“Il corrispondente di guerra tipo è di solito una persona modesta, cordiale, disposta a collaborare, adatta per viverci assieme”.
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31 ottobre 2016
Inviati 2.0
Con questa definizione di Ryszard Kapuscinski si apre il
libro “Inviato di guerra 2.0: dal
calamaio allo smartphone”I casi delle “social netwar” in Egitto e Libia, pubblicato
nel 2014 dalla casa editrice Prospettiva Editrice, e scritto dall’autore
Emanuele Ballacci, nato a Roma nel 1984, appassionato di lettere e curioso del
mondo. Egli s’interessa alla scrittura del giornalismo sin da bambino. Dopo uno
stage presso l’agenzia giornalistica 9Colonne,
nel 2012 consegue la laurea magistrale in Editoria multimediale e nuove
professioni dell’informazione presso l’Università La Sapienza di Roma.
Il
tema centrale sul quale egli sviluppa il libro è il giornalismo di guerra:
partendo dai cambiamenti che lo hanno caratterizzato nel corso del ‘900, egli
prende in esame tutte le sue sfaccettature cominciando dalla figura
dell’inviato di guerra della quale parlerà per buona parte del libro. Il suo
lavoro, infatti, ha l’intento di chiarire e identificare questa figura,
ripercorrendone la storia, passata e presente, fino ai giorni nostri. Le fasi
storiche vanno a braccetto con i vari modelli del reporter, che si sono succeduti
nel corso del tempo, il quale, inizialmente, non era ritenuto un vero e proprio
lavoro ma uno stile di vita. La paternità del mestiere viene assegnata a
William Howard Russell, giovane giornalista irlandese che seguì la guerra di
Crimea.
Furono
le grandi guerre a ridimensionare la figura dell’inviato in particolare con la
guerra del Vietnam che diede vita alla cosiddetta sindrome del Vietnam, ossia la convinzione che le sorti del
conflitto fossero state decise dall’impatto delle immagini televisive
sull’opinione pubblica (condizionandole negativamente).
Proprio
per questo motivo la guerra del Golfo ha visto un rigido controllo
dell’informazione (news management)
da una parte, mentre dall’altra i giornalisti embedded, giornalisti al seguito delle truppe. Questi radicali cambiamenti rappresentarono
le novità che decretarono un sostanziale mutamento nel modo di intendere e
raccontare i conflitti.
In
seguito, con l’avvento dei blog e dei social
media, la professione di inviato di guerra si trasformò ulteriormente. La
prima guerra definita come “la prima di Internet” è stato il conflitto in
Kosovo. Essa, infatti, ha sancito la distinzione tra vecchie e nuove guerre: il
reporter si è lentamente trasformato da narratore di eventi lontani a
selezionatore del flusso virtuale di notizie in Rete. Significativa è stata la
svolta apportata successivamente dall’introduzione del web 2.0: da quel momento blog e social
media hanno lanciato una nuova rivoluzione tecnologica senza precedenti. Il
blog si è imposto rapidamente nel panorama giornalistico grazie alla facilità
di utilizzo, trovando la sua consacrazione nella guerra di Afghanistan e Iraq.
L’avvento di social media come Facebook, Twitter e Youtube, segnerà infine la strada verso nuovi orizzonti: inediti
strumenti sia per cercare e diffondere notizie sia per stabilire nuove
relazioni con pubblico e fonti. L’esempio lampante di questo nuovo modo di fare
giornalismo di guerra, nel nostro presente, risponde al nome di primavera araba. In particolare, i casi
presi in esame da Emanuele Ballacci sono quelli dell’Egitto e della Libia.
L’elemento principale che viene sottolineato dall’autore è la pervasività e
l’ubiquità dei social network nella
nascita e nello svolgimento dei moti rivoluzionari. Facebook nel caso egiziano e Twitter
in quello libico sono stati i principali artefici dell’esplosione delle
rivolte, poiché hanno permesso alle persone (in particolare ai giovani), di
unirsi intorno ad un unico obiettivo, dando vita a una sorta di alleanza panarabistica moderna.
Quale
sarà, quindi, la prossima fermata del giornalismo di guerra? Quali saranno i
suoi sviluppi? Secondo l’autore la risposta è ignota. Come scrive anche Tiziano
Terzani “Il senso della ricerca sta nel
cammino fatto e non nella meta; il fine del viaggiare è il viaggiare stesso e
non l’arrivare”. Dal calamaio al telegrafo, dal telegrafo alle nuove
tecnologie fino ad arrivare all’avvento di Internet: il mestiere del reporter è
sempre stato un’eterna sfida in continua evoluzione ma sempre viva.
Il
messaggio dell’autore è chiaro e conciso: le nuove tecnologie non stanno
distruggendo il mondo della comunicazione (come molti pensano) ma lo stanno
semplicemente “aggiornando”. Ormai tutti tramite un computer e una connessione
a Internet possono essere giornalisti grazie ai nuovi mezzi multimediali ma i
veri giornalisti sono quelli che, nel mondo odierno, fanno ancora la
differenza. La comunicazione va sempre di pari passo con i cambiamenti che
popolano il nostro mondo e la società, ma non bisogna vederlo come un fattore
negativo: anzi, al contrario, bisogna accettarlo perché, come tutte le cose, ha
sia elementi positivi, sia negativi. Le nuove tecnologie hanno cambiato molto
questo mestiere, lo hanno al contempo facilitato e complicato perché permettono
di essere molto più veloci nei contatti, nell’acquisire notizie, nel
trasmetterle, permettono anche di produrre molto di più ed è questo in parte il
neo: al giornale si tende a pretendere questa eccessiva produzione in poco
tempo che troppo spesso sconfina nella superficialità. I vantaggi però sono
enormi a partire dai collegamenti come telefoni cellulari o satellitari,
Internet e l’invio di servizi in FTP. Il
Citizen Journalism non viene più
vistocome una minaccia ma come un cambiamento positivo che creerà in futuro
nuove professioni perché, nonostante tutto ciò, le regole di un giornalismo
corretto rimangono le stesse: la ricerca, la verifica, l’inquadramento del
problema, la correttezza del racconto. I citizen
journalist possono, perciò, diventare una fonte ma solo chi sa fare il
mestiere e ne conosce e rispetta le regole potrà spiegare cosa succede. Il
mestiere, così, si va riconfigurando. Sta a noi scegliere come vedere il
bicchiere. Sta a noi essere ottimisti. In un mondo senza confini come questo
dove tutti vengono investiti da una massa di informazione indistinta c’è
bisogno di un giornalismo puntuale e serio.
A
mio parere l’opera presenta una visuale molto ampia e accurata della figura del
giornalista di guerra e, più in generale, del giornalismo estero. La
professione ci viene presentata nelle sue molteplici “facce”grazie, anche, alle
interviste finali di alcuni giornalisti che hanno esposto la propria opinione
in merito a questo tema così delicato ma, al tempo stesso, così importante.
Micaela Zitti
Emanuele
Ballacci
Inviato
di guerra 2.0: dal calamaio allo smartphone
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Etichette:
Giornalismo di guerra,
Giornalismo digitale,
Libreria,
Recensione
26 ottobre 2016
Seminari di pratica giornalistica
A.A. 2016-2017
Appuntamento al polo didattico dell'Albergo dei Poveri, aula 7 h. 14-16.
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21 ottobre 2016
In libreria
Walter Quattrociocchi, Antonella Vicini
Misinformation. Guida alla società dell'informazione e della credulità
FrancoAngeli, Milano, 2016, pp. 146.
Misinformation. Guida alla società dell'informazione e della credulità
FrancoAngeli, Milano, 2016, pp. 146.
Descrizione
Quella contemporanea è l'epoca dell'informazione h24, della velocità delle notizie che attraverso il web e i social network fanno il giro del mondo in pochi minuti, della possibilità di accedere a contenuti e documenti prima raggiungibili soltanto da pochi: eppure questa è paradossalmente anche l'epoca che ha visto il proliferare incontrollato di informazioni false che, una volta entrate nel circuito della rete e dei media tradizionali, è praticamente impossibile bloccare. Non è un caso che nel 2013 il World Economic Forum ha inserito la disinformazione digitale (casuale o costruita ad arte) nella lista dei 'rischi globali', capace di avere risvolti politici, geopolitici e, perfino, terroristici. Partendo da una ricerca di Walter Quattrociocchi che ha avuto molto eco negli USA, il libro offre una panoramica sui meccanismi della formazione delle opinioni e della fruizione dei contenuti sui social network come Facebook, YouTube, Twitter, e sulle dinamiche di contagio sociale, il tutto con puntuali riferimenti all'attualità. Un libro importante per riflettere sul nostro rapporto con l'informazione.-
Quella contemporanea è l'epoca dell'informazione h24, della velocità delle notizie che attraverso il web e i social network fanno il giro del mondo in pochi minuti, della possibilità di accedere a contenuti e documenti prima raggiungibili soltanto da pochi: eppure questa è paradossalmente anche l'epoca che ha visto il proliferare incontrollato di informazioni false che, una volta entrate nel circuito della rete e dei media tradizionali, è praticamente impossibile bloccare. Non è un caso che nel 2013 il World Economic Forum ha inserito la disinformazione digitale (casuale o costruita ad arte) nella lista dei 'rischi globali', capace di avere risvolti politici, geopolitici e, perfino, terroristici. Partendo da una ricerca di Walter Quattrociocchi che ha avuto molto eco negli USA, il libro offre una panoramica sui meccanismi della formazione delle opinioni e della fruizione dei contenuti sui social network come Facebook, YouTube, Twitter, e sulle dinamiche di contagio sociale, il tutto con puntuali riferimenti all'attualità. Un libro importante per riflettere sul nostro rapporto con l'informazione.-
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19 ottobre 2016
Seminari di pratica giornalistica
A.A. 2016-2017
In prosecuzione delle attività di pratica giornalistica per gli studenti del corso LM in Informazione ed Editoria l'incontro del 19.10.2016 sarà dedicato alla conferenza stampa con la partecipazione della giornalista Emanuela Mortari.
Appuntamento al polo didattico dell'Albergo dei poveri, aula 7, h. 14-16.
Appuntamento al polo didattico dell'Albergo dei poveri, aula 7, h. 14-16.
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16 ottobre 2016
In libreria
Alberto Marchi
Arrigo Benedetti. L'ostinazione laica nell'esperienza giornalistica
Tra le righe libri, Lucca, 2016, 220 pp.
Descrizione
L'esperienza giornalistica di Arrigo Benedetti può essere letta come una tenace, continua riaffermazione del valore della stampa: "No cari amici, i giornali non sono come le scarpe. Possono finire al macero, ma qualche cosa di loro resterà". Così ad esempio egli si rivolgeva, in un magistrale editoriale del 1950 pubblicato dall'"Europeo", ai direttori dei quotidiani italiani. Questo forte monito ai colleghi direttori, spesso distratti rispetto ai doveri direttamente derivanti dal loro ruolo, può essere considerato anche come una sorta di manifesto del modo di fare giornalismo di Arrigo Benedetti: la stampa vissuta non come "merce" di consumo, ma come strumento di coloro che hanno ricevuto un mandato dalla pubblica opinione, quello di informare e di costruire una società migliore.
___L'esperienza giornalistica di Arrigo Benedetti può essere letta come una tenace, continua riaffermazione del valore della stampa: "No cari amici, i giornali non sono come le scarpe. Possono finire al macero, ma qualche cosa di loro resterà". Così ad esempio egli si rivolgeva, in un magistrale editoriale del 1950 pubblicato dall'"Europeo", ai direttori dei quotidiani italiani. Questo forte monito ai colleghi direttori, spesso distratti rispetto ai doveri direttamente derivanti dal loro ruolo, può essere considerato anche come una sorta di manifesto del modo di fare giornalismo di Arrigo Benedetti: la stampa vissuta non come "merce" di consumo, ma come strumento di coloro che hanno ricevuto un mandato dalla pubblica opinione, quello di informare e di costruire una società migliore.
15 ottobre 2016
In libreria
Nicola Del Corno
Giovani, socialisti, democratici.
La breve esperienza di «Libertà!» (1924-1925)
Biblion, Milano, 2016, 194 pp.
Descrizione
Una storia «bella e commovente»: così Antonio Greppi nella sua biografia definì la breve ma intensa esperienza di “Libertà”, quindicinale dei giovani del Partito Socialista Unitario, il cui primo numero vide la luce nel gennaio del 1924, per poi essere costretto a cessare le sue pubblicazioni dopo poco più di un anno, causa la stretta repressiva del regime mussoliniano. Nonostante il brevissimo periodo di vita, l’esperienza di “Libertà” presenta buoni motivi per non essere dimenticata. Innanzitutto può rappresentare una sorta di “studio di caso” per verificare come e quanto nel primo dopoguerra il socialismo riformista abbia cercato di attirare a sé l’opinione pubblica giovanile, senza rassegnarsi alla inevitabilità della sconfitta generazionale nei confronti del fascismo e del comunismo. Inoltre le sue pagine furono una palestra dove si fecero le ossa giovani destinati a divenire a breve protagonisti della vita politica coeva, e successivamente – coloro che sopravvissero alla barbarie fascista – a ricoprire ruoli importanti nella ricostruzione della vita istituzionale e democratica italiana: Carlo Rosselli, Piero Gobetti, Antonio Greppi, Lelio Basso, Giuseppe Faravelli, Roberto Tremelloni, Max Ascoli, Roberto Veratti, Enrico Sereni, Giulia Filippetti furono infatti le firme più note, spesso in fitto dialogo sulle colonne di questo giornale con i loro “padri” spirituali: Filippo Turati, Giacomo Matteotti, Alessandro Levi, Giovanni Zibordi, Rodolfo e Ugo Guido Mandolfo.
Una storia «bella e commovente»: così Antonio Greppi nella sua biografia definì la breve ma intensa esperienza di “Libertà”, quindicinale dei giovani del Partito Socialista Unitario, il cui primo numero vide la luce nel gennaio del 1924, per poi essere costretto a cessare le sue pubblicazioni dopo poco più di un anno, causa la stretta repressiva del regime mussoliniano. Nonostante il brevissimo periodo di vita, l’esperienza di “Libertà” presenta buoni motivi per non essere dimenticata. Innanzitutto può rappresentare una sorta di “studio di caso” per verificare come e quanto nel primo dopoguerra il socialismo riformista abbia cercato di attirare a sé l’opinione pubblica giovanile, senza rassegnarsi alla inevitabilità della sconfitta generazionale nei confronti del fascismo e del comunismo. Inoltre le sue pagine furono una palestra dove si fecero le ossa giovani destinati a divenire a breve protagonisti della vita politica coeva, e successivamente – coloro che sopravvissero alla barbarie fascista – a ricoprire ruoli importanti nella ricostruzione della vita istituzionale e democratica italiana: Carlo Rosselli, Piero Gobetti, Antonio Greppi, Lelio Basso, Giuseppe Faravelli, Roberto Tremelloni, Max Ascoli, Roberto Veratti, Enrico Sereni, Giulia Filippetti furono infatti le firme più note, spesso in fitto dialogo sulle colonne di questo giornale con i loro “padri” spirituali: Filippo Turati, Giacomo Matteotti, Alessandro Levi, Giovanni Zibordi, Rodolfo e Ugo Guido Mandolfo.
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13 ottobre 2016
In libreria
Gianni Brera
L'arcimatto (1960-1966)
Book Time, Milano, 2016, 339 pp.
L'arcimatto (1960-1966)
Book Time, Milano, 2016, 339 pp.
Descrizione
L'Arcimatto era, nella sua essenza, un diario. In quella rubrica, uscita sul "Guerin Sportivo" per una quindicina d'anni, Gianni Brera raccoglieva gli spunti da cui ogni settimana si involava per le più diverse destinazioni. Scriveva di storia e letteratura, indagava il carattere nazionale nostro e altrui, e raccontava un'infinità di aneddoti di costume, sempre partendo dallo sport. L'Arcimatto contiene dunque alcuni dei brani più tipici e più belli di Gianni Brera, quando creando liberamente partiva da un evento, un giudizio o un personaggio dell'attualità sportiva per approdare dappertutto. Brilla ancora e sorprende L'Arcimatto per l'originalità delle invenzioni, l'acutezza delle interpretazioni e il profumo di verità che si sprigiona da tutti gli accenni breriani alla storia, alla poesia, al romanzo, alla caccia, alla pesca, all'arte, allo sport, ai pregi e difetti di francesi, inglesi, spagnoli, tedeschi, americani, russi ecc.; per la maestria dei paragoni tra le varie facce della realtà; per il fascino dei personaggi, eroi o antieroi del costume moderno, e il loro coraggio espressi sempre senza retorica né ipocrisia.
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L'Arcimatto era, nella sua essenza, un diario. In quella rubrica, uscita sul "Guerin Sportivo" per una quindicina d'anni, Gianni Brera raccoglieva gli spunti da cui ogni settimana si involava per le più diverse destinazioni. Scriveva di storia e letteratura, indagava il carattere nazionale nostro e altrui, e raccontava un'infinità di aneddoti di costume, sempre partendo dallo sport. L'Arcimatto contiene dunque alcuni dei brani più tipici e più belli di Gianni Brera, quando creando liberamente partiva da un evento, un giudizio o un personaggio dell'attualità sportiva per approdare dappertutto. Brilla ancora e sorprende L'Arcimatto per l'originalità delle invenzioni, l'acutezza delle interpretazioni e il profumo di verità che si sprigiona da tutti gli accenni breriani alla storia, alla poesia, al romanzo, alla caccia, alla pesca, all'arte, allo sport, ai pregi e difetti di francesi, inglesi, spagnoli, tedeschi, americani, russi ecc.; per la maestria dei paragoni tra le varie facce della realtà; per il fascino dei personaggi, eroi o antieroi del costume moderno, e il loro coraggio espressi sempre senza retorica né ipocrisia.
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Gianni Brera,
Derby!, Book Time, Milano, 2016, 356 pp.
Descrizione
"Gli articoli che ho raccolto in questo volume hanno una cosa in comune: riguardano in ciascun caso partite disputate fra l'Inter e il Milan. La scelta del derby milanese come filo conduttore per una raccolta di cronache e critiche breriane è facile da giustificare. Fra tutti gli incontri, proprio il derby, lo scontro fra le due squadre di una medesima città, è quello che scatena i più grandi entusiasmi. Nel derby gli stadi sono pieni di tifosi: a differenza delle altre partite, non c'è la distanza geografica che preclude a molti sostenitori della squadra ospite la partecipazione al rito: sugli spalti i due campi avversi sono pertanto in equilibrio ben maggiore dell'ordinario, il che ha pure la sua importanza nel creare un clima di esaltazione collettiva. Se dunque l'oggetto genera grandi trasporti emotivi, anche la prosa che lo descrive avrà una qualità particolare. Nell'immensa produzione di articoli di Brera, mi è parso giusto usare questo come criterio di scelta, per offrire al lettore uno spaccato significativo di ciò che scriveva quando scriveva di calcio." (dalla postfazione di Paolo Brera).
"Gli articoli che ho raccolto in questo volume hanno una cosa in comune: riguardano in ciascun caso partite disputate fra l'Inter e il Milan. La scelta del derby milanese come filo conduttore per una raccolta di cronache e critiche breriane è facile da giustificare. Fra tutti gli incontri, proprio il derby, lo scontro fra le due squadre di una medesima città, è quello che scatena i più grandi entusiasmi. Nel derby gli stadi sono pieni di tifosi: a differenza delle altre partite, non c'è la distanza geografica che preclude a molti sostenitori della squadra ospite la partecipazione al rito: sugli spalti i due campi avversi sono pertanto in equilibrio ben maggiore dell'ordinario, il che ha pure la sua importanza nel creare un clima di esaltazione collettiva. Se dunque l'oggetto genera grandi trasporti emotivi, anche la prosa che lo descrive avrà una qualità particolare. Nell'immensa produzione di articoli di Brera, mi è parso giusto usare questo come criterio di scelta, per offrire al lettore uno spaccato significativo di ciò che scriveva quando scriveva di calcio." (dalla postfazione di Paolo Brera).
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Etichette:
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Storia del giornalismo
11 ottobre 2016
Seminari di pratica giornalistica
A partire da mercoledì 12 ottobre 2016 inizia un percorso di pratica giornalistica su specifici argomenti del settore ampio dell'informazione con la partecipazione di giornalisti ed esperti. Nel primo semestre gli incontri si svolgeranno al mercoledì h. 14-16 presso l'aula 7 dell'Albergo dei Poveri. Mercoledi 12/10 il giornalista Andrea Ferro (Radio 24) parlerà del corrispondente radiofonico.
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09 ottobre 2016
In libreria
Mariella Milan
Milioni a colori. Rotocalchi e arti visive in Italia (1960-1964)
Quodlibet, Macerata, 2015, 432 pp.
Quodlibet, Macerata, 2015, 432 pp.
Descrizione
Negli anni del boom economico, la stampa di attualità illustrata conosce un momento di grande espansione e molti rotocalchi raggiungono una presenza capillare nelle case degli italiani, tanto da costituire, oggi, uno strumento fondamentale per lo studio di gusti e conoscenze del grande pubblico dei primi anni Sessanta. A partire dallo spoglio sistematico di quindici settimanali («ABC», «Domenica del Corriere», «Epoca», «Gente», «Il Mondo», «L’Espresso», «L’Europeo», «La Tribuna Illustrata», «Le Ore», «Lo Specchio», «Oggi», «Settimana Incom Illustrata», «Settimo Giorno», «Tempo», «Vie Nuove») e tre mensili («L’Illustrazione Italiana», «Panorama», «Successo»), questo volume racconta l’arte moderna come affiora da quelle pagine, che, pur accogliendo nomi noti della critica d’arte e del giornalismo specializzato, lasciano spazio soprattutto alla cronaca attraverso argomenti, temi e formati specifici, e soprattutto con un linguaggio molto diverso da quello delle riviste di settore. Si va dal generoso e talvolta condiscendente impulso didattico in favore di lettori ancora poco avvezzi al contemporaneo, alle velenose nostalgie per la «bella pittura» a uso e consumo del pubblico più reazionario, ai consigli su come affrontare indenni il mercato in un’epoca in cui l’arte moderna sembra poter diventare l’ennesimo oggetto di consumo di massa, fino alla curiosità, talvolta pettegola, per il mondo di mercanti, critici, giovani artisti e maestri affermati. Dall’analisi di quest’ampia produzione esce, oltre a un vorticoso resoconto a più voci suddiviso in due grandi filoni – le polemiche, dall’apparentemente inesauribile dibattito su astrattismo e figurazione all’avvento della pop-art, e il mercato, dalle prime grandi aste milanesi d’arte moderna agli artisti “in fuoriserie” –, un quadro variegato di linguaggi, strumenti, forme e modi utilizzati per parlare d’arte a un pubblico popolare, rispondendo all’esigenza e all’opportunità, entrambe straordinarie e forse irripetibili, di affrontare i temi dell’arte fuori dai ristretti circoli specialistici.
Negli anni del boom economico, la stampa di attualità illustrata conosce un momento di grande espansione e molti rotocalchi raggiungono una presenza capillare nelle case degli italiani, tanto da costituire, oggi, uno strumento fondamentale per lo studio di gusti e conoscenze del grande pubblico dei primi anni Sessanta. A partire dallo spoglio sistematico di quindici settimanali («ABC», «Domenica del Corriere», «Epoca», «Gente», «Il Mondo», «L’Espresso», «L’Europeo», «La Tribuna Illustrata», «Le Ore», «Lo Specchio», «Oggi», «Settimana Incom Illustrata», «Settimo Giorno», «Tempo», «Vie Nuove») e tre mensili («L’Illustrazione Italiana», «Panorama», «Successo»), questo volume racconta l’arte moderna come affiora da quelle pagine, che, pur accogliendo nomi noti della critica d’arte e del giornalismo specializzato, lasciano spazio soprattutto alla cronaca attraverso argomenti, temi e formati specifici, e soprattutto con un linguaggio molto diverso da quello delle riviste di settore. Si va dal generoso e talvolta condiscendente impulso didattico in favore di lettori ancora poco avvezzi al contemporaneo, alle velenose nostalgie per la «bella pittura» a uso e consumo del pubblico più reazionario, ai consigli su come affrontare indenni il mercato in un’epoca in cui l’arte moderna sembra poter diventare l’ennesimo oggetto di consumo di massa, fino alla curiosità, talvolta pettegola, per il mondo di mercanti, critici, giovani artisti e maestri affermati. Dall’analisi di quest’ampia produzione esce, oltre a un vorticoso resoconto a più voci suddiviso in due grandi filoni – le polemiche, dall’apparentemente inesauribile dibattito su astrattismo e figurazione all’avvento della pop-art, e il mercato, dalle prime grandi aste milanesi d’arte moderna agli artisti “in fuoriserie” –, un quadro variegato di linguaggi, strumenti, forme e modi utilizzati per parlare d’arte a un pubblico popolare, rispondendo all’esigenza e all’opportunità, entrambe straordinarie e forse irripetibili, di affrontare i temi dell’arte fuori dai ristretti circoli specialistici.
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06 ottobre 2016
In libreria
Raffaele Liucci
Leo Longanesi, un borghese corsaro tra fascismo e Repubblica
Carocci, Roma, 2016, 176 pp.
Descrizione
Dal ’43 al ’57 lo scrittore, giornalista ed editore Leo Longanesi, nato nel 1905, visse l’ultimo e febbrile spicchio della sua breve esistenza. Presto affiancato da Indro Montanelli, Giuseppe Prezzolini e Giovanni Ansaldo, si trasformò nel più arguto megafono di quei connazionali passati dal fascismo al post-fascismo, senza mai farsi “contaminare” dalla Resistenza. La sua casa editrice, fondata a Milano nel ’46, esibirà un catalogo di libri revisionisti ante litteram, mentre “il Borghese”, la rivista politicamente scorretta da lui lanciata nel ’50, diventerà uno snodo fondamentale della «destra carsica», riabilitata soltanto nel ’94 da Berlusconi. Frutto di un ricco spoglio di carteggi, diari e altri documenti inediti, il libro di Raffaele Liucci ci restituisce il variopinto mosaico longanesiano, tra regime littorio, guerra civile e Repubblica. Con particolare attenzione all’evolversi dei modelli giornalistici e intellettuali incarnati anche dal suo brillante erede, Indro Montanelli: destinato a diventare il più ascoltato divulgatore di storia patria dai tempi di Cesare Cantù.
Indice
Premessa / 1. «Meglio la Petacci, che la repubblica dei pagliacci» / 2. Il destino ha cambiato cavallo / 3. Il «fenomeno Longanesi» / 4. I vecchi e i giovani / 5. Fra Porta Pia e «ragazzacci di Salò» / 6. La destra che non c’è / 7. Che fare? I Circoli del Borghese / 8. Le vecchie zie non ci salveranno più
/ 9. La stecca nel coro / 10. Indro Montanelli: una “storia d’Italia” longanesiana? / Note / Indice dei nomi.
Leo Longanesi, un borghese corsaro tra fascismo e Repubblica
Carocci, Roma, 2016, 176 pp.
Descrizione
Dal ’43 al ’57 lo scrittore, giornalista ed editore Leo Longanesi, nato nel 1905, visse l’ultimo e febbrile spicchio della sua breve esistenza. Presto affiancato da Indro Montanelli, Giuseppe Prezzolini e Giovanni Ansaldo, si trasformò nel più arguto megafono di quei connazionali passati dal fascismo al post-fascismo, senza mai farsi “contaminare” dalla Resistenza. La sua casa editrice, fondata a Milano nel ’46, esibirà un catalogo di libri revisionisti ante litteram, mentre “il Borghese”, la rivista politicamente scorretta da lui lanciata nel ’50, diventerà uno snodo fondamentale della «destra carsica», riabilitata soltanto nel ’94 da Berlusconi. Frutto di un ricco spoglio di carteggi, diari e altri documenti inediti, il libro di Raffaele Liucci ci restituisce il variopinto mosaico longanesiano, tra regime littorio, guerra civile e Repubblica. Con particolare attenzione all’evolversi dei modelli giornalistici e intellettuali incarnati anche dal suo brillante erede, Indro Montanelli: destinato a diventare il più ascoltato divulgatore di storia patria dai tempi di Cesare Cantù.
Indice
Premessa / 1. «Meglio la Petacci, che la repubblica dei pagliacci» / 2. Il destino ha cambiato cavallo / 3. Il «fenomeno Longanesi» / 4. I vecchi e i giovani / 5. Fra Porta Pia e «ragazzacci di Salò» / 6. La destra che non c’è / 7. Che fare? I Circoli del Borghese / 8. Le vecchie zie non ci salveranno più
/ 9. La stecca nel coro / 10. Indro Montanelli: una “storia d’Italia” longanesiana? / Note / Indice dei nomi.
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