Il volume Guerra e informazione è curato da Maurizio Torrealta, giornalista di lungo corso della Rai, ha collaborato al programma “Samarcanda” per poi essere assunto al Tg3, attualmente è responsabile delle inchieste di Rainews 24. Il libro è un insieme di testimonianze di giornalisti, scrittori e voci importanti della stampa internazionale. Sono sedici racconti, sedici storie vere, vissute dai protagonisti come inviati per le loro testate, ma anche come persone, esseri umani che hanno dovuto raccontare momenti, fatti e personaggi in situazioni critiche.
Il tema della guerra può considerarsi un “evergreen” purtroppo ed il fatto che questi scritti siano stati pubblicati tra il 2002 e il 2004 potrebbe lasciare pensare che siano ormai sorpassati. Nulla di più errato. Naturalmente il tema portante è il terrorismo, l’attacco al World Trade Center, la situazione in Palestina e nel resto del Medio Oriente nonché riguardo all’attenzione che l’Occidente (in particolare gli Stati Uniti) ha avuto verso quei Paesi diventati da preziosi alleati a “Stati canaglia”.
Il clima che si respira in quasi tutti i racconti non è quella canicola irrespirabile che si poteva percepire ogni giorno davanti a un Tg o un quotidiano dell’epoca, intriso di allarmi, paura e fobie.
C’è invece un senso di nitidezza nell’analisi delle cose che si rivelano molto più semplici di quanto per anni si è voluto far credere con il mezzo di potere che (storicamente) ha funzionato maggiormente: la paura.
Di certo sia Fisk che Abdel Bari Atwan, avrebbero potuto instillare il terrore che hanno provato ad intervistare Osama Bin Laden (in tutto solo tre giornalisti sono riusciti nell’impresa). Invece Fisk fa un paragone tra il terrorista saudita e G.W.Bush, all’epoca presidente in carica degli Stati Uniti, in quanto entrambi utilizzano gli stessi termini di “Guerra del Bene contro il Male” oppure che si dovrà combattere la “Madre di tutte le battaglie”. Atwan descrive addirittura Bin Laden come “Alto, magro con un volto rilassato ed un sorriso dolce che parlava a voce bassa senza mai interrompere il suo interlocutore (...) era molto umile nel comportamento”.
Si nota una netta differenza tra i giornalisti occidentali (fatta forse eccezione per Robert Fisk dell’Independent, che non a caso vive in Libano) e quelli africani e o mediorientali.
Le firme scelte, sono veramente mirate: Amira Hass è una giornalista israeliana che racconta la vita nella Striscia di Gaza, con occhio lucido. Ha perso lettori ed è stata duramente criticata sia dai palestinesi che dagli israeliani, o meglio da quei palestinesi ed israeliani che non vogliono sentirsi raccontare come vanno le cose veramente nei territori occupati.
È interessante scoprire come ogni storia abbia più storie al suo interno, dalla biografia di scrive alle loro esperienze, ai consigli e anche alle opinioni di coloro che stando sul campo, hanno una visione differente dalla maggior parte del mondo.
Prima di concludere, credo sia necessario citare altri autori, come la compianta Anna Politkovskaia, che se possibile lascia un’immagine ancora più critica e commovente della difficoltà di raccontare ciò che accade in Cecenia. Inoltre all’epoca la Politkovskaia era ancora viva, ma questo non fa altro che rafforzare il merito del suo lavoro.
L’ultima parte del libro riporta testimonianze di autori africani o che lavorano nell’Africa subsahariana. Peter Verlinder, Baffour Ankomah e Joachim Mbanza, narrano la storia di un’Africa come teatro delle marionette. L’Occidente con la colonizzazione violenta prima ed economica poi, ha segnato in modo irrevocabile la situazione africana. Elezioni pilotate dalla CIA, golpe, rivoluzioni e le “guerre tribali” che in realtà non sono tali dato che sono stati proprio i colonizzatori a tracciare col righello delle linee che non hanno mai tenuto conto delle nazioni vere, già presenti proprio con le tribù (lo spiega bene Ankomah).
Infine gli italiani Antonio Ferrari, del Corriere della Sera e Giovanna Botteri, inviata del Tg3, raccontano con schiettezza la vita del reporter di guerra, delle sue difficoltà, dei pericoli, degli orari assurdi che scandiscono la giornata e della preoccupazione di chi ha una famiglia a casa.
Lascio alla Botteri il compito di descrivere il perché sia lì invece che a casa con sua figlia: “Lo faccio perché è per questo che sono qui, per informare quelli che sono dall’altra parte dello schermo in modo neutrale e per fornire loro gli elementi necessari alla formazione di un giudizio personale”.
Diego Cambiaso
Guerra e informazione. Un’analisi fuori da ogni schieramento
a cura di Maurizio Torrealta
Milano, Sperling & Kupfer, 2005, 290 pp.
Gli autori
• Giovanni De Mauro- fondatore e direttore di “Internazionale”
• Marjane Satrapi - scrittrice, fumettista iraniana autrice di “Persepolis”
• Mawafak Tawfik- giornalista di Al Jazeera
• Salima Ghezali - direttrice del quotidiano algerino “La Nation”
• Giovanna Botteri - all’epoca inviata di guerra per il Tg3, oggi è corrispondente dagli USA
• Baffour Ankomah - ghanese, direttore della rivista “New African”
• Marc Cooper - giornalista di “The Nation”, collabora con il “L.A. Weekly” e il “Los Angeles Times”
• David A.Klatell - direttore della Scuola di Giornalismo della Columbia University
• Anna Politkovskaia - all’epoca scrittrice di punta della “Novaja Gazeta”, uccisa il 7 ottobre 2006 in circostanze da appurare
• Ignacio Ramonet - direttore de “Le Monde Diplomatique”
• Antonio Ferrari - inviato del “Corriere della Sera”
• Peter Verlinden - giornalista della VRT, radio-televisione pubblica belga, con vasta esperienza in Africa
• Joachim Mbanza - direttore de “La semaine africaine”, settimanale congolese
• Robert Fisk - inviato di guerra prima del “The Times” oggi per “The Independent”
• Amira Hass - corrispondente dai territori palestinesi del quotidiano israeliano “Haaretz”
• Abdel Bari Atwan - palestinese, fondatore e direttore di “Al-Quds Al-Arabi” a Londra.
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