Nel 2009 Giorgio Silvestri aveva pubblicato il volume I media della diaspora italiana. Dal bollettino al blog (Marenostrum, 2009), per il suo secondo libro ha scelto la forma del romanzo per continuare ad indagare nella storia lenta dell'Italia migrante. Protagonista è una famiglia italo-spagnola il cui capostipite, Giovanni Battista Picasso, nel 1872 partì dal porto di Genova per raggiungere la Spagna in cerca di fortuna. Nel tempo i Picasso si affermarono diventando esponenti di rilievo della comunità italiana in Spagna, partecipando anche alla fondazione della Camera di Commercio Italiana per la Spagna, nel 1914. Per questo il libro Cento esce in collaborazione con la stessa Istituzione a ricordo del primo centenario, in edizione bilingue. Giorgio Silvestri, nato a Recco (Genova) nel 1984 si è laureato in Scienze Politiche all'Università di Genova nel 2008 e ha conseguito il Master in Giornalismo organizzato da El Mundo-Unidad Editorial, S.A. e Universidad CEU San Pablo nel 2009. Dopo la laurea si è stabilito a Madrid dove ha svolto tirocini presso l'Ambasciata d'Italia in Spagna e la Camera di Commercio e Industria Italiana per la Spagna.
Le riviste dell'informazione
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31 maggio 2014
Scaffale amico
Nel 2009 Giorgio Silvestri aveva pubblicato il volume I media della diaspora italiana. Dal bollettino al blog (Marenostrum, 2009), per il suo secondo libro ha scelto la forma del romanzo per continuare ad indagare nella storia lenta dell'Italia migrante. Protagonista è una famiglia italo-spagnola il cui capostipite, Giovanni Battista Picasso, nel 1872 partì dal porto di Genova per raggiungere la Spagna in cerca di fortuna. Nel tempo i Picasso si affermarono diventando esponenti di rilievo della comunità italiana in Spagna, partecipando anche alla fondazione della Camera di Commercio Italiana per la Spagna, nel 1914. Per questo il libro Cento esce in collaborazione con la stessa Istituzione a ricordo del primo centenario, in edizione bilingue. Giorgio Silvestri, nato a Recco (Genova) nel 1984 si è laureato in Scienze Politiche all'Università di Genova nel 2008 e ha conseguito il Master in Giornalismo organizzato da El Mundo-Unidad Editorial, S.A. e Universidad CEU San Pablo nel 2009. Dopo la laurea si è stabilito a Madrid dove ha svolto tirocini presso l'Ambasciata d'Italia in Spagna e la Camera di Commercio e Industria Italiana per la Spagna.
Per saperne di più vedi la newsletter sul sito di Co.mit.es
Link al Blog di Giorgio Silvestri Dal Bollettino al Blog
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25 maggio 2014
In libreria
Alessandro Gazoia (jumpinshark))
Come finisce il libro.
Contro la falsa democrazia dell'editoria digitale
Roma, minimum fax, 2014, 207 pp. (disponibile anche in formato ebook)
Come finisce il libro.
Contro la falsa democrazia dell'editoria digitale
Roma, minimum fax, 2014, 207 pp. (disponibile anche in formato ebook)
Descrizione
Da Gutenberg in poi, abbiamo immaginato il nostro progresso intellettuale legato indissolubilmente alla «cultura del libro». Ma oggi, mentre a noi lettori capita sempre più spesso di avere in mano uno smartphone o un e-reader, sembra che questa storia secolare volga al termine, portando con sé la scomparsa dell’editoria come la conosciamo, e forse la trasformazione radicale del concetto stesso di «letteratura». Se ad alcuni sembra un’apocalisse, Amazon.com e le piattaforme di self-publishing disegnano un radioso futuro in cui il rapporto fra chi scrive e chi legge sarà più aperto, diretto, libero. Ma è veramente così? Con un’idea chiarissima di come si sta evolvendo la nostra «società della conoscenza», Alessandro Gazoia analizza lo stato presente del mondo del libro, italiano e internazionale, ed esplora i possibili scenari futuri: mettendo in guardia contro il rischio di confondere le strategie di mercato con il libero scambio di idee, e illustrando invece le autentiche potenzialità rivoluzionarie dell’editoria digitale, Come finisce il libro vuole essere il manifesto di un percorso diverso per il futuro dei libri.
Da Gutenberg in poi, abbiamo immaginato il nostro progresso intellettuale legato indissolubilmente alla «cultura del libro». Ma oggi, mentre a noi lettori capita sempre più spesso di avere in mano uno smartphone o un e-reader, sembra che questa storia secolare volga al termine, portando con sé la scomparsa dell’editoria come la conosciamo, e forse la trasformazione radicale del concetto stesso di «letteratura». Se ad alcuni sembra un’apocalisse, Amazon.com e le piattaforme di self-publishing disegnano un radioso futuro in cui il rapporto fra chi scrive e chi legge sarà più aperto, diretto, libero. Ma è veramente così? Con un’idea chiarissima di come si sta evolvendo la nostra «società della conoscenza», Alessandro Gazoia analizza lo stato presente del mondo del libro, italiano e internazionale, ed esplora i possibili scenari futuri: mettendo in guardia contro il rischio di confondere le strategie di mercato con il libero scambio di idee, e illustrando invece le autentiche potenzialità rivoluzionarie dell’editoria digitale, Come finisce il libro vuole essere il manifesto di un percorso diverso per il futuro dei libri.
*link ad alcune pagine del libro sul sito dell'editore
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23 maggio 2014
Raccontare la crisi
Crisi economica, spread, mutui subprime, crisi del debito sovrano. Questi sono solo alcuni dei termini più comuni che, negli ultimi anni, sono diventati giocoforza parte della nostra vita quotidiana. In particolare da quando le pagine dei giornali, i servizi dei Tg e i siti di informazione si sono riempiti di queste parole, nel tentativo di spiegare, raccontare ed interpretare questo periodo così particolare della storia del nostro paese e non solo. E come fare, allora, a districarsi in questi discorsi a noi così poco familiari? Come possiamo interpretare tutto il materiale che ci viene messo a disposizione? Ma, ancor prima, come possiamo essere certi dell’affidabilità di tutto ciò che leggiamo e ascoltiamo?
Antonio Preziosi, direttore dal 2009 al 2014 di Radio Uno e Giornale radio Rai, parte proprio da qui, cercando di fornire i mezzi, definiti da lui “cassetta degli attrezzi”, agli stessi giornalisti per fornire un’informazione per quanto possibile obiettiva, ma soprattutto etica e rigorosa.
L’analisi si sviluppa agilmente lungo le 143 pagine del libro, arenandosi solo raramente in complicati tentativi di districarsi nei processi economici che regolano il nostro paese e, più in generale, l’Europa. Preziosi non cade nella trappola dell’autocompiacimento, evitando di trasformare la sua opera in una continua lode al lavoro svolto da Radio Uno nel “raccontare la crisi”. Evita altresì di accanirsi su ciò di quanto accaduto finora che non lo convince, limitandosi a utilizzare alcuni esempi negativi legati al mondo del giornalismo, per fornire gli strumenti di analisi citati in precedenza. Il libro, pur necessitando di una certa dimestichezza da parte del lettore negli argomenti trattati, è accessibile e facilmente digeribile anche ai meno “ferrati”. Non attacca, nondifende e non sostiene singoli argomenti, preferendo analizzarli uno ad uno e cercando di volta in volta di trovare il giusto compromesso tra “ciò che è” e “ciò che dovrebbe essere”. Si libera, ad esempio, del mito del giornalista obiettivo, conscio che, per quanto rigoroso esso sia, ogni articolo ha alle sue spalle una mente pensante, consapevole e piena di opinioni personali. Non per questo, però, il giornalista deve ritenersi esentato dal fornire ai propri lettori una versione credibile ed eticamente veritiera dei fatti, evitando di dar voce a opinioni personali o “voci” non verificate che minerebbero l’utilità della notizia.
I temi dell’analisi sono molteplici. Preziosi comincia facendo una rapida panoramica del mondo dell’informazione al giorno d’oggi, dando il giusto peso al web, di cui la stessa Radio Uno è stata pioniera, ma senza svalutare i classici mezzi di comunicazione di cui ovviamente la radio si fa capofila. Spaziando dai temi della crisi e di come andrebbe raccontata e interpretata, passando per l’importanza dell’Euro e, più in generale, della Comunità Europea, fino ad arrivare al ruolo fondamentale che la comunicazione svolge nei processi economici, Preziosi affonda con calma colpo su colpo, senza lasciarsi forzare la mano in critiche facili ma inutili e proseguendo la sua battaglia col motto “l’informazione dev’essere conoscenza”. Il tutto si risolve in un libro per certi versi illuminante, capace di raccontare e, allo stesso tempo, spiegare “come raccontare”, traducendosi indirettamente in una guida tanto per gli scrittori (i giornalisti) che per i lettori.
Preziosi, arrivato alla fine del suo ruolo di direttore nel marzo del 2014, non lascia spazio a incertezze, lasciando intendere che altrettanto dovrebbe fare ogni giornalista, ogni testata ed ogni organo di stampa.
Questo libro non si limita quindi a ragionare sulla singola professione del giornalista, ma ci rende tutti più consapevoli, e di conseguenza più partecipi, dei nostri doveri in questo periodo di difficoltà in cui ognuno di noi può veramente fare la differenza. Perché no, raccontando.
Antonio Preziosi, direttore dal 2009 al 2014 di Radio Uno e Giornale radio Rai, parte proprio da qui, cercando di fornire i mezzi, definiti da lui “cassetta degli attrezzi”, agli stessi giornalisti per fornire un’informazione per quanto possibile obiettiva, ma soprattutto etica e rigorosa.
L’analisi si sviluppa agilmente lungo le 143 pagine del libro, arenandosi solo raramente in complicati tentativi di districarsi nei processi economici che regolano il nostro paese e, più in generale, l’Europa. Preziosi non cade nella trappola dell’autocompiacimento, evitando di trasformare la sua opera in una continua lode al lavoro svolto da Radio Uno nel “raccontare la crisi”. Evita altresì di accanirsi su ciò di quanto accaduto finora che non lo convince, limitandosi a utilizzare alcuni esempi negativi legati al mondo del giornalismo, per fornire gli strumenti di analisi citati in precedenza. Il libro, pur necessitando di una certa dimestichezza da parte del lettore negli argomenti trattati, è accessibile e facilmente digeribile anche ai meno “ferrati”. Non attacca, nondifende e non sostiene singoli argomenti, preferendo analizzarli uno ad uno e cercando di volta in volta di trovare il giusto compromesso tra “ciò che è” e “ciò che dovrebbe essere”. Si libera, ad esempio, del mito del giornalista obiettivo, conscio che, per quanto rigoroso esso sia, ogni articolo ha alle sue spalle una mente pensante, consapevole e piena di opinioni personali. Non per questo, però, il giornalista deve ritenersi esentato dal fornire ai propri lettori una versione credibile ed eticamente veritiera dei fatti, evitando di dar voce a opinioni personali o “voci” non verificate che minerebbero l’utilità della notizia.
I temi dell’analisi sono molteplici. Preziosi comincia facendo una rapida panoramica del mondo dell’informazione al giorno d’oggi, dando il giusto peso al web, di cui la stessa Radio Uno è stata pioniera, ma senza svalutare i classici mezzi di comunicazione di cui ovviamente la radio si fa capofila. Spaziando dai temi della crisi e di come andrebbe raccontata e interpretata, passando per l’importanza dell’Euro e, più in generale, della Comunità Europea, fino ad arrivare al ruolo fondamentale che la comunicazione svolge nei processi economici, Preziosi affonda con calma colpo su colpo, senza lasciarsi forzare la mano in critiche facili ma inutili e proseguendo la sua battaglia col motto “l’informazione dev’essere conoscenza”. Il tutto si risolve in un libro per certi versi illuminante, capace di raccontare e, allo stesso tempo, spiegare “come raccontare”, traducendosi indirettamente in una guida tanto per gli scrittori (i giornalisti) che per i lettori.
Preziosi, arrivato alla fine del suo ruolo di direttore nel marzo del 2014, non lascia spazio a incertezze, lasciando intendere che altrettanto dovrebbe fare ogni giornalista, ogni testata ed ogni organo di stampa.
Questo libro non si limita quindi a ragionare sulla singola professione del giornalista, ma ci rende tutti più consapevoli, e di conseguenza più partecipi, dei nostri doveri in questo periodo di difficoltà in cui ognuno di noi può veramente fare la differenza. Perché no, raccontando.
Simone Bernardo
Antonio Preziosi
Radiocronaca di una crisi
Rai Eri, Roma, 2013, 143 pp.
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22 maggio 2014
Capire il contenuto dei media
Il libro di Giuseppe Tipaldo si presenta al lettore come un manuale introduttivo all'analisi del contenuto e come richiama il titolo, L'analisi del contenuto e i mass media, è strutturato in due sezioni: una prima parte si occupa di presentare una breve storia degli studi di analisi del contenuto e le principali metodologie, la seconda offre una serie di esempi pratici di applicazione delle tecniche esposte in precedenza nell'ambito della carta stampata, della televisione e del web. Nell'introduzione l'autore si prefigura come lettori ideali del suo libro ricercatori, studenti, professionisti della comunicazione e studiosi di discipline affini alla sociologia, come linguistica e semiotica. L'argomento trattato non è dei più semplici ma Tipaldo propone un percorso ben strutturato che accompagna il lettore, anche poco conoscitore dell'argomento, alla scoperta dell'analisi del contenuto e le sue applicazioni. Non stupisce di scoprire che l'autore è un giovane professore universitario poiché in tutto il libro è frequente trovare alcuni esempi in grado di attirare i lettori verso una materia difficile e complessa. Per esempio nel trattare l'analisi delle contingenze, una delle metodologie esposte nella prima parte, non resiste nel proporre come enunciato da analizzare uno degli incipit dei discorsi dell'on. Cetto La Qualunque, un personaggio caricaturale, ideato da Antonio Albanese, che incarna lo stereotipo del politico scorretto (Tipaldo p. 73). Poco più avanti, nel paragrafo in cui espone il modello di analisi degli asserti valutativi, spiega la teoria dell'equilibrio di Heider proponendo come esempio la relazione amorosa di Paolo e Francesca, i due amanti sfortunati che Dante incontra nell'Inferno. Questi sono solo alcuni degli esempi che l'autore usa per chiarire i concetti più difficili da comprendere, scegliendoli sapientemente per non far cadere i lettori, e soprattutto gli studenti, nello sconforto di fronte ad una materia ostica.
L'autore scrive con uno stile chiaro e diretto, anche se gli argomenti trattati, come già affermato, non sono di facile comprensione. E' frequente trovare dei rimandi ai capitoli precedenti, come “forse è utile ricordare..”(Tipaldo p. 186) nel momento in cui vengono affrontati argomenti già discussi, un altro escamotage usato spesso durante le lezioni dai professori.
La seconda parte del manuale risulta più interessante poiché dalle varie metodologie dell'analisi del contenuto si passa ad alcune applicazioni pratiche. Il capitolo più accattivante è quello in cui l'autore propone uno studio su oltre 4000 tweet inerenti l'hashtag elezioni2013, nel periodo tra il 22 e 26 febbraio del 2013. Tipaldo afferma che gli analisti devono “stare al passo coi tempi” e tenersi aggiornati sull'evolversi delle nuove tecnologie, ampliando le loro conoscenze informatiche, che in precedenza non erano richieste.
Come più volte afferma l'autore è fondamentale che l'analista rifletta attentamente sui criteri e i metodi adottati per la sua ricerca poiché “non è la tecnica a dover in primo luogo orientare il percorso dell'analista” (Tipaldo p. 197). Egli è favorevole all'uso combinato delle varie metodologie di analisi e afferma che non bisogna dimenticare che gli esiti di una ricerca sono solo una delle tante interpretazioni possibili di un testo. “Infine, poiché la ricerca può essere pensata nei termini di un'attività strategica costellata di scelte tra alternative, la qualità dei risultati è in ultima istanza responsabilità dell'analista “(Tipaldo p. 200).
Questo manuale, così ben strutturato, può essere un primo strumento in grado di avvicinare studenti e studiosi al mondo dell'analisi del contenuto e alle sue applicazioni nella realtà quotidiana. L'autore, con esempi accattivanti e presentando ricerche su argomenti e temi contemporanei, invita ad approfondire l'argomento e risveglia nei lettori quel senso critico nei confronti dei media che spesso si “spegne” a causa dell'abitudine, o forse, della rassegnazione.
Sara Depaoli
Giuseppe Tipaldo
L'analisi del contenuto e i mass media
Bologna, Il Mulino, 2014, pp 216.
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21 maggio 2014
Intervista al Novecento
Il bardo, nell’antichità e tra le popolazioni celtiche, era solito vagare di corte in corte narrando storie, con appresso un unico vessillo distintivo: uno strumento musicale.
In base alle diverse interpretazioni storiche il bardo fu figura di notevole importanza, perché vero e proprio catalizzatore di notizie, un pellegrino consigliere dotato di ottima autorevolezza, nonché preziosa fonte di informazione.
Sostituiamo il periodo storico, lo strumento musicale mutando diviene una penna, motivo di ascolto e di ospitalità diventerà l’intervista: emblema del "bardo moderno" qual è Antonio Ferrari.
Sgretolamento.Voci senza filtro è proprio questo: un pellegrinaggio. Una erranza fatta di incontri, colloqui, dissidi, scontri, statisti, leader religiosi, presidenti e giornalisti. Domande e risposte fra i territori del Medio-Oriente, dell’Europa balcanica e sovietica, cavalcando i giorni controversi, intensi e burrascosi degli anni Ottanti.
L’erranza dell’autore è tangibile. Il piacere del viaggio, l’amore verso l’esotico, e il riferimento a quei luoghi che lo hanno sedotto e a volte abbandonato, è ricorrente nei racconti del giornalista.
"Se Beirut calamita la passione, Gerusalemme alimenta lo spirito; se Amman ti affascina con la sua quiete e il suo ordine assai poco mediorientale, Damasco ti pratica un’iniezione di magia". Scrive Ferrari.
Protagonista di questo libro è senza dubbio l’autore, che si pone come obiettivo quello di chiarire i punti più salienti del decennio culminato con la caduta del Muro di Berlino e del suo checkpoint Charlie.
E l’intervista, vera e propria "arma segreta" dell’ex inviato storico del "Corriere della Sera", viene posta quasi come sottofondo, risaltando ciò che più interessa a Ferrari: il background, i retroscena, la messa a nudo delle figure da lui interpellate, veri e propri protagonisti della politica di quel tempo.
Tramite un interessante continuum storico e narrativo, il giornalista riesce abilmente nel suo intento. Fra le pagine trapelano emozioni, risentimenti, atteggiamenti ambigui e confessioni, menzogne e verità celate. Ma oltre che a spogliare dalle proprie vesti istituzionali l’intervistato di turno, Ferrari mette in gioco anche se stesso, rivive flaskback e ricordi, ripercorrendo le frustrazioni, i rammarichi, le gioie e le proprie vicende professionali.
In base alle diverse interpretazioni storiche il bardo fu figura di notevole importanza, perché vero e proprio catalizzatore di notizie, un pellegrino consigliere dotato di ottima autorevolezza, nonché preziosa fonte di informazione.
Sostituiamo il periodo storico, lo strumento musicale mutando diviene una penna, motivo di ascolto e di ospitalità diventerà l’intervista: emblema del "bardo moderno" qual è Antonio Ferrari.
Sgretolamento.Voci senza filtro è proprio questo: un pellegrinaggio. Una erranza fatta di incontri, colloqui, dissidi, scontri, statisti, leader religiosi, presidenti e giornalisti. Domande e risposte fra i territori del Medio-Oriente, dell’Europa balcanica e sovietica, cavalcando i giorni controversi, intensi e burrascosi degli anni Ottanti.
L’erranza dell’autore è tangibile. Il piacere del viaggio, l’amore verso l’esotico, e il riferimento a quei luoghi che lo hanno sedotto e a volte abbandonato, è ricorrente nei racconti del giornalista.
"Se Beirut calamita la passione, Gerusalemme alimenta lo spirito; se Amman ti affascina con la sua quiete e il suo ordine assai poco mediorientale, Damasco ti pratica un’iniezione di magia". Scrive Ferrari.
Protagonista di questo libro è senza dubbio l’autore, che si pone come obiettivo quello di chiarire i punti più salienti del decennio culminato con la caduta del Muro di Berlino e del suo checkpoint Charlie.
E l’intervista, vera e propria "arma segreta" dell’ex inviato storico del "Corriere della Sera", viene posta quasi come sottofondo, risaltando ciò che più interessa a Ferrari: il background, i retroscena, la messa a nudo delle figure da lui interpellate, veri e propri protagonisti della politica di quel tempo.
Tramite un interessante continuum storico e narrativo, il giornalista riesce abilmente nel suo intento. Fra le pagine trapelano emozioni, risentimenti, atteggiamenti ambigui e confessioni, menzogne e verità celate. Ma oltre che a spogliare dalle proprie vesti istituzionali l’intervistato di turno, Ferrari mette in gioco anche se stesso, rivive flaskback e ricordi, ripercorrendo le frustrazioni, i rammarichi, le gioie e le proprie vicende professionali.
Ferrari tocca, tramite gli incontri con i suoi protagonisti, temi e situazioni tra le più critiche e oscure.
Si passa dall’idealista e insieme corruttore, egoista e generoso Arafat all’incontro con Pierre Gemayel; dalla causa palestinese, dai conflitti con Israele, fino alle menzogne sulla Strage di Sabra e Chatila e la guerra in Libano.
I segreti dell’attentato a Papa Wojtyła del 1981,la sua pista bulgara, lo scandalo p2. L’intervista, quasi un duello, con il "divo" Giulio Andreotti, nella quale Ferrari ne esce sconfitto ma in qualche modo consapevole.
La passione per la politica turca, i suoi intrighi, i suoi drammi e i suoi eroi. Il racconto dell’empatia plasmata sul rispetto, sull’intesa intellettuale con il suo amico giornalista Ugur Mumcu, ammazzato nel 1993 con un autobomba davanti a casa sua .
Ferrari studia l’ondata Gorbacev nell’Europa dell’epoca, la Romania del "Conducator" Ceaușescu, e il suo rapporto tumultuoso con Bucarest.
E ancora la Siria e i suoi rapporti con Mosca, la Giordania e l’intervista al suo Re Hussein.
L’autore torna in Cecoslovacchia, luogo di malinconia. I ricordi e rimandi alla propria giovinezza, alla mitizzazione della Primavera di Praga, si mischiano alla tristezza della censura e alla commozione di un artista del luogo e alla sua interprete.
E molto, molto altro. Gli intervistati sono 28 e nessuna situazione internazionale sfugge al registratore e alla penna di Ferrari. Compresa la Grecia, l’ex discusso premier Papandreu, il suo Pasok e il "progetto Gladio" smantellato dai militari ellenici.
Ogni sfumatura viene colta dalla sensibilità del giornalista: dall’amore per l’Italia dell’europeista Helmut Schmidt alle confessioni "scomode" del suo ex direttore del "Corriere della Sera" Alberto Cavallari.
Si passa dall’idealista e insieme corruttore, egoista e generoso Arafat all’incontro con Pierre Gemayel; dalla causa palestinese, dai conflitti con Israele, fino alle menzogne sulla Strage di Sabra e Chatila e la guerra in Libano.
I segreti dell’attentato a Papa Wojtyła del 1981,la sua pista bulgara, lo scandalo p2. L’intervista, quasi un duello, con il "divo" Giulio Andreotti, nella quale Ferrari ne esce sconfitto ma in qualche modo consapevole.
La passione per la politica turca, i suoi intrighi, i suoi drammi e i suoi eroi. Il racconto dell’empatia plasmata sul rispetto, sull’intesa intellettuale con il suo amico giornalista Ugur Mumcu, ammazzato nel 1993 con un autobomba davanti a casa sua .
Ferrari studia l’ondata Gorbacev nell’Europa dell’epoca, la Romania del "Conducator" Ceaușescu, e il suo rapporto tumultuoso con Bucarest.
E ancora la Siria e i suoi rapporti con Mosca, la Giordania e l’intervista al suo Re Hussein.
L’autore torna in Cecoslovacchia, luogo di malinconia. I ricordi e rimandi alla propria giovinezza, alla mitizzazione della Primavera di Praga, si mischiano alla tristezza della censura e alla commozione di un artista del luogo e alla sua interprete.
E molto, molto altro. Gli intervistati sono 28 e nessuna situazione internazionale sfugge al registratore e alla penna di Ferrari. Compresa la Grecia, l’ex discusso premier Papandreu, il suo Pasok e il "progetto Gladio" smantellato dai militari ellenici.
Ogni sfumatura viene colta dalla sensibilità del giornalista: dall’amore per l’Italia dell’europeista Helmut Schmidt alle confessioni "scomode" del suo ex direttore del "Corriere della Sera" Alberto Cavallari.
Antonio Ferrai ha la capacità di coinvolgere il lettore, di farlo sedere alla tavola rotonda dell’intervista. Lo coinvolge, lo fa interagire. Lo rende partecipe. Per tutte queste ragione, catalogare Sgretolamento.Voci senza filtro come una mera raccolta di intervista, sarebbe riduttivo e di una devianza colossale. Questo libro è un’esperienza, e in quanto tale deve essere vissuta.
Gabriele Ciuffreda
Gabriele Ciuffreda
Antonio Ferrari
Sgretolamento. Voci senza filtro
Milano, Jaca Book, 2013, 176 pp.
20 maggio 2014
Vivere nel mondo digitale
Ognuno dei capitoli del libro La nuova era digitale è un viaggio nel futuro: futuro dell’identità, della cittadinanza, dell’informazione, degli Stati, della rivoluzione, del terrorismo, dei conflitti, del combattimento, degli interventi armati e infine della ricostruzione. Basterebbe leggere l’indice per capire il viaggio che stiamo per affrontare, presi per mano dal Presidente esecutivo di Google, Eric Schmidt e dal Direttore di Google Ideas, Jared Cohen. Un libro che parla di nuove tecnologie, di un futuro da immaginare, un futuro che gli autori descrivono evidenziando gli aspetti positivi ma anche i pericoli che incontreremo durante il tragitto.
"Presto chiunque sulla terra sarà connesso", è con questa affermazione che inizia un percorso ricco di domande alle quali gli autori cercano di rispondere proponendo anche il pensiero di Julian Assange, Henry Kissinger, presidenti e primi ministri di paesi di tutto il mondo. Come cambierà la vita di ogni giorno? Come difenderemo la nostra identità? Come cambieranno le guerre? Quali saranno i nuovi strumenti utilizzati? Il terrorismo sarà facilitato dalla tecnologia? Come sarà la ricostruzione dopo una guerra cibernetica?
Immaginiamo la nostra vita in un mondo nel quale la maggior parte della popolazione potrà accedere alla rete, dove anche gli abitanti dei paesi in via di sviluppo saranno dotati di smartphone acquistati con meno di 20 dollari. I vantaggi in termini di produttività saranno evidenti soprattutto in queste realtà. Il futuro ci condurrà in un’epoca di scelte e possibilità senza limiti, tutti saremo interconnessi e le informazioni saranno sempre reperibili. Ci sarà un registro di tutte le attività online. Ogni generazione futura produrrà e consumerà più informazioni della precedente. Accadrà anche che alcuni stati avranno meno disponibilità economiche, tutti trarranno beneficio dalla connettività ma non in maniera uniforme.
Le abitazioni saranno dotate di ogni confort elettronico, robot con controllo a distanza, nuovi software dotati di riconoscimenti vocali e gestuali anticiperanno ogni nostra esigenza. Robot microscopici all’interno del nostro organismo saranno il monitor quotidiano per la salute.
L’identità online sarà il bene più prezioso da proteggere. Nuove aziende si preoccuperanno della tutela della privacy o di assicurare la nostra identità.
Nasceranno nuovi stati virtuali, nuove guerre informatiche già definite le future "Guerre dei codici", guerre cibernetiche che potrebbero manifestarsi anche solo nel ciberspazio. Avremo l’era delle proteste digitali, dell’attivismo online. La connettività andrà anche a beneficio dei terroristi e degli estremisti. I governi autoritari si troveranno di fronte popolazioni più difficili da controllare, se vorranno perseguitare una certa minoranza, potranno semplicemente far sparire dalla rete i contenuti di quella comunità o infiltrarsi nell’organizzazione per controllarla. La permanenza dei dati on-line utilizzabili come prove renderanno più difficile per i violenti negare o minimizzare la portata dei loro crimini o le associazioni illegali.
La tecnologia favorirà anche la ricostruzione e sarà un aiuto per i paesi in crisi. La popolazione avrà più informazioni e potere e contribuirà a formare una società più solida e duratura.
Guardando al futuro, la sfida raccontata nelle pagine di questo libro a tratti può sembrarci visionaria, presto ci renderemo conto che il viaggio accelerato ed entusiasmante verso la nuova era digitale sarà più breve del previsto.
Le abitazioni saranno dotate di ogni confort elettronico, robot con controllo a distanza, nuovi software dotati di riconoscimenti vocali e gestuali anticiperanno ogni nostra esigenza. Robot microscopici all’interno del nostro organismo saranno il monitor quotidiano per la salute.
L’identità online sarà il bene più prezioso da proteggere. Nuove aziende si preoccuperanno della tutela della privacy o di assicurare la nostra identità.
Nasceranno nuovi stati virtuali, nuove guerre informatiche già definite le future "Guerre dei codici", guerre cibernetiche che potrebbero manifestarsi anche solo nel ciberspazio. Avremo l’era delle proteste digitali, dell’attivismo online. La connettività andrà anche a beneficio dei terroristi e degli estremisti. I governi autoritari si troveranno di fronte popolazioni più difficili da controllare, se vorranno perseguitare una certa minoranza, potranno semplicemente far sparire dalla rete i contenuti di quella comunità o infiltrarsi nell’organizzazione per controllarla. La permanenza dei dati on-line utilizzabili come prove renderanno più difficile per i violenti negare o minimizzare la portata dei loro crimini o le associazioni illegali.
La tecnologia favorirà anche la ricostruzione e sarà un aiuto per i paesi in crisi. La popolazione avrà più informazioni e potere e contribuirà a formare una società più solida e duratura.
Guardando al futuro, la sfida raccontata nelle pagine di questo libro a tratti può sembrarci visionaria, presto ci renderemo conto che il viaggio accelerato ed entusiasmante verso la nuova era digitale sarà più breve del previsto.
Silvia Della Rocca
Eric Schmidt e Jared Cohen
La nuova era digitale
La sfida del futuro per cittadini, imprese e nazioni
Rizzoli ETAS, 2013, pp. 399.
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19 maggio 2014
Media e giornalisti in Cina
L’autrice di questa opera è Emma Lupano: giornalista professionista (ha collaborato con Job 24 - Il Sole 24 ore - Agichina24 e altri); docente di lingua e cultura cinese presso l’Università degli Studi di Milano e sinologa. Nel suo lavoro parla dei media in Cina, dei giornalisti cinesi e della propria esperienza personale tra il 2008 e il 2009 all'interno della redazione del People's Daily Online - il "Quotidiano del popolo". Qui ha lavorato come redattrice per l’edizione web, in lingua inglese, di questo importante giornale che, dal 1948 è il portavoce del Partito Comunista Cinese (PCC). Ho servito il popolo cinese porta alla luce i meccanismi che regolano propaganda e censura, ma anche le storie di chi quotidianamente prova a eludere quel sistema. Il titolo è autoironico in quanto in Cina il ruolo del giornalista è quello di servire il popolo, essere sulla carta la voce del popolo, ma in realtà, visto che il partito comunista si autodefinisce a sua volta come rappresentante del popolo, si diventa i servitori del partito. Con un po’ di autoironia l’autrice si è definita una giornalista "rossa". Dopo essersi occupata, facendo un dottorato di ricerca sui giornalisti cinesi e nello specifico dei giornalisti freelance, l’autrice, lavorando a stretto contatto con loro, si è accorta che l’idea che avevano gli italiani e gli occidentali in generale di come funzionano i media cinesi era ancora molto vaga e scollata dalla realtà. Da questa sensazione è nata la spinta per questo lavoro. L’autrice ci racconta di come l'ingresso in questo mondo, così differente dal nostro, sia stato reso possibile da una Guanxi (un network di conoscenze tipico della cultura cinese) cioè da un rapporto privilegiato che ha avuto con una persona la quale, a sua volta, ne ha avuto un altro con un giornalista del quotidiano cinese. Quest'ultimo si è speso per permetterle l’ingresso in redazione. L’esperienza ha avuto un tempo prestabilito e limitato di tre mesi, quasi come fosse stata una sorta di favore del quotidiano. Infatti il ruolo ricoperto dalla giornalista all’interno della redazione non aveva precedenti e non ha avuto conseguenti; nessuno dopo di lei ha ricoperto il ruolo lasciato libero. Ciononostante è utile sottolineare come Emma Lupano sia stata in assoluto la prima giornalista italiana ad avere l'onore di lavorare per il "Quotidiano del popolo". Durante il lavoro in redazione la giornalista si è in parte autocensurata, almeno sulla scelta degli argomenti, prediligendo quelli innocui a discapito di quelli pericolosi che avrebbero potuto crearle problemi durante la sua permanenza. Questi temi, anche se leggeri, dovevano sempre essere approvati dal caposervizio. Inoltre una volta finiti non uscivano subito (addirittura di 7-8 giorni di "buco" per i primi articoli e di 3-4 giorni di media per la pubblicazione) perché dovevano essere controllati dai "piani alti". L’autrice si è sentita, in parte, un corpo estraneo nella redazione che veniva monitorato. L’obbiettivo principale di questo libro è quello di sfatare alcuni miti: in primo luogo che la stampa in Cina non è solo censura; in secondo che i giornalisti cinesi non solo sono servi del potere e in terzo luogo viene mostrato come i media cinesi si stanno aprendo ormai da anni al sistema di mercato, fatto quest'ultimo, che riguarda l’Occidente da vicino. Non soltanto perché i media occidentali potranno continuare ad investire nel mercato dei media cinesi che è in grande espansione ma anche perché gli stessi media cinesi stanno arrivando in Europa, compresa l’Italia, e hanno già incominciato ad investire nei media italiani. La Lupano ci mette in guardia: se non sappiamo che le testate sono scritte, curate e in qualche modo coordinate anche dai cinesi potremmo non renderci conto che una parte delle informazioni sono mediate dal punto di vista cinese. Per la giornalista dobbiamo cominciare a renderci conto che alcune delle informazioni che circolano sulla Cina, anche in Italia, sono controllate dalla Cina. Quindi se da una parte Ho servito il popolo cinese sfata il mito che la Cina sia tutta censura, dall’altra ci conferma come questa sia ancora una presenza costante. Oggi però sempre più giornalisti tentano con il loro lavoro di sfatare quell’idea, radicata soprattutto in noi occidentali, della persona che si limita passivamente a seguire le regole della censura. Infatti molti giornalisti cinesi, pur consapevoli dei limiti in cui devono lavorare, cercano di spostare poco a poco una linea, spesso difficile da vedere e mutevole, che divide ciò che è consentito dire da ciò che non è consentito. I meccanismi, l’ambiente, l’atmosfera culturale della Cina rendono ovviamente molto diverso il lavoro dei giornalisti e di chi lavora nei media rispetto a i colleghi occidentali. Emma Lupano con questa opera vuole sfatare l’idea che i cinesi siano o dissidenti o servi del potere. Il libro, accessibile a chiunque, scritto in uno stile fluido e di facile lettura, ci racconta che non è così, che ci sono tantissime vie di mezzo e ci sono moltissimi cinesi che lottano dentro il sistema. Il volume descrive il mutamento della dimensione mediatica negli ultimi 30 agitati anni della Cina e ci spiega che nonostante ci sia stato un movimento in avanti contemporaneamente si è verificato un contro-movimento che tende a frenare questo cambiamento. Ciò si vede nei media ma anche nella politica cinese. Inoltre ci svela che i giornalisti in Cina devono sempre sottostare a una tripla interazione: Il pubblico (che deve essere soddisfatto anche nei gusti più volgari), la pubblicità e soprattutto il partito che è sempre in allerta. In conclusione Ho servito il popolo cinese ci permette di andare oltre i luoghi comuni e i pregiudizi che spesso abbiamo noi occidentali della Cina, e di adottare uno sguardo più obiettivo e realistico su una realtà così lontana, complicata, differente della nostra, ma estremamente affasciante.
Domiziano Marsciani
Emma Lupano
Ho servito il popolo cinese.
Media e potere nella Cina di oggi
Milano, Francesco Brioschi Editore, 2012.
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18 maggio 2014
Tutta un'altra notizia
Il saggio che mi accingo a recensire è un unicum da tutti i punti di vista: scritto da un giornalista freelance italiano emigrato a Berlino - dove ha fondato "Il Mitte", il primo quotidiano online per gli italiani all'estero - e proiettato verso un futuro pieno di dubbi ma anche di prospettive, Tutta un'altra notizia è permeato da un ottimismo di fondo, che si riscontra raramente in questi tempi di crisi del giornalismo tradizionale, e specialmente della carta stampata.
La sua prima particolarità è proprio il formato: l'ebook, come dichiara nel suo manifesto la startup goWire che ne ha curato la pubblicazione, «ha bisogno di link per farci spaziare da un contesto all'altro nell'ecosistema digitale [...]: la narrazione visuale e quella musicale sono parte integrante della progettazione». A questo proposito le classiche note integrative a piè di pagina sono sostituite da collegamenti immediati che rimandano ad articoli di approfondimento, video-interviste su YouTube in lingua originale e infografiche esplicative, che rendono la lettura un'esperienza realmente completa e stimolante, abbattendo le barriere della pagina.
Il manifesto di goWire è perfettamente conforme allo spirito del saggio di Bassan, che con un linguaggio tecnico ma chiaro, un gran numero di esempi reali e proposte concrete suggerisce nuovi approcci e modelli di business per il mondo del giornalismo.
Come garantire la sopravvivenza e la rinascita del mestiere di giornalista? Come ritrovare la bussola in un mondo dove anche la differenza tra giornalista e blogger si fa sempre più confusa e difficile da chiarire? Queste sono solo alcune delle domande a cui l'autore cerca di rispondere, prefigurando scenari di un futuro non troppo lontano e proponendo nuovi metodi e soluzioni.
Il vero turning point per il giornalismo è stato il boom di internet, che ha cambiato totalmente le carte in tavola lasciando indietro il mondo delle news, incapace di tenere il passo e di destreggiarsi nell'ecosistema digitale.
Bassan muove dalla definizione di "giornalismo post-industriale", concetto chiave di un saggio (consultabile online) scritto a sei mani da C.W. Anderson, E. Bell e C. Shirky, tre celebri ricercatori americani: il cambiamento causato dall'introduzione del web e di tutti quei media tecnologici che rendono ormai quasi nulla l'intermediazione tra lettore e giornalista è sia culturale che economico, non è una semplice transizione ma un vero e proprio salto nel buio.
Tra le proposte per superare questo momento di crisi che ho trovato particolarmente degne di nota vorrei segnalare il cosiddetto "giornalismo alla carta" e il "metered paywall", due diverse sfide - la prima lanciata dalla versione americana di Wired, la seconda dal New York Times - per rivoluzionare l'aspetto economico del giornalismo online, a fronte di una perdita sempre crescente legata al formato cartaceo.
Per "giornalismo alla carta" si intende un esperimento di vendita degli articoli "al pezzo": questo sistema permetterebbe alle testate online di rimanere gratuitamente fruibili, eccetto alcuni articoli di particolare pregio per l'esclusiva o la ricchezza dei contenuti, da acquistare attraverso Amazon, il sito della testata o l'eventuale applicazione via tablet o smartphone; questo sistema viene già utilizzato da molti freelance, che attraverso alcune piattaforme online pubblicano e vendono articoli senza la mediazione di una testata, o si fanno direttamente finanziare dai lettori un prodotto giornalistico d'inchiesta ancora da realizzare, attraverso il cosiddetto crowdfunding.
Il metered paywall è invece un sistema di abbonamento al sito di un quotidiano, che però consente di accedere gratuitamente a 20 articoli mensili (25 se si accede tramite un link su un social network), pagando solo per leggere gli articoli in sovrannumero: questo esperimento è stato un successo, grazie al quale il numero degli abbonati alla versione online del New York Times ha quasi raggiunto quello del quotidiano cartaceo, e molti altri quotidiani ne hanno seguito l'esempio.
Queste e molte altre idee di rinnovamento che il saggio porta all'attenzione del lettore sono ovviamente tutte in divenire, non si sa se troveranno un'affermazione stabile e se il successo sarà duraturo. Tuttavia, come conclude l'autore prendendo le mosse da un famoso discorso di John Fitzgerald Kennedy, «se nell'about: blank dell'ecosistema giornalistico sapremo cogliere le opportunità che ogni crisi porta con sé e trasformare questi input in strumenti di crescita concreta [...], allora potremmo davvero pensare di costruire un futuro partendo da fondamenta solide».
Cristina Puppo
Valerio Bassan
Tutta un'altra notizia.
Spunti e strumenti per il giornalismo del domani.
Firenze, edizioni goWare, 2013 (e-book)
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17 maggio 2014
In libreria
Viola Sarnelli
Voci da Sud. Al Jazeera English e i flussi delle notizie internazionali
Napoli, Photocity.it, 2014, 236 pp.
Voci da Sud. Al Jazeera English e i flussi delle notizie internazionali
Napoli, Photocity.it, 2014, 236 pp.
Descrizione
Voice to the voiceless" è lo slogan che ha accompagnato nel 2006 il lancio di Al Jazeera English, finanziato dal Qatar come il noto canale in arabo, per proporre un punto di vista mediorientale sulle notizie stavolta direttamente in inglese. Nel post-11 Settembre dei conflitti militari e identitari Al Jazeera English introduce un modello di informazione conciliatorio, lontano dai sensazionalismi e decentrato, o meglio dai molti centri, tutti localizzati in un 'Sud' definito per opposizione al 'Nord' culturalmente e politicamente egemone. Questo libro esplora le relazioni contraddittorie tra il canale e i modelli dell'informazione anglo-americana; tra le spinte democratizzanti dell'emittente, come nelle rivoluzioni del 2011, e le politiche del suo stato finanziatore; tra le aspirazioni universaliste e i nuovi regionalismi dell'informazione televisiva transnazionale, con l'apertura di Al Jazeera America nel 2013. Questioni che vengono approfondite analizzando i contenuti del canale, in una prospettiva che mira ad arricchire l'approccio degli studi sui media con quello delle teorie postcoloniali e degli studi culturali.
Voice to the voiceless" è lo slogan che ha accompagnato nel 2006 il lancio di Al Jazeera English, finanziato dal Qatar come il noto canale in arabo, per proporre un punto di vista mediorientale sulle notizie stavolta direttamente in inglese. Nel post-11 Settembre dei conflitti militari e identitari Al Jazeera English introduce un modello di informazione conciliatorio, lontano dai sensazionalismi e decentrato, o meglio dai molti centri, tutti localizzati in un 'Sud' definito per opposizione al 'Nord' culturalmente e politicamente egemone. Questo libro esplora le relazioni contraddittorie tra il canale e i modelli dell'informazione anglo-americana; tra le spinte democratizzanti dell'emittente, come nelle rivoluzioni del 2011, e le politiche del suo stato finanziatore; tra le aspirazioni universaliste e i nuovi regionalismi dell'informazione televisiva transnazionale, con l'apertura di Al Jazeera America nel 2013. Questioni che vengono approfondite analizzando i contenuti del canale, in una prospettiva che mira ad arricchire l'approccio degli studi sui media con quello delle teorie postcoloniali e degli studi culturali.
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13 maggio 2014
In libreria
Alessandro Papini
Post-comunicazione
Istituzioni, società e immagine pubblica nell’età delle reti
Milano, Guerini e Associati, 2014, pp. 202.
Descrizione
Post-comunicazione
Istituzioni, società e immagine pubblica nell’età delle reti
Milano, Guerini e Associati, 2014, pp. 202.
Descrizione
La post-comunicazione è quell’insieme di superfici comunicative e
ambienti di interazione generati dalle nuove tecnologie, che sta oggi diventando
il moderno paradigma relazionale verso cui individui e società moderne adeguano
comportamenti e stili di vita. Tutti siamo digitali e organizziamo la nostra
vita permeati dai nuovi media. Così non è per le istituzioni e gli apparati
pubblici che, al contrario, per la natura stessa che assume il potere
burocratico, tendono a opporre resistenza al cambiamento. Se la crisi che la
comunicazione pubblica sta attraversando è così profonda, è perché essa non
mette in questione soltanto la legalità della funzione, ossia il campo delle
regole che ne definiscono l’esercizio, ma anche la sua legittimità nel
rappresentare l’immagine pubblica del Paese. Finito il tempo dello Stato-nazione
come unità di misura dei processi comunicativi, un nuovo ruolo attende oggi la
comunicazione pubblica. L’approccio post-comunicativo spoglia di responsabilità
l’apparato pubblico per orientarsi al raccordo con una società civile
mediatizzata, globale e autonoma nelle auto-rappresentazioni.
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