I sondaggi, seppur considerati una bandiera fondamentale per le tendenze plebiscitarie-populistiche dell’attuale sistema politico, risultano spesso solo parzialmente indicativi della situazione che vanno discorrendo, si arrogano una valenza di empirismo analitico giammai infallibile e cercano in tutti i modi di pre-mobilitare l’elettorato molti mesi prima delle consultazioni alle urne. L’opinione pubblica è ormai sommersa di percentuali, catalogazioni, numeri, cifre e (dis)ordinate classificazioni utili a manipolare e uniformare un’opinione pubblica di per sé già confusa e incerta, “sballottata” dai timori circa il prosieguo della crisi economico-finanziaria. Questo carrozzone pseudo-statistico continua nel suo atto di “seviziare” una società che si sarebbe dovuta (e dovrebbe) emanciparsi con le tendenze anti-massa dei new media e delle reti virtuali ma che purtroppo risulta ancora vulnerabile al populismo della vecchia e desueta mass communication di inizio Seconda Repubblica.
Nonostante ciò, esistono sondaggi, statistiche, percentuali e classificazioni “ben fatti” e particolarmente utili nel rappresentare – seppur semplicisticamente – i troppi vizi e le poche virtù di un antiquato sistema politico vacillante ma non sconfitto. Al riguardo, ho consultato con interesse e viva curiosità un sondaggio pubblicato lunedì 15 ottobre sul Fatto Quotidiano – un foglio che per la sua particolare conformazione ideologica, etica ed anche imprenditoriale è sinonimo del cosiddetto “buon giornalismo” d’opinione e di critica editoriale – ed eseguito da Demoskopea. L’analisi verteva sull’odierna (mala)salubrità della politica italiana, la fiducia popolare verso le istituzioni democratiche, lo stato d’animo della cittadinanza nei confronti della leadership, le intenzioni di voto e non-voto e soprattutto i personaggi-chiave di una millantata “nuova politica” che a mio parere è tutt’altro che nuova.
Tralasciando, pur non intenzionalmente, l’impietoso quadretto dello sfacelo del sistema governativo-istituzionale nostrano (spicca il calo della fiducia nei confronti dei poteri classici e il terrificante 89% di rabbia, pessimismo e rassegnazione concretizzatosi in una larga fetta di elettorato abulico, indeciso e/o intenzionato a non partecipare alla prossimo cambio di legislazione), la mia attenzione si è orientata al capitolo “personaggi nella nuova politica”, ovvero a quei candidati leader rappresentativi della transizione dal berlusconismo al post-berlusconismo attualmente nelle opinabili mani del governo tecnico Monti. Scrutando la classifica a mo’ di “countdown”, si posizionano nelle parti basse Nichi Vendola e Antonio Di Pietro (il primo è considerato una “matricola” nel guazzabuglio della leadeship nazionale, il secondo risulta maggiormente “allenato” nella “palestra” romana, anche per l’illustre passato da eroe di Tangentopoli), poi il mondo imprenditoriale/industriale con le figure carismatiche di Montezemolo e Marcegaglia; un pugno di percentuali in più invece per la squadra dei tecnici di Monti. La top-three è invece più accattivante: alla pedana più bassa del podio vi risiede la categoria dei “nessuno di questi”, mentre al secondo e al primo posto stanno rispettivamente Matteo Renzi e Beppe Grillo.
Figure controverse, chiaccheratissime e inflazionate, Renzi e Grillo – a detta degli intervistati – sarebbero coloro che incarnerebbero la “nuova politica”, gli eredi del post-berlusconismo, coloro in grado di spazzare via l’ondata truffaldina dei vari Belsito, Lusi e Fiorito alias “Batman” e di ristabilire l’onestà, il rigore e la salubrità economico-finanziaria ed anche etico-valoriale. Il sindaco di Firenze e l’ex comico genovese hanno peraltro parecchi obiettivi e caratteristiche comuni: l’odio verso la “vecchia politica”, il disprezzo dell’attuale classe dirigente tecnico-arcaica, la voglia di rivoluzionare il sistema dalla radice, la ricerca di un innovativo sistema di raccolta di consenso e di mobilitazione popolare attraverso i nuovi media, il tentativo di “laissez faire” antigerarchico ai membri più dinamici del proprio schieramento e così via.
La premiata coppia Renzi-Grillo – a mio parere – non rappresenta tuttavia quel vento rivoluzionario tanto acclamato dai sondaggi, né potrà essere veramente capace di spazzare via le velleità affaristiche della casta. Il primo, autodefinitosi “Rottamatore” per il suo acerrimo impegno nel “rottamare”, ossia far sloggiare, gli ottuagenari della politica e gli abituè in Parlamento, pare aver traviato le reali problematiche del Paese: ciò di cui necessita l’Italia non è esclusivamente una classe dirigente esclusivamente giovane e under-40 e, dunque, un radicale rinnovamento dei seggi parlamentari, ma invece il soverchiamento dei “modi di fare” della politica, il rinnovamento della moralità pubblica, il risanamento delle istituzioni e dei consigli dai vari “bricconi” e ladri, come pure la riqualificazione del sistema legale e legislativo volto a un maggiore controllo e la predisposizione di misure restrittive e punitive effettive, efficienti, efficaci e anche “dure”. Non bisogna dimenticare che nemmeno i “giovani”, cui Renzi tanto va acclamando, si sono esentati dal commettere reati e inganni in territorio pubblico-politico: esempio eclatante è il 24enne delfino del Carroccio Renzo Bossi, dimissionario dal Consiglio regionale della Lombardia in seguito allo scandalo Belsito (concernente gli assodati utilizzi privati illeciti di fondi della Lega Nord da parte di alcuni affiliati) e attualmente perseguito per diffamazione.
Il personaggio di Beppe Grillo è invece lo strumento esemplificativo di come la costruzione del consenso, dopo il trionfo del modello 2.0 alle amministrative e ai referendum del 2011, stia nuovamente rideclinando alla politica-spettacolo, alle scenografie di contorno e all’imbonimento di massa. Grillo è sì il migliore interprete e cavalcatore dell’onda di delusi e sfiduciati del post-berlusconismo, ma difficilmente riuscirà a vestire i panni dell’uomo della provvidenza in grado di salvare l’Italia dal baratro. In primis, la sua professione di comico, affabulatore e uomo di pungente e velenosa satira ha letteralmente pervaso - e anzi invaso - la proposta politica del personaggio e del relativo partito, il Movimento 5 Stelle, un partito che crede di interpretare le spinte e le necessità dell’italiano moderno e contemporaneamente si lascia andare a irreali proposte e favolistiche esternazioni pubbliche (si pensi, ad esempio, alla volontà di coniare una propria valuta nel comune di Parma di recente conquistato dai “grillini”, idea confrontabile per fattibilità e credibilità al più antico secessionismo leghista).
Ma Grillo va ben oltre l’irrealtà, l’utopia e il campanilismo finanziario. Negli ultimi giorni è balzata agli onori della cronaca l’ultima delle sue imprese, ovvero l’attraversamento a nuoto dello Stretto di Messina, gesto apotropaico che fungeva da anteprima della sua campagna elettorale in Sicilia. Non so voi, ma a me questo modo di far propaganda ricorda fin troppo i grandiosismi e l’esagerazione spettacolistica del periodo berlusconiano. Certo, il Cavaliere non cavalcava realmente i flutti agitati del Mar Mediterraneo (gli mancavano – e gli mancano – il fisico da nuotatore provetto), ma analogamente cavalcava l’entusiasmo dell’opinione pubblica attraverso show televisivi, parate, manifestazioni..., insomma la mostruosa macchina mediatica che noi tutti conosciamo. Grillo e Berlusconi, due facce che parrebbero agli antipodi, condividono anzi la medesima becera tendenza al populismo più efferato. Gli strumenti, peraltro, ci sono tutti: se Berlusconi aveva (e ha) il colosso multimediale Fininvest, Grillo può contare sul proprio dinamismo web e su quello degli adepti, attivissimi su Facebook, Twitter, Youtube e blog vari. Non occorre tuttavia in tale sede definire differenze ed eguaglianze fra il Cavaliere e il comico genovese; ciò che va rimarcato è la tendenza dei due a costruire belle cornici, mirabolanti scenografie di contorno e nel contempo tralasciare il succo, la sostanza, l’essenza centrale, principale dell’offerta politica: le attraversate a nuoto, gli insulti e le bestemmie di Grillo, come naturalmente il carro armato spettacolistico-mediatico di Berlusconi rappresentano unicamente una sorta di “oppio”, di “loto” da far ingoiare al popolo e nascondergli le reali manchevolezze e problematiche del Paese. E’ infatti più semplice ed efficace la buffonaggine, la giocosità e il perenne teatrino rispetto al serio impegno politico-sociale.
Ora, constatando tutto questo, siamo ancora sicuri che la coppia Renzi-Grillo possa essere elevata a simbolo concreto di un poco effettivo cambiamento politico? Probabilmente no, ma è sicuramente un toccasana per la stabile leadership di finti rottamatori e pseudo rottamandi poco intenzionata a lasciare le comode poltroncine romane e a concretizzare in fatti la fumosa fabbrica di demagogia e retorica da essi istituita, diretta e manipolata .
Paolo Giorcelli
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