Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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30 ottobre 2012

In libreria

Davide Mazzocco
Giornalismo digitale.
Architettura, programmazione, ottimizzazione
Roma, Edizioni della sera, 2012, pp. 200
Descrizione
 Il saggio affianca, agli aspetti teorici e alle idee più innovative provenienti dal dibattito sui new media, le pratiche quotidiane, le tecniche di gestione delle notizie e delle realtà redazionali. Strutturato in tre aree, il libro affronta la fase di progettazione e di ideazione fornendo gli strumenti atti a valutare il contesto nel quale si vuole avviare una start up giornalistica.

*link al sito di Edizioni della sera
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27 ottobre 2012

In libreria

Lorenzo Benadusi
Il «Corriere della sera» di Luigi Albertini.
Nascita e sviluppo della prima industria culturale di massa
Roma, Aracne, 2012, 308 pp.

Descrizione
Il «Corriere della Sera» grazie alla direzione di Luigi Albertini diventa una moderna impresa editoriale, protagonista indiscussa della storia dell'Italia liberale. Il libro ne ricostruisce l'organizzazione, ponendo al centro dell'indagine i rapporti di lavoro, la gestione amministrativa, le scelte aziendali, l'attività del personale dipendente, il legame con i lettori e la proprietà. Una storia dunque che, attraverso l'analisi delle carte dell'archivio del quotidiano milanese, porta alla ribalta il suo reale funzionamento e il ruolo svolto dal giornale nel complesso venticinquennio che vede il tramonto degli ideali liberali, già scossi dalla Grande Guerra, fino all'affermarsi del fascismo.
*link all'Indice e all'Introduzione
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26 ottobre 2012

I giovani “choosy”

La monotonia del posto fisso e la decadenza giuridica del lavoro: ovvero il governo dei non-retori

Se si dovesse consegnare un “pagellino” di valutazione pseudo-scolastica agli attuali inquilini di Palazzo Chigi, la sezione “retorica/dialettica/espressività” riceverebbe una bella insufficienza, con tanto di biasimo da parte della commissione giudicatrice. Ebbene, in questi quasi dodici mesi di governo tecnico Monti e compari hanno fatto pressoché di tutto per smuovere l’opinione pubblica (peraltro neanche troppo tenera nei loro confronti) con trovate, pensieri, riflessioni, dichiarazioni e battute a dir poco sconvolgenti e scioccanti, sentenze da far rabbrividire persino il peggiore degli imbonitori. Mattatori per eccellenza di questo delirio comunicativo sono stati il premier e la solita Elsa Fornero: a loro, difatti, va attribuita la teoria dell’impiego fisso monotono e il postulato del dinamismo del precariato, il nuovo scandaloso assioma giuridico del lavoro come non-diritto (presentato in anteprima in un’intervista all’Economist) e, ultimo in ordine di pronunciamento, la condanna inquisitoria dei giovani italiani, definiti con un pizzico di inappropriata estero-anglofilia, choosy, ovvero “schizzinosi” e capricciosi di fronte a un mercato del lavoro elastico, flessibile e in perenne movimento che non permette scelte discrezionali e arbitrarie. Insomma, il consesso ministeriale post-Berlusconismo è sempre più una desolante miniera di illazioni, offese, parole confuse, vilipendi, fraintendimenti, minacce velate e demagogia di terza scelta e le dovute conseguenze di questi atteggiamenti retorici, ovvero la moltitudine di indignati – specie giovani – che affollano le bacheche dei network sociali con violenti contro-insulti al mittente, dimostrano che questo Governo, già aspramente criticato per i cospicui tagli, il pressing fiscale e le varie ghigliottinate al sistema degli enti locali, non sappia neanche parlare ed esprimersi correttamente, perlomeno con una terminologia adeguata a rapportarsi con l’odierno complesso contesto sociale. Fallimento professionale di portavoce, addetti stampa, manager della comunicazione e filosofi-retori al servizio del sovrano? Chi può dirlo.
Le carenze espressive di Monti, Fornero & co. non sono tuttavia uno strumento subdolo e velato per mobilitare, facendola infuriare e scatenare uno tsunami di tweet, share, post e creazioni artistico-grafiche di protesta, l’opinione pubblica, né rappresentano la metamorfosi verbale delle loro teorie. Chi mai avrebbe il coraggio di affermare, intenzionalmente e consapevolmente, che il lavoro non è un diritto? Quale sarebbe l’individuo capace di bollare impietosamente come “schizzinosi” (oppure, à la mode anglaise, choosy) una moltitudine di under-30, fra cui brillanti laureati, ingegnosi dottori, elastici freelance e menti raffinate, impantanati nel baratro della disoccupazione e del precariato? E fatemi il nome del politico di turno fermamente convinto della monotonia del posto fisso e della necessità di una migrazione professionale da un impiego all’altro. Nessuno, infatti. Nessuno.
La questione è invece più semplice. Presidente e ministri sono solo pessimi retori, scarsi parlatori, latori di un’espressività verbale carente, inadeguata, ambigua e aperta alle più svariate interpretazioni. Il chiosare che “il lavoro non è un diritto” indica la mancanza – in questo caso della sig.ra Fornero – di chiarezza nella stesura di un discorso ben più articolato e argomentato, mal riassumibile nella forma base soggetto-verbo-complemento, l’accoppiata posto fisso monotono e precariato “divertente” suggerisce d’altro canto un maldestro tentativo di soffocamento degli allarmismi e delle preoccupazioni sociali, come pure il “famigerato” choosy tenta (senza successo) la strada anglofila (e modaiola) della mitigazione linguistica di un concetto considerato poco assimilabile se espresso nell’idioma nazionale.
Dunque, dobbiamo ancora inorridire di fronte a un Governo poco cauto persino nel risolvere problematiche unicamente orali e retoriche? L’unica soluzione è forse l’attesa di un nuovo esecutivo capace almeno di parlare bene e di esprimersi correttamente, notabili che possano dimostrare – in mancanza di altre doti – il minimo senso della lingua, il suo utilizzo e le sue strategie. Anche con l’ausilio di pratici manuali consultativi per demagoghi principianti.
Paolo Giorcelli
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23 ottobre 2012

In libreria

Maurizio Serra
Malaparte. Vite e leggende
Venezia, Marsilio, 2012, 592 pp.
disponibile anche in formato e-book
Descrizione
Nazionalista e cosmopolita. Pacifista e bellicista. Elitista e populista. Scrittore politico dalla prosa essenziale e romanziere dall'immaginazione barocca. Mitomane, esibizionista, gelido dandy che flirta con fascismo, marxismo e anarchia, attratto di volta in volta dall'Italia di Mussolini, dall'Urss di Stalin, dalla Cina di Mao e dall'imperialismo americano. Seduttore inveterato, esibizionista, "camaleonte" pronto a servire (e a servirsi di) ogni potere. Tutto e il contrario di tutto, in apparenza, Curzio Suckert detto Malaparte (1898-1957) sfidò solitario le convenzioni della sua epoca. Oggi questa poderosa biografi a di Maurizio Serra - basata su un'ampia documentazione, su corrispondenze e testimonianze anche inedite - ci restituisce le sfaccettature di una vicenda umana e letteraria che non può ridursi ai luoghi comuni che ne hanno imprigionato la memoria. Emerge così la modernità di un Malaparte visionario interprete della decadenza europea, che non smette di stupire perché aveva, potente e inconfessato, il gusto dello scacco: «Malaparte o le disavventure di Narciso».



22 ottobre 2012

In libreria

Paolo Facchinetti
Un secolo di Guerino. La storia leggendaria del piu' antico periodico sportivo del mondo
Bologna, Minerva Edizioni, 2012, 276 pp.

Descrizione
Il Guerin Sportivo festeggia il suo 100° anno di vita. Al mondo non esiste altro periodico più antico, settimanale o mensile, sportivo. Nato a Torino nel gennaio del 1912, ha fatto la storia dello sport e del giornalismo: qui sono nati i "marchietti" delle squadre, qui ha cominciato a scrivere Gianni Brera. Lo hanno guidato uomini e giornalisti straordinari come il conte Alberto Rognoni, Italo Cucci o Marino Bartoletti. Qui hanno scritto di sport Alberto Bevilacqua, Dario Fo e la Gialappa's Band. Da qui sono partiti i più virtuosi disegnatori e vignettisti del '900, come "Carlin" e "Marino". Il libro che ripercorre le vicende del giornale lungo un secolo di storia e ne mette in risalto le figure e gli eventi che lo hanno reso popolare. Questo libro, scritto da Paolo Facchinetti che del Guerino è stato direttore oltre che appassionato studioso,  ripercorre le vicende del giornale lungo un secolo di storia e ne mette in risalto le figure e gli eventi che lo hanno reso popolare.

21 ottobre 2012

In libreria

Günter Wallraff
 Notizie dal migliore dei mondi. Una faccia sotto copertura
Roma, L'Orma editore, 2012, 312 pp.

Descrizione
Il più importante giornalista d’inchiesta tedesco, autore dello shoccante Faccia da turco, autentico pugno nello stomaco della Germania degli anni Ottanta, torna a travestirsi e infiltrarsi con consumata abilità d’attore per mostrare il mondo dell’emarginazione sociale in tutta la sua cruda realtà, dandone testimonianza in prima persona. Vivendo da extracomunitario di colore, impiegandosi in un call center o dormendo all’addiaccio con i senzatetto nel giorno più freddo dell’anno, Wallraff svela l’inferno del precariato e il terzo mondo della porta accanto. Cinque reportage per raccontare dall’interno lo sfruttamento e la miseria nella ricca Germania, solo in apparenza immune da ogni crisi. Il volume è arricchito da una nuova e rivelatrice indagine sugli errori e gli abusi della psichiatria contemporanea.
*link alla presentazione sul sito de L'Orma editore.

19 ottobre 2012

In libreria

Vittorio Roidi
Cattive notizie. Dell'etica del buon giornalismo e dei danni da malainformazione
Roma, Centro di documentazione giornalistica, 2012, 287 pp.
Descrizione
Il diritto all'informazione non è un privilegio del giornalista, ma una componente della libertà del cittadino, una garanzia della democraticità del sistema". A scriverlo è Stefano Rodotà nella prefazione a questo libro. Ed è sicuramente così. Ma affinché ciò corrisponda poi alla realtà dei fatti occorre che il giornalismo sia scrupoloso, corretto e oltremodo rigoroso. Il giornalista per il ruolo che rappresenta è oggetto di pressioni, lusinghe e tentazioni. Per questo il suo corredo di regole e responsabilità deve essere chiaro. I confini della professione ben marcati e in nessun caso mobili o confusi. Cattive Notizie è un libro sui principi di un corretto giornalismo e sui danni della malainformazione. Un vademecum per il giornalista che nella sua professione non vede solo il lavoro che gli dà da mangiare ma anche il piccolo quotidiano contributo alla costruzione di una società migliore. Prefazione di Stefano Rodotà.
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18 ottobre 2012

L’epopea Renzi-Grillo: nuova politica o nuovo inganno?


I sondaggi, seppur considerati una bandiera fondamentale per le tendenze plebiscitarie-populistiche dell’attuale sistema politico, risultano spesso solo parzialmente indicativi della situazione che vanno discorrendo, si arrogano una valenza di empirismo analitico giammai infallibile e cercano in tutti i modi di pre-mobilitare l’elettorato molti mesi prima delle consultazioni alle urne. L’opinione pubblica è ormai sommersa di percentuali, catalogazioni, numeri, cifre e (dis)ordinate classificazioni utili a manipolare e uniformare un’opinione pubblica di per sé già confusa e incerta, “sballottata” dai timori circa il prosieguo della crisi economico-finanziaria. Questo carrozzone pseudo-statistico continua nel suo atto di “seviziare” una società che si sarebbe dovuta (e dovrebbe) emanciparsi con le tendenze anti-massa dei new media e delle reti virtuali ma che purtroppo risulta ancora vulnerabile al populismo della vecchia e desueta mass communication di inizio Seconda Repubblica.
Nonostante ciò, esistono sondaggi, statistiche, percentuali e classificazioni “ben fatti” e particolarmente utili nel rappresentare – seppur semplicisticamente – i troppi vizi e le poche virtù di un antiquato sistema politico vacillante ma non sconfitto. Al riguardo, ho consultato con interesse e viva curiosità un sondaggio pubblicato lunedì 15 ottobre sul Fatto Quotidiano – un foglio che per la sua particolare conformazione ideologica, etica ed anche imprenditoriale è sinonimo del cosiddetto “buon giornalismo” d’opinione e di critica editoriale – ed eseguito da Demoskopea. L’analisi verteva sull’odierna (mala)salubrità della politica italiana, la fiducia popolare verso le istituzioni democratiche, lo stato d’animo della cittadinanza nei confronti della leadership, le intenzioni di voto e non-voto e soprattutto i personaggi-chiave di una millantata “nuova politica” che a mio parere è tutt’altro che nuova.
Tralasciando, pur non intenzionalmente, l’impietoso quadretto dello sfacelo del sistema governativo-istituzionale nostrano (spicca il calo della fiducia nei confronti dei poteri classici e il terrificante 89% di rabbia, pessimismo e rassegnazione concretizzatosi in una larga fetta di elettorato abulico, indeciso e/o intenzionato a non partecipare alla prossimo cambio di legislazione), la mia attenzione si è orientata al capitolo “personaggi nella nuova politica”, ovvero a quei candidati leader rappresentativi della transizione dal berlusconismo al post-berlusconismo attualmente nelle opinabili mani del governo tecnico Monti. Scrutando la classifica a mo’ di “countdown”, si posizionano nelle parti basse Nichi Vendola e Antonio Di Pietro (il primo è considerato una “matricola” nel guazzabuglio della leadeship nazionale, il secondo risulta maggiormente “allenato” nella “palestra” romana, anche per l’illustre passato da eroe di Tangentopoli), poi il mondo imprenditoriale/industriale con le figure carismatiche di Montezemolo e Marcegaglia; un pugno di percentuali in più invece per la squadra dei tecnici di Monti. La top-three è invece più accattivante: alla pedana più bassa del podio vi risiede la categoria dei “nessuno di questi”, mentre al secondo e al primo posto stanno rispettivamente Matteo Renzi e Beppe Grillo.
Figure controverse, chiaccheratissime e inflazionate, Renzi e Grillo – a detta degli intervistati – sarebbero coloro che incarnerebbero la “nuova politica”, gli eredi del post-berlusconismo, coloro in grado di spazzare via l’ondata truffaldina dei vari Belsito, Lusi e Fiorito alias “Batman” e di ristabilire l’onestà, il rigore e la salubrità economico-finanziaria ed anche etico-valoriale. Il sindaco di Firenze e l’ex comico genovese hanno peraltro parecchi obiettivi e caratteristiche comuni: l’odio verso la “vecchia politica”, il disprezzo dell’attuale classe dirigente tecnico-arcaica, la voglia di rivoluzionare il sistema dalla radice, la ricerca di un innovativo sistema di raccolta di consenso e di mobilitazione popolare attraverso i nuovi media, il tentativo di “laissez faire” antigerarchico ai membri più dinamici del proprio schieramento e così via.
La premiata coppia Renzi-Grillo – a mio parere – non rappresenta tuttavia quel vento rivoluzionario tanto acclamato dai sondaggi, né potrà essere veramente capace di spazzare via le velleità affaristiche della casta. Il primo, autodefinitosi “Rottamatore” per il suo acerrimo impegno nel “rottamare”, ossia far sloggiare, gli ottuagenari della politica e gli abituè in Parlamento, pare aver traviato le reali problematiche del Paese: ciò di cui necessita l’Italia non è esclusivamente una classe dirigente esclusivamente giovane e under-40 e, dunque, un radicale rinnovamento dei seggi parlamentari, ma invece il soverchiamento dei “modi di fare” della politica, il rinnovamento della moralità pubblica, il risanamento delle istituzioni e dei consigli dai vari “bricconi” e ladri, come pure la riqualificazione del sistema legale e legislativo volto a un maggiore controllo e la predisposizione di misure restrittive e punitive effettive, efficienti, efficaci e anche “dure”. Non bisogna dimenticare che nemmeno i “giovani”, cui Renzi tanto va acclamando, si sono esentati dal commettere reati e inganni in territorio pubblico-politico: esempio eclatante è il 24enne delfino del Carroccio Renzo Bossi, dimissionario dal Consiglio regionale della Lombardia in seguito allo scandalo Belsito (concernente gli assodati utilizzi privati illeciti di fondi della Lega Nord da parte di alcuni affiliati) e attualmente perseguito per diffamazione.
Il personaggio di Beppe Grillo è invece lo strumento esemplificativo di come la costruzione del consenso, dopo il trionfo del modello 2.0 alle amministrative e ai referendum del 2011, stia nuovamente rideclinando alla politica-spettacolo, alle scenografie di contorno e all’imbonimento di massa. Grillo è sì il migliore interprete e cavalcatore dell’onda di delusi e sfiduciati del post-berlusconismo, ma difficilmente riuscirà a vestire i panni dell’uomo della provvidenza in grado di salvare l’Italia dal baratro. In primis, la sua professione di comico, affabulatore e uomo di pungente e velenosa satira ha letteralmente pervaso - e anzi invaso - la proposta politica del personaggio e del relativo partito, il Movimento 5 Stelle, un partito che crede di interpretare le spinte e le necessità dell’italiano moderno e contemporaneamente si lascia andare a irreali proposte e favolistiche esternazioni pubbliche (si pensi, ad esempio, alla volontà di coniare una propria valuta nel comune di Parma di recente conquistato dai “grillini”, idea confrontabile per fattibilità e credibilità al più antico secessionismo leghista).
Ma Grillo va ben oltre l’irrealtà, l’utopia e il campanilismo finanziario. Negli ultimi giorni è balzata agli onori della cronaca l’ultima delle sue imprese, ovvero l’attraversamento a nuoto dello Stretto di Messina, gesto apotropaico che fungeva da anteprima della sua campagna elettorale in Sicilia. Non so voi, ma a me questo modo di far propaganda ricorda fin troppo i grandiosismi e l’esagerazione spettacolistica del periodo berlusconiano. Certo, il Cavaliere non cavalcava realmente i flutti agitati del Mar Mediterraneo (gli mancavano – e gli mancano – il fisico da nuotatore provetto), ma analogamente cavalcava l’entusiasmo dell’opinione pubblica attraverso show televisivi, parate, manifestazioni..., insomma la mostruosa macchina mediatica che noi tutti conosciamo. Grillo e Berlusconi, due facce che parrebbero agli antipodi, condividono anzi la medesima becera tendenza al populismo più efferato. Gli strumenti, peraltro, ci sono tutti: se Berlusconi aveva (e ha) il colosso multimediale Fininvest, Grillo può contare sul proprio dinamismo web e su quello degli adepti, attivissimi su Facebook, Twitter, Youtube e blog vari. Non occorre tuttavia in tale sede definire differenze ed eguaglianze fra il Cavaliere e il comico genovese; ciò che va rimarcato è la tendenza dei due a costruire belle cornici, mirabolanti scenografie di contorno e nel contempo tralasciare il succo, la sostanza, l’essenza centrale, principale dell’offerta politica: le attraversate a nuoto, gli insulti e le bestemmie di Grillo, come naturalmente il carro armato spettacolistico-mediatico di Berlusconi rappresentano unicamente una sorta di “oppio”, di “loto” da far ingoiare al popolo e nascondergli le reali manchevolezze e problematiche del Paese. E’ infatti più semplice ed efficace la buffonaggine, la giocosità e il perenne teatrino rispetto al serio impegno politico-sociale.
Ora, constatando tutto questo, siamo ancora sicuri che la coppia Renzi-Grillo possa essere elevata a simbolo concreto di un poco effettivo cambiamento politico? Probabilmente no, ma è sicuramente un toccasana per la stabile leadership di finti rottamatori e pseudo rottamandi poco intenzionata a lasciare le comode poltroncine romane e a concretizzare in fatti la fumosa fabbrica di demagogia e retorica da essi istituita, diretta e manipolata .
Paolo Giorcelli
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17 ottobre 2012

Riflessione meta-giornalistica. Umberto La Rocca incontra gli studenti di Informazione ed Editoria dell’ateneo genovese

“Fate quello che vi piace, fatelo seriamente”. Questo il consiglio dato dal direttore del quotidiano genovese Il Secolo XIX, Umberto La Rocca, agli studenti del corso di laurea in Informazione ed Editoria durante l’incontro di apertura del nuovo anno accademico di martedì 16 ottobre. La Rocca, romano, direttore nella redazione di piazza Piccapietra dal 2009, vanta un esordio, 28enne, sul quotidiano della capitale, Il Messaggero. Approdato nel 2001 alla Stampa di Anselmi, si è fatto strada assumendo il ruolo prima di direttore della redazione romana, poi di vice-direttore. Encomiabile carriera, la sua, ed altrettanto encomiabile l’affabilità mostrata in occasione dell’incontro (ormai consueto) con gli studenti, aspiranti giornalisti.
Curiosità, serietà, versatilità e conoscenza delle lingue: ecco le qualità che il direttore di uno dei quotidiani leader in Liguria e basso Piemonte individua nel tracciare un profilo del giornalista di domani. “Siamo in momento storico in cui molte cose stanno cambiando”, sottolinea La Rocca già nell’inizio del suo discorso, ”e in cui stiamo assistendo al passaggio in modo sempre più insistente dal cartaceo al digitale: tra poco il prodotto-giornale, quello  che fisicamente si acquista in edicola, diventerà un oggetto d’élite”. Come deve reagire il giornalista di fronte al cambiamento? Non lasciarsi spaventare, ma prendere consapevolezza del fatto che il suo mestiere è in evoluzione, perché lo è la società e, di conseguenza, il bacino di utenti che costituiscono il suo pubblico. Ormai lontani dagli anni della supremazia della stampa come fonte informativa e dal giornalista-reporter armato di microfono in stile “Quarto potere”, di wellesiana memoria, stiamo assistendo all’avvento della informazione poliforme di web e social networks vari. Adesso è la notizia stessa che segue il pubblico, ovunque esso si trovi, e rende vecchio nel giro di qualche secondo non solo la notizia di per sé ma lo stesso commento all’accaduto. Il paradosso delle “news”, che nascono già “old”, specchio di una società continuamente protesa verso il dopo, il “post”. È necessario che il giornalista diventi multitasking, professionista in grado di rendersi versatile in diversi settori, dalle riprese, alle foto, alla redazione di pezzi flash, o di commenti estesi estemporanei. Ed è allo stesso modo necessario che il professionista si faccia artigiano: il paradosso all’epoca del web 2.0 è proprio questa convivenza pacifica di tecnocrazia e costruzione della notizia "in fieri", in ogni sua parte. Una sorta di specialista tuttofare, insomma, che deve correre dietro alle innovazioni per restare al passo coi tempi. Soprattutto se si conta che i nuovi mezzi stanno rendendo il giornalismo sempre più interattivo: la gente, i lettori, parlano con le redazioni, dicono la loro sulle notizie, pretendono precisione e correttezza estrema, e per di più contribuiscono al processo di creazione della notizia vera propria, spesso fornendo materiale digitale (foto, filmati, ecc) o testimonianze. A volte fanno perfino lo scoop: La Rocca ricorda l’aneddoto della lettrice che ha fornito lo scoop della “bionda” compagnia del capitano Schettino, durante la proverbiale “ultima cena” pre-disastro della Concordia.
Molti altri i temi trattati dal direttore: la filiera della distribuzione, gli interessi dei grandi gruppi e le pressioni degli editori contro l’indipendenza del giornalista. Dal quadro generale traspare un grande amore per un mestiere, sì, per un’arte, nobile ma ormai priva del lustro di un tempo, inquinata dagli interessi particolari e paralizzata dalla crisi, che costringe a misure restrittive e tagli al personale per riuscire almeno ad arginare il calo delle vendite, senza incappare nella disfatta totale. Il quadro non è del tutto rassicurante (ma, in fin dei conti, nemmeno il giovane più naif della sala avrebbe potuto aspettarsi parole più ottimistiche, senza sentirsi preso in giro), ma lo spirito generale dell’incontro è all’insegna dell’apertura e della speranza: la palla passa ora alle nuove generazioni, le quali dovranno cercare nuove forme, nuovi spazi, nuovi mezzi per raggiungere il pubblico, con un occhio ai ricavi.
Elettra Antognetti
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I Taviani candidati all'Oscar


Cesare deve morire di Paolo e Vittorio Taviani, sarà la pellicola italiana candidata alla corsa come Miglior film straniero degli Oscar 2013. I due fratelli, grandi registi degli anni sessanta, cercano ancora una volta di stupire con la nuova pellicola, il pubblico. Utilizzano stavolta un ingrediente speciale, provano ad amalgamare con la giusta dose, la poesia e la recitazione in un unico film, rendendo vincitore del festival Orso D’Oro, dopo 21 anni, un film italiano. Un film toccante, duro ma allo stesso tempo emotivo, rappresenta l’animo umano dietro le mura carcerarie, il quale molte volte viene dimenticato. Riprende una delle opere drammatiche di William Shakespeare del 1599, Giulio Cesare, invertendo la linguistica dell’opera nei vari dialetti del Sud Italia. Questo film ha un tocco in più di originalità, girato all’interno del carcere massima sicurezza “Rebibbia”, gli attori non sono altro che i detenuti stessi, i quali stanno scontando pene gravi ed alcuni l’ergastolo. Tutti tranne due Francesco Striano, attore del Gomorra, interpreta questa volta il ruolo di Bruto, ed infine Fabio Cavalli, tramite per la riuscita di questo progetto. La storia tratta di un tema fondamentale “La Libertà”, di non sottoporsi alla tirannia e di uccidere in nome della giustizia, interpretando nell’opera teatrale, i famosi romani, Cesare, Bruto, Cassio, Antonio. Tutto ciò si scontra con la vita dei carcerati, posti nelle loro buie celle, riscoprendosi attori, dando loro un minimo di libertà, la quale si sono privati. Si contrappongono le loro storie, sentimenti e soprattutto i fallimenti, non viene presentato come film sperimentale, ma può farsi che nei protagonisti si veda quel turbamento emotivo, in grado di esprimere loro stessi, auto-considerandosi uomini d’onore o semplicemente infami. Un film che potrebbe vincere l’Oscar come “Miglior film straniero” perché tratta dei temi della cultura internazionale, come i classici teatrali e l'arte, che a volte viene intesa, dicono i registi come: "una forma di libertà, e forse anche l'unica" .
Cristina Valente

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15 ottobre 2012

In libreria

Andrew Rossi
Page One. Dentro il New York Times
Milano, Feltrinelli, 2012 , Dvd + libro di 96 pagine (collana Real Cinema)
Descrizione
Il film. “È la stampa, bellezza, e tu non puoi farci niente,” dice Humphrey Bogart nel film L’ultima minaccia, quarant’anni prima che internet, il meteorite che ha proiettato il mondo nel futuro, costringesse i dinosauri dell’era dei giornali a camminare sull’orlo del baratro. Page One.  Dentro il New York Times è la cronaca di un anno intero, vissuto nel cuore del più importante quotidiano del globo, al fianco di coloro che cercano di salvare la tradizione della stampa e indagano sul futuro e sul ruolo del digitale. Al fianco soprattutto dei giornalisti del media desk per raccontare dall’interno la trasformazione del sistema dell’informazione nel suo momento di maggiore incertezza, con internet che è diventato la principale fonte di notizie e molti quotidiani in tutto il mondo che chiudono per bancarotta
Il libro. Tra versioni cartacee sempre più obsolete e sfida dell’informazione online, che ne sarà della figura del giornalista tradizionale e della sua professione nel prossimo futuro? Tra i contributi: la profezia del decano del giornalismo italiano Giorgio Bocca, un caso storico analizzato da Mimmo Franzinelli, l’anatomia della rivoluzione di natura culturale, economica e tecnologica prodotta dal digitale per le news (Vittorio Zambardino e Massimo Russo; Vittorio Sabadin). E inoltre: approfondimenti e curiosità sul film e sui suoi protagonisti.
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11 ottobre 2012

In libreria

Rinaldo Boggiani
Storia della libertà di stampa in Italia
Roma, Segnalibro edizioni, 2012, 158 pp.

Descrizione
Il saggio rappresenta una tappa nello studio comparato, storico, istituzionale, della libertà di stampa. In appendice, il discorso di Giuseppe Compagnoni pronunziato il 2 maggio 1797 nell'Università di Ferrara in occasione dell'istituzione della nuova cattedra di diritto costituzionale democratico e giuspubblico universale.

*disponibile anche in formato ebook nel sito di Segnalibro.
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10 ottobre 2012

In libreria

Caterina Malavenda  Carlo Melzi d’Eril,  Giulio Enea Vigevani
Le regole dei giornalisti. Istruzioni per un mestiere pericoloso
Bologna, Il Mulino, 2012, 184 pp.
Descrizione
In un paese come il nostro si è soliti pensare che non vi sia alcun controllo, che ognuno possa scrivere ciò che vuole, senza rischiare severe sanzioni, come nelle democrazie più serie, né la vita o il carcere, come nei paesi a democrazia sospesa. Eppure anche qui da noi la vita può essere dura per coloro che non hanno un padrone e rispondono solo al lettore. Basata unicamente su notizie «ufficiali», provenienti dalle fonti istituzionali o dai diretti interessati, l’informazione sarebbe indenne da ogni rischio. Per fare davvero il proprio mestiere, il giornalista deve invece trasformarsi in un bravo segugio, che va a cercare le notizie, districandosi fra regole e limiti tesi a bilanciare il diritto di informazione con altri diritti e interessi quali la reputazione, la privacy, il buon costume. Innumerevoli casi di cronaca ci ripropongono continuamente la tensione tra ciò che può e non può essere detto o scritto, tra ciò che è corretta informazione e ciò che è insinuazione o diffamazione, tra ciò che è giornalismo e ciò che è puro gossip. Le norme in materia sono complesse e di difficile interpretazione: di fatto è sempre più difficile far bene il giornalista senza finire sotto processo.

09 ottobre 2012

In libreria

Paolo Zanini
La rivista «Il Gallo». Dalla tradizione al dialogo (1946-1965)
Milano, Edizioni Biblioteca Francescana, 2012.
Descrizione
La rivista "Il Gallo", nata a Genova come foglio prevalentemente letterario nell'Italia dell'immediato secondo dopoguerra, divenne in breve tempo una delle voci più interessanti della stampa cattolica italiana. Molto significativo fu, nel corso degli anni Cinquanta, il contributo della rivista alla diffusione nel nostro Paese della nouvelle théologie francese e di concezioni religiose meno integraliste di quelle allora diffuse nelle principali organizzazioni cattoliche. Altrettanto rilevante fu l'attenzione de "Il Gallo" per la laicità dello Stato e la strenua difesa della libertà e del pluralismo religioso. Simili posizioni della rivista genovese, a lungo minoritarie, conobbero una maggior popolarità negli anni del Concilio Vaticano II: il periodo che vide la massima diffusione e risonanza, nazionale e internazionale, de "Il Gallo". Ricostruire una simile vicenda culturale e religiosa, dalla fine della Seconda Guerra mondiale alla metà degli anni Sessanta, permette non solo di affrontare alcuni dei temi più dibattuti nel mondo cattolico di quegli anni, ma anche di confrontarsi con problematiche che interessano ancor oggi in modo vivo e diretto la realtà italiana.

*Per iniziativa de La Maona (Centro Internazionale di Cultura per lo Sviluppo dei Popoli) Lunedì 15 ottobre 2012 ore 17.30 il volume sarà presentato a Genova presso l'Oratorio di San Filippo, via Lomellini 12. Saranno presenti: Carlo Carozzo, Germano Beringheli, Itala Ricaldone, Mirio Soso.
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06 ottobre 2012

Una tipografia siderale, ancora umana



Il 20 luglio 1969, Neil Armstrong imprime con la sua scarpa la polvere lunare. Non esiste impronta più netta nella memoria e nel cuore dell'umanità. Non si tratta solo del segno di una scarpa supertecnologica ma di un prodigio. Un essere vivente, un uomo, sceso da una scatola magica, registrava su un lontanissimo corpo celeste il suo spaventato passaggio. Nell'inafferrabile e mobile frontiera siderale si posava un libro misterioso e la sua storia. Spinto oltre la porta della parola, per lo sguardo futuro su un altro mondo, più inquietante del nostro. Abbiamo trattenuto il respiro per quello “scarafaggio umanato” che posandosi sulla luna avrebbe tipografato per sempre la nostra mente. Quasi una celebrazione dei primi caratteri gutenberghiani calati con la forza di gravità sulle grandi pagine della Bibbia. Si udì per la prima volta il gemito fluttuante del torchio intorno al 1453. La scarpa di Armstrong, imprimendo il suolo lunare, gorgogliava sillabe e lettere in ode alla grandezza dei mortali. Ci rivelava un segno tipografico che pur andando al di là della nostra coscienza attuava in noi una misteriosa osmosi trascendentale e profonda. Supera la poetica antropologica dell'orma umana nella grotta di Toirano o quella della supericona dell'esistenza inconscia e profonda della sindone. Ma con essa l'umano vive all'infinito una silenziosa rivolta che lotta tra mondo oggettivo e soggettivo. Per questo ci attraversa di nostalgia la morte di Armstrong. Le immagini della sua archeologia hanno tracciato i percorsi imponderabili di un'erranza che sostituisce la forza muscolare con la forza elettronica. La storica impresa del Lem ci lascia l'esempio più alto del vivere intelligente. Ci ha insegnato cos'è la teoria del feedback, efficace applicazione – ostinatamente inconciliabile con la nostra sedentarietà mentale - dell'automazione in un concetto di economia ecologica. Finestre che salgono dal profondo e osano, non senza inquietudine, guardare nell'infinità danzante degli astri. 
Quaranta milioni di anni prima, un piede nudo, tipografava l'argilla della grotta di Toirano. Nel nostro mondo popolato, il sangue scorreva a fiumi, lotte disperate per la sopravvivenza, mostri trasfigurati vivevano la morte. Nessuno di noi desidera ritornare alla materialità primaria di quell'alba.
 Ripensiamo piuttosto all'autoritratto di quell'impronta, insolita e indimenticabile, le cui pagine raccontano la forza imprimibile del cammino. La nostra deambulazione quotidiana che ha l'andamento imprevedibile e ripetitivo di un sogno. L'indefinito fluire nell'oppressivo spazio urbano.

Francesco Pirella

*pubblicato per gentile concessione dell'autore. 


*Francesco Pirella, editore e studioso dell'arte grafica, è fondatore e direttore di ARMUS Archivio Museo della stampa di Genova.
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02 ottobre 2012

In libreria

Ignacio Ramonet
L'esplosione del giornalismo. Dai media di massa alla massa dei media
Napoli, Intra Moenia, 2012, 180 pp.
Descrizione
In questo libro viene analizzata la crisi che investe il mondo dell'informazione: i giornali chiudono, la carta stampata perde inesorabilmente lettori, i giornalisti vengono licenziati. La stessa missione giornalistica appare compromessa: i media tradizionali sembrano essere diventati solo un supporto del sistema economico e dell'asfissia della democrazia. Ma parallelamente sta nascendo anche "un giornalismo senza giornalisti": la rivoluzione digitale ha consentito ad ogni cittadino di diventare protagonista di una nuova informazione, appropriandosi di dispositivi come blog e social network.

Edizione originale:
 I. Ramonet, L’explosion du journalisme. Des medias de masse à la masse des médias, Paris, Galilée, 2011, 160 p. [link alla scheda di presentazione con Indice e un estratto].

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