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30 gennaio 2016
Raccontare Cernobyl
“Noi siamo l'aria non la terra” (M. Mamardasvili)
Il libro più noto del Premio Nobel Svetlana Aleksieviç racconta il disastro di Cernobyl’. Il titolo che l’autrice ha scelto per
descrivere un mondo profondamente sconvolto e avvolto in un misterioso male di
cui l’uomo ha poco conoscenze è Preghiera per Cernobyl. Perché preghiera?
Non sono le credenze religiose della scrittrice ma è un invito di umile compassione
e di una totale rassegnazione di fronte al grido del dolore che la gente di
Cernobyl’ ha affrontato, appunto una preghiera poiché l’uomo è incapace di
risolvere la catastrofe che ha creato a
se stesso. Ci sono due esplosioni
globali; una la discesa dell’impero comunista e l’altra Cernobyl’. Nell’intervista
che l’autrice fa a se stessa dichiara le sue intenzioni più sincere del perché
si è presa il disturbo di raccontare un tema trascorso, un evento
irraccontabile. Avrebbe potuta intitolarla “La storia mancata” racconta, il ché la dice
lunga di come è rimasta nell’ombra un avvenimento così sconvolgente nonché il grande
investimento che si è fatto per dimenticarlo. Da qui il genio e il coraggio
della scrittrice di risorgere una realtà sepolta.
Accanto alle
diverse testimonianze delle vittime della tragedia nucleare c’è una realtà stereotipata, come si vede
Cernobyl’, cosa credono che sia stato, come si presenta al mondo? La vita di
tutti i giorni della gente che abita accanto al centrale nucleare sta per
essere cambiata per sempre, le loro abitudine più banali, come fare il pane,
uscire per strada giocare con i sassolini, mungere la mucca, i loro affetti per
le persone, per gli animali, per la terra, per le loro case, altri oggetti
saranno stravolte. Non avendo equivalenti nella storia tutto viene comparato
alla guerra, non sapendo a cosa riferirsi, l’evacuazione di notte di bambini,
la demolizione delle case, essere circondati dagli soldati. Poi si accorgono
che il nemico da combattere è un disastro radioattivi con cui bisogna senza
alcun scelta, conviverci. All’inizio si comportano come se nulla fosse
cambiato. Nessuno capisce cosa realmente stia accadendo. Tutto viene nascosto
tra patti militari segreti e una superficialità spaventosa. Poi la pioggia nera, bambini malformati,
piaghe nel corpo.
“Volevo
dimenticare. Dimenticare tutto. Pensavo di aver già vissuto la cosa più
terribile che potesse capitarmi … La
guerra.. Ma poi sono andato nella zona di Cernobyl’. È il futuro non il passato
a distruggermi” Psicologo (p. 43).
Cernobyl’ si è
trasformato in un mito, i giornalisti hanno rivelato il lato terrificante senza
mai indagare sul destino delle singole persone, del loro stato fisico ma
soprattutto psichico, della loro vita prima e dopo la disgrazia. Svetlana apre
davanti al lettore un mondo estraneo fino a quel momento, con un stile semplice
e attraverso la voce di chi ha vissuto in prima persona. Una scrittura polifonica valicata da diversi
personaggi, dall’intellettuale alla casalinga, dall’ufficiale dell’esercito al
registra e fotografo, madri, mogli, mariti, anziane, bambini, animali, natura,
cibo, persino la polvere delle terra, le strade, gli alberi tutti elementi che
sono state vittime dell’esplosione hanno potuto aver voce nel libro, nessuna cosa
è stata trascurata per riflettere una realtà ampia e più vicina alla
verità. Spalanca davanti al lettore
diverse scene vissute, storie approfondite, descrizione dettagliata dello stato
mentale e sentimentale delle persone coinvolte
tanto che sembra esserci dentro. Come hanno vissuto la notizia che il centrale
nucleare è esploso, che idee avevano, come sono cambiate queste idee e
sentimenti dopo aver visto morire in modo disumano i propri cari, gli animali,
la fauna e flora, le strade, le loro case. Com’è stata trasformata la loro
vita, la loro psiche dopo che le cause di Cernobyl non ritardarono a farsi
sentire.
Attraverso
monologhi, pochi dialoghi si dà voce alle storie della gente e piano piano si
costruisce un panorama sempre più ampio di quello che è Cernobyl’. Non lascia in ombra nulla e naturalmente si
chiede se si poteva evitare l’incendio o se si poteva comportare diversamente,
se potevano risparmiare tante vite? Ma quell’evento unico nel suo genere ha
trovato impreparati tutti. La politica e il forte nazionalismo con oscura tenacia insistevano che tutto
andava per il meglio, che avevano tutto sotto controllo. Unione Sovietica
voleva dimostrare la sua forza anche di fronte alle leggi della fisica. L’ordine di mettere una bandiera rossa sopra il tetto
della centrale senza minimamente preoccuparsi di chi ogni volta saliva sul
tetto era un condannato ad una morte bruttale. Una descrizione dettagliata e senza retorica
della tragedia da un lato e dall’insensibilità dello stato.
“il decadimento
dell’uranio ha un tempo di dimezzamento fa conto 1 miliardo di anni.”
Scienziato (p. 143).
Cercavano di
trovare la causa, alcuni pensavano fosse il terrorismo ma nessuno sapeva come andava
affrontato la situazione, sapevano solo le sue devastanti conseguenze.
Viviamo in un mondo editoriale in cui c’è un
numero sempre più crescente di libri “bestseller” e sempre un numero
decrescente di capolavori. I primi sono concentrati sul sensazionalismo,
attenti alla sceneggiatura, ricchi di colpi di scena, intrighi, gli eventi
scorrono in modo da attirare l’attenzione del lettore "pigro". Un
linguaggio pieno di retorica, calcolato e pensato per fare colpo sul lettore,
spesso frasi fatti e giri di parole. Poche volte ci imbattiamo in un
capolavoro. “Preghiera per Cernobyl” è la testimonianza che in mezzo al mondo
frenetico e commerciale che ci regala una realtà superficiale, personaggi
stereotipati, storie simili e adatti ai film c’è un romanzo in grado di tirare
fuori “l’anima” di un evento, di un popolo, di una grande sofferenza, di una
verità che non possiamo ignorare. Un romanzo coraggioso che indaga,
approfondisce, scava e rivela il vero volto di Cernobyl’. Attraverso un
linguaggio forte e diretto, poche
metafore, niente ironia o sarcasmo, con una scrittura obbiettiva e
asciutta è stata in grado di raccontare
la realtà in modo trasparente, una realtà complessa,poco chiara, perfino
misteriosa per certi aspetti. Svetlana è
una cronista, una giornalista che attraverso la letteratura ha raccontato la
realtà politica e sociale di Cernobyl’ in questo caso, della guerra in
Afganistan, dei suicidi in massa dopo lo scioglimento della Unione Sovietica
che ha costato la scrittrice la fuga dal paese di nascita e lo ha costretto a
vivere in esilio. La stessa impresa che ha intercorso Roberto Saviano nel suo romanzo
d’inchiesta “ Gomorra” nel quale descrive la realtà della criminalità organizzata.
Eralda Xibraku
Svetlana
Aleksieviç
Preghiera per
Cernobyl,
Edizioni e/o, 2015, 300 pp. (prima edizione 2004)
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28 gennaio 2016
David Bowie, artista da leggenda
Mi sveglio la
mattina di lunedì 11 gennaio, apparentemente un giorno come un altro. Un nuovo
lunedì di studio e di lavoro. Il cielo è plumbeo su Genova, il termometro segna
12 gradi. Apro il mio portatile e clicco sul sito dell’ANSA, e mi rendo conto
che no, non è un giorno come gli altri. L’articolo in primo piano recita “Addio
al Duca Bianco Bowie”. Dalla Cnn al Financial Times fino ad Al
Jazeera, la notizia della sua morte si trova sulla homepage di
tutti i principali siti internazionali. Per chi come me è innamorato della
musica, appassionato di tutta la musica in tutte le sue sfumature, questo è un
giorno triste: una delle figure artistiche di maggiore successo della storia
della musica, “un artista rivoluzionario, poliedrico, inarrivabile ed
eclettico” (come lo definisce giustamente Veronica
Bolognese in un articolo pubblicato sul sito www.staycool.it) è morto nella notte dopo una battaglia di 18 mesi contro il
cancro. Solo tre giorni prima aveva compiuto 69 anni,
e nello stesso giorno era uscito Blackstar, il suo ultimo album,
che resterà il suo testamento.
David
Robert Jones (questo il vero nome) nasce a Brixton, Londra, l'8 gennaio 1947.
Il suo primo singolo, Can't help
thinking about me, viene pubblicato nel 1966 a nome di David Bowie e The
Lower Third. Nel 1967 avviene l'incontro cruciale per la sua carriera: quello
con Lindsay Kemp. Dall'artista apprende i segreti della teatralità, della
mimica, dell'uso del corpo, elementi fondamentali della sua personalità
artistica che si affermerà attraverso le sue numerose “personalità”. L'album The rise and fall of Ziggy Stardust and the
Spiders from Mars è un disco incredibile, venerato dai fan e non solo, che
racconta la storia del primo dei suoi alter ego scenici, Ziggy Stardust, un
extraterrestre bisessuale e androgino trasformato in rockstar che fa di Bowie
lo speaker della libertà sessuale. Ma
Ziggy è solo uno dei tanti personaggi interpretati dall’artista, da Aladdin
Sane ad Halloween Jack
al Duca Bianco, “una continua reinvenzione di sé stesso che gli ha permesso di
mostrare varie sfaccettature della sua arte nel corso della sua prolifica
carriera” (“E’ morto
David Bowie, il trasformista del rock”, Repubblica.it). Nel 1973, con uno straordinario concerto all'Hammersmith
Odeon di Londra, Bowie annuncia la fine di Ziggy Stardust. All'inizio degli
anni Ottanta è un mito, uno dei pochi artisti in grado di conciliare rock e
teatro, pop e avanguardia, ambiguità sessuale e arti visive, trasgressione e
letteratura.
“Dal
folk acustico all'elettronica, passando attraverso il glam rock, il soul e il
krautrock, David Bowie ha lasciato tracce che hanno influenzato tantissimi
artisti. Artista prolifico, non si è mai adagiato sugli allori del successo
continuando a sperimentare fino all’ultimo disco. Ha attraversato e inventato
generi anche molto diversi tra loro: dal beat al R&B bianco, dal glam rock
all'electro pop intellettuale al rock colto e raffinato” (“Addio a David Bowie, il
camaleonte del rock è morto a 69 anni”, Il Mattino).
Non
si fa mancare le incursioni nel cinema: dopo alcune piccole apparizioni arriva
al successo nel 1976 come protagonista del film di fantascienza L'uomo che cadde sulla Terra di Nicolas
Roeg. Tra le sue interpretazioni più note si ricordano Absolute beginners e Labyrinth
del 1986 fino Basquiat di Julian
Schnabel del 1996, dove interpreta il ruolo di Andy Warhol.
Nel
1997 viene quotato in borsa grazie all'emissione dei Bowie Bonds effettuata
offrendo a garanzia le royalties ricevute per i dischi venduti fino al 1993
(circa un milione di copie l'anno). Nel 2007 riceve il Grammy alla carriera e
nel 2008 viene inserito al 23º posto nella lista dei 100 migliori cantanti
secondo la rivista Rolling Stone.
Un
artista a tutto tondo che è già leggenda.
Silvia Marcenaro
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27 gennaio 2016
Shoah: spunti per la persistenza del ricordo
In occasione della Giornata della Memoria mi è parso
interessante portare qui di seguito alcune testimonianze di sopravvissuti al
campo di sterminio di Auschwitz i quali
raccontano la loro esperienza in ambito scolastico e l’idea che hanno maturato della
Shoah, e come questa venga presentata oggi nelle scuole dopo 71 anni.
Una delle testimonianze presentate da Repubblica per la commemorazione della Shoah è quella di Alberto
Mieli ebreo di Roma che nel 1943 venne fermato dalla Gestapo, mandato ad
Auschwitz e liberato nel maggio del 1945 dopo una lunga marcia verso l’Austria.
Un particolare della sua testimonianza è stato il racconto
di un giorno di scuola qualunque in cui fu chiamato dal preside il quale piangendo
gli disse che non poteva più frequentare il corso. Quello fu il suo ultimo giorno di scuola. I bambini
ebrei non potevano più accedere alle classi.
Alberto Mieli,oggi novantenne, ha appena pubblicato un libro di
testimonianza individuale: Eravamo ebrei.
Questa era la nostra unica colpa.
Questa testimonianza nasce dagli incontri con i ragazzi
delle scuole, dai ricordi evocati con dolore e sofferenza. Alberto Mieli,
infatti, non è mai tornato nei luoghi della sua deportazione, bensì ha scelto
il dialogo con i giovani ai quali dice “per avere rispetto di noi stessi
dobbiamo imparare ad avere rispetto per gli altri”.
Un’altra “immagine” che ritengo significativa presentare è
quella di Liliana Segre, ebrea di famiglia laica milanese segnata dalle leggi
razziali del 1938, in seguito alle quali venne espulsa da scuola. Dei 776
bambini italiani di età inferiore ai 14 anni che furono deportati ad Auschwitz,
Liliana è tra i soli 25 sopravvissuti.
La donna, la quale di solito offre la sua testimonianza
nelle scuole, sollecitando gli insegnanti a spiegare ai ragazzi cosa sia
accaduto, fa notare quanto i giovani siano disabituati al dolore, tenuti al riparo
sia dalle famiglie sia dall’ambiente scolastico. Ciò che è necessario, invece, è
conoscere ciò che è accaduto e rialzarsi, andare avanti.
Un’ulteriore testimonianza rilevante è quella di Aharon
Appelfeld, scrittore israeliano, sopravvissuto alla Shoah in cui perse i suoi
familiari, dove riuscì a fuggire da un campo di sterminio nazista in
Transnistria e si unì all’Armata Rossa dove prestò servizio come cuoco.
Oggi, ci rende edotti della sua tragica esperienza con i
suoi romanzi che hanno come centro la Shoah, come ad esempio “Oltre la
disperazione”. L’autore racconta la sua fuga dal lager a 8 anni e l’esperienza
da sopravvissuto.
Nell’intervista rilasciata a Repubblica gli viene chiesto
cosa ne pensa del modo in cui viene onorata la Shoah oggi, con gite scolastiche
e lezioni in classe. Lo scrittore, che vive a Gerusalemme, spiega come per i
ragazzi israeliani le visite nei campi di sterminio non siano un’esperienza
accettabile in quanto quei luoghi sono ancora fonte di dolore, dove hanno perso
i propri familiari. Sugli europei si riserva di rispondere, dicendo come sia
difficile da spiegare il genocidio e il disprezzo per gli ebrei che i tedeschi
avevano inculcato nella popolazione.
Queste testimonianze di alcuni bambini privati della loro
istruzione, di altri addirittura delle loro vite, di altri ancora distrutti
nell’anima da esperienze travolgenti e inenarrabili per la loro brutalità, certamente
svolgono un ruolo preponderante nella conservazione e memorizzazione di uno dei
passi certamente più indimenticabili della storia dell’umanità.
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24 gennaio 2016
Arnasco-gate. Aspettando la misericordia
Il destino si è accanito nei confronti di Aicha
Bellamoudden, marocchina morta a soli 56 anni nello scoppio di una palazzina
nel centro storico di Arnasco. Non è bastata la fuga di gas, forse evitabile, a
provocarne la morte. Non è bastata la mancata benedizione della salma da parte del
parroco durante i funerali. Non è bastato l’imbarazzo che
la vicenda ha creato con la diocesi di Albenga, recentemente commissariata.
Aicha muore ancora, ogni giorno.
Muore perché ancora non si
riconosce il suo diritto alla cittadinanza nel mondo. Ancora non si
tollera il suo diritto a professare una religione diversa dalla nostra. E non
basta. Ancora, ad accrescere questa vergogna, è la totale mancanza di rispetto
per una donna che ha perso la vita.
L’Arnasco-gate solleva antichi polveroni, suscita sentimenti
creduti ormai sopiti, accende la discussione mediatica. A conferma che parole
come accoglienza, tolleranza, misericordia, tanto evocate anche dal Papa, nella
coscienza delle persone, non sono altro che parole.
Belle parole, certo. Ma pur sempre lontane anni luce dalla
realtà del pensiero prevalente.
Lo stereotipo del migrante, dello straniero pericoloso, del
musulmano indegno di ricevere sacramenti, resiste incontrastato. Anche in un
piccolo borgo dell’entroterra ligure, dove tutti si conoscono e dove ci si
dovrebbe sentire accolti come in famiglia.
La misericordia, quella di cui scrive papa Francesco nel suo
libro, è un sentimento nobile di pietà verso l’infelicità o la disgrazia
altrui. La stessa pietà e compassione che dovremmo provare verso la miseria
umana di un parroco che non risulta comportarsi da cristiano. O la stessa ambiguità di spirito che serpeggia tra
l’ignoranza popolare che considera la religione musulmana un elemento
discriminante.
Aspettiamo, quindi. Aspettiamo ancora. Ancora, aspettiamo.
Aspettiamo di percorrere la strada che conduce alla
residenza del rispetto.
Aspettiamo di capire dove vive la dignità della religione.
Aspettiamo la carezza della misericordia che, in futuro, ci
porti lontano da spregevoli luoghi comuni e assurdi stereotipi.
Anna Scavuzzo
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20 gennaio 2016
Le voci della storia
Antonio Ferrari e i retroscena delle sue grandi interviste
Sgretolamento non è una semplice raccolta di interviste,
ma molto di più. In primis è l’emblema di parte della lunga carriera di un grande
giornalista italiano, Antonio Ferrari.
Firma illustre del “Corriere della Sera”, dopo aver seguito gli anni del
terrorismo italiano, Ferrari è passato all’estero. Prima in Europa e nell’Est
comunista, poi nei Balcani, in Medio Oriente e in Nord Africa. Ferrari racconta
le sue interviste più salienti ai grandi leader politici, quei burattinai
che nel bene o nel male hanno deciso le sorti di un delicatissimo decennio
storico come quello degli anni Ottanta. Con uno stile semplice e un linguaggio
affabile, tra ironia e autoironia, Ferrari ci insegna che cosa significa essere
giornalista. Coraggio, arguzia, sagacia sono solo alcune delle sue qualità. È un provocatore che non teme chi ha di fronte, poco
importa se si tratti di scavalcare la
censura romena per l’intervista a Ceausescu,
o di definire il primo ministro israeliano Yitzhak Shamir un terrorista,
o di sfidare i servizi segreti siriani con una intervista telefonica nella sua
stanza di albergo a Damasco al leader libanese Aoun. Una irriverenza e una
spregiudicatezza a volte punite, è il caso del suo avvelenamento a Bucarest e
il conseguente divieto di ingresso in Romania in quanto “persona non gradita”.
Ferrari non ha paura
di ammettere che oltre al merito più volte ha contribuito anche una buona dose
di fortuna. È alla fortuna infatti che attribuisce la sua più cara intervista,
quella a Helmut Schmidt, ormai ex cancelliere della Repubblica Democratica
Tedesca.
Dalle sue parole trapela la voglia di verità, spesso però una verità ben nascosta negli intrighi politici internazionali, tanto
che per trovarla il giornalista rischia di diventare una pedina di un gioco
pericoloso. Fa riflettere il suo incontro con il giornalista turco Mumcu alla
fine della guerra fredda a proposito dell’attentato a papa Giovanni Paolo II e
la presunta pista bulgara. Durante una cena Mumco confessa:
Le voci degli intervistati compaiono senza filtro, a nudo, facendo emergere inattese verità o sorprendenti bugie. Una in particolare colpisce e diverte. È
il 4 ottobre del 1985, poche ore dopo dell’attentato israeliano al quartier
generale dell’OLP a Tunisi. L’intervista è rivolta
al leader palestinese Arafat che alla domanda su cosa stesse facendo nel
momento dell’attentato risponde:
Benedetta Federica
Rovero
Antonio Ferrari
Sgretolamento. Voci
senza filtro
Jaca Book, Milano, 2013, pp. 175.
Etichette:
Grandi firme,
Libreria,
Politica internazionale,
Recensione
18 gennaio 2016
In libreria
Bruno Barba
Meticcio. L’opportunità della differenza
Effequ, Orbetello, 2015, 232 pp.
Meticcio. L’opportunità della differenza
Effequ, Orbetello, 2015, 232 pp.
Descrizione
L'umanità è fatta di mescolanze: come insegnano le culture mediterranee, caraibiche, sudamericane, il meticciato rappresenta un destino ineluttabile; destino non da subire passivamente, ma da considerare come un'occasione imperdibile per una decisa apertura alla diversità e alla scelta. È il momento, perciò, di promuovere l'essere transculturale, la nuova mobilità planetaria, di affrontare i nuovi tempi con strumenti interpretativi idonei, senza alcun timore: nessuno perderà la propria identità, al contrario la rafforzerà, la celebrerà, la eleverà, attraverso il processo di ibridazione. Questo saggio destruttura, anzi decolonizza la nostra mente, e prova a pensare per nuove categorie. Partendo dalla storia si intraprende un percorso che si pone come il 'manifesto' del meticciato contemporaneo: una riflessione cruciale per il nostro tempo, un'affilata antropologia dell'indifferenza.
L'umanità è fatta di mescolanze: come insegnano le culture mediterranee, caraibiche, sudamericane, il meticciato rappresenta un destino ineluttabile; destino non da subire passivamente, ma da considerare come un'occasione imperdibile per una decisa apertura alla diversità e alla scelta. È il momento, perciò, di promuovere l'essere transculturale, la nuova mobilità planetaria, di affrontare i nuovi tempi con strumenti interpretativi idonei, senza alcun timore: nessuno perderà la propria identità, al contrario la rafforzerà, la celebrerà, la eleverà, attraverso il processo di ibridazione. Questo saggio destruttura, anzi decolonizza la nostra mente, e prova a pensare per nuove categorie. Partendo dalla storia si intraprende un percorso che si pone come il 'manifesto' del meticciato contemporaneo: una riflessione cruciale per il nostro tempo, un'affilata antropologia dell'indifferenza.
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15 gennaio 2016
Blasfemia del pensiero libero
Credo nel diritto di credere
In Dio, in Allah, in Budda
E in tutti gli Dei dell’universo;
Credo nel diritto di non credere.
L’uomo nasce schiavo di cultura, fede, società.
La libertà è una conquista,
L’affrancatura dalla convenzione,
La scelta consapevole del proprio essere.
La scelta che non sempre si ha il coraggio di fare,
Lo schieramento che cambia la vita,
Plasma la persona,
La salva o la condanna alla mediocrità.
Noi che viviamo la nostra piccola vita,
Nel nostro piccolo mondo,
Dimentichi del costo della libertà
E del peso delle parole.
Noi lontani da questo giovane poeta
Eppure a lui così simili.
Assuefatti al diritto alla libertà,
Indifferenti alla sofferenza,
Distratti da un'illusoria distanza.
Si vuole spegnere una vita!
Ashraf Fayadh, un nome,
Una storia, un figlio, un amico.
Falciare con la brutalità,
Interrompere la precarietà dell’essere.
La superbia del potente che si fa Dio,
Le presunzione dell’uomo che decide della vita dell’uomo.
La condanna dell'inaccettabile colpa del libero pensatore.
Credo nell’essere umano e nella luce della ragione
Ché illumini i bui recessi dell’arroganza umana.
Prego perché
Dio , Allah, Budda,
L’universo tutto e gli uomini
Salvino insieme Ashraf Fayadh,
Un uomo come noi.
Forse peggiore di me,
Forse migliore di me,
Comunque uomo, un diritto alla vita, incatenato dalla sua stessa libertà.
Cristina Pongiluppi
'Salviamo il poeta e artista palestinese Ashraf Fayadh'.
In Dio, in Allah, in Budda
E in tutti gli Dei dell’universo;
Credo nel diritto di non credere.
L’uomo nasce schiavo di cultura, fede, società.
La libertà è una conquista,
L’affrancatura dalla convenzione,
La scelta consapevole del proprio essere.
La scelta che non sempre si ha il coraggio di fare,
Lo schieramento che cambia la vita,
Plasma la persona,
La salva o la condanna alla mediocrità.
Noi che viviamo la nostra piccola vita,
Nel nostro piccolo mondo,
Dimentichi del costo della libertà
E del peso delle parole.
Noi lontani da questo giovane poeta
Eppure a lui così simili.
Assuefatti al diritto alla libertà,
Indifferenti alla sofferenza,
Distratti da un'illusoria distanza.
Si vuole spegnere una vita!
Ashraf Fayadh, un nome,
Una storia, un figlio, un amico.
Falciare con la brutalità,
Interrompere la precarietà dell’essere.
La superbia del potente che si fa Dio,
Le presunzione dell’uomo che decide della vita dell’uomo.
La condanna dell'inaccettabile colpa del libero pensatore.
Credo nell’essere umano e nella luce della ragione
Ché illumini i bui recessi dell’arroganza umana.
Prego perché
Dio , Allah, Budda,
L’universo tutto e gli uomini
Salvino insieme Ashraf Fayadh,
Un uomo come noi.
Forse peggiore di me,
Forse migliore di me,
Comunque uomo, un diritto alla vita, incatenato dalla sua stessa libertà.
Cristina Pongiluppi
'Salviamo il poeta e artista palestinese Ashraf Fayadh'.
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14 gennaio 2016
In libreria
Julia Cagé
Salvare i media. Capitalismo, crowdfunding e democrazia
Bompiani, Milano, 2016, 128 pp.
disponibile anche in formato ebook
Descrizione
I media sono in crisi. Non solo la carta stampata, ma tutta la catena di produzione dell’informazione. Di fronte a una concorrenza spietata e a un calo inesorabile degli introiti pubblicitari, i giornali, le radio, le televisioni sono tutti alla ricerca di un nuovo modello. Basato su un’indagine inedita sui media in Europa e negli Stati Uniti, questo libro propone di creare un nuovo statuto di “associazione non profit”, a metà strada tra lo statuto delle fondazioni e quello delle società per azioni, che concili attività commerciale e attività senza fini di lucro. Un simile statuto consentirebbe ai media di essere indipendenti dagli azionisti esterni, dagli inserzionisti e dai poteri pubblici, e di operare invece contando sui lettori, sui dipendenti e su metodi innovativi di finanziamento, incluso il crowdfunding. Julia Cagé propone un metodo ambizioso, che incrocia le sfide della rivoluzione digitale e la realtà del XXI secolo, e che si ispira a un presupposto fondamentale: che l’informazione, come l’istruzione, è un bene pubblico, e come tale va difeso. Il dibattito è aperto: ne va, molto semplicemente, del futuro della nostra democrazia.
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Etichette:
Giornalismo,
Libreria,
Professione giornalistica,
Web
11 gennaio 2016
In libreria
Lella Mazzoli , Giorgio Zanchini (a cura di )
Info cult. Nuovi scenari di produzione e uso dell'informazione culturale
Franco Angeli, Milano, 2015, 192 pp.
Descrizione
Di cultura in Italia si parla
molto. I dati sconfortanti sui consumi culturali e sul tasso di lettura hanno
persino incrementato il discorso pubblico su questo tema. In generale sui media
l'informazione culturale c'è. E tuttavia è un campo
ancora poco frequentato dalla riflessione sociologica e da ricerche empiriche. Il volume vorrebbe anzitutto
rispondere a questa parziale lacuna. Basato su un'articolata ricerca
dell'Osservatorio News-Italia dell'Università di Urbino Carlo Bo su dati e
fonti dell'informazione culturale, Info Cult offre una ricognizione sistematica della produzione e degli
usi dell'informazione culturale di oggi e dei suoi effetti sociali. E risponde
a molti degli interrogativi più urgenti della nostra contemporaneità: quali
sono le fonti di informazione privilegiate? Qual è il ruolo giocato da internet
e dagli altri media digitali? C'è ancora bisogno di mediazione e mediatori?
Quale piattaforma conta di più nelle scelte di consumo? Quali sono i temi che
gli italiani associano maggiormente all'idea di cultura? Quali sono i nuovi
linguaggi e i nuovi scenari?
Indice del libro
Piero Dorfles, Le culture divergenti
Lella Mazzoli, Giorgio Zanchini, Perché Info Cult
Lella Mazzoli, Giulia Raimondi, Conoscere, condividere, partecipare: l'Info Cult come benessere della società
Giorgio Zanchini, Mappe culturali: in cerca di bussole per nuovi mondi
Roberta Bartoletti, Informazione e consumi culturali: scenari di uso
Federico Montanari, Stili, pratiche, forme e strategie nella ricerca di informazione culturale: fra offline e online
Lella Mazzoli, Giorgio Zanchini, Perché Info Cult
Lella Mazzoli, Giulia Raimondi, Conoscere, condividere, partecipare: l'Info Cult come benessere della società
Giorgio Zanchini, Mappe culturali: in cerca di bussole per nuovi mondi
Roberta Bartoletti, Informazione e consumi culturali: scenari di uso
Federico Montanari, Stili, pratiche, forme e strategie nella ricerca di informazione culturale: fra offline e online
Fabio Giglietto, Il futuro dell'industria culturale fra algoritmi
sociali, democrazia e nuovi autoritarismi
Chiara Checcaglini, L'informazione culturale e il settore
audiovisivo: il caso dell'informazione cinematograficaRiferimenti bibliografici
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10 gennaio 2016
Il buon giornalismo dell'informazione interculturale
Sembra di assistere ad una lezione universitaria, ad una di quelle
dove il professore camminando per l’aula parla per ore e tu, rapito dalle
parole, non ti accorgi del tempo che in un attimo vola. Perché Giornalismo interculturale e comunicazione
nell’era del digitale non è semplicemente un manuale sui problemi del
giornalismo odierno, ma è una riflessione su come viviamo e ci rapportiamo con
gli altri. Dove gli Altri sono arrivati da un paese, non lontano dal Nostro,
per scappare spesso da una guerra che riteniamo sia solo Loro.
Etichette, pregiudizi, stereotipi dati in primis da chi dovrebbe
occuparsi di educare e formare la collettività: il giornalismo, tradizionale e
online. Da qui il sottotitolo “Il ruolo dei media in una società pluralistica”,
perché come scrive l’Autore: “I mass media, la comunicazione, i social media,
finanche il web marketing possono diventare strumenti di mediazione
interculturale e di peace building”.
Non pensiamo che Corte proponga del buonismo; non si mette sul
piedistallo criticando il settore dell’informazione, ma lo analizza cercando di
capire come si potrebbe passare dal giornalismo etnocentrico o multiculturale,
ad un Giornalismo interculturale. Un percorso faticoso, che prevede prima di
tutto una conversione culturale e dell’anima. Perché di cuore, per come vede
lui questo mestiere, ce ne vuole tanto.
Non promette la ricetta segreta, l’ingrediente nascosto per ottenere
la comunicazione perfetta. Regala però consigli su come organizzare il lavoro
in una redazione, su come un reporter dovrebbe rapportarsi con le fonti e sul
linguaggio da scegliere per scrivere un articolo. Perché saper trovare le
parole, può fare la differenza. E maestro nel raccontare l’Altro è Guccini, le
cui canzoni accompagnano, di capitolo in capitolo, l’intera lezione di Corte.
Questo libro ha il grande merito di far riscoprire un valore che
spesso per fretta o superficialità si dimentica: il rispetto per gli Altri.
Principio che dovrebbe mettere in pratica in particolar modo chi si occupa di
comunicazione.
Maurizio Corte
Giornalismo interculturale e
comunicazione nell’era del digitale.
Il ruolo dei media in una
società pluralistica.
Cedam, Padova 2014, 214 pp.
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Migranti,
Recensione
07 gennaio 2016
Guerre di serie B
"Si muore così qui: senza preavviso. Un’esplosione, dal nulla, il lampo, uno schiaffo di vento, e l’aria che si fa rovente di fiamme, sangue, schegge – e nella polvere, tra le urla, solo questi stracci di carne, questi bambini di carbone."
Crudele. Ecco come definire il libro di Francesca Borri, la coraggiosa reporter freelance che ha scelto Aleppo, in Siria, per raccontare. La Siria, che spesso viene dimenticata, o meglio confusa, perché gli occidentali ignorano dove sia e che cosa sta accadendo lì da anni. Viene confusa con l’Iraq, con la Libia. A chi importa DAVVERO della Siria? Perché, a che scopo raccontare cosa succede davvero in quel paese straziato, che ormai vive solo di cadaveri e disperazione?
Più volte nel corso del libro la freelance spiega che né una ONG, né una Croce Rossa, né le Nazioni Unite si preoccupano di aiutare Aleppo. Perché? Ci sono guerre di serie B, a cui nessuno fa caso, eppure i morti e i rifugiati crescono, di stagione in stagione. Se nell’autunno 2012 i morti erano 60mila e i rifugiati 400mila, a settembre dell’anno dopo sono diventati 130mila e 2milioni e mezzo i rifugiati. I numeri servono a capire e, più si fanno i calcoli, più viene da chiedersi che senso ha tutto questo. Perché nessuno aiuta? Francesca Borri lo racconta in modo preciso, crudele, scioccante. Questa è la guerra, non avere più nulla, se non la speranza, ma forse nemmeno più quella.
La Guerra Dentro, perché una volta che la vedi, che la vivi, che la sopporti, non esce più, diventa parte di teQuesto libro è più che un reportage, più che una cronaca: è un diario, pieno di sentimenti, sensazioni e soprattutto ricco di storie, una guerra che diventa letteratura. Persone incontrate che raccontano un pezzo di vita, storie incredibili, impensabili per gli occidentali. Ma al direttore di testata cosa interessa? Quello che fa scalpore, forzando la realtà, costruendo la notizia, creando lo scoop. Il pendolare al mattino, in metro, sarà colpito dal bambino-medico, dalla donna-soldato, col marito talebano magari. A chi importa se qualcuno, che un tempo faceva parte di una grande famiglia numerosa, è rimasto solo per colpa di mine e cecchini? È la disperazione. La giornalista vuole scandalizzare, vuole lasciare una traccia della guerra anche dentro di noi. Leggendo, ci sembra di essere con lei tra le macerie, a rischiare la morte, a vivere con chi non ha più nulla e non può scappare.
Ciò che fa innervosire ancora di più è la disinformazione, anzi, l’ignoranza nel vero senso della parola. Mancanza di una conoscenza sufficiente. Perché noi occidentali non sappiamo davvero quello che accade in Siria. Sentiamo distratti qualche informazione al tg, ma non siamo informati a sufficienza. Forse non ci vogliono informare. Non c’è empatia con quei luoghi, non ci rivediamo in loro perché sono lontani. Ma sono come noi e Francesca Borri ha cercato, indignata, come si percepisce in ogni pagina, di spiegare, di raccontare.
Crudele ed emozionante. Ci svela realtà che ci vengono nascoste. Ci fa entrare nel conflitto, ma non in quello spettacolare che passa sul piccolo schermo. Il conflitto della vita quotidiana, della ricerca di acqua e pane, o del proprio figlio di cui non si hanno più notizie.
Valeria Camarda
Francesca Borri
La guerra dentro
Bompiani, Milano, 2014, pp. 236.
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Reportage
02 gennaio 2016
In libreria
Rita Marchetti
La Chiesa in Internet. La sfida dei media digitali
Carocci, Roma 2015, 160 pp.
Descrizione
La Chiesa in Internet. La sfida dei media digitali
Carocci, Roma 2015, 160 pp.
Descrizione
Il volume offre un contributo per pensare
criticamente il ruolo della rete e dei media digitali nella vita quotidiana in
rapporto alle istituzioni tradizionali, in particolare alla Chiesa cattolica in
Italia. I rapporti della Chiesa con i processi di modernizzazione sono stati
spesso controversi e caratterizzati da un’alternanza di intuizioni e chiusure,
di accettazione e cautela, tanto da rendere legittima, inizialmente, l’ipotesi
di un atteggiamento di resistenza nei confronti dei mutamenti creati dalla diffusione
di internet. Al contrario, il mondo ecclesiale in rete si è dimostrato una
realtà estremamente e inaspettatamente ricca, con migliaia di utenti anche tra
le persone e i parroci più anziani, come mostra l’importante mole di dati e
informazioni raccolte sul campo di cui il volume rende conto.
*link all'Indice del libro.
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