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27 febbraio 2014
Premio tesi di laurea
Venerdì 28 febbraio, alle 10,30, nell’Aula magna della Scuola di Scienze Umanistiche, via Balbi 2, a Genova, sarà consegnato il premio "Borsa di Studio Franco Mamone", promosso da Assomusica, Associazione organizzatori e
produttori di spettacoli di musica dal vivo, alla dott. Debora Fugazzi, autrice della tesi "La controcultura editoriale in Italia tra anni '60 e anni ‘70" per il corso di laurea magistrale in Informazione ed Editoria dell’Università degli studi di Genova.
Saranno presenti Mirella Pasini,
coordinatrice del corso di laurea magistrale in Informazione ed Editoria, Lorenzo Coveri,
professore di Italianistica, Mario Bottaro, docente di Teorie e Tecniche del
linguaggio giornalistico e relatore della tesi, Vincenzo Spera, presidente
nazionale dell’associazione Assomusica, Fulvio De Rosa, Stefano Senardi e Renato Tortarolo,
componenti del comitato scientifico costituito da specialisti nei vari ambiti,
che svolge il ruolo di giuria del premio. La borsa di studio è intitolata a Franco Mamome, il più importante organizzatore di concerti in
Italia, assai apprezzato in ambito internazionale. Il premio sarà consegnato da sua figlia Gaia Mamome.
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22 febbraio 2014
La scuola ci salverà
Cari ragazzi di quinta
Abbiamo camminato insieme per cinque anni. Per cinque anni abbiamo cercato, insieme, di godere la vita; e per goderla abbiamo cercato di conoscerla, di scoprirne alcuni segreti. Abbiamo cercato di capire questo nostro magnifico e stranissimo mondo non solo vedendone i lati migliori, ma infilando le dita nelle sue piaghe, infilandole fino in fondo perché volevamo capire se era possibile fare qualcosa, insieme, per sanare le piaghe e rendere il mondo migliore. Abbiamo cercato di vivere insieme nel modo più felice possibile. È vero che non sempre è stato così, ma ci abbiamo messo tutta la nostra buona volontà. E in fondo in fondo siamo stati felici. Abbiamo vissuto insieme cinque anni sereni (anche quando borbottavamo) e per cinque anni ci siamo sentiti “sangue dello stesso sangue”. Ora dobbiamo salutarci. Io devo salutarvi. Spero che abbiate capito quel che ho cercato sempre di farvi comprendere: non rinunciate mai, per nessun motivo, sotto qualsiasi pressione, ad esser voi stessi. Siate sempre padroni del vostro senso critico, e niente potrà farvi sottomettere. Vi auguro che nessuno mai possa plagiarvi o “addomesticare” come vorrebbe. Ora le nostre strade si dividono. Io riprendo il mio consueto viottolo pieno di gioie e di tante mortificazioni, di parole e di fatti, un viottolo che sembra sempre identico e non lo è mai. Voi proseguite e la vostra strada è ampia, immensa, luminosa. E’ vero che mi dispiace non essere con voi, brontolando, bestemmiando, imprecando; ma solo perché vorrei essere al vostro fianco per darvi una mano al momento necessario. D’altra parte voi non ne avete bisogno. Siete capaci di camminare da soli e a testa alta, perché nessuno di voi è incapace di farlo. Ricordatevi che mai nessuno potrà bloccarvi se voi non lo volete, nessuno potrà mai distruggervi, se voi non volete. Perciò avanti serenamente, allegramente, con quel macinino del vostro cervello sempre in funzione; con l’affetto verso tutte le cose e gli animali e le genti che è già in voi e che deve sempre rimanere in voi; con onestà, onestà, onestà, onestà, e ancora onestà, perché questa è la cosa che manca oggi nel mondo, e voi dovere ridarla; e intelligenza, e ancora intelligenza, e sempre intelligenza, il che significa prepararsi, il che significa riuscire sempre a comprendere, il che significa sempre riuscire ad amare, e… amore, amore. Se vi posso dare un comando, eccolo: questo io voglio. Realizzate tutto ciò, ed io sarò sempre in voi, con voi. E ricordatevi: io rimango qui, al solito posto. Ma se qualcuno, qualcosa, vorrà distruggere la vostra libertà, la vostra generosità, la vostra intelligenza, io sono qui, pronto a lottare con voi, pronto a riprendere il cammino insieme, perché voi siete parte di me, e io di voi. Ciao.
Alberto Manzi
1976
16 febbraio 2014
Migranti in fotografia
Quando si parla del fenomeno delle immigrazioni straniere in Italia, a cosa si pensa? È
proprio questo l’oggetto della ricerca portata avanti dagli autori del testo,
per conto del FIERI (Forum Internazionale ed Europeo di Ricerche
sull’Immigrazione), che analizzano in modo organico e sistematico circa 30 anni
dell’immaginario collettivo creato dalle rappresentazioni fotogiornalistiche di
questo fenomeno di massa. La ricerca esamina gli impaginati di alcune tra le
più diffuse testate di stampa periodica italiana, suddivisa in settimanali di
attualità (Panorama e L’Espresso), d’informazione (Famiglia Cristiana ed Epoca) e magazine (Sette del Corriere della Sera
e Il Venerdì di Repubblica), non limitandosi a una raccolta delle immagini ma anche
del loro rapporto con gli elementi paratestuali, quindi la coerenza tra il
contenuto delle fotografie e gli elementi di testo come titoli, occhielli e
didascalie, approccio che ha pochi precedenti in Italia. Un’altra
caratteristica innovativa, ai fini di questa ricerca, è la scelta di un metodo
multidisciplinare che va dalla sociologia alla storia dei media, del
giornalismo e delle migrazioni, dai visual
studies all’antropologia e alla semiotica, riuscendo così a dare un quadro
completo di tutti gli aspetti riguardanti la costruzione dell’immaginario dei
lettori a proposito di un tema che, a partire dagli anni ’80 fino ai giorni
nostri, ha occupato le redazioni dei media.
Andando
ora nello specifico, i curatori di questo testo si sono occupati nei primi tre
capitoli di presentare tutti i dati concernenti servizi pubblicati dai
periodici sopracitati riguardo agli stranieri, che per diversi motivi si sono
ritrovati a soggiornare in Italia, lungo un arco temporale che va dal 1980 al
2007. Non sono però partiti dall’analisi diretta degli impaginati, bensì da
quella del mercato della fotografia in Italia, delle forme di scambio di molti
fotogiornalisti professionisti con le redazioni (che in Italia non hanno
fotografi interni); dalle loro interviste emerge che le immagini hanno spesso
per i media italiani il compito di illustrare, e non informare o documentare, gli
eventi e i temi cui si riferiscono i testi. A questo proposito è interessante
introdurre il concetto di framing (da frame, cornice di senso): i servizi giornalistici scelgono il tema
da approfondire, secondo le leggi del mercato dell’informazione, le immagini
sono poi scelte in base all’interpretazione, frame, che si vuole dare rispetto all’argomento o evento, creando
spesso degli stereotipi che vengono riproposti, in maniera minore o maggiore
secondo la linea editoriale della testata, da tutti periodici qui presi in
considerazione. Riguardo all’immigrazione in Italia emergono i seguenti frame: sicurezza, razzismo, presenze e
arrivi, religione, cultura e integrazione, azione politica; secondo
l’interpretazione che si vuole dare ai testi attraverso le immagini, che hanno
un forte ruolo nella costruzione di un messaggio, nascono poi i diversi
stereotipi sull’immigrato, che lo etichettano ma non ci informano realmente sui
motivi del suo arrivo, sulla sua condizione di persona, sulla sua storia, e
sono: il clandestino, l’ambulante o vu
cumprà, il lavoratore sfruttato dagli italiani, lo straniero che “ce l’ha
fatta”, il criminale, l’invasore, i fanatici religiosi, la prostituzione, ma
anche le “etnie buone” (indiani e filippini). Un altro dato che voglio
sottolineare è che la personalizzazione
dell’immigrato avviene solo in quei rari servizi dedicati agli stranieri che
hanno avuto successo in Italia, rappresentati con bei vestiti, cellulari,
sorridenti e quindi distinti nettamente dai “miserabili” che invadono le nostre
coste sui barconi. A mio parere la forza delle immagini fotografiche potrebbe
aiutare a non avere paura dell’altro, a non etichettarlo, isolandolo in una condizione
comune a tutti gli stranieri, cercando invece di avvicinarlo, di conoscerlo e
cercare di comprendere la sua diversità come risorsa e non come minaccia.
Valeria Piazzi
L.
Gariglio, A. Pogliano, R. Zanini (a cura di),
Facce da straniero. 30 anni di fotografia e giornalismo
sull’immigrazione in Italia
Milano, Bruno Mondadori, 2010, 274 pp.
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15 febbraio 2014
Funzione espressiva delle immagini
L’autore del libro Comunicare con le immagini, Carlo Branzaglia, ci immerge in una specifica analisi di tutto ciò che comprende le immagini dove regole e convenzioni sono d’obbligo. “Per immagini intendiamo le forme provenienti dai più disparati settori disciplinari: dall’arte del fumetto, dal design di prodotto all’architettura, dal graphic design alla pubblicità”.
In un percorso tecnico e teorico, l’autore analizza le modalità percettive delle visione per passare alle iconografie, incrociare i simboli e concludere nelle caratteristiche distintive degli stili. In questo percorso, diversi sono gli studi citati: la psicologia della Gestald, la teoria della rappresentazione, gli studi di iconologia, la semiologia, i sistemi grafici e la fenomenologia degli stili.
Come si può capire dai concetti sopra citati, è un libro dalla lettura impegnativa e rivolto essenzialmente agli “addetti ai lavori”. Ogni concetto rimanda ad altre teorie e molte di queste sono espresse in un linguaggio difficile e fumoso. l titolo Comunicare con le immagini, a mio parere, è poco azzeccato in quanto la comunicazione del libro è incentrata su concetti da sviscerare e non sulle immagini, che sono poche ed in formato ridotto.
Interessante, dal mio punto di vista, la citazione degli esempi pratici ed applicativi delle teorie. Nella teoria del simbolismo del colore, ad esempio, si spiega come all’interno delle diverse culture le preferenze cromatiche siano legate a stereotipi culturali dei vari popoli. L’esempio citato è il colore rosso: nella nostra cultura esso è associato all’amore e al pericolo. Questo colore è dotato della frequenza più alta nel nostro spettro ottico, colpisce con un certo impatto l’occhio umano e provoca una stimolazione che induce a un aumento del battito cardiaco e della circolazione sanguinea. Esso determina quindi, nel nostro fisico, una sensazione di calore.
Un altro esempio centrale è l’analisi dei simboli. La comunicazione, fin dal passato si basa su questi. I concetti espressi riguardano lo sfruttamento del significato che il simbolo si porta per un soggetto “altro” e la selezione del simbolo più appropriato per ciò che si intende comunicare. I marchi commerciali sono dei simboli che servono per comunicare determinate informazioni e determinati valori. Il simbolo è codificato ed appartiene a un codice generato dalla nostra società. Per esempio l’aquila, che porta con sé il significato di potenza e regalità, è l’emblema di famiglie nobiliari (gli Asburgo), di stati (gli U.S.A) e di marchi commerciali stilizzati (Armani e Fernet Branca).
Il libro si conclude con un capitolo sugli stili, partendo sempre dall’analisi di approcci teorici per sfociare in esempi pratici. Il rapporto tra questioni stilistiche e questioni commerciali è centrale. Questo riguarda la necessità di dare un imput al cliente, lanciando mode e di definire l’approccio delle imprese. Sono molte le imprese che, oggi, inventano un proprio stile fatto di un particolare taglio cromatico, di un determinato approccio fotografico e di un modo preciso di proporsi nella comunicazione visiva.
Concludendo, le immagini hanno questa meravigliosa capacità di trasmettere informazioni e scatenare emozioni in un linguaggio completamente universale. Non dobbiamo però dimenticare, che esse sono legate a regole e convenzioni d’uso, con significati che si sono codificati nel tempo. Il libro ci vuole fare riflettere su questo, e per chi vuole approfondire i concetti sopra citati, non sarà certo deluso dalla cospicua bibliografia delle ultime pagine.
In un percorso tecnico e teorico, l’autore analizza le modalità percettive delle visione per passare alle iconografie, incrociare i simboli e concludere nelle caratteristiche distintive degli stili. In questo percorso, diversi sono gli studi citati: la psicologia della Gestald, la teoria della rappresentazione, gli studi di iconologia, la semiologia, i sistemi grafici e la fenomenologia degli stili.
Come si può capire dai concetti sopra citati, è un libro dalla lettura impegnativa e rivolto essenzialmente agli “addetti ai lavori”. Ogni concetto rimanda ad altre teorie e molte di queste sono espresse in un linguaggio difficile e fumoso. l titolo Comunicare con le immagini, a mio parere, è poco azzeccato in quanto la comunicazione del libro è incentrata su concetti da sviscerare e non sulle immagini, che sono poche ed in formato ridotto.
Interessante, dal mio punto di vista, la citazione degli esempi pratici ed applicativi delle teorie. Nella teoria del simbolismo del colore, ad esempio, si spiega come all’interno delle diverse culture le preferenze cromatiche siano legate a stereotipi culturali dei vari popoli. L’esempio citato è il colore rosso: nella nostra cultura esso è associato all’amore e al pericolo. Questo colore è dotato della frequenza più alta nel nostro spettro ottico, colpisce con un certo impatto l’occhio umano e provoca una stimolazione che induce a un aumento del battito cardiaco e della circolazione sanguinea. Esso determina quindi, nel nostro fisico, una sensazione di calore.
Un altro esempio centrale è l’analisi dei simboli. La comunicazione, fin dal passato si basa su questi. I concetti espressi riguardano lo sfruttamento del significato che il simbolo si porta per un soggetto “altro” e la selezione del simbolo più appropriato per ciò che si intende comunicare. I marchi commerciali sono dei simboli che servono per comunicare determinate informazioni e determinati valori. Il simbolo è codificato ed appartiene a un codice generato dalla nostra società. Per esempio l’aquila, che porta con sé il significato di potenza e regalità, è l’emblema di famiglie nobiliari (gli Asburgo), di stati (gli U.S.A) e di marchi commerciali stilizzati (Armani e Fernet Branca).
Il libro si conclude con un capitolo sugli stili, partendo sempre dall’analisi di approcci teorici per sfociare in esempi pratici. Il rapporto tra questioni stilistiche e questioni commerciali è centrale. Questo riguarda la necessità di dare un imput al cliente, lanciando mode e di definire l’approccio delle imprese. Sono molte le imprese che, oggi, inventano un proprio stile fatto di un particolare taglio cromatico, di un determinato approccio fotografico e di un modo preciso di proporsi nella comunicazione visiva.
Concludendo, le immagini hanno questa meravigliosa capacità di trasmettere informazioni e scatenare emozioni in un linguaggio completamente universale. Non dobbiamo però dimenticare, che esse sono legate a regole e convenzioni d’uso, con significati che si sono codificati nel tempo. Il libro ci vuole fare riflettere su questo, e per chi vuole approfondire i concetti sopra citati, non sarà certo deluso dalla cospicua bibliografia delle ultime pagine.
Teresa Rosatto
Comunicare con le immagini
Milano, Bruno Mondadori, 2011, 168 pp. (prima ed. 2003).
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14 febbraio 2014
Una guida pratica per capire i media digitali
Il testo di Arvisson e Delfanti, Introduzione ai media digitali, si propone, come un manuale in grado di esaminare alcuni temi riguardanti i nuovi media digitali. Nella premessa degli stessi autori troviamo la ragione per cui è importante questa riflessione: “Fornire strumenti affinché i media digitali, internet e più in generale la società dell’ informazione non siano interpretati in un vuoto storico e secondo la semplice esperienza quotidiana individuale” (p. 8).
Alcuni dei temi trattati sono la “Globalizzazione”; la “ Cooperazione sociale online”; i “Media sociali”; Le economie dell’informazione.
Il libro è strutturato in modo schematico, per favorirne la consultazione, in ogni capitolo (sei in tutto) vi sono degli approfondimenti su temi di attualità (“quadri”). Nei quadri, Arvidsson e Delfanti ripropongono alcuni fatti di cronaca resi noti al pubblico, pratici esempi di come la teoria sul digitale da loro esposta ci si riproponga anche a livello globale quotidianamente. Alcuni di questi temi sono: “Wikileaks”, “la primavera araba”, “la ricerca sociale nei media”, fatti e argomenti di cui a volte è difficile capirne, sia da parte degli addetti all’informazione, che del pubblico, la particolare natura e carica di attualità, avendo mediamente un bagaglio di conoscenza sul digitale poco approfondito, nonostante l’uso quotidiano degli strumenti digitali.
Da una breve storia dell’informatica, ad alcuni temi sopra citati, gli autori ci pongono anche all’attenzione di problematiche di natura antropologica, ad esempio sulla distribuzione dei media digitali, e di come questa distribuzione possa contribuire, o meno, allo sviluppo di economie e società contemporanee, ponendoci all’ attenzione del fatto che tecnologie che diamo per ovvie non sono distribuite in modo eterogeneo in tutti i paesi del mondo, e non solo, anche sul territorio nazionale, dove si trova un divario nella diffusione dei media tra nord e sud.
Inoltre nel corso di tutta la lettura gli autori espongono più tesi, spesso antitetiche, dove si contrappongono visioni di “apocalittici” e “integrati”, proponendoci di capire e approfondire la conoscenza sui new media con uno spirito critico, scisso da sentimenti “apocalittici” di chi vede la nuova tecnologia come il male, e chi ne ha invece una visione utopica estremamente ottimista, considerando il più possibile l’evoluzione tecnologica all’ interno di una dimensione di cambiamento storico.
Annalisa Dassori Iannuzzi
Introduzione ai media digitali
Bologna, Il Mulino, 2013, 144 pp.
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09 febbraio 2014
Napoleone, stratega della comunicazione
A quasi 200 anni dalla sua scomparsa, la figura di Napoleone Bonaparte continua ad affascinare e a far parlare di sé. Sull'epopea del corso sono state scritte innumerevoli opere, dedicate a quello che fu certamente un grande generale, un impareggiabile stratega militare e politico, ma anche un tiranno senza scrupoli, disposto a tutto pur di mantenere il potere. Eppure per Roberto Race, giornalista e consulente in comunicazione e public affairs, Napoleone è stato molto di più: un eccezionale comunicatore, uno stratega del marketing di se stesso, in grado di promuovere come nessun altro la propria immagine all'interno e all'esterno della Francia. Un uomo capace di uscire dall'oblio in cui era stato rilegato dalle potenze avversarie e di imprimere il proprio marchio indelebile nella storia, attraverso quel capolavoro comunicativo rappresentato dal Memoriale di Sant'Elena, uno dei più grandi successi editoriali del XIX secolo, l'ultima grande vittoria dell'Imperatore.
Nel suo Napoleone il comunicatore. Passare alla storia non solo con le armi, l'autore ripercorre le tappe principali della vita del francese, dalla prima campagna d'Italia del 1796, all'incoronazione a imperatore alla presenza di papa Pio VII, fino alla sconfitta di Waterloo e al successivo esilio a Sant'Elena, ma lo fa da una prospettiva completamente nuova, mostrando come nell'ascesa (e caduta) del corso la comunicazione abbia rivestito un ruolo fondamentale. Race accompagna il lettore alla scoperta di un Napoleone inedito, consapevole, fin da subito, che la chiave per mantenere il potere è il consenso. Quello che conta è ergersi a modello, mostrarsi come l'unico in grado di guidare un esercito o una nazione. L'Empereur non spartisce il potere con nessuno, è il dominus unico, e tuttavia quello che il popolo o le truppe si trovano davanti non è un despota, un sovrano nel senso letterale del termine. Per raggiungere un simile risultato il francese si serve della stampa, dell'arte, dei Bollettini di Guerra, ma anche di tecniche più sofisticate e innovative, come il merchandising e la propaganda.
Dalle pagine del libro emerge la figura di un leader politico scaltro, che ha capito prima di tutti l'importanza dell'opinione pubblica. Napoleone inventa la figura del moderno capo di Stato, ma se la situazione lo richiede è in grado di agire da "populista": parla alla pancia delle persone, dice loro quello che vogliono sentirsi dire, riesce a presentarsi come l'eroe della rivoluzione nello stesso momento in cui, con il colpo di stato del 18 brumaio, vi pone definitivamente fine, imponendo una svolta autoritaria alla Francia e preparandosi a porre l'Europa intera sotto il proprio dominio per un quindicennio.
La straordinaria lungimiranza del corso porta l'autore a scorgere, in una misura apparentemente restrittiva come quella del Blocco Continentale del 1806, l'embrione della futura Unione Europea. Una considerazione ardita, ma certamente affascinante, specialmente se si rileggono le parole profetiche dello stesso Napoleone: l'Europa «troverà equilibrio solo nella riunione e nella confederazione dei grandi popoli».
Nel complesso, il libro risulta interessante e piacevole alla lettura. Race adotta uno stile semplice e appassionante, inducendo il lettore a soffermarsi anche sui più piccoli dettagli che hanno caratterizzato l'agire di un uomo sì del passato, ma ancora oggi incredibilmente moderno.
Giacomo Tasso
Roberto Race
Napoleone il comunicatore.
Passare alla storia non solo con le armi,
Milano, Egea, 2012, 141 pp.
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08 febbraio 2014
Diario di bordo del giornalista della porta accanto
Il libro scritto da Luigi Grassia, autorevole firma de "La Stampa", non vuole essere un semplice racconto, ne tantomeno una guida al mestiere di giornalista. Ciò che invece rende, a mio avviso, il libro scorrevole, interessante e piacevole è la spontaneità con cui l’ autore illustra episodi di vita e di lavoro, come una sorta di diario di bordo ma privo di un ordine cronologico.
Fin dalle prime pagine si nota la semplicità dell’ autore, anche nei momenti in cui cita alcuni tra i suoi innumerevoli successi nell’ ambito del giornalismo, professione verso cui Luigi Grassia si è affacciato dopo aver conseguito la Laurea in Scienze politiche ed aver superato un concorso proposto dal giornale torinese.
E’ interessante vedere come la professione di giornalista si mescoli perfettamente con la vita di tutti i giorni di Grassia: nei suoi ricordi, l’autore cita numerosi viaggi, interviste ed esperienze legate ovviamente al suo ruolo in redazione, ma vissute in prima persona con considerazioni e pensieri che quasi fanno scordare al lettore che quelle stesse esperienze sono in realtà la routine lavorativa di un giornalista.
Tra i vari ricordi citati dall’autore, si nota come il tema del volo sia ricorrente in varie situazioni e resoconti: lo stesso titolo del libro è emblematico, esso è riferito ad un esperienza vissuta quando volando in mongolfiera sopra l’Australia, il velivolo colpisce più volte i grossi alberi delle radure, a causa dell’ incapacità del conducente e costringendo ad un atterraggio di emergenza rocambolesco. Oltre a tale episodio, sono riportati altri ricordi in cui il tema del volo è in prima linea, senza considerare il fatto che il giornalista nel suo ruolo di reporter deve affrontare spesso lunghi viaggi che lo obbligano all’ utilizzo dell’ aereo di linea, egli ricorda momenti in cui si è misurato con il volo: sugli aerei sopra la Germania piuttosto che in Russia o Stati Uniti, viaggi compiuti in veri e propri aerei militari, per ricordare anche un intervista in TV il cui tema era quello della conquista dello spazio durante la guerra fredda.
Il volo, sembra quasi per Luigi Grassia, una possibilità per osservare il suo mondo da un’ altra prospettiva ed è soprattutto in tali ricordi che esce fuori il lato umano e se vogliamo sentimentale dell’ autore oltre a quello strettamente professionale.
L’autore si serve di un lessico leggero e diretto per illustrare i suoi ricordi, ciò porta il lettore a tenere alta l’attenzione verso ciò che legge e rende il libro, come già detto, scorrevole e piacevole.
E’ impossibile dare un resoconto preciso, e soprattutto cronologico del libro, in quanto, come sostiene all’ interno di esso lo stesso autore, esso è come una sorta di "film", in cui le immagini balzano alla mente di Grassia, in modo spontaneo per essere riportate altrettanto spontaneamente su carta senza troppe rielaborazioni (i ricordi non sono infatti ordinati secondo un ordine cronologico).
Il lavoro di giornalista viene vissuto da Luigi Grassia come una continua scoperta, senza dimenticare la sua esperienza, egli impara e ricorda ogni viaggio, ogni intervista ed ogni persona con cui si è confrontato come una nuova esperienza di cui fare tesoro e per cui valga la pena spendere qualche parola.
Per quanto riguarda il lavoro in redazione, l’autore ricorda soprattutto i primi passi mossi all’ interno del giornale e in seguito il rapporto instauratosi con i suoi colleghi. Il lavoro di giornalista alterna momenti frenetici – le notizie corrono sul filo dei minuti – a momenti di totale vuoto. Proprio in riferimento a questi ultimi Grassia, ricorda le situazioni più memorabili e curiose del suo lavoro in redazione.
Trovo che il libro nasconda, dietro alla semplicità con cui è narrato, un’incredibile quantità di spunti e riferimenti, sia nella vita di tutti i giorni sia verso situazioni, luoghi e persone con un forte contenuto culturale.
La lettura del libro secondo me, dovrebbe essere destinata non solo a giornalisti o aspiranti giornalisti, ma anche e soprattutto a chi ama la vita in quanto scoperta continua anche nella quotidianità di ognuno di noi.
Alessandro Porcù
Luigi Grassia
In mongolfiera contro un albero. Vita vera del giornalismo della porta accanto
Novara 2013, 189 pp.
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05 febbraio 2014
Il giornalista non è un burattino
“Se non capisci la Storia non capisci l’oggi. Tempo fa il mestiere del giornalista era preso sul serio, si scriveva tanto e con un piccolo episodio racconti una grande storia, perché la storia raccontata da un’esperienza personale, attraverso un piccolo aneddoto della vita di un uomo o di un villaggio, impressiona di più. Parlando di qualcosa che hai vissuto sulla tua pelle trasferisci al lettore quell’emozione che hai provato. Il giornalista non è un burattino che partecipa alle conferenze e prende appunti o fa interviste ma, invece, chiede spiegazioni, esplora e capisce più degli altri del suo mestiere. Quando si è ad un bivio e si trovano una strada che va in su e una che va in giù, prendi quella che va in su. È più facile andare in discesa, ma alla fine ti trovi in un buco. A salire c’è speranza. È difficile, è un altro modo di vedere le cose, è una sfida”.
Tiziano Terzani
* cit. in EuroMedFocus.
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03 febbraio 2014
New Journalism: una guida per il futuro dell’informazione
«Esiste un nuovo giornalismo? Le trasformazioni tecnologiche che hanno interessato la professione negli ultimi trent’anni, la digitalizzazione diffusa, l’avvento di internet e l’imporsi di nuovi media stanno cambiando il modo di lavorare dei giornalisti? ». E’ con questa domanda che l’autore decide di iniziare la prefazione del suo libro, spiegando sin da subito una doppia tesi che manterrà costante in tutto lo sfoglio del testo: «La professione del giornalista, contrariamente a quanto sostenuto da molti, non è cambiata con l’avvento delle nuove tecnologie digitali[…]. Ciò che invece è cambiato profondamente è il modo di lavorare del giornalista».
Da Gutemberg a Internet, dalla Penny Press alla Free Press, un susseguirsi di passaggi che hanno stravolto il mondo della comunicazione. Trasformazioni tecnologiche hanno portato all’adeguamento di una professione che più di ogni altra è costretta a mantenersi al passo coi tempi. Si apre l’era del giornalismo online, amico – nemico di una tradizione cartacea maturata nel corso di secoli. Nascono nuove figure, nuove mansioni e nuovi uffici. Dalla redazione online ai giornalisti multimediali, stessa professione ma ritmi diversi. La scrittura digitale si arricchisce di tutti quegli elementi nuovi adatti a rendere il messaggio ancor più diretto ed immediato: audio, video, foto e animazioni. Ogni mezzo ha un proprio linguaggio e la rivoluzione informatica ha modificato non solo il nostro modo di scrivere ma soprattutto il nostro modo di organizzare il pensiero. Nasce la telefonia di terza generazione, che permette di ricevere le news direttamente sul proprio dispositivo mobile in tempo reale. Tanti cambiamenti. Ma la mission del giornalismo rimane sempre la stessa: informare, interpretare, divertire.
Sono quindici capitoli scorrevolissimi, non annoiano ma incrementano l’uno dopo l’altro il piacere della lettura. Una sorta di guida per il lettore, allo scopo di farlo riflettere su come sfruttare a pieno il cambiamento tecnologico a favore di un nuovo giornalismo, un ‘New Journalism’ che non si faccia superare e stravolgere dal cambiamento, ma al contrario che lo affianchi. L’autore non tralascia nessun particolare del caso e nelle sue pagine sviluppa moltissimi temi che vanno dal ‘giornalismo embedded’ al ‘citizen journalism’, dal fenomeno dei blog ai nuovi social network. Un vero e proprio excursus, interessante e coinvolgente, del mondo dell’informazione. Leggendo le pagine di questo libro non solo si approfondisce una tematica fin troppo attuale ma si percepisce tra le righe quella curiosità dell’autore di voler conoscere di più. Il voler sapere cosa ci si debba aspettare adesso da questo flusso tecnologico in continua e rapida evoluzione. Se il primario intento dell’autore era quello di trasmettere al lettore questo suo stupore e questa sua curiosità, personalmente devo dire che ci è riuscito benissimo.
Arianna Germanà
Marco Pratellesi
New Journalism, Teorie e tecniche del giornalismo multimediale
Milano, Bruno Mondadori, 2013, 238 pp. (1° ed. 2004).
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02 febbraio 2014
In libreria
Giuliano Zincone
Tempo di guerra
Milano, Rizzoli, 2013, 234 pp.
Descrizione
Un bambino rincorre un pallone per strada, cercando di segnare un gol nella rete immaginaria tra due cappotti messi a terra come pali. A quel “tempo senza tempo”, nell’immediato dopoguerra, fatto di estivi pomeriggi dorati, di giochi e risate, di problemi senza importanza e di importantissime sciocchezze rimanda il racconto del piccolo Sergio, “monarchico, bartalista e milanista”. Da grande farà il santo, o il poeta, mica il giornalista come il padre, sempre impegnato tra lavoro e politica. Ai suoi occhi, attenti e stupiti, è affidato il ricordo di un’infanzia, di una famiglia, di un’Italia che si appresta a ripartire. E dalla voglia e dalla necessità di celebrare quei momenti di genuina bellezza che appartengono alla vita di tutti nasce Tempo di guerra, una sorta di “autobiografia infantile” che Giuliano Zincone ha consegnato ai posteri, con il suo stile composito che pagina dopo pagina inventa, imitandolo, il linguaggio del bambino. Un libro ironico, commovente, di una ricchezza narrativa sorprendente, che restituisce il ritratto di un’epoca, di un paese, di una famiglia capace, nonostante le imprevedibili difficoltà della vita, di sorridere e sognare. Una storia che conserva lo spirito innocente e libero di una sfida all’ultima biglia su una pista scavata nella sabbia.
Giuliano Zincone (1939-2013), giornalista, inviato speciale ed editorialista, è stato autore di poesie, testi teatrali, saggi e romanzi, tra cui Ci vediamo al Bar Biturico (Guanda 2006, con lo pseudonimo Paolo Doni) e Niente lupi (Rizzoli 2009). In oltre quarant’anni di carriera ha scritto sul “Corriere della Sera”, “Il Foglio” e “Il Sole 24 Ore”.
Tempo di guerra
Milano, Rizzoli, 2013, 234 pp.
Descrizione
Un bambino rincorre un pallone per strada, cercando di segnare un gol nella rete immaginaria tra due cappotti messi a terra come pali. A quel “tempo senza tempo”, nell’immediato dopoguerra, fatto di estivi pomeriggi dorati, di giochi e risate, di problemi senza importanza e di importantissime sciocchezze rimanda il racconto del piccolo Sergio, “monarchico, bartalista e milanista”. Da grande farà il santo, o il poeta, mica il giornalista come il padre, sempre impegnato tra lavoro e politica. Ai suoi occhi, attenti e stupiti, è affidato il ricordo di un’infanzia, di una famiglia, di un’Italia che si appresta a ripartire. E dalla voglia e dalla necessità di celebrare quei momenti di genuina bellezza che appartengono alla vita di tutti nasce Tempo di guerra, una sorta di “autobiografia infantile” che Giuliano Zincone ha consegnato ai posteri, con il suo stile composito che pagina dopo pagina inventa, imitandolo, il linguaggio del bambino. Un libro ironico, commovente, di una ricchezza narrativa sorprendente, che restituisce il ritratto di un’epoca, di un paese, di una famiglia capace, nonostante le imprevedibili difficoltà della vita, di sorridere e sognare. Una storia che conserva lo spirito innocente e libero di una sfida all’ultima biglia su una pista scavata nella sabbia.
Giuliano Zincone (1939-2013), giornalista, inviato speciale ed editorialista, è stato autore di poesie, testi teatrali, saggi e romanzi, tra cui Ci vediamo al Bar Biturico (Guanda 2006, con lo pseudonimo Paolo Doni) e Niente lupi (Rizzoli 2009). In oltre quarant’anni di carriera ha scritto sul “Corriere della Sera”, “Il Foglio” e “Il Sole 24 Ore”.
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