Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

_________________

Scorrendo questa pagina o cliccando un qualunque suo elemento acconsenti all'uso dei cookie presenti nel sito.



26 marzo 2011

La terra postmodernamente desolata

«Ti amo disperatamente» direbbe un ipotetico lui.
Ma la sua ipotetica lei sa che questa frase, un po’ melensa, melliflua, persino indolente e forse, addirittura, letterariamente inetta, è una di quelle tipiche frasi da Liala, la scrittrice, l’amorazzo dannunziano, quella dei feuilleton, i romanzi d’appendice che stringi stringi e poi c’è l’happy ending. Ma d’altronde, lui, pure, sa che lei sa che lui sa che lei sa che è una frase di Liala. Impasse. Come fare per non cadere nella stentatezza di una citazione così scontata?
«Come direbbe Liala, ti amo disperatamente» dice lui, quindi.
Questo, più o meno, l’esempio che Umberto Eco, la trave nell’occhio della letteratura italiana contemporanea, dava per spiegare, nelle postille a Il Nome della Rosa, l’atteggiamento postmoderno. Il Panarari, Massimiliano, mi piace molto, questo perché mi da modo di parlare di Postmodernismo. Poco prima, sempre Eco, scriveva: «Ma arriva il momento che l’avanguardia (il moderno) non può più andare oltre, perché ha ormai prodotto un metalinguaggio che parla dei suoi impossibili testi (l’arte concettuale). La risposta postmoderna al moderno consiste nel riconoscere che il passato, visto che non può essere distrutto perché la sua distruzione porta al silenzio, deve essere rivisitato: in modo non innocente». La non-innocenza è un buon punto di partenza.
Lasciamola un attimo qui e proseguiamo.
Uno dei più grandi poststrutturalista francesi è il Lyotard, Jean François. Anche costui diceva qualcosa che sarebbe il caso ricordare: «Il Postmodernismo è incredulità nei confronti delle metanarrazioni» ovvero, e qui la dico alla maniera di John Stephen: «quegli schemi narrativi culturali totalizzanti o globali che ordinano e spiegano la conoscenza e l’esperienza». Per esempio la televisione?
Ecco, Postmodernismo, un weltanschauung più che una corrente o, per dirla sempre alla Umbertissimo, un kunstwollen, è contraddistinto da due istanze, due grossi perni: non-innocenza e incredulità. Il problema è che non sono i tempi ad essere postmoderni, ça va sans dire, e a dircelo è Panarari stesso. Ancor più: ce lo dimostra! Il postmodernismo di cui trattiamo qui è quello dei processi escatologici (perché ingerenti si occupano del nostro destino ultimo) mediatici. Qui, la lettura panarariana è illuminante: negli anni, in Italia, in una certa Italia, la non-innocenza ha innescato quel processo di ribaltamento il cui risultato è questa egemonia sottoculturale, fenomenologia antipolitica e individualista di un certo edonismo tatcheriano e reaganiano che in Italia è stata “intuizione” di Craxi poi portata a compimento dal berlusconismo (ancor più che da Berlusconi stesso). Il Panarari, Massimiliano, si diverte (e il divertimento contagia pure il lettore) a smascherare il trompe l’oeil della comunicazione nel nostro Paese tramite un affresco di entropie comunicative, alter – giunzioni, parossismi e sperimentalismo: la prosa di Panarari riesce anche a essere bella. Tanto bella da potersi permettere un’esegesi compiuta e decisa, quasi da pamphlet: l’avido copulare della Voce del Padrone con il suo “Min.Cul.Pop.” genera mostri al pari del sonno della ragione. Anche se poi, a dire il vero, l’anestesia della logica non è proprio l’unico risultato, se andiamo a vedere. Arbasino, uno che ne sa e che in fatto di sperimentalismo ha avuto un certo ruolo, ebbe a dire: «il sonno della ragione genera ministri». Uno zdanovismo cortigiano che esiste grazie a personaggi come i “ministri (appunto) ombra” Alfonso Signorini, Antonio Ricci, Maria De Filippi. E se a Gramsci, in questa particolare cosmogonia à rebours, sostituisci il gossip, ogni elemento va al suo posto nel particolarissimo ikebana panarariano, dando fuoco alle micce dei cannoni della controrivoluzione televisiva, quella che erige il Drive In a tempio del mcluhanesimo, sposta la discussione dal costume al coattume, dal neorealismo al neorealitismo.
Come l’Egemonia sotto culturale è diventata egemonica? Ritualizzazione. Se la religione è l’oppio del popolo, l’oppio (la televisione) è la religione del popolo. La televisione, nel suo procedimento d’autoperpetuazione, autoreferenzialità, autoinflazione produce una religione “pop” metodista (nel senso di pastiche di stili ed espressioni) e mitopoietica (ahinoi, mitopoietica!) che si fa forte di un alfabeto di riti take away, pronti all’uso, semplici semplici, free (anche se ormai il weltanschauung è così radicato da poter sconfinare nella dimensione “pay”). L’esercizio della sostituzione, della degradazione del rito, del rito come immagine del mito, non è cosa nuova: Eliot, un esempio su tutti. La terra (L’Italia) del Re Pescatore (Berlusconi) è sfinita, la terra è desolata. Perché questa ancora possa gettare gemme da far fiorire l’unica speranza è che Parsifal si rimetta nuovamente in viaggio, in viaggio verso il Graal.
La speranza, però, è quella di trovare nuovi Parsifal.
Come fare? «Oggi la via d’uscita è sostituire la premessa e spostare l’accento su quel che importa davvero: “Nonostante Liala, ti amo disperatamente”. Il cliché è evocato e subito messo da parte, la dichiarazione d’amore inizia a ricaricarsi di senso». Un pezzo tratto da New Italian Epic di Wu Ming.
È possibile una nuova narrazione italiana?
Emanuele Podestà

Massimiliano Panerari
L’egemonia sottoculturale. L'Italia da Gramsci al gossip
Torino, Einaudi, 2010, 148 p.

___

25 marzo 2011

La nube "buona"

Durante la giornata di ieri è avvenuto il previsto passaggio, prima in Francia e poi in Italia, della nube d'aria proveniente dal Giappone, contenente cesio e iodio e che, a detta delle autorità competenti, non comporterebbe alcun pericolo per la salute dei cittadini italiani.A garantire la nostra sicurezza, ieri, si sono messi in moto l'ARPA, la rete di supervisione del Ministero degli Interni e quella del Ministero dell'Ambiente.
Il ministro della salute Fazio, rassicura l'opinione pubblica con un uso inflazionistico di condizionali che descrivono la massa d'aria in questione come una via di mezzo tra la nuvoletta di Fantozzi e una sorta di aerosol antiallarmismo.
Sempre secondo il parere degli esperti, non ci sarebbero rischi nemmeno per i prodotti agricoli, vista la bassissima radioattività rilevata nell'aria che ieri passava sulle nostre teste. Le uniche note allarmistiche hanno riguardato il Giappone e le raccomandazioni sono state tutte volte a sconsigliare l'acquisto di prodotti giapponesi freschi e a non comprare quelli confezionati dopo il disastro di Fukushima.
Mentre alcuni balbettanti opinionisti pro-nucleare continuano a parlare di "sicurissime centrali figlie dell' ultima generazione tecnologica"e le lobbies che controllano l'informazione mondiale, seppelliscono nel dimenticatoio una tragedia dal corpo ancora caldo, l'Europa si divide tra chi, come la Germania di Angela Merkel, abbandona il nucleare per imboccare la strada delle energie rinnovabili, e chi, come la Francia dell'affarista Sarkozy, rimane nuda di fronte ad un possibile incidente come quello del Giappone. La Francia è il primo paese nucleare d'Europa, con ben 19 centrali e 58 reattori. Se, per un attentato o un incidente, una di queste infrastrutture deflagrasse, gran parte della Francia e dell'Italia diventerebbero zone desertiche.
Adiacenti alle polemiche sul nucleare, si possono scorgere i fatti e le azioni delle nazioni straniere che vogliono rispondere ai propri cittadini, allarmati per ciò che è accaduto in Giappone, con dei piani ben precisi atti alla salvaguardia del bene primo: la salute.
I principali stati europei stanno puntando sull'energia eolica perchè è una fonte pulita che abbatte le emissioni di CO2, perchè non causa la dipendenza energetica di un paese da altri, e perchè oltre ad essere rinnovabile, riduce drasticamente i costi dell'elettricità.
Il nostro paese, come spesso accade, si fa notare in negativo per avere un governo che si muove in controtendenza, facendo di tutto per bloccare il progetto di un impianto eolico nel Golfo di Oristano, in Sardegna e che per mano e per verbo del Ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo, è rimasto ancorato sulla scelta del nucleare, fino all'ordine di inversione obbligata, dato qualche giorno fa dal Sovrano d'Arcore.
Mentre in Italia i politici si sorpassano in retromarcia, superandosi nei gradi d'impopolarità conseguente alle scelte contrarie al volere comune, in Germania, martedì, è stato inaugurato il più grande parco eolico off-shore al mondo, in grado di fornire energia a 50 mila abitazioni.
In Inghilterra, i giornali hanno pubblicato dati tecnici che attestano il superamento della soglia dei 1000 megawatt di potenza, da parte dei parchi eolici.
Addirittura in Canada, grande produttore mondiale di petrolio e uranio, ci si sta impegnando per arrivare a coprire più del 20% del fabbisogno energetico, solo col vento. Il raggiungimento di tale obiettivo, è previsto per il 2025.
In California è in atto un progetto che vedrà iniziare i lavori entro la fine dell'anno, di un'enorme centrale solare funzionante con la tecnologia degli specchi parabolici più grandi del mondo. I tecnici prevedono che, una volta che sarà operativa, con le sue quattro unità produttive da 250 MW, avrà una produzione energetica da record.L'impianto sarà costruito vicino alla città di Blythe su una superficie di 94 km quadrati nella contea di Riverside, vicino alla punta sud-orientale della California e dovrebbe fornire energia elettrica sufficiente ai bisogni di circa 800.000 abitazioni. I dubbi sul progetto erano rivolti all'impatto ambientale della struttura, ma le incertezze a questo livello si sono sgretolate velocemente grazie alla considerazione della grande quantità d'energia prodotta e al ricavo occupazionale. Si calcola infatti che la struttura darà lavore ad oltre 600 persone, per un costo complessivo di 5 milioni di euro.
Non certo in secondo piano rispetto all'eolico, sono le possibilità offerte dalle centrali a fusione fredda, soprattutto perchè rappresentano il frutto di una scoperta italiana, più precisamente dello studio per l'energia alternativa dell'Università di Bologna.
Concludo il mio articolo con una bella citazione che però condivido solo nella prima parte.
"Non esiste un nucleare sicuro. O a bassa produzione di scorie. Esiste un calcolo delle probabilità, per cui ogni cento anni un incidente nucleare è possibile: e questo evidentemente aumenta con il numero delle centrali. Si può parlare, semmai, di un nucleare innovativo." (Carlo Rubbia)
Federico Italiano

____

HABANERO: Presentazione "L'ONNIPOTENTE" di MICHELE VACCARI, ed. Laurana, 2011


DOMENICA 27 MARZO 2011
18.30
KITCHEN MON AMOUR
via San Donato 13, Genova

Presentazione de "L'ONNIPOTENTE", il nuovo romanzo di MICHELE VACCARI, Laurana Editore, 2011.
Presentano:
EMANUELE PODESTA' - HabanerO Edizioni
FRANCESCA BARAGHINI - Primocanale, HabanerO

Il libro
"Violento, perverso, cocainomane.
E sta per diventare Papa."

Figlio di un pezzo grosso della politica italiana, Santo Bustarelli ha il destino segnato: sarà ancora più potente del padre. Non mira però a diventare ministro o presidente del consiglio, vuole di più, vuole il potere dei poteri. Vuole ascendere al soglio di Pietro, essere Papa, disporre dei beni della Chiesa e delle anime dei fedeli. Una volta uscito dal seminario per rendersi popolare Santo utilizza incredibili metodi di propaganda come l'apertura di discoteche cristiane e prediche in diretta televisiva, mentre sotterraneamente prende accordi con la mafia, controlla traffici di droga e uno dopo l'altro abbatte tutti gli ostacoli che trova sulla sua strada. All'apparenza è un moralizzatore, nella realtà invece è un individuo abbietto che brucia le tappe della carriera ecclesiastica partendo da Chiavari, in Liguria, per arrivare in Vaticano, dove il vecchio Papa comincia a tremare. Al suo fianco troviamo due collaboratori, Acne e Lupo. Di cui si può fidare, ma fino a un certo punto. Rimmel (narrativa italiana) Un romanzo potente e scandaloso scritto senza mezze misure. Una raccolta di scene memorabili che sarebbe piaciuta a Stanley Kubrick. Un assalto scagliato contro chi ha dimenticato che al centro della Chiesa deve stare la fede e non il potere. Da uno scrittore che può sembrare spregiudicato e invece è solo puro.

Emanuele Podestà
____

23 marzo 2011

Il cuore pensante di Etty




"Se tutto questo dolore non allarga i nostri orizzonti e non ci rende più umani, liberandoci dalle piccolezze e dalle cose superflue di questa vita, è stato inutile."
Etty Hillesum

Il cuore pensante di Etty
Reading dal DIARIO 1941-1943
di Etty Hillesum

spettacolo teatrale con le allieve del Laboratorio Teatro & Contorni: Gabriella Aimo, Franca Bianchi, Manuela Blandino, Daniela Bonfanti, Vanda Carlevaro, Anna Maria De Angelis, Giovanna Garzini, Mina Mancuso, Floriana Masala, Daniela Pasero, Biancalice Sanna e Luciana Scarrone. Regia di Patrizia Ercole.


Venerdì 25 marzo 2011 - ore 18.00
Salone Nobile del Municipio 2 - Centro Ovest
Via Sampierdarena 34 16149 Genova



*scritti di di Etty Hillesum:
Diario 1941-1943, Roma, Adelphi, 1994.
Lettere, Roma, Adelphi, 1990

*evento segnalato da
Lorenzo Rizzo

___ 

22 marzo 2011

In libreria

Nicla Vassallo
Per sentito dire. Conoscenza e testimonianza
Milano, Feltrinelli, 2011, 160 p.

Scheda

La base su cui si regge la capacità di affrontare la vita quotidiana e professionale negli aspetti più vari, incluse le sue forme più evolute e complesse, e la "testimonianza". È necessario quindi capire la testimonianza, perché in troppi l'hanno voluta e la vogliono controllare nonché manipolare. Un viaggio filosofico nella contemporaneità, che ci invita a ragionare, tra l'altro, su astrologi, complotti, credulità, dittature, diverse condizioni e visioni della testimonianza, false testimonianze, gaffe, giornalismo, guerre, inganni, inquisizioni, internet, potere, pubblicità, testimoni affidabili e inaffidabili.
*segnalato da C.S.

18 marzo 2011

Tutti i particolari in cronaca? Una piccola riflessione

In questi giorni dominati dalla catastrofe giapponese, e dalla minaccia nucleare che ci tiene col fiato sospeso, vorrei condividere con voi una piccola riflessione di tutt'altro tenore, su un fatto che mi ha colpito.
Due giorni fa, mentre monitoravo il Correio da Manhã per la nostra rassegna stampa, all'interno della sezione Mundo mi sono imbattuta in un tipo di notizia che mi ha lasciato molto turbata, non per il fatto raccontato, purtroppo piuttosto comune in ogni parte del mondo (una ragazza violentata e uccisa in Brasile) ma per il taglio che si è scelto di dare alla notizia, una breve di 4 capoversi. 
 La cosa che inizialmente ha attratto la mia attenzione è stata l'immagine: un disegno che raffigurava in modo piuttosto realistico un'aggressione sessuale. Un tipo di immagine che sui nostri quotidiani è difficile trovare. Questo mi ha spinto a leggere, con l'aiuto del traduttore di Google, che uso abitualmente per fare la rassegna. Il breve articolo non lesina particolari crudi e usa un linguaggio estremamente diretto, per descrivere sevizie su cui, solitamente, almeno da noi, si usa sorvolare, anche perché nulla aggiungono al resoconto.
Ma l'immagine resta la cosa che mi ha colpito di più. E' di regola corredare un pezzo, qualsiasi pezzo, con una immagine. Accade per esempio che a commento di un articolo su uno stupro, si veda a volte una foto d'archivo che raffigura una giovane seduta con le braccia intorno alle ginocchia, i capelli a coprirle il volto, a rappresentare in modo astratto la violazione della femminilità di tutte le donne  che ogni giorno sono vittime della violenza. Non credevo invece possibile che un disegnatore arrivasse a ricostruire per un quotidiano la scena dell'aggressione, con tanto di particolari realistici: le mani dell'aggressore intorno al collo della vittima, la donna che urla, la camicetta aperta.
Mi sono chiesta il perché di una scelta di questo tipo, e il perché di questa diversa sensibilità tra i media portoghesi e i nostri. In fondo, si tratta di due realtà che dovrebbero avere diversi punti di contatto. Non sono riuscita per il momento a trovare una risposta. Voi che cosa ne pensate? Una ipotesi potrebbe essere che la contaminazione del mezzo televisivo rende assuefatti a questo tipo di immagini; il suo linguaggio, pervasivo, penetra anche nella carta stampata. E' questo che dobbiamo dare al telespettatore tipo, se vogliamo farlo diventare/rimanere lettore di quotidiani. 
Ma allora mi sono resa conto che viene a cadere un presupposto:  noi non siamo diversi dai portoghesi, a ben guardare. Che senso ha ritenerci superiori, con  i nostri plastici delle villette e le ricostruzioni sceneggiate degli interrogatori degli indagati per omicidio? Forse l’unica differenza è che – per il momento – da noi il peggio resta confinato nel teleschermo, ma è proprio così? 
Elisabetta Ferrando

17 marzo 2011

1861 - 17 marzo - 2011


"[...] So che tutti quanti passiamo mille volte da via Ugo Bassi, via Fratelli Bandiera, via Saffi, piazza Garibaldi, via Pisacane, piazza Cinque Giornate e largo Aspromonte, ma so che sono nomi che non hanno più voce e non raccontano più nulla. Salvo quello che c’è scritto sotto: patriota. Che poi, per molti di quelli la patria per cui hanno combattuto e sono morti non assomiglia nemmeno un po’ a quella che per loro conto hanno chiamato così. E so che questo obnubilamento, smemoratezza, estraneità, è l’insoluta tragedia, la sconfitta irrimediabile del mio Paese e del popolo di cui sono parte. Un popolo, ogni popolo, ha bisogno di una storia per sé; un racconto per specchiarsi e condividerne il riflesso attraverso le generazioni e le epoche. La storia di un popolo non può che essere ai suoi occhi una storia grande, anzi, grandiosa; ed unica, allo stesso modo che ogni essere umano sente in cuor suodi essere unico, e sa che la sua vita ha diritto ad essere grande. In qualunque condizione di vita si trovi, in qualunque paesaggio si collochi. La storia di un popolo si forma nella materia di racconti straordinari, perché abbisogna per la sua grandiosità non di nude cronache, ma di un costante romanzare. I racconti diventano leggende, le leggende si fanno epopee, e le epopee costruiscono un romanzo epico in continuo movimento. Quel romanzo, nato orale e collettivo, cresce con la scrittura, con le immagini, con la musica, con ogni strumento adatto a perpetuarne il racconto, rendendolo sempre più grande, diffuso, coinvolgente. Un popolo ha nel romanzo di sé il suo motivo fondante, il suo più potente strumento di duratura affermazione, e partecipa del suo racconto come di una realtà irrinunciabile, l’unica adatta a costruire altre realtà molto più pratiche e materiali. Molto prima di farsi nazione, ed accettare e partecipare di vincoli che lo terranno soggetto ad astratti e vincolanti istituti, un popolo ha già elaborato il racconto della sua storia, e quel racconto gli è necessario proprio per arrivare fin lì. E il suo ultimo e più fiero e tragico capitolo è proprio quello che racconta la sua nascita come nazione. Ed è sempre una rivoluzione o una guerra, una guerra sempre civile. Nessuna nazione potrebbe sopravvivere e prosperare sopra il peso dell’infinità sequela di miserie e tragedie, sconfitte e turpitudini, generate dal suo formarsi, se quegli avvenimenti non fossero elaborati e sublimati, resi persino ultra umani in un corale canto epico. Una storia che tutti sanno cantare, e rinnovare, tutte le volte che il popolo è richiamato a farsi nazione. [... leggi tutto]"
Maurizio Maggiani

*estratto da M. Maggiani, Risorgimento, chi ci ha rubato gli eroi? , "La Stampa", 17 gennaio 2010.

____

16 marzo 2011

Verdi, bianchi e rossi, giù le mani da Beppino


Della lunga vita di Giuseppe Verdi se ne fa ormai un largo uso commerciale e politico a buon mercato, l’immenso patrimonio intellettuale non è più tutelato dal diritto d’autore, che decade dopo 70 anni dalla morte. Persino la pubblicistica che riguarda le esequie verdiane lascia perplessi e penso che sia un po’ come rendergli omaggio in questa ricorrenza risorgimentale, soffermarsi e chiarire. Si tratta de “l’ultima scena dell’ultimo atto”, come dice Piero Angela nel suo ”Verdi, una vita straordinaria” (speciale di Superquark, Rai Trade, 2001) per il centenario della morte, che avvenne nell’Hotel Milan, alle 2.50 del 27 gennaio 1901 (nacque nella Cascina delle Roncole in Busseto il 10 ottobre 1813).
E’ noto che la mattina del 30 gennaio il feretro di Verdi, trasportato su un carro funebre “essenziale” così come avrebbe desiderato, fu tumulato provvisoriamente nel cimitero monumentale di Milano in attesa di una definitiva collocazione nella Casa di riposo per musicisti, che per Beppino fu “l’opera più bella”. Contrario ad ogni ostentazione anche postuma, gli toccherà invece di andare al sepolcro nella retorica trionfale preferita dalle autorità.
Circa un mese dopo, il 27 febbraio, le salme di Giuseppe Verdi e della sua dolce Giuseppina Strepponi venivano trasferiti nella sua Casa di riposo. Duecentomila persone parteciparono commosse accennando in coro quasi sussurrando con il cuore “va’ pensiero sull’ali dorate”. Sono certo che in Piero Angela, instancabile divulgatore scientifico, non ci sia stata alcuna volontà di mistificare la memoria e la storia, ma il proto-frammento filmico presentato come scoop nel suo documentario verdiano sembra non trovare riscontro con un altro documento, che appare più pertinente ai fatti. Alla fine del documentario appare per una brevissima sequenza un pomposo carro funebre ridondante di addobbi floreali, al cui seguito si nota qualcuno con un ombrello (da sole?).

 Funerale di Giuseppe Verdi e della moglie
Giuseppina Strepponi.
Archivio Armus, Genova 
Questa è la scena che pare essere smentita da un documento editoriale (Archivio del Museo della Stampa di Genova) che ci mostra un carro funebre imponente e austero, privo di addobbi, dove sono visibili le due bare, poste una sopra l’altra, al cui seguito si notano figure ecclesiastiche, assenti invece nel documento proposto da Angela.
Nel prezioso volumetto di Edoardo Sanguineti Verdi in Technicolor (Il Melangolo, 2001) una descrizione di Bruno Barilli sull’uomo Verdi può meglio rendere l’asciuttezza estetica, non certo musicale, ma sociale, ricercata dal grande compositore: “Se gli avessero portato per le briglie Pegaso, il cavallo dalle ali, egli lo avrebbe attaccato a un aratro o a un qualunque carrettino rurale. Vuole la terra sotto i piedi quest’uomo tetragono, come il toro nel buio della stalla, e il suo occhio cerca nell’ombra la scintilla e la vampa.”. Questo il commento di Sanguineti: “E da una coloritura siffatta, retoricamente ben temperata (“tutto il suo teatro s’identifica con il suo paese d’origine”) che procede un’intiera interpretazione della musica verdiana, con il Trovatore al centro, chiave e nodo assoluto, e invalicabile”.
Sarà al Teatro Apollo di Roma che, con la famosa cabaletta “Di quella pira, l’orrendo foco\ Tutte le fibre m’arse, avvampò!... \Empi spegnetela, o ch’io fra poco\ col sangue vostro la spegnerò”, il 19 gennaio 1853, data memorabile, Verdi volle condividere lo stesso entusiasmo che animò Cavour per il nostro Risorgimento.
Ma se non bastasse questo ad assicurarci gli ideali patriottici di Verdi, sarà il suo carteggio. Nelle sue lettere vi sono infatti diversi passaggi dove egli esprime tutta la sua passione politica. Uno per tutti, quello contenuto nel testo che egli inviò ad Antonio Capecelatro, Napoli (1860): “Vorreste voi che io musicasse un inno, quanto resta ancora all’Eroe in camicia rossa un’ultima tappa da fare? Ohibò! L’inno nazionale devesi intonare sulla veneta laguna, a Napoli e sulle Alpi ad un tempo solo. Ho rifiutato e rifiuterò fin a quel momento di scriverne, e se pure Iddio ci aiuti a spezzare le nostre catene ed io viva tanto da veder quel giorno, sarà il primo e l’ultimo inno di G. Verdi”.
Finiamola dunque di saccheggiare le opere d’arte, Verdi, Beethoven, Buonarroti ecc.
Il sublime “Va’ pensiero, sull’ali dorate...” stravolto in “ va pensiero, al conto deposito...” nello spot di una banca.
La cultura non si mangia, ha detto qualcuno. Ma fa mangiare, evidentemente. Che politici, pubblicitari e compagnia tengano giù le mani dalle Opere di Beppino.
Francesco Pirella

*pubblicato per gentile concessione dell'autore. 
*Francesco Pirella è fondatore e direttore di ARMUS Archivio Museo della stampa di Genova.

____


15 marzo 2011

Crociate

Crociate della regia di Gabriele Vacis si presenta come liberamente ispirato a Nathan il saggio di Gotthold Ephraim Lessing, ma nello spettacolo c'è molto di più. Valerio Binasco, unico attore sulla scena, menziona altre opere: inizia con la Crociata dei bambini per introdurre l'argomento crociate, usa stralci della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso per raccontare la guerra a Gerusalemme e per descrivere l'ampolloso elmo del sultano Saladino.
Tutto svolto a forma di monologo in una scenografia spartana, essenziale. Assieme a Binasco sul palcoscenico infatti solo un lenzuolo bianco in primo piano, una sedia che non si nota subito, degli specchi che formano il pavimento che l'attore calpesta, dei gradini su cui si siede e un disco che pare una luna che lui stesso cala verso la fine. Ma non sono necessari altri elementi, la bravura dell'attore riesce a colmare i possibili vuoti lasciati e tutti i personaggi della narrazione.
L'inizio fa pensare che tutto lo spettacolo segua un altro corso. Con un gioco di luci e di specchi che muove l'attore inginocchiato, sul lenzuolo disteso verticalmente rivolto alla platea vengono proiettati visi di bambini, e Binasco di volta in volta ci mostra gli occhi, il naso o la bocca di queste proiezioni. Questo per introdurre il tema delle crociate, le crociate dei bambini, e per continuare la scena nella classe di quando era bambino a fianco del suo compagno di banco balbuziente Paolo Battazzi che riusciva a porre alla maestra domande pungenti che gli sono costate anche l'uscita dall'aula.
Tutta l'opera si dirama quindi tra l'interpretazione dell'opera illuministica di Lessing, i due bambini a scuola e le spiegazioni che l'attore fa al suo pubblico che, per essere più intime, si rivolge dagli scalini del palcoscenico e con la sua vera voce, con l'umiltà di chi vuole spiegare le cose in modo facile, perché il dolore, le guerre, le “piscine di sangue” che ci sono state durante le crociate, non sono nulla di diverso da quello che si ripete in continuazione nel mondo moderno, ma soprattutto oggi.
Tanti i temi trattati: la tolleranza, la guerra, la religione, l'amicizia che varca le differenze. La Storia ci insegna sempre qualcosa ma qui, più che la Storia è un racconto che vuole guidarci a comprendere che quello che è stato fatto, il fanatismo religioso che nascondeva ben altri interessi, persone che partivano in nome di Dio, che non erano guidati dal altri che dal Papa, dai Re che vedevano interessi di conquista, interessi economici, che pensavano solo a privilegiare su un'altra religione che sembrava sempre quella sbagliata, mentre loro quelli giusti, quelli civili che dovevano andare a sconfiggere il cattivo, il burbero il rozzo ebreo o musulmano.
Dalla voce del bambino Battazzi si chiede: "Come mai non esiste mai una Pace Santa, ma solo alla guerra si associa questo aggettivo?". E la maestra non sa rispondere, perché non si trova una risposta. E forse è questa la domanda che veleggia su di noi che abbiamo assistito alla rappresentazione: più che chiederci quale religione è più importante e perché Dio vuole una cosa e non un'altra, cose che sappiamo già, ma di sicuro non capiamo perché nessuno chieda la pace in nome di Dio, ma solo la guerra.
Valerio Binasco è riuscito benissimo nel suo ruolo di narratore, tipico del teatro narrato di Gabriele Vacis. Riesce a raccontare seriamente, con alcune battute, sottolineate dalla platea con troppa ilarità, ma è erroneo chiamarle così, forse è meglio dire gioco di parole utilizzate per smorzare la tensione dell'argomento non giocoso, tanto che ad uno scoppio di risata degli spettatori è intervenuto con un “No, no!”. L'argomento era serio eccome, e pure molto sentito, ed è riuscito a trasmettere il pathos giusto interpretando da solo quasi una decina di personaggi, e riuscendo ogni volta a dare loro dei tratti che diventavano, all'interpretazione successiva, familiari, così che capissi subito se a parlare era il vecchio Nathan, il templare graziato, il sultano Saladino o il suo compagno di scuola Battazzi.
Quel lenzuolo della scena viene usato come riflesso della scena. Perennemente puntato addosso un faretto che gli dà una venatura per non lasciare il telo bianco candido è un elemento di moto che modifica ogni volta l'atmosfera che accompagna, infatti quando si parla dei templari viene proiettata una croce rossa. Viene anche usato come mantello dei monaci guerrieri o di tonaca del Papa. Viene alzato e riabbassato, sempre da Binasco che funge, oltre che da autore, anche da tecnico scenografico.
Sul palco per un'ora e mezza circa accompagnato da luci che scuriscono e si alzano tanto da illuminare addirittura le prime file degli spettatori, ma soprattutto dalla musica. Una musica moderna anche, canzoni conosciute e orecchiabili, come l'immortale We will rock you dei Queen.
Al termine l'attore è dovuto uscire tre volte prima che gli applausi finissero, anzi li ha quasi dovuti interrompere lui con il tipico movimento da maestro d'orchestra. Un opera di pathos che fa anche riflettere con quel pizzico di amara ironia e un Valerio Binasco bravo e commovente al tempo stesso.
Silvia Dessì

___



12 marzo 2011

Habanero presenta L'Egemonia Sottoculturale di Massimiliano Panarai



Lunedì 14 marzo 2011
ore 17.30

Sala Consiglio della Provincia, Genova

HABANERO, la casa editrice giovane di Genova, incontra MASSIMILIANO PANARARI, autore de L’egemonia sottoculturale, Einaudi, 2010.

Presentano la serata:
Prof. LUIGI CAVAGNARO – docente Liceo Fermi
Dott. EMANUELE PODESTA’ - scrittore, editore
con
Sen. ROBERTA PINOTTI
IL LIBRO:
C’era una volta l’egemonia culturale della sinistra.
Oggi ci sono veline, tronisti, iene, grandi fratelli, vip (e aspiranti tali).
Una ragione ci sarà.
Una volta il nazionalpopolare era una categoria gramsciana, i giornali e la televisione pubblica erano pieni di scrittori e intellettuali, la sinistra (si dice) dominava la produzione culturale. Oggi nazionalpopolari sono i reality show pieni di volgarità, la televisione (pubblica o privata) è quella che è, e la sinistra pure.
Ma si può paragonare l’Italia di Pasolini, Calvino, Moravia con quella di Striscia la notizia, Alfonso Signorini, Amici di Maria De Filippi? La tesi provocatoria di questo libro è che il confronto non solo è possibile, ma è illuminante.
Perché oggi, finita e strafinita l’egemonia culturale della sinistra, trionfa un’egemonia sottoculturale prodotta dall’adattamento ai gusti nostrani del pensiero unico neoliberale, in quel frullato di cronaca nera e cronaca rosa, condito da vip assortiti, che sono diventati i nostri mezzi di comunicazione, ormai definitivamente dei «mezzi di distrazione di massa».
E il paradosso è che molte delle tecniche di comunicazione che oggi innervano la società dello spettacolo sono nate dalla contestazione del Sessantotto, dai movimenti degli anni Settanta e dalle riflessioni sul post-moderno degli anni Ottanta.
E così, in un cortocircuito di tremenda forza mediatica, il situazionista Antonio Ricci produce televisione commerciale di enorme popolarità, Signorini dirige con mano sicura il suo postmodernissimo impero «nazionalgossiparo», i reality più vari sdoganano il Panopticon di Bentham e Foucault per le masse. Una riflessione originale sulla costruzione del nostro immaginario contemporaneo, che getta luce sul lato nascosto (e serissimo) della frivola cultura pop in cui siamo tutti immersi.
Emanuele Podestà


Per info:
http://www.habaneroedizioni.wordpress.com/

11 marzo 2011

Al-Jazeera monitora i tweet della rivolta

Un post sul blog Misurare la Comunicazione (a cura della Eikon Strategic Consulting) pubblicato il giorno 8 marzo, segnala che Al Jazeera lancia una dashboard per monitorare l’uso di Twitter nei paesi del nord Africa e del medio oriente in rivolta. Lo scopo è illustrare quanto si twitta e  su quali argomenti in Libia, Egitto, Yemen e Bahrain. L’applicazione, in continuo aggiornamento, è divisa in quattro quadranti: I due in alto sono dedicati ai dati di tipo quantitativo; sulla destra possiamo vedere il numero totale dei tweet giornalieri per ciascun paese, con accanto la media tweet/minuto, mentre sulla sinistra un grafico visualizza il numero di post relativi ai diversi paesi nel tempo.  I riquadri inferiori ci raccontano invece la parte contenutistica: a sinistra scorrono gli ultimi tweet, mentre a destra una mappa interattiva cliccabile fotografa la rilevanza degli argomenti principali divisi per paese.
Mentre scriviamo, mercoledì 10 marzo alle ore 15, i post twittati in Libia oggi sono stati 94.747, segue l’Egitto con 43.300; più staccati, Bahrain (13.033) e Yemen (8263).
In Libia gli argomenti più gettonati sono Libia, Gheddafi (con diverse grafie) e 17 febbraio; in Egitto, invece, Egitto e 25 gennaio.
Elisabetta Ferrando

____

10 marzo 2011

In libreria

Paola Pallottino

Storia dell'illustrazione italiana. Cinque secoli di immagini riprodotte
La Biblioteca Junior, 2010, 516 p.
Descrizione
Questa Storia dell'illustrazione italiana affronta il tema dell'immagine riprodotta a mezzo stampa spaziando dall'incisione al manifesto, dalle caricature ai fumetti, senza trascurare le cartoline, gli ex libris e le figurine. L'importanza dell'opera consiste nel percorrere tutta l'illustrazione prodotta in Italia dal 1467 alla prima metà del Novecento (quando l'avvento della televisione ha iniziato a ribaltare i codici iconografici) analizzandone l'evoluzione nei contesti storici, teorici e tecnici. Pertanto il libro offre un ampio spaccato di vita e costume in cui si intrecciano arte e cultura materiale. Agli specialisti viene presentata una miniera pressoché inesauribile di analisi e informazioni; a un pubblico più vasto è offerta la possibilità di apprezzare l'affascinante universo dell'illustrazione italiana, particolarmente qualificata sul piano internazionale. Vi sono notizie su un altissimo numero di illustratori e sulle loro opere principali, così come già era accaduto per la prima fortunatissima edizione dell'opera, pubblicata oltre venti anni fa. Questa nuova edizione presenta un ricchissimo apparato di immagini a colori e in bianco e nero e una bibliografia generale straordinariamente ampia, che per la prima volta è messa a disposizione di storici dell'arte, illustratori e operatori culturali. A essa si aggiunge, inoltre, una bibliografia monografica dedicata ai principali illustratori trattati nel volume.
____




08 marzo 2011

8 marzo

Maria Nadin, Anna Scattigno
Una democrazia incompiuta.
Donne e politica in italia dall'ottocento ai nostri giorni

Milano, Franco Angeli, 2010, 352 p.
Scheda
In Italia rispetto ad altri paesi europei la presenza femminile in parlamento e nei governi locali è particolarmente fragile: vi è un deficit nel rapporto tra donne e politica che appare come una vera e propria anomalia del nostro paese. L'acquisizione per le donne di una piena cittadinanza politica è un obiettivo ancora in larga parte disatteso, a fronte di processi di lunga durata che le discriminano nell'accesso alle cariche elettive e nell'esercizio delle responsabilità di governo. Come interpretare questa carenza della nostra democrazia? Quali sono le cause che hanno prodotto nel tempo e determinano oggi la partecipazione debole delle donne alla vita politica del paese? [...]"
*link all'Indice del libro.


Perry Willson
Italiane. Biografia del Novecento
Roma-Bari, Laterza, 2011, 366 p.
Presentazione
"[...] questa prima biografia collettiva del Novecento delle italiane, Perry Willson esplora come la realtà femminile sia stata condizionata e abbia a sua volta plasmato eventi storici fondamentali, tra cui l'ascesa del fascismo, le due guerre mondiali, il 'miracolo economico' e le agitazioni culturali e politiche degli anni Settanta. Un lungo periodo che ha visto grandi progressi e conquiste per le donne italiane, in un continuo intreccio di modernità e tradizione. Uno studio portentoso, brillante e istruttivo sulle straordinarie trasformazioni intervenute nella vita delle donne in Italia nel XX secolo. Vivace, acuto e di ampio respiro: una lettura davvero piacevole". (Christopher Duggan).
*link all'Indice del libro.

____

06 marzo 2011

In libreria

Massimo Nava
Il Garibaldino che fece il Corriere della Sera
Milano, Rizzoli,2011, pp. 288

Scheda
“Nacqui a Napoli, il 26 marzo 1842. I miei genitori furono Francesco Torelli e Giuseppina Viollier, della quale aggiunsi il cognome al cognome paterno”: così Eugenio Torelli Viollier iniziava la sua autobiografia, riducendo a cronaca asciutta una parabola straordinaria. Schivo e riservato ma dotato di un’energia inesauribile, visse da protagonista una stagione di fermento civile e culturale in cui si compì l’Unità nazionale. Ancora ragazzo fu a fianco di Garibaldi sui monti dell’Irpinia, apprese i rudimenti del giornalismo sotto l’ala di Alexandre Dumas, respirò il progresso nella Francia di Napoleone III e scelse la Milano della Scapigliatura per creare quello che sarebbe diventato il più importante quotidiano d’Italia. Domenica 5 marzo 1876 uscì la prima edizione del “Corriere della Sera”, che sull’esempio di Parigi e Londra si proponeva di coniugare notizie minute e aggiornamenti politici dalla capitale, eleganza di stile e sobrietà di contenuti, interessi del pubblico e imparzialità delle voci. Nato con poche migliaia di lire, si rivelò un giornale d’avanguardia, capace di esprimere lo spirito fattivo e concreto dello Stato nascente, ma aperto anche al mondo, con i primi reportage dall’America e i dispacci degli inviati sui pogrom in Europa orientale. Intrecciando biografia privata, affresco sociale, storia del costume, aneddoti e gustose citazioni, Massimo Nava racconta la vicenda malinconica ed esaltante di un misconosciuto “padre della patria” che agli albori del giornalismo moderno ha incarnato lo spirito di un’Italia giovane e rissosa, ambiziosa e imperfetta, spesso divisa e talvolta meschina, ma ancora animata da ideali assoluti. Come quelli di obiettività e indipendenza di un grande quotidiano.

____

04 marzo 2011

In libreria

Claudio Siniscalchi
Anni vertiginosi. Il cinema europeo dalla
Belle Époque all'età dei totalitarismi (1895-1945)
Milano, Studium, 2011, 256 p.
Scheda
Questo studio intende segnalare alcune problematiche determinanti del cinema europeo dalle sue origini sino alla conclusione della seconda guerra mondiale. Scaturito dall’insegnamento universitario, il volume fornisce originali chiavi di interpretazione della contemporaneità e descrive l’affermazione della cinematografia a livello sociale e artistico quale prezioso indicatore dei comportamenti umani, pur in un contesto di radicale secolarizzazione. Nell’epoca del dominio universale della tecnica, quella dei fratelli Lumière fu l’ultima, straordinaria invenzione della supremazia europea sull’Occidente. Con il cinema l’arte si impegnava, in nome dell’avanguardia, a distruggere ogni barriera e indicava un grandioso «destino» di progresso per l’umanità, giunto all’apice nella Belle Époque ma destinato a frantumarsi sugli scogli di due conflitti mondiali. Con il cinema, inoltre, molti elementi dell’ideologia artistica originata dai movimenti rivoluzionari di inizio secolo finirono per confluire nel linguaggio dell’arte totalitaria, traduzione delle idee di avanguardia e arma di distruzione del nemico. Gli «anni vertiginosi» conobbero così prima il massimo splendore e poi il suicidio dell’Europa. La cinematografia percorse lo stesso cammino. Sulle macerie rimaste alla fine della seconda guerra mondiale, il cinema europeo scoprì di aver perso la sua funzione di guida, appannaggio ormai del cinema americano.
*segnalato da C.S.

____


03 marzo 2011

In libreria

Parola di scrittore. Letteratura e giornalismo nel Novecento

a cura di Carlo Serafini 
Roma, Bulzoni, 2010, 704 p.
Scheda
Cosa avvicina uno scrittore al giornalismo? È solo una questione economica? Cosa porta sul giornale lo scrittore in più (o in meno) rispetto al giornalista? Come riesce a conciliare a livello di scrittura la libertà della creazione con la misura del pezzo? Che differenza di lettura di un luogo, di un viaggio, di un avvenimento può esistere tra un giornalista e un letterato? Che tipo di rapporto intrattiene un letterato con il potere? Con i vertici di un giornale? Con la velocità della comunicazione? Con il pubblico non avvezzo ai linguaggi della cultura cosiddetta “alta”? E questi rapporti come sono cambiati nel corso del secolo? E gli articoli degli scrittori... sono letteratura? O sono solamente una produzione di serie minore? O addirittura il giornalismo può essere a sua volta considerato un genere letterario? Attraverso lo studio delle collaborazioni giornalistiche di trentasette tra i maggiori scrittori del Novecento, il volume intende fornire uno strumento di studio storico-critico su quello che è stato nel XX secolo il rapporto tra scrittore e giornalismo realizzato direttamente sul campo, ossia sugli articoli, secondo un disegno che mira ad evidenziare come il giornalismo culturale si sia trasformato nell'arco del secolo dal famoso “bello scrivere” a luogo di lettura e comprensione della società in cui viviamo.
____






02 marzo 2011

In libreria

Rolando Belvedere
Dietro i media del quarto mondo.
Nuova geopolitica dell'informazione
Roma, Armando Editore, 2011, 128 p.
Scheda
Capita spesso che notizie fondamentali riguardanti la politica e la cronaca internazionale vengano ignorate dalla radio, dalla televisione e dai giornali dei 40 Paesi appartenenti allo sprofondo dell’emarginazione meridionale di Africa, Asia e Caraibi. Così, gran parte degli oltre 805 milioni di esseri umani subisce molta propaganda e poca informazione. In questo saggio, per la prima volta, si analizzano in maniera approfondita i media del Quarto Mondo, le loro contraddizioni, le relazioni con i media del Primo Mondo, gli interessi tutelati, le tecniche di manipolazione e la competizione anche mediatica dei vecchi e nuovi colonizzatori.

 
___



01 marzo 2011

In libreria

Gianrico Carofiglio
La manomissione delle parole
Milano, Rizzoli, 2010, 198 p.
 
Scheda
Le parole servono a comunicare e raccontare storie. Ma anche a produrre trasformazioni e cambiare la realtà. Quando se ne fa un uso sciatto e inconsapevole o se ne manipolano deliberatamente i signifi cati, l’effetto è il logoramento e la perdita di senso. Se questo accade, è necessario sottoporre le parole a una manutenzione attenta, ripristinare la loro forza originaria, renderle di nuovo aderenti alle cose. In questo libro, atipico e sorprendente, Gianrico Carofi glio rifl ette sulle lingue del potere e della sopraffazione, e si dedica al recupero di cinque parole chiave del lessico civile: vergogna, giustizia, ribellione, bellezza, scelta, legate fra loro in un itinerario concettuale ricco di suggestioni. Il rigore dell’indagine – letteraria, politica ed etica – si combina con il gusto anarchico degli sconfi namenti e degli accostamenti inattesi: Aristotele e don Milani, Cicerone e Primo Levi, Dante e Bob Marley, fi no alle pagine esemplari della nostra Costituzione. Ne derivano una lettura emozionante, una prospettiva nuova per osservare il nostro mondo. Chiamare le cose con il loro nome è un gesto rivoluzionario, dichiarava Rosa Luxemburg ormai un secolo fa. Ripensare il linguaggio, oggi, significa immaginare una nuova forma di vita.
*segnalato da C.S.

___





Archivio blog

Copyright

Questo blog non può considerarsi un prodotto editoriale, ai sensi della legge n. 62/2001. Chi desidera riprodurre i testi qui pubblicati dovrà ricordarsi di segnalare la fonte con un link, nel pieno rispetto delle norme sul copyright.