Cito parola per parola dall'introduzione: "In nessun paese occidentale il proprietario di quasi metà dei canali televisivi nazionali si presenta alle elezioni cinque volte in quattordici anni, per tre volte le vince e diventa capo del Governo".
E' attraverso quest'anomalia che Franco Debenedetti (senatore con il centrosinistra per tre legislature) e Antonio Pilati (componente dell'Autorità garante della Concorrenza e del mercato) illustrano l'intrecciarsi delle vicende politiche con la questione televisiva, attraverso un punto di vista storico-politico per il primo autore, e normativo-legislativo per il secondo.
Una questione prettamente italiana ma, come si evince dal titolo, il riferimento è alla guerra che nel Seicento devastò l'intera Europa: trent'anni di battaglia fra fazioni contrapposte per abbattere il nemico e sradicare l'eresia, una guerra politica mascherata da battaglia ideologica volta ad annientare la supremazia di un unico e potente uomo, una devastazione che ebbe effetti e ripercussioni sulla vita politica europea.
Ora questa guerra è finita e ne vengono ripercorsi gli avvenimenti con l'occhio critico di chi conosce la materia.
E' finita per sfinimento, come la Guerra dei Trent'anni, la crisi finanziaria prima ed economica poi hanno accelerato questo processo insieme alle innovazioni tecnologiche, ma il conflitto politico continua a persistere: non c'è nulla che assomigli alla pace di Westfalia.
Il libro ripercorre fase per fase la battaglia che ha portato a un conflitto d'interessi durato più di trent'anni, ovvero dal 1976, quando la Corte Costituzionale permette la trasmissione televisiva in ambito locale, minacciando così il monopolio statale. L'anno dopo, Silvio Berlusconi (protagonista assoluto non solo del nostro libro, ma dell'intera vicenda politico-televisiva) inizia a trasmettere da Telemilano. Poi il craxismo, nel 1990 l'approvazione della legge Mammì, che disciplina il sistema radiotelevisivo pubblico e privato, definita "Legge fotografia" o "Legge Polaroid", in quanto si è limitata a legittimare la situazione televisiva già esistente. E, sempre nel '90, l'aggiunta di Mondadori all'impero mediatico di Berlusconi, un impero che, oltre a tre televisioni, comprendeva anche la testata "Il Giornale", a nome del fratello Paolo. Nel 1992, Mani Pulite, l'affermarsi con prepotenza della Lega Nord, nel '94 la discesa in campo di Berlusconi, il Governo Prodi e la crisi della sinistra, che in questi trent'anni non ha saputo contrastare efficacemente il nemico, fino ad arrivare alla Legge Maccanico, alla Legge Gasparri e al Decreto Gentiloni.
Una battaglia terminata da pochi anni, con il discorso di Walter Veltroni al Lingotto nel 2007, che ha decretato la fine dell'antiberlusconismo come alternativa politica, ma soprattutto grazie alle nuove tecnologie, il digitale terrestre, Internet, ovvero gli strumenti dei nuovi consumi.
Una profonda analisi storico-politica ma anche sociale, una spiegazione del perché si sia arrivati a questo conflitto d'interessi tipicamente e solamente italiano: un'anomalia che nasce parecchi anni prima della famosa discesa in campo, come manifestazione di una società devastata dagli effetti della modernizzazione, come spiega Pier Paolo Pasolini, in cui i meccanismi che si innescano a livello di psicologia di massa sono determinanti per l'ascesa di regimi totalitari, in cui "la responsabilità della degradazione antropologica degli italiani (…), responsabilità dell'esplosione selvaggia della cultura di massa e dei mass media" sia da ricercare nella "stupidità delittuosa della televisione".
Una società che somiglia a quella raffigurata nel 2007 dai fratelli Coen nel film Burn after reading, dove il mondo è una palestra, dove si è ossessionati dalla conservazione del proprio corpo, dalla chirurgia plastica, è la società del Grande Fratello e del Festival di Sanremo, di Pippo Baudo e di Fiorello, di Beautiful e delle fiction.
E la sinistra si trova in difficoltà in una società spettacolarizzata, dunque senza miti: "in un mondo dove tutto è spettacolo, si muove, perfettamente a suo agio, il nuovo Berlusconi, paradossalmente situazionista".
Non si tratta più di televisione che parla di televisione, quando il padrone della TV diventa l'oggetto della campagna si ha un corto circuito tra mondo della comunicazione e mondo della politica, non c'è altra alternativa che essere pro o contro Berlusconi.
Concludo con le parole di Norberto Bobbio: "Non ha vinto Berlusconi in quanto tale, ha vinto la società che i suoi mass media, la sua pubblicità hanno creato (…) In una società siffatta, con i suoi valori tradizionali, la sinistra non ha nessuna presa".
Beatrice D'Oria
____
Franco Debenedetti - Antonio Pilati
La guerra dei trent'anni. Politica e televisione in Italia (1975-2008)
Torino, Einaudi, 2009, 318 p.
*link al primo capitolo del libro sul sito dell'editore Einaudi.