utenti e allo sfruttamento dei traguardi della tecnica.
Fino a qualche anno fa il telefono cellulare era infatti una novità guardata da molti con sospetto perché in grado di trasformare la normalità rendendo reperibile ovunque chiunque. Poi le cose sono cambiate: sarà inevitabile la dipendenza verso la tecnologia del futuro, come ormai è del resto diventata scontata la subordinazione a strumenti un tempo ancora troppo nuovi e innovativi per poter entrare subito a far parte della vita quotidiana delle persone.
Elena Sacchetto
Peppino Ortoleva
Il secolo dei media. Riti, abitudini, mitologie
Milano, Il Saggiatore, 2009.
In libreria
Gianluca Gardini, Pina Lalli
Per un'etica dell'informazione e della comunicazione. Giornalismo, radiotelevisione, new media, comunicazione pubblica
Milano, Franco Angeli, 2009, pp. 224.
Descrizione
Per un'etica dell'informazione e della comunicazione. Giornalismo, radiotelevisione, new media, comunicazione pubblica
Milano, Franco Angeli, 2009, pp. 224.
Descrizione
La "discussione pubblica", nell'accezione ampia del termine, si è trasferita dai luoghi tradizionali di incontro, come le piazze, i caffè e le assemblee, alle arene mediatiche. I media veicolano informazioni, aiutano a interpretare le dinamiche della società contemporanea e, soprattutto, dettano l'agenda dei problemi e orientano le opinioni dei cittadini. Alla conoscenza diretta di ciò che ci circonda si aggiunge una conoscenza mediata degli avvenimenti, difficile da controllare e da verificare.
I mezzi di comunicazione di massa assicurano maggiore visibilità alle procedure decisionali e alle figure pubbliche: ciò aumenta sia il loro potere sia la loro responsabilità nei confronti dei cittadini. La comunicazione e l'informazione rivestono ormai un ruolo tale da coinvolgere la dimensione dell'etica pubblica: al suo centro, infatti, si trova il corretto funzionamento della sfera pubblica, ossia uno spazio di dibattito, il più possibile libero da restrizioni e interessi privati, che serve come luogo di esplorazione delle idee per la formazione di un'opinione pubblica. [leggi tutto...]
*segnalato da C.S.
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11 gennaio 2010
Bechelloni, tra chiarezza e ripetitività
Il libro si sviluppa in dodici capitoli che hanno come comune denominatore l’attenzione che Bechelloni vuole catalizzare attorno alla professione giornalistica. La tesi che l’autore porta avanti con fermezza e lucidità è che il giornalismo è diventato ormai da tempo il principale produttore e divulgatore delle conoscenze che gli esseri umani hanno di se stessi, del mondo che abitano e che contribuiscono a far esistere e a trasformare. Tutto ciò argomentato da tesi secondo cui, nella società mediatizzata, il giornalismo d’attualità ha assunto un’inedita centralità per l’intero mondo della comunicazione (per il quale funzione da fonte di primo grado) e per il suo pubblico, che è costituito potenzialmente dall’intero genere umano.
Bechelloni parte da un’analisi generale sull’attuale stato di salute del giornalismo euro-atlantico, secondo lui sempre più vulnerabile, per poi concentrarsi sulle specificità italiane, mettendo in evidenza quei momenti della storia e della politica che hanno messo in crisi il giornalismo e l’intero sistema d’informazione nel nostro paese. Quelle posizioni che inquadravano il giornalismo come “quarto potere”, nel contesto del costituzionalismo moderno, oggi vengono meno, a favore di un giornalismo che sempre più si esercita a delegittimare la politica piuttosto che a vegliare su di essa.
Tutto questo l’autore lo esprime in forma chiara, semplice e scorrevole tanto quanto ripetitiva. Una costante in questo saggio è infatti la ripetizione; l’autore con ogni probabilità ha deciso di utilizzarla come tecnica per essere penetrante e per non lasciare spazio a errate interpretazioni, rischiando tuttavia di rendersi noioso.
Un’altra tecnica che viene più volte utilizzata da Bechelloni è quella di rivolgersi in modo molto diretto al lettore, richiamando spesso la sua attenzione con espressioni del tipo: “Cosa bisogna fare dunque per evitare questo rischio? Penso che il lettore attento lo abbia capito”. Si tratta di una tecnica molto usata da alcuni scrittori che la utilizzano per mantenere sempre vivo l’interesse alla discussione, coinvolgendo il lettore direttamente.
“Comunicazione”, “giornalismo” e “politica” sono le parole chiave del libro; esse danno il titolo ad uno dei paragrafi centrali e vengono messe in relazione tra loro sulla base di quella “attenzione per l’altro” che dovrebbero avere, e che, secondo l’autore, in questi ultimi quindici anni è venuta meno. In questi passaggi Bechelloni si dimostra perentorio e dispiaciuto ma altrettanto convinto in una possibile inversione di tendenza.
Non mancano inoltre continui riferimenti al sistema politico e informativo americano, le cui sorti hanno condizionato fortemente il sistema delle democrazie europee a carattere liberale. Analogie e differenze tra il giornalismo politico europeo e quello americano vengono messe in luce da Bechelloni con la solita chiarezza e lucidità.
Nel focalizzare il punto di svolta di un giornalismo politico italiano “critico per” a favore di un giornalismo “critico contro”, l’autore mette in evidenza il periodo degli “anni di piombo”, l’assassinio di Moro e il peso che hanno avuto due personaggi come Craxi e De Mita nel panorama politico italiano. E’ da questo momento in poi che, secondo Bechelloni, il giornalismo italiano si esercita a delegittimare la politica; condivisibile o meno la tesi è interessante ma allo stesso tempo ideologizzata e semplicista. Infatti l’autore afferma che Craxi non piaceva perché era troppo alto, arrogante o esplicito e De Mita troppo nebuloso e incomprensibile. Di sicuro non sono piaciuti ma non di certo per l’altezza o per l’incomprensibilità. Non sono piaciuti perché con “mani pulite” si è scoperto che erano corrotti e che le loro condotte erano profondamente antidemocratiche. L’autore in questo caso si dimostra un po’ troppo nostalgico di quella prima Repubblica che sicuramente qualcosa di buono lo aveva fatto, ma che in quel momento stava delegittimando se stessa. In questo caso sono giustificati i risentimenti di un giornalismo che, in quanto cane da guardia del potere politico, doveva prendere le distanze da tali condotte.
L’autore conclude il saggio concretamente, lanciando un’idea per la rinascita di un giornalismo di opinione consapevole. L’idea è quella di istituire una Scuola Superiore di Giornalismo affinché la formazione alla professione giornalistica abbia una validità istituzionale riconosciuta, alla pari di altre professioni non meno importanti.
Giorgio Dellepiane
Giovanni Bechelloni
La comunicazione giornalistica. Una centralità poco percepita
Firenze, Le Lettere, 2009, 162 pp.
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Recensione
10 gennaio 2010
In libreria
Giovanni Bechelloni
La conversione dello sguardo. Verso nuovi orizzonti epistemologici negli studi di comunicazione
Firenze, Ipermedium, 2009, pp. 224.
Descrizione
La conversione dello sguardo. Verso nuovi orizzonti epistemologici negli studi di comunicazione
Firenze, Ipermedium, 2009, pp. 224.
Descrizione
Il libro mette insieme molti dei mattoni necessari per costruire la teoria della comunicazione necessaria per fondare una scienza nuova, sulla scia del grande filosofo napoletano Giambattista Vico, che per primo la invocò. Una scienza capace di comprendere il mondo degli umani: "animali" terrestri che alcuni vorrebbero trasformare in esseri mostruosi; denominati "digitali". La conversione dello sguardo è un processo e un percorso che comporta, innanzitutto, una rottura epistemologica e, in secondo luogo, la capacità di attivare una pluralità di sguardi – sociologico e giornalistico, filosofico e psicoanalitico, umanistico e scientifico – che oltrepassano le barriere costruite dalle discipline istituzionalizzate e dagli stereotipi del senso comune, che si frappongono alla capacità umana di osservare e comprendere, di dialogare e comunicare. La conversione dello sguardo, in altre parole, dovrebbe consentire quella convergenza di sguardi sul mondo che solo una conoscenza armata di buonsenso è capace di produrre, andando oltre l’opinione.
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09 gennaio 2010
Giornalismo riflessivo
"[...] Però non è più possibile sopportare tutto questo. Io lavoro, punto. Tutti, qui lavoriamo. E non vogliamo altro. Ci sta bene pure dormire in queste condizioni, non importa, l'importante è lavorare onestamente e spedire i soldi a casa. Ma non possiamo essere sparati, come è successo al mio amico Babou, e non reagire. Non abbiamo più niente da perdere. La gente deve capire un concetto semplice: io sono sbarcato a Lampedusa, ho rischiato di morire in mare, per venire qui. Credevo di trovare il paradiso e ho trovato l'inferno. Ho rischiato di morire già una volta, non mi fa paura rischiare di morire adesso, perché so di essere nel giusto. [...]".
Ahmed, immigrato di Rosarno, "Il Fatto", 9 gen. 2010
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"[...] Non hai più la forza di pensare e sognare una vita migliore di questa, sei solo incazzato con te stesso per esserti infilato, senza sapere come, in un inferno senza vie d’uscita. [...] Cerchi di farti sentire. Vuoi far sapere a tutti che non sei più disponibile a fare quella vita; che, anche se hai accettato un lavoro da schiavo, se non sai che cos’è un contratto di lavoro, se non sai che esiste il sindacato, se non pretendi di essere tutelato da uno Stato di diritto che in una parte del suo territorio accetta che esista la schiavitù, hai comunque una dignità e una vita da difendere. Vuoi affermare che non puoi essere scambiato per un tiro a segno, che la tua carne brucia non solo per il freddo che accumuli durante le troppe ore di lavoro, ma perché da troppo tempo il tuo cuore non riesce ad essere riscaldato dai suoni, dagli odori e dagli affetti della tua terra e quindi pompa in circolo solo sangue avvelenato. Rosarno brucia. Il resto dell’Italia è lontana, irraggiungibile [...]
Mimmo Calopresti, "Il Fatto", 9 gen.2010
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[...] Credere di fermare l’immigrazione clandestina combattendo gli immigrati è una pia illusione ed è un atto vile. Non è l’immigrato che sollecita la malavita, è la malavita che incrementa e orienta l’immigrazione clandestina ed è interessata a creare condizioni esasperate, anche attraverso la guerra fra poveri, per potere vendere a maggior prezzo e con più alto profitto la povera carne umana su cui riesce a mettere le mani. E che dire degli imprenditori schiavisti? [....]
Moni Ovadia, "L'Unità", 9 gennaio 2010
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Percorsi di lettura per capire:
-A. Leogrande, Uomini e caporali. Viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del Sud, Milano, Mondadori, 2008.
-V. Polchi, Blacks out Un giorno senza immigrati, Roma-Bari, Laterza, 2009.
- M. Rovelli, Servi. Il paese sommerso dei clandestini al lavoro, Milano, Feltrinelli, 2009.
- G.A. Stella, Negri, Froci, Giudei. L’eterna guerra contro l’altro, Milano, Rizzoli 2009
* link a Terrelibere.org
-V. Polchi, Blacks out Un giorno senza immigrati, Roma-Bari, Laterza, 2009.
- M. Rovelli, Servi. Il paese sommerso dei clandestini al lavoro, Milano, Feltrinelli, 2009.
- G.A. Stella, Negri, Froci, Giudei. L’eterna guerra contro l’altro, Milano, Rizzoli 2009
* link a Terrelibere.org
08 gennaio 2010
In libreria
Bruno Soro
Il gatto della crisi. Divagazioni e divulgazioni di economia e politica
Genova, De Ferrari editore, 2009, 160 pp.
Scheda
Il volume raccoglie una selezione di articoli pubblicati dall’ autore sul quotidiano on line CorriereAl, che traggono spunto da notizie economiche apparse sui principali quotidiani, dalla lettura di libri e articoli su riviste di divulgazione scientifica, nonché da argomenti di attualità. Temi quali l’inflazione, lo spettro della recessione, l’economia di Obama, la durata della crisi, sono affrontati con un linguaggio semplice che consente a chiunque di confrontarsi con l’Economia e non solo. Il testo è anche utile agli studenti universitari di materie economiche, che potranno verificare la propria capacità di comprendere alcuni dei fenomeni economici oggetto di commento sulla stampa specializzata.
*Link alla recensione pubblicata nel sito "Città futura" di Alessandria.
*Link alla rubrica di Bruno Soro Dietro la notizia in "Città futura".
*segnalato da S.C.
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01 gennaio 2010
Convivenza multiculturale
"[...] Oggi in Europa e in particolare nelle grandi città la compresenza di persone, di lingua, di cultura e di religione, spesso di colore della pelle diversa, sarà sempre meno l'eccezione e sarà sempre più la regola.
Io credo che abbiamo, semplificato, due scelte: una è quella che ultimamente è diventata famosa col termine epurazione etnica, cioè ripulire ogni territorio dagli altri, rendere omogeneo, rendere esclusivo, etnicamente esclusivo un territorio e quindi dire che chi li non diventa uguale agli altri, perché vuole coltivare la sua diversità o chi semplicemente viene cacciato da lì, cioè non gli viene neanche permesso di integrarsi, se ne vada, con le buone o le cattive, fino allo sterminio. L'altra possibilità è quella che ci attrezziamo alla convivenza, che sviluppiamo una cultura, una politica, un'attitudine alla convivenza, cioè alla pluralità, al parlarsi, all'ascoltarsi. Ora credo che finché non costava, finché era una moda, il plurietnico, il pluriculturale era anche vello, faceva chic; per esempio l'Italia era un paese in cui tutti i grandi giornali erano pieni di sdegno sulla xenofobia altrui: gli svizzeri hanno fatto un altro referendum xenofobo, in Germania ci sono stati episodi di intolleranza xenofoba, in Francia ecc. Oggi ci accorgiamo che questo diventa tragicamente realtà anche da noi; forse per la semplice ragione che prima gli altri non li avevamo tra noi e quindi era facile sopportarli finché stavano lontani; una volta che ci sono, diventa meno facile. Allora io credo che, promuovere una cultura, una legislazione, un'organizzazione sociale, per la convivenza pluriculturale, plurietnica, diventa, oggi, uno dei segni distintivi della qualità della vita, una delle condizioni per poter avere un futuro vivibile.
Visto che abbiamo parlato di comunicazione interculturale io credo che essa non debba avvenire in modo volontaristico e quasi a denti stretti come un obbligo, ma diventare anche un piacere. Penso che nella convivenza tra diversi noi sia molto importante che ognuno di questi noi non si senta in pericolo, cioè non si senta minacciato. Quando si sente minacciato è vicina la tentazione della violenza e non c'è conflitto più coinvolgente di quello etnico o razziale o religioso, che subito forma fronti, schieramenti difficilissimi poi da riconciliare. Quindi io credo che oggi uno dei grandi compiti di chiunque abbia voglia di un futuro amico sia proprio quello di diventare in qualche modo, nel suo piccolo, pontiere, costruttore di ponti del dialogo, della comunicazione interlculturale o interetnica. [...]"
Alexander Langer, 1994
*La riflessione qui trascritta risale al 1994 ma già prefugurava con chiara lucidità le problematiche e le sfide del nostro oggi indicando le giuste soluzioni per costruire un "futuro amico".
La citazione è estratta da Alexander Langer, Quattro consigli per un futuro amico 31 dicembre.1994, Convegno giovanile di Assisi, Natale 1994, pubblicato nel sito della Fondazione Alexander Langer.
Percorsi di ri/lettura
Alexander Langer (1946-1995): questa poliedrica figura del secondo novecento italiano aveva lo sguardo ben aperto sul futuro e i suoi scritti riletti oggi appaiono profetici. Tra i libri pubblicati postumi cfr. A.Langer, Il viaggiatore leggero. Scritti (1961-1995) Palermo, Sellerio Editore, 2003. Si propone anche di esplorare il sito della Fondazione Alexander Langer particolarmente ricco di documenti, articoli, bibliografie ecc.
Alexander Langer (1946-1995): questa poliedrica figura del secondo novecento italiano aveva lo sguardo ben aperto sul futuro e i suoi scritti riletti oggi appaiono profetici. Tra i libri pubblicati postumi cfr. A.Langer, Il viaggiatore leggero. Scritti (1961-1995) Palermo, Sellerio Editore, 2003. Si propone anche di esplorare il sito della Fondazione Alexander Langer particolarmente ricco di documenti, articoli, bibliografie ecc.
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