Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

_________________

Scorrendo questa pagina o cliccando un qualunque suo elemento acconsenti all'uso dei cookie presenti nel sito.



29 ottobre 2008

La mano più veloce del... web!

C'è qualcuno che arriva sempre prima degli altri. Questo qualcuno, sembra fiutare le potenzialità di tutto quel che può rivelarsi economicamente fruttuoso. Di chi sto parlando? Ma della malavita organizzata, naturalmente. Mentre negli ambienti più istituzionalizzati si rimane indietro, al mondo della criminalità non sfugge la minima occasione per stendere la propria ombra anche dove meno ce lo si aspetterebbe. Proprio la scorsa settimana, la polizia coreana ha scoperto un giro d'affari illecito, riguardante riciclaggio di danaro tra Korea e China, per una cifra che si aggira sui 38 milioni di dollari. Non staremmo parlando di nulla di nuovo, se non fosse che, il metodo utilizzato per raggiungere il losco scopo, è lo sfruttamento del "Gold Farming". Per chi non ne fosse a conoscenza, il gold farming è una pratica molto in auge su alcuni videogame online, come i celebri Second Life e World of Warcraft, consistente nel pagare altri utenti per procurarsi soldi virtuali o simili benefici da sfruttare nel gioco. Per quanto possa sembrare paradossale, il giro d'affari attorno al gold farming ha raggiunto proporzioni incredibili, con buona pace delle case produttrici dei videogame che, nonostante vari tentativi di arginare la cosa, non sono ancora riusciti ad avere risultati accettabili. Che la pratica sia morale o no, resta sorprendente come, per l'ennesima volta, i primi a capire la reale portata di un fenomeno legato alle nuove tecnologie e tendenze, siano stati membri di organizzazioni criminali. Triste dimostrazione che, gli occhi aperti sui mutamenti che il nostro mondo sta subendo, non sono mai abbastanza. I nuovi media corrono a velocità inaudite e, per non farsi sorprendere, vanno tenuti in debita considerazione.

Fonte: http://english.donga.com/srv/service.php3?bicode=040000&biid=2008102291528

Fabio Fundoni
____

28 ottobre 2008

Il nostro futuro

"Se si tagliano i fondi alla scuola, dalle elementari all´Università, si tolgono gli occhi al nostro futuro, si taglia il futuro".
Niccolò Ammaniti,
"La Repubblica", 28.10.08
*segnalato da S.C.
_____

27 ottobre 2008

In libreria

Ferruccio de Bortoli
L'informazione che cambia
Brescia, Editrice La Scuola, 2008, 124 pp.
__
Recensione di Massimo Donaddio, "Il Sole-24 ore", 24 ottobre 2008
Cosa vuol dire essere giornalisti e fare giornalismo oggi? Come sta cambiando la professione, incalzata dalla rivoluzione del web e della multimedialità? Quali sfide attendono l'informazione del nuovo millennio? Sono solo alcune delle domande che attraversano il fitto colloquio tra Ferruccio de Bortoli, direttore del Sole 24 Ore, e Stefano Natoli, giornalista dell'agenzia stampa Radiocor, pubblicato per l'editrice La Scuola nella collana "Interviste", diretta da Paola Bignardi. Una conversazione dalla quale emergono, chiari, i principi fondamentali e le linee guida che hanno ispirato, nella sua vita di cronista e di direttore, un protagonista del mondo dell'informazione come de Bortoli, ma anche un ritratto assai veritiero della professione giornalistica negli ultimi, a volte ultimissimi anni. Un libro che è anche una denuncia, da una parte, di un mondo a volte troppo lesto a prestare la voce ai potenti di turno, ad accontentarsi delle mezze verità dei portavoce ufficiali o degli uffici stampa, ad appiattirsi su una vulgata fatta propria acriticamente, costruita magari su pochi lanci d'agenzia, dall'altra pressato da tempi sempre più rapidi, capaci di togliere il fiato, ma non sempre di garantire – purtroppo – una verifica accurata delle fonti, l'attenzione adeguata nella scrittura del "pezzo" e nella ricostruzione degli avvenimenti. Un mestiere che sta attraversando la grande sfida della multimedialità su due fronti: da un lato un processo di integrazione sempre più spinto tra giornali di carta e giornali online, dall'altra la trasformazione graduale (ma piuttosto rapida) dei giornalisti in professionisti dell'informazione polivalenti, in grado di destreggiarsi tra contenuti stampati, radio, tv e web. Queste le nuove frontiere di una professione indispensabile per il funzionamento corretto di una democrazia (come ricorda più volte de Bortoli nel colloquio) e che ha ancora bisogno, malgrado tutto, di modelli come Indro Montanelli, Enzo Biagi, Oriana Fallaci, maestri non solo di stile e di tecnica giornalistica, ma soprattutto di coraggio e di passione civile. Dai numi tutelari della storia del giornalismo al lavoro di ogni giorno in tante redazioni una certa differenza si sente, ma la sfida – ricorda ancora de Bortoli - sarà proprio quella di tenere insieme velocità e qualità, fiducia da parte del lettore e ampliamento dell'offerta informativa con la necessaria partecipazione e presenza sul web. Una sola redazione il più possibile integrata, ma due o più mezzi sui quali veicolare i contenuti, le idee, le professionalità di un giornale: questa la proposta di de Bortoli, in via di potenziamento al Sole 24 Ore: le news, anche gli scoop eventualmente, da affidare al sito internet; il giornale quotidiano da dedicare agli approfondimenti del giorno dopo. Rispettando il linguaggio proprio di web e carta stampata, ma continuando a mettere al centro la figura di colui che deve dedicarsi alla qualità delle notizie e dei commenti: un buon giornalista, o meglio, un buon cronista. Un cronista, certo, che sa per chi scrive (il lettore), sa chi gli consente di scrivere (l'editore), ma sa anche essere critico e distaccato, dovendo fornire all'opinione pubblica una rappresentazione il più possibile veritiera, e non di parte, della realtà. L'imparzialità, la terzietà, prosegue de Bortoli, rimangono infatti atteggiamenti fondamentali per un cronista corretto e accurato nella verifica delle sue fonti. A volte, denuncia il direttore del Sole 24 Ore, i giornalisti possono cadere nella tentazione di scrivere unicamente per le proprie fonti, ma la contiguità non favorisce certo la correttezza dell'informazione. Le buone inchieste, d'altra parte, non sono scomparse, malgrado la politica tenti ad ogni pie' sospinto di mettere il bavaglio alla stampa, con leggi liberticide come quella che vorrebbe bloccare le informazioni che riguardano processi in corso. «L'opinione pubblica ha diritto di conoscere, in forme corrette e responsabili, l'esistenza di inchieste o di vicende di rilevanza generale», precisa Ferruccio de Bortoli. La trasparenza dell'informazione, poi, non è solo questione di deontologia professionale, ma, ancora una volta, di democrazia: una società informata male è poco efficiente, e potrebbe essere vittima di poteri occulti. Per questo un'informazione economica puntuale ed efficace può essere di notevole aiuto a molti cittadini, consumatori, utenti, risparmiatori, imprese. Questa anche la vocazione di un giornale come Il Sole 24 Ore: quella di essere una guida in un contesto in cui l'informazione è disponibile a tutti rapidamente, spesso senza l'approfondimento necessario; quella di essere un faro per molti in un mondo che cambia rapidamente, come la professione giornalistica che vive per testimoniarlo.
*estratto dal sito del Sole 24Ore
___

26 ottobre 2008

Flugschrift - La scritta sul muro

Slogan calcistici, apprezzamenti politici più o meno forbiti, addirittura dichiarazioni d’amore. Parlo naturalmente delle scritte che siamo ormai abituati a vedere, con sempre più noncuranza, sui muri delle nostre città. Sono talmente tante che difficilmente ne notiamo qualcuna, ma quella su cui mi è caduto l’occhio giovedì mattina, venendo in facoltà, è riuscita quantomeno a strapparmi un sorriso. Avrete sicuramente presente quegli scherzi di dubbio gusto, in cui si lascia su una parete il numero di telefono di un ignaro malcapitato, per fargli ricevere qualche telefonata non troppo piacevole, facendolo passare magari per una bella ragazza alla ricerca di avventure. Ecco, mi sono imbattuto in qualcosa di simile, ma decisamente inusuale. Invece del solito recapito telefonico, in pasto ai passanti era dato il contatto web-messenger del bersaglio della burla. Non che sia propriamente una notizia, ma credo che possa farci capire in modo molto “popolare”, quanto si sia ormai radicato nella gente comune, l’uso delle nuove forma di comunicazione legate ad internet. “C'è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti”, affermava Henry Ford, altrettanto io ritengo che solo quando le novità subentrano nella vita di tutti i giorni, è possibile rendersi conto delle nuove possibilità a nostra disposizione anche dalle piccole cose, piccole come una delle tante scritte sui muri. Forum, blog, siti e quant’altro, sono ormai alla portata di chiunque voglia darsi la pena di premere un pulsante. E allora, quando davvero vogliamo ribadire le nostre libertà, usiamo queste recenti opzioni che la rete ci offre. La libertà di parola e pensiero è come un muscolo: non basta sapere di averla, va usata, allenata, sviluppata, pena l’atrofia. Tra i miei conoscenti sento molta delusione, ma a che pro chiosare “piove, governo ladro!” quando finalmente tutti abbiamo tra le mani il mezzo per dire la nostra? Certo, con fatica. Certo, inizialmente con minime prospettive di essere letti, se non da pochi amici. Ma sono questi ostacoli che nella storia del mondo hanno saputo fermare le grandi idee?
Vorrete scusarmi se non parlo di fatti d’attualità o simili, ma vivo da molti anni la fantastica avventura che, non senza difficoltà e brusche frenate, sta donando all’uomo una nuova dimensione colma di opzioni, forse non abbastanza recepite. Mi rendo conto che tutto questo possa sembrare ingenuo, acquisito, scontato. Ma io credo che sia solo un punto di partenza. Un promettentissimo punto di partenza. Quantomeno per me che, almeno in questo campo, trovo motivi per essere ottimista. Un ottimista del web 2.0.
Fabio Fundoni

In libreria


Stefano Vietina, cur.
“L'avventura della comunicazione. Storie professionali e pre-visioni”
Milano, Lupetti, 2008

*link alla scheda del libro

25 ottobre 2008

In libreria

Enzo Magrì
Luigi Barzini, una vita da inviato
Firenze, Mauro Pagliai editore, 2008


*link alla recensione di Orsola Giancarelli e Teresa Berlingieri pubblicata sul sito di Franco Abruzzo

24 ottobre 2008

"Il Tg1 riferisce ma non reagisce" di Antonio Dipollina

Segnalo a seguire questo breve articolo di Antonio Dipollina apparso su "La Repubblica"di oggi , venerdì 24 ottobre , sulle sconfortanti, e tragicamente contraddittorie affermazioni del Presidente del Consiglio degli ultimi due giorni.

"Al check di mercoledì c'è un Berlusconi che minaccia l'uso della forza pubblica in ambito scolastico e attacca la stampa, i telegiornali RAI e l'informazione tutta per i suoi comportamenti.
Alla sera i telegiornali riferiscono.
Al check di giovedì c'è Berlusconi che smentisce di aver mai parlato di forza pubblica e a quel punto , per coazione , ri-attacca i giornali , tg e l'informazione tutta per aver detto il falso.
Alla sera , ieri sera , i telegiornali riferiscono.
Ora , non si pretende che i telegiornali medesimi si mettano ad eccepire pesantemente , magari con i redattori che salgono in silenzio sulle scrivanie , in diretta tv- metti che arriva la forza pubblica.

Il punto è che soprattutto il beneamato TG1 riferisce e basta.
Accusato di essere bugiardo , non reagisce : si limita a rinviare pilatescamente il telespettatore a consultare sul sito RAI l'edizione del tg del giorno prima.
Mettiamo che invece fosse comparso il conduttore autorevole e avesse detto : " Cari telespettatori , avete ascoltato cosa dice oggi il Presidente del Consiglio . Ora ascoltiamo cosa ha detto ieri".E via con la registrazione.
A immaginarla , una scena simile , sembra una cosa a metà tra la rivoluzione e il terrorismo - evocato anch'esso da Berlusconi.
A questo punto siamo.
Questo - un atto di pura e semplice informazione-avrebbe un non so che di rivoluzionario,oggi in Italia.

La normalità è invece quella che va in onda tutte le sere."


Questo breve pezzo ha colpito la mia attenzione questa mattina : preciso, freddo, tagliente. Centra il punto in maniera essenziale ed efficace.
Nel nostro paese il Presidente del Consiglio ha la possibilità , il coraggio e diciamo pure la sfacciataggine ( o forse , come sostiene il Nobel Dario Fo, è più semplicemente un presagio di imminente follia) di fare affermazioni come quelle di ieri , di annunciare l'arrivo della polizia nelle scuole , ed il giorno dopo sostenere che tutto ciò sia pure invenzione giornalistica.
Ci si chiede come possa proprio lui , profondo conoscitore del mezzo televisivo e del suo devastante potere di controllo , dimenticare che le sue parole sono state trasmesse in video , che esiste la prova evidente e lampante che quelle parole ( forse riconosciute da lui stesso, dopo qualche ora, come tragicamente inadatte) non sono state partorite dalla penna fantasiosa di nessun bolscevico della carta stampata , da nessun sovversivo infiltrato nelle redazioni delle maggiori testate nazionali.
Nel nostro paese i telegiornali nazionali riferiscono, selezionano, tagliano e aggiustano.
Non informano.
Non poter mettere in evidenza due dichiarazioni discordanti a distanza di breve tempo evidenzia la mancanza della minima autonomia , è indice di timore , è indice di servilismo .
Timore e servilismo non sono termini che rimandano al vivere democratico , sono parole che ricordano oscurantismo e dittatura.
Il delirio dei potenti coinvolge nel suo non-senso il sistema intero , nulla è più reale , si può smentire l'evidente , negare l'innegabile .
I due problemi , ovvero la gravità delle affermazioni riguardo all'intervento della forza pubblica nelle nostre scuole (con la successiva smentita) e l'attacco alla stampa e all'informazione sono intimamente connessi : richiamano entrambe ad una idea di potere che non ammette un contraddittorio , che non chiede nulla a nessuno , che impone senza conoscere , che decide senza dibattere.

Enrico Garello
____

22 ottobre 2008

L'Io So di Roberto Saviano

Tutto nasce da qui: “Casarsa è un bel posto, uno di quei posti dove ti viene facile pensare a qualcuno che voglia campare di scrittura, e invece ti è difficile pensare a qualcuno che se ne va dal paese per scendere più in giù, oltre la linea dell’inferno. Andai sulla tomba di Pasolini non per un omaggio, neanche per una celebrazione. Pier Paolo Pasolini. Il nome uno e trino, come diceva Caproni, non è il mio santino laico, né un Cristo letterario. Mi andava di trovare un posto. La possibilità di scrivere dei meccanismi del potere, al di là delle storie, oltre i dettagli. Riflettere se era ancora possibile fare i nomi, uno a uno, indicare i visi spogliare i corpi dei reati e renderli elementi dell’architettura dell’autorità. Se era possibile inseguire come porci da tartufo le dinamiche del reale, l’affermazione dei poteri, senza metafore, senza mediazioni, con la sola lama della scrittura.”*
Con queste parole, entriamo nel mondo di un giovane giornalista scrittore, giovane per età, ma segnato nell’aspetto da ciò che significa combattere qualcosa che non è mai stata realmente battuta: la camorra.
Le notizie di questi giorni ci hanno portato a conoscenza del progetto camorristico di uccidere Saviano, come si è potuto apprendere delle ultime confessioni del pentito cugino del boss casalese Francesco Schiavone, detto Sandokan.
Il mondo culturale, e non solo, si è unito in un movimento a sostegno dello scrittore, non solo per la stima nei confronti di Saviano, ma soprattutto per la capacità con cui ci ha portati dentro una realtà di cui spesso non ci accorgiamo e che non era mai stata spiegata così chiaramente. Ma in un paese democratico non è civile permettere che tutto ciò accada. Lo stesso Saviano in una lettera pubblicata su “La Repubblica” ed intitolata “LETTERA ALLA MIA TERRA”, denuncia l’indifferenza di un paese di fronte all’ennesima strage in quelle terre di nessuno, di come la sua vita sia totalmente cambiata da quando ha fatto nomi e cognomi dei maggiori boss casalesi e raccontato i loro traffici: da quello della droga, a quello dello smaltimento dei rifiuti , dal lavoro nero fino ad arrivare alla cosiddetta “spettacolarità” di un sistema che, controllando tutto e tutti, si comporta come se stesse nel bel mezzo di un film di Scorzese. Ma non è un film. Sono vere le 16 vittime dei soli ultimi 6 mesi, veri i ragazzini reclutati come postini della droga in cambio di un motorino o come sentinelle che al grido “fortuna, fortuna” avvertono gli spacciatori dell’arrivo della polizia, vere le vittime morte ammazzate per avere la sola colpa di essere presenti al momento sbagliato o parenti alla lontana di chi sa chi.
Molti si chiedono quale sia il merito di questo scrittore, non ultimo il Ministro degli Interni Maroni, che ha puntualizzato come Saviano sia Un Simbolo e non IL Simbolo di una lotta che impiega magistrati , forze dell’ordine e governo stesso in un impegno fatto sul campo. Il punto non è questo, ma la straordinarietà della forza comunicativa che caratterizza sia l’opera di Saviano sia qualsiasi intervento egli faccia. Ha saputo portare all’attenzione di tutti una realtà che spesso è cosa degli addetti ai lavori, ha fatto sì che molti giovani, soprattutto quelli che vivono determinate realtà avessero tra le mani uno scritto che parlasse di loro oltre che delle dinamiche della camorra. Lo stesso giudice Paolo Borsellino, come ricorda la sorella Rita dalle pagine di “La Repubblica”, sosteneva che “la lotta alla mafia non può essere una distaccata opera di repressione di magistratura e forze dell’ordine, ma deve essere un movimento culturale, morale , persino religioso che parte dal basso”. E ‘ la forza della parola di cui parla l’autore in “GOMORRA” ad aver smosso le coscienze sopite di molti, ad aver impaurito più di qualsiasi istituzione i vertici della criminalità organizzata. Perché chi ha letto” GOMORRA “ è improvvisamente divenuto partecipe di una realtà che non si può far finta di non conoscere, che spiazza ogni nostra certezza quotidiana e lascia una sola cosa da fare: parlare, continuare a leggere, documentarsi, credere fortemente nella libertà di espressione e nella capacità di una parola, capace di arrivare a tutti. Ancorarsi con più volontà ognuno ai propri “IO SO”, l’io so di Roberto Saviano che erano gli stessi di Falcone, del sopra citato Borsellino,di Carmelina la maestra di Mondragone – allontanata da tutti per aver denunciato il killer di un camorrista -di Don Peppino Diana e di tutte quelle vittime che in nome della loro e nostra libertà hanno messo in gioco la loro vita .
“In terra di camorra conoscere i meccanismi d’affermazione dei clan, le loro cinetiche d’estrazione, i loro investimenti significa capire come funziona il proprio tempo in ogni misura e non soltanto nel perimetro geografico della propria terra. Porsi contro i clan diviene una guerra per la sopravvivenza , come se l’esistenza stessa, il cibo che mangi, le labbra che baci, la musica che ascolti, le pagine che leggi non riuscissero a concederti il senso della vita, ma solo quello della sopravvivenza. E così conoscere non è più una traccia di impegno morale. Sapere, capire diviene una necessità. L’unica possibile per considerarsi ancora uomini degni di respirare”*.

Teodora Cristalli


FONTI:
*Gomorra
Sito dell’autore:
http://www.robertosaviano.it/
“Lettera alla mia terra”-La Repubblica, 22 settembre 2008
“La repubblica” del 16-17-18 ottobre 2008
Puntata di Matrix del 18 ottobre 2008

In libreria

Giampiero Lotito
Emigranti digitali. Origini e futuro della società dell’informazione dal 3000 a.C. al 2025 d.C., Milano, Bruno Mondadori, 2008.

Scheda dell'editore
Frutto di una lunga incubazione che va più o meno dal 3000 a.C. agli anni ottanta, la civiltà digitale è esplosa negli ultimi venticinque anni in una rivoluzione che, lungi dall’esaurirsi, pervade la società contemporanea. L’innovazione tecnologica è sempre più veloce e siamo ormai giunti a un’importante tappa: il passaggio di consegne da parte degli “emigranti digitali”, coloro i quali quelle tecnologie le hanno create o, con una certa fatica, hanno iniziato a usarle, ai “nativi digitali”, le nuove generazioni che crescono e si formano in questa nuova realtà.
Ci si può spingere a immaginare gli sviluppi della civiltà digitale nell’immediato futuro, avendo sempre presente che il modo in cui gli uomini decideranno di utilizzare le innovazioni non può essere affatto previsto. Gianpiero Lotito racconta l’evoluzione di questa civiltà attraverso una miriade di storie di tecnologie, di persone, users e innovatori, di aziende e comunità, per comprendere e interpretare il mondo attuale e quello futuro. Una storia curiosa per noi emigranti, una specie di album di famiglia per i nativi.

Indice Prefazione di Peter Sondergaard
Percorsi alternati: il lungo cammino verso la civiltà digitale (3000 a.C.-1946 d.C.)
Percorsi convergenti: si prepara la rivoluzione digitale (1946-1984)
Percorsi sinergici: la prima rivoluzione digitale va a compimento (1984-2004)
Percorsi divergenti: le quattro pietre angolari della seconda rivoluzione digitale (2004-2010)

Questioni aperte: il futuro prossimo e l’arrivo dei nativi (2010-2020)
Tracce di futuro remoto: il mondo verso il 2025

20 ottobre 2008

Sognatore Italiano 2.0

Sulla scia dell'entusiasmo giornalistico, abbiamo creato un blog di informazione indipendente e di discussione. Siete tutti invitati a partecipare con commenti e, per chi volesse, a collaborare settimanalmente (in tal caso ce lo comunichi tramite mail)
Per gli interessati:
http://www.sognatoreitaliano.tk/ è il link del sito.

Eugenio Ruocco
Davide Gentile
Sandro Ancillotti
Davide Pini

19 ottobre 2008

"Ho visto anche degli zingari felici"

Oggi sembra che in Italia sia risorta una certa xenofobia. Questo fenomeno, certamente poco esaltante, penso debba essere risolto più su un piano culturale che su un piano politico, anche se, spesso, i due piani hanno confini labili. Ad ogni modo per una riflessione sull' integrazione, e più a 360° sulla societa, potrebbe essere un buon punto di partenza l' LP di Claudio Lolli, cantautore, scrittore e professore liceale bolognese, nato nel capoluogo emiliano nel 1950, "ho visto anche degli zingari felici", uscito nell' ormai lontano 1976.
Certamente a prima vista l' opera potrebbe sembrare datata, ma i problemi legati al razzismo, ed alla società non hanno tempo, purtroppo.
L' LP contiene 8 canzoni: 1) Ho visto anche degli zingari felici(introduzione); 2) Agosto; 3) Piazza bella piazza; 4) 1° Maggio di festa; 5) La morte della mosca; 6) Anna di Francia; 7) Albana per Togliatti; 8) Ho visto anche degli zingari felici(conclusione).
Si nota immediatamente che la prima e l' ultima canzone hanno il medesimo titolo, con una diversa precisazion fra parentesi. Le due canzoni infatti sono molto simili: hanno lo stesso fondo musicale, sono differenziate soltanto dal testo nella parte iniziale e centrale, introduzione e conclusione, appunto.
La seconda e la terza canzone affrontano il tema della sensibilità personale, della coscienza civile, e dell' inevitabile mix di questi due fattori nelle manifestazioni di piazza.
La quarta canzone è un riferimento, ed un ricordo delle manifestazioni e delle feste del 1° Maggio.
La quinta canzone è forse quella più filosofica("alle mosche rimane la merda, il cielo appartiene ai potenti"); parla della precarietà della vita, e di ciò che ogni uomo può lasciare al mondo durante la sua vita. Sarebbe interessantissimo fare un confronto con "La ginestra" del Leopardi, e con alcuni temi foscoliani.
La sesta canzone prendo spunto da un probabile evento autobiografico. La protagonista è una ragazza anarchica, Anna, e la canzone, nella prima parte, si snoda nel confronto fra una certa ideologia di sinistra e l' anarchia, la seconda parte della canzone è più romantica e sensuale, ma ugualmente intensa e mlto curiosa.
La settima canzone è una riflessione(amara) sulla sinistra, impersonata da Togliatti, il quale può stare tranquillo, poichè la sinistra, quella vecchia e quella nuova, sono mischiate con il vino.

Sandro Ancillotti

In libreria

Professione reporter. La tradizione del giornalismo italiano d'inchiesta, Milano, Rizzoli, 2008, 400 p.
scheda dell'editore
Esiste uno strumento che ha la funzione di descrivere i mutamenti in atto, le ragioni di crisi, il mal funzionamento della cosa pubblica e in generale tutto ciò che assume le proporzioni, nel tessuto sociale, di una vera e propria patologia. Questo strumento è il giornalismo d'inchiesta, e in particolar modo il reportage. Perché il reporter raggiunge fisicamente un luogo, lo osserva, lo studia, compie un'indagine, parla con la gente, connette le cause agli effetti, prova a dare un'interpretazione dei fatti e poi ci racconta tutto. In Italia, dal dopoguerra a oggi, sono stati tantissimi i giornalisti che si sono impegnati nel reportage riuscendo a ottenere risultati documentali straordinari.
*segnalato da Stefania Scappini
___

Giornali locali

Leonardo Sciascia
Il ruolo dei giornali locali: opposizione concreta
1985
"Posso cominciare con un aneddoto che è piuttosto significativo: uno dei più intelligenti, colti ed onesti giornalisti italiani, che si è trovato a dirigere uno dei più grandi giornali (“Corriere della Sera”, ndr) di questo paese, quando ci incontravamo proprio nel tempo in cui lui dirigeva questo giornale, facendo delle considerazioni sulla situazione italiana o su situazioni particolari del nostro paese, a conclusione delle sue considerazioni mi diceva sempre: “Ci vorrebbe un giornale”. Questo vuol dire che il giornale che lui dirigeva non corrispondeva ai suoi intenti e non consentiva di dire quello che lui voleva dire. A me questo pare molto significativo e credo che lo si possa ripetere considerando la stampa nazionale: ci vorrebbe un giornale.
Perché in Italia col caso Moro in effetti la libertà di stampa è venuto a mancare: questa è una terribile e grave verità. Col caso Moro la stampa italiana si è uniformata; è un po’ diventata come ai tempi di quello che è chiamato il “Minculpop”, per dire Ministero della Cultura Popolare del tempo fascista quando si diramavano le veline e ogni giornale era tenuto a rispettare quell’ordine. Le veline non ci sono state credo nemmeno durante il caso Moro; perciò la stampa italiana ha acquistato una uniformità, un conformismo che ancora oggi continua: prima uno che voleva farsi un’idea di una cosa acquistando tre o quattro giornali poteva farsela; oggi basta acquistarne uno; per non farsi un’idea, non per farsela.Voglio ricordare anche, per chi non lo conosce, che c’è un libro sul fascismo scritto da un grande intellettuale italiano, Giuseppe Antonio Borgese, in cui tra l’altro è raccontata come finì la libertà di stampa in Italia: non c’è stata nessuna legge che la facesse finire. E’ finita automaticamente, per conformazione e conformismo. Questa è una considerazione preliminare: in Italia ci vuole un Giornale.
Per fortuna contemporaneamente a questa carenza sono nate iniziative locali, che però non possono sostituire la mancanza di una grande stampa nazionale libera, non conformista, capace di passare al vaglio critico di tutto. Non la possono sostituire, però è già qualcosa. L’importante è che ogni giornale di questo tipo resti un giornale locale; che non dia fondo ai problemi del mondo e della nazione, ma che osservi criticamente e onestamente la realtà locale. Che poi da ciò, tirando le somme, si può anche estrarre una verità di più ampio respiro. Il giornalismo in questi ultimi anni ha subito, bisogna riconoscerlo, anche una certa degenerazione. La sentenza della Cassazione ci irrita perché è una sentenza. Ma se fosse nata come deontologia professionale, come morale professionale dentro il giornalismo stesso, sarebbe una delle cose più sacrosante da dire e da osservare.
Io ho citato spesso come esempio di giornalismo quello che, tra l’altro, racconta un grande giornalista americano del “New York Times”, Herbert Matthews, un uomo che si è sempre trovato dalla parte giusta. E se il suo paese avesse seguito le indicazioni date da questo grande giornalista, si troverebbe oggi ad avere meno problemi (per esempio riguardo a Cuba e Fidel Castro).
Matthews, che ha scritto una specie di manuale attraverso il racconto della sua esperienza, ha scritto un manuale del giornalismo, se così si può dire. E racconta un episodio molto significativo per dire che cosa è il giornalismo. Lui che si è sempre trovato dalla parte giusta, si trovò anche dalla parte della Repubblica Spagnola: perché i giornali americani avevano inviati che stavano dalla parte di Franco e inviati che stavano dalla parte della Repubblica.Matthews aveva una grande simpatia per la causa repubblicana, ma comunque faceva il suo mestiere di giornalista con assoluto scrupolo. Un giorno i giornali che avevano corrispondenti dalla parte di Franco, diedero la notizia che un paese, un piccolo paese spagnolo, era stato occupato dalle truppe franchiste. Matthews sapeva che non era vero. Allora prese la macchina e andò in quel paese e dall’ufficio telegrafico fece un telegramma al “New York Times” per dimostrare che quel paese era ancora in mano ai repubblicani. Quando uscì dall’ufficio telegrafico le avanguardie franchiste stavano entrando dall’altro capo della strada; però Matthews dice: “Io ho smentito la notizia”. Perché il giornalismo è questo: è la verità del momento, a quell’ora il paese non era ancora in mano ai franchismi, un’ora dopo lo era, ma Matthews smentì la notizia. Ecco, questo è il giornalismo praticato con oggettività, con serenità, con scrupolo. Oggi invece il giornalismo si pratica in un certo modo, e specialmente in rapporto all’amministrazione della giustizia, che è una cosa su cui si deve vigilare più intensamente e anche a livello locale.La carenza che ritrovo nei giornali locali è questa: poca attenzione all’amministrazione della giustizia e tanta attenzione a episodi di sottocultura.
Ci si deve augurare che questi giornali siano sempre più attenti ai fatti locali e facciano “opposizione”: i giornali nazionali, i grandi giornali e anche quelli medi, sono diventati ingovernabili per la presenza e la compromissione partitica. I giornali locali dovrebbero fare opposizione seria sui fatti quotidiani, sulle cose da fare, prendendo così il ruolo di opposizione vera che in molte amministrazioni viene mancando.Opposizione quindi non per principio, per il gusto di farla: ma opposizione sulle cose concrete". (Aprile 1985)
*articolo estratto dal sito Amici di Leonardo Sciascia

___

18 ottobre 2008

In libreria

Renato Stella
Media ed etica. Regole e idee per la comunicazione di massa,
Roma, Donzelli, 2008, 238 p.

scheda dell'editore
Fin dove è lecito parlare di sesso, di eutanasia o di fecondazione assistita in televisione? È bene che un neonazista, un mafioso, un pedofilo abbiano una loro ribalta nei media, in nome del diritto all’infor­mazione? Domande come queste sollevano questioni che toccano i confini di accettabilità del discorso dei media intorno a temi controversi.Nasce da qui una «preoccupazione etica», intesa come consapevolezza del fatto che, in un mondo complesso come il nostro, il sistema dei media parla contemporaneamente a più persone, propone modelli comportamentali in conflitto, racconta storie prese dalla realtà, e in ciascuna di tali occasioni applica e legittima principi morali condivisi. Essi trovano ampio spazio di esemplificazione all’interno di film, fumetti, talk show o reality nei quali non è difficile riconoscersi.Ci si attende però, al contempo, che i media mantengano essi stessi una condotta etica, nel senso di rispettare norme che consideriamo fondamentali per tutelarci come cittadini e come lettori-spettatori. Tali norme sono comprese nel quadro di leggi e codici di autoregolamentazione pensati e sottoscritti dalle diverse categorie di persone che lavorano nella stampa, in tv o su internet.La «preoccupazione etica», così, alla fine tocca regole e modelli morali «rappresentati» nei messaggi insieme a regole e modelli morali «applicati» ai messaggi, ponendo l’interrogativo centrale del libro. Se cioè occuparsi di comunicazione comporti un «ragionare etico» parzialmente diverso da quello necessario altrove, tanto da individuare nei media un ambito specifico, e perciò anche originale, di considerazione

15 ottobre 2008

La "piccola storia editoriale" dell'imperatrice nuda

Spesso durante le lezioni si è discusso di libertà di stampa , di quanto sia essenziale per considerare una società come civile, di quanto sia un tassello essenziale nella costruzione di un interagire responsabile e consapevole tra individui che desiderano ed esigono esprimere il proprio pensiero , condividere i propri saperi.
Ho pensato proprio a questo , all'importanza della libertà di scrivere e condividere , quando ho notato che alla fine del libro che stavo leggendo compariva un testo dal titolo "piccola storia editoriale" : la storia di come fosse stato censurato e progressivamente oscurato da alcuni celebri quotidiani nazionali , in quanto non gradito dai potentati industriali.
Si tratta de "L'imperatrice nuda" di Hans Ruesch , pubblicato nel 1976 e prontamente ritirato dal mercato , vide la ristampa solo ben 12 anni dopo , nel 1988.
Il libro di Ruesch tratta di vivisezione : una analisi dettagliata e precisa dell'evolversi di questa pratica nel corso della storia della medicina , una descrizione minuziosa di esperimenti , sbagli e misfatti che migliaia di medici hanno commesso in nome della scienza , solitamente celati all'opinione pubblica e giustificati dietro alla condivisa certezza che nulla possa arrestare il necessario progresso medico , essenziale al miglioramento delle nostre condizioni di vita.
Un testo di analisi quindi , ma non solo , l'autore spazia in numerosi campi , dall'etologia alla psicologia , con attenzione e perizia disegna un quadro chiaro , che anche nel lettore più scettico non può non scatenare feroci dubbi etici e morali su quale giustificazione si possa trovare a tali orrori , su cosa sia davvero progresso e cosa sia semplice sadismo fine a sè stesso .
Ci si interroga sulla reale utilità della vivisezione , un concetto che spesso ci appare indefinito , di cui sappiamo poco , proprio perchè poco è stato detto , in quanto vi sono di mezzo interessi importanti : le grandi multinazionali farmaceutiche e della ricerca , colossi multimiliardari che trovano nella sperimentazione animale un fertile terreno per i loro investimenti.
Alcune parti del testo risultano di difficile lettura , le descrizioni di alcuni esperimenti appaiono come irrealistiche , si tende a credere solo la mente perversa di uno scrittore di romanzi horror potrebbe partorire simili esempi di sadismo e crudeltà , ma è tutto tragicamente reale e documentato.
Propongo a seguire un passaggio del testo , che potrebbe incuriosire chi fino ad ora non si è ancora sentito motivato a intraprendere la lettura di questo , a mio giudizio , bellissimo libro.
"George Hoggan , il giovane e brillante fisiologo inglese che dalle sue esperienze come assistente di Claude Bernard fu portato a promuovere il primo movimento antivivisezionista organizzato riferi' di un incidente , cosi' banale che nessun'altra persona in quel triste laboratorio del College de France lo aveva notato.
Un cagnolino i cui arti posteriori erano rimasti paralizzati da un esperimento appena compiuto , era stato tolto dal tavolo operatorio e buttato in terra.
Cominciò a trascinarsi verso un angolo del laboratorio dove si trovava un cane da caccia che era stato accecato alcuni giorni prima da un altro esperimento e che veniva tenuto in osservazione.I suoi occhi avevano cominciato a putrefarsi.
Con uno sforzo , questo cane cieco si alzò in piedi ,andò a tentoni incontro al cagnolino semi paralizzato e con uno scodinzolio affettuoso gli si strofinò contro .

"Questo gesto patetico di mutua solidarietà" commentò Hoggan
"SVERGOGNAVA IL GENERE UMANO."
Enrico Garello

Viva le buone notizie

Riporto un articolo di David Randall apparso sul numero 765 del 9 ottobre della rivista "Internazionale", seguito da un commento personale.

Viva le buone notizie

David Randall

Nella vita quotidiana, tutti, anche i giornalisti, preferiscono le buone notizie alle cattive

Per chi legge i quotidiani ogni giorno, nelle ultime settimane non è stato facile sorridere. L'economia mondiale ha imboccato la strada della recessione, il sistema bancario barcolla, l'uragano Ike ha ucciso centinaia di haitiani e devastato il Texas.
Poi c'è stato lo scandalo del latte contaminato che in Cina ha fatto ammalare 50mila bambini. Perciò qualche giorno fa ho pensato che sarebbe stato opportuno creare un antidoto a tanta depressione e ho raccolto per il mio giornale, l'Independent on Sunday, tutte le buone notizie che sono riuscito a trovare.
Per esempio, negli ultimi vent'anni la mortalità infantile è calata del 27 per cento. E oggi c'è un paese che ha in parlamento più donne che uomini. In Afghanistan la produzione di oppio è diminuita di un quinto.
In Bangladesh è stato varato un piano da 40 milioni di euro per aiutare due milioni di famiglie povere facendole lavorare alla riparazione dei danni prodotti dalle inondazioni. Nelle acque al largo di New York sono state avvistate tre rare specie di balene.
È stato scoperto un metodo per ricavare il petrolio dalle alghe. La Norvegia ha stanziato un miliardo di dollari per combattere la deforestazione in Brasile. In una biblioteca francese è stato trovato uno spartito inedito di Mozart. Al largo delle coste australiane sono state scoperte 500 nuove specie di crostacei e di coralli.
Nessun mezzo d'informazione ha dato grande risalto a queste notizie e alcune non sono mai uscite dai paesi dove i fatti sono successi.

La reazione a questo insolito menù è stata interessante. Molti lettori hanno scritto dicendo che avrebbero voluto trovare più spesso sul nostro giornale questo genere di informazioni. Varie persone mi hanno mandato email in cui dicevano che, se lo avessimo fatto regolarmente, avrebbero comprato il giornale più spesso.
Questa reazione non mi ha sorpreso. In fondo, nella vita di ogni giorno tutti – perfino noi giornalisti – preferiamo le buone notizie a quelle cattive. Nelle comunicazioni personali della maggior parte di noi – che siano email, telefonate, lettere, pagine di MySpace o di Facebook – le cose belle sono più numerose di quelle brutte.
Eppure, i giornalisti fanno esattamente il contrario, preferiscono dare più spazio e più importanza a tutto quello che non va. Perché?
Un tempo la risposta standard che davo a chi mi faceva questa domanda era che le brutte notizie trovano più spazio perché sono più inconsuete. A sostegno della mia tesi facevo l'esempio della sanità, in cui oggi fortunatamente i successi sono più frequenti degli errori o dei fallimenti.
Quindi a fare notizia sono i pochi errori e i casi di negligenza, non le cure riuscite. Vi piacerebbe, chiedevo alla gente, vivere in un paese in cui sui giornali ci fossero titoli come "Uomo entra in ospedale ed esce guarito"?

Anche se è sempre valida, non sono più sicuro che la mia risposta sia ancora convincente. Ci sono altri due fattori che spingono i mezzi d'informazione a concentrarsi sulle brutte notizie. In primo luogo, molto più di quanto non succedesse in passato, i giornalisti ricevono le informazioni su cui costruiscono i loro articoli da varie fonti istituzionali.
Queste fonti – polizia, tribunali, governi, gruppi di pressione, organizzazioni umanitarie – di solito si occupano di quello che non funziona o di quello che andrebbe cambiato. E se un'organizzazione annuncia un successo, spesso i giornalisti sono scettici, tendono a considerarlo una forma di propaganda e quindi lo ignorano.
Per trovare le vere buone notizie, i cronisti devono andare a cercare fonti di informazione meno convenzionali. E lo fanno molto raramente: in parte perché mancano di immaginazione, e in parte a causa della loro mentalità.
I giornalisti sono convinti che le notizie più apprezzate sono quelle che "colpiscono", ed è molto raro che una buona notizia ci colpisca. Inoltre, da qualche decennio, con il continuo aumento del numero di giornali e di tg (e la diminuzione delle persone che ci lavorano), quello che tende a prevalere è il famoso "ha detto".
In pratica non è successo niente di speciale, ma qualche personaggio (di solito un politico o un esperto), più o meno sollecitato dal cronista, ha espresso un'opinione critica. Così nascono tutti quegli articoli in cui qualcuno "deplora", "avverte" o "esige" qualcosa. E una voce si contrappone alla prima provocando uno scontro: il tutto molto spesso inventato per creare una "notizia".
Quello che i giornalisti dovrebbero fare, secondo me, è concentrarsi di più sulle cose che sono davvero successe, e cercare di trovare un maggiore equilibrio tra gli aspetti positivi e quelli negativi.
Se qualcuno ne dubita, provi a farsi questa domanda: se avessi due amici, uno che ti racconta soprattutto cose piacevoli e l'altro che ti dà sempre notizie deprimenti, quale dei due vorresti vedere più spesso?
Tratto da: http://www.internazionale.it/firme/print.php?id=20478

Commento:

Tutte le buone notizie presentate da Randall possono essere ribaltate in cattive notizie o ne sono conseguenza: Negli ultimi vent'anni la mortalità infantile è calata del 27 per cento? Parliamo del problema della mortalità infantile nel mondo. C'è un paese che ha in parlamento più donne che uomini? Vuol dire che c'è un problema di pari opportunità. In Afghanistan la produzione di oppio è diminuita di un quinto? Allora in passato al brutta notizia era “in Afghanistan si produce troppo oppio”. In Bangladesh è stato varato un piano da 40 milioni di euro per aiutare due milioni di famiglie povere facendole lavorare alla riparazione dei danni prodotti dalle inondazioni? Significa che prima c'è stata la brutta notizia delle inondazioni che hanno prodotto i danni. Nelle acque al largo di New York sono state avvistate tre rare specie di balene? Allora gli animali si stanno estinguendo... e così via. Penso che la brutta notizia serva a favorire una reazione nel lettore: una reazione di sorpresa, una reazione di indignazione, una riflessione sulle cause e sulle soluzioni ai problemi, una presa di coscienza che può tradursi in azioni successive orientate dalla conoscenza di quella notizia. Concordo con Randall quando dice che i giornalisti dovrebbero concentrarsi di più sulle cose che sono davvero successe, senza dare spazio alle polemiche presentate come notizie.

Giacomo Elio Di Bari

15.10.2008

___

14 ottobre 2008

Lo straniero americano di R. Franck

"La fotografia di Robert Franck in mostra a Milano
Si apre oggi (ieri per chi legge N.d.R) al pubblico a Palazzo Reale di Milano un’importante mostra antologica del fotografo svizzero Robert Frank dal titolo “Lo straniero americano”, curata – fra gli altri – da Enrica Vigano e da Martin Gasser, del Fotostiftung Schweiz di Zurigo. 80 immagini, provenienti dal Fotomuseum di Wintertur e dal Fotostiftung Schweiz di Zurigo, che presentano non solo le famose fotografie del volume “The Americans”, ma anche quelle delle precedenti esperienze di Parigi e Londra, fino alle ultimissime dagli anni Settanta al 2000.Antonio Ria ha visitato per noi la mostra in anteprima". Da http://www.rtsi.ch/ 14/10/08
Daniele Martina

13 ottobre 2008

Le regole del buon giornalismo

Le regole del buon giornalismo secondo George Orwell:
1. Mai usare una metafora, similitudine o altra figura retorica che siete abituati a vedere pubblicate.
2. Mai usare una parola lunga dove una parola breve funziona a dovere.
3. Se è possibile eliminare una parola, eliminatela sempre.
4. Mai usare il passivo dove si può usare una forma attiva.
5. Mai usare una espressione straniera, un termine tecnico o un termine gergale se si può pensare a un comune equivalente inglese.
6. Infrangete qualunque di queste regole al più presto piuttosto che dire qualcosa che suoni apertamente barbaro.


(George Orwell, Politics and the English Language , Londra, 1946).

11 ottobre 2008

In Libreria

Benazir Bhutto
"Riconciliazione. L'Islam, la democrazia, l'Occidente"
Bompiani, Milano, 2008, 439 p.


Scheda dell'editore

Il 27 dicembre 2007 Benazir Bhutto, leader dell’opposizione democratica pakistana, viene uccisa in un attentato al termine di un comizio pre-elettorale. Cinque giorni prima di morire, Benazir consegna al suo agente letterario Riconciliazione. L’Islam, la democrazia, l’Occidente, libro a cui sta lavorando da diversi anni.

Quella che doveva essere una lucida e illuminante analisi che avrebbe accompagnato Benazir Bhutto nella sua attività di governo del Pakistan e nella gestione dei precari equilibri politici in cui il Pakistan è coinvolto, si è trasformata in un testamento politico, lasciato in eredità a chiunque voglia capire la difficile situazione politica mondiale. E Benazir Bhutto – cui la dittatura militare pakistana aveva già sottratto il padre e il fratello, e che era stata costretta alla detenzione prima e all’esilio dalla sua terra poi – dimostra in questa sua ultima testimonianza, ancora una volta, tutto il suo coraggio, condannando aspramente non solo il fondamentalismo islamico, ma anche l’Occidente, e gli Stati Uniti in particolare, per aver condotto negli anni una politica cinica e scellerata che li ha portati a sostenere gli stessi fondamentalisti islamici e la dittature del generale Zia, in funzione antisovietica.

Ma da queste pagine emerge anche la chiara visione che la riconciliazione è possibile. E forse è proprio questa fede incrollabile che l’ha condotta, con assoluta consapevolezza, al sacrificio della propria vita.

10 ottobre 2008

Lippmann, autore di grande attualità

“(…) Non possiamo spiegare perché l’odio, l’intolleranza, il sospetto, il bigottismo, la segretezza, la paura e la menzogna siano i sette peccati mortali contro l’Opinione Pubblica. Possiamo solo affermare che non hanno posto nell’appello alla ragione, che alla lunga sono un veleno; e prendendo posizione secondo una visione del mondo che trascende la nostra situazione, e le nostre vite, possiamo coltivare un vigoroso pregiudizio contro di loro.Possiamo riuscirci tanto meglio se non ci lasceremo impressionare dal terrorismo e dal fanatismo al punto di scrollare le spalle infastiditi e di perdere interesse per gli avvenimenti a lunga scadenza, avendo perduto la fede nel futuro dell’uomo. Questa disperazione non è giustificata perché tutti i sé a cui è appeso il nostro destino sono ricchi di possibilità, come sempre”.

*segnalato da Isabella Coppola

Walter Lippmann,“L’Opinione Pubblica”, 1922

In Libreria

Lorenzo Cremonesi
Inchieste, guerre ed esplorazioni nelle pagine del Corriere della Sera
Milano, Rizzoli, 2008, 384 p.

scheda dell'editore
Un appassionante viaggio tra i grandi inviati, a partire dai primi “redattori viaggianti”, al servizio del “Corriere” di fine Ottocento, fino a Dino Buzzati a bordo delle navi durante la seconda guerra mondiale. Un ritorno alle origini del moderno reportage, sulla traccia di alcune celebri firme del giornalismo italiano, veri pionieri di una professione in cui senso dell’avventura, sforzo fisico, capacità critica e lucidità intellettuale devono trovare un miracoloso punto di equilibrio. Difficoltà pratiche, coinvolgimento emotivo, insoddisfazioni e paure si condensano in una serie di ritratti straordinari. Cambiano i tempi e gli scenari, ma alcuni dati rimangono di estrema attualità: che si tratti di Ugo Ojetti a Oslo con il Duca degli Abruzzi oppure di Barzini in auto da Pechino a Parigi; di Tomaselli al seguito di Nobile oppure di Vittorio Beonio Brocchieri nella Terra del Fuoco. Una lezione di giornalismo, che è allo stesso tempo una storia e un’epica.
___

09 ottobre 2008

48° Salone Nautico di Genova

I servizi sul Salone Nautico di Genova realizzati dagli studenti del corso di laurea specialistica interfacoltà in Editoria, Comunicazione multimediale e Giornalismo per conto di Genoa Municipality Channel sono in Youtube.

*Link a Genoa Municipality Channel
*Link alla Playlist: 48° Salone Nautico (4-12 ottobre 2008)
*Link al sito ufficiale del
Salone nautico di Genova
*segnalato da C.P.

In libreria

Davide Giacalone
Una voce alla radio
Soveria Mannelli, Rubettino editore, 2008, 698 p.

Scheda dell'editoreSeguire la vita pubblica italiana, metterla a confronto, giorno dopo giorno, con quel che succede nel mondo, documentare l'andamento dell'economia senza nulla concedere all'oziosa propaganda di parte, raccontare quel che c'è dietro alla rovina della giustizia o all'accumularsi dei rifiuti, aiuta a capire attraverso quale percorso rischiamo di passare, dal declino al degrado. Ma serve anche ad apprezzare quali forze sono utilizzabili per cambiare la rotta. Quali energie e quali interessi hanno da guadagnarci se l'Italia esce dalla conservazione dei privilegi e scatena le sue capacità, che sono molte. C'è passione, e nessuna rassegnazione, in questo diario civile. (2008)
___

08 ottobre 2008

9 Ottobre 1963: una data per una tragedia

RICORDANDO TINA MERLIN
La storia contemporanea d'Italia è stata segnata da innumerevoli stragi, delitti, attentati, segreti e misteri che hanno visto particolarmente attivo il mondo del giornalismo.
Domani si celebreranno i 45 anni dalla tragedia del Vajont (http://www.vajont.net/), occasione per ricordare dalle pagine di "Giornalismo Riflessivo": TINA MERLIN (http://www.tinamerlin.it/) ostinata e caparbia giornalista de "L'Unità" morta nel 1991 e il fotoreporter BEPI ZANFRON (http://www.giornalismoitalia.it/vedi_articolo.php?id=1572) autore di "Vajont, cronaca di una catastrofe" giunto alla 7^ edizione. Bepi è un uomo cordiale e disponibile al racconto, che ebbi il piacere di conoscere a fine di luglio proprio in riva alla grande frana.

07 ottobre 2008

Le iene e la droga in Parlamento, fine della vicenda

Volevo inserire il video del servizio della puntata del 30/09/08 del programma televisivo "Le Iene".
Questo video racconta la vicenda che ha visto imputate le stesse Iene contro il garante della privacy per un servizio su un test anti-droga anonimo cui furono sottoposti 50 parlamentari, di cui 12 risultati positivi alla cannabis e 4 alla cocaina. Quel servizio non fu mai mandato in onda, scatenando comunque un'ondata di indignazione verso la "sfrontatezza" (?) della Iene più che per i risultati del test.
Volevo sapere anche le opinioni dei frequentatori di questo blog riguardo alla vicenda.

06 ottobre 2008

In libreria

PierLuigi Vercesi
L’Italia in prima pagina-I giornalisti che hanno fatto la storia
Milano, Francesco Brioschi editore, 2008, 240 pp.





Recensione del "Corriere della sera", 2 ottobre 2008:

L'Italia in prima pagina?Non sempre fa bella figuraLa storia del Paese raccontata attraverso la penna dei giornalisti. Grandi firme ma anche grandi piccolezzeA Milano, il 25 aprile del 1945, non mancavano solo latte, pane e caffè. Reclutare un giornalista non colluso con il regime all’indomani della cacciata dei nazifascisti si rivelò un’impresa disperata. Tanto che il leader dei partigiani comunisti, Giancarlo Pajetta, ebbe grosse difficoltà a far decollare il progetto di un nuovo quotidiano. Si rivolse allora a Gaetano Afeltra, che si trovò a sua volta in grave imbarazzo. Un nuovo quotidiano si poteva pure fare. Anzi, perbacco, si doveva. Ma con quali giornalisti? «E se chiamassi qualche fascistissimo epurato come Orio Vergani o Leo Longanesi», chiese Afeltra. «Fai quello che vuoi, basta che lo fai uscire e che dica quello che penso io», rispose Pajetta.
Amara constatazione: la stampa italiana nel Ventennio non brillò per coraggio e indipendenza. Ed era più libera quando l’Italia non era ancora fatta e gli austriaci comandavano a Milano e gli spagnoli a Napoli. È questa una delle numerose chicche del nuovo, documentatissimo libro di Pier Luigi Vercesi, L’Italia in prima pagina-I giornalisti che hanno fatto la storia (Francesco Brioschi editore, pagg. 240, 16 euro).
Del resto, non è forse vero che i giornalisti sono gli storici dell’attualità? E allora perché non ripercorrere la storia d‘Italia, o meglio l’emergere di una nazione contadina e provinciale che in pochi decenni si trovò catapultata tra i protagonisti economici e sociali del Ventesimo secolo, attraverso le mille storie delle redazioni dei giornali, dei giornalisti, dei grandi polemisti e editorialisti del Paese? Ecco allora l’idea de L’Italia in prima pagina. Vercesi, giornalista, per molti anni a La Stampa, condirettore di Specchio, vicedirettore de Il Tempo e direttore di Capital e de I viaggi del Sole, grande cultore di libri antichi, di pregio e prime edizioni (non a caso ha aperto da un paio d’anni, con l’appassionata moglie, una libreria nel cuore della Milano antiquaria, la Libreria Porta Venezia, in via Tadino, a un passo dallo Spazio Oberdan). È con quel gusto tutto intellettuale, a metà tra il cultore del passato e il giornalista affamato di notizie, che l’autore ha raccontato le mille storie dei giornali e dei giornalisti d’Italia, dal Congresso di Vienna alla Repubblica, fino a constatare che raramente le penne d’Italia hanno raccontato il Paese con gli occhi dell’osservatore imparziale.
Spesso, a ben vedere, più che osservatori i giornalisti italiani sono stati protagonisti della storia patria. Cavour, Mussolini e tanti altri nomi meno celebrati e ricordati: non erano forse, prima di essere altro, giornalisti? Come scrive Vercesi: «Gli uomini fanno la storia, diceva Marx. In particolare, si dovrebbe aggiungere, se di mestiere fanno i giornalisti». Così, anche la storia d’Italia non fa eccezione: «E’ passata dalla redazione dei giornali, che non l’hanno solo raccontata, ma suscitata e plasmata».
Certo, è un punto di vista particolare quello con cui i giornalisti scattano istantanee sul Paese, lungo un percorso costellato di guerre, regicidi, velleitarie campagne coloniali, crisi parlamentari, economiche e politiche. Sempre in prima linea, al centro del motore della storia. Ma sempre conservando il gusto per il dettaglio, l’attenzione per il particolare apparentemente futile, per gli stati d’animo dei protagonisti. Per questo il libro, scrive l’autore, non è una storia d’Italia e neppure una storia del giornalismo. È l’avventura del nostro Paese narrata e osservata dalle redazioni dei giornali. Così si scoprono aneddoti gustosi, come l’Ugo Foscolo quasi asservito agli austriaci, per via della promessa di una succulenta dote; o l’Alessandro Dumas invaghito a tal punto dell’impresa di Garibaldi da fondare a Napoli un giornale per cantarne le lodi, L’Indipendente.
Grandi avventure, grandi uomini. Come Silvio Pellico, le cui lacrime dallo Spielberg, raccolte ne Le mie prigioni, oggi sarebbero meritevoli del Pulitzer: la sua opera «è la classica inchiesta a tutto campo», scrive l’autore. Un reportage ante litteram, ben prima che Jack London, 80 anni più tardi, nel 1903 lo codificasse con il leggendario servizio sulla povertà nell’East End di Londra, fingendosi operaio per descriverne la vita e soprattutto la miseria. Oppure Luigi Albertini, che armato di ostinata caparbietà costruì sulle colonne del Corriere della Sera la vera opposizione all’onnipotente Giolitti. Ma si raccontano anche le giornate del maggio radioso, quando i grandi giornali d’Italia divennero «la mitraglia che sparava di continuo note, articoli, corsivi, commenti a sostegno dell’intervento» del Paese nella Prima guerra mondiale, al fianco di Francia e Inghilterra. Non che fossero tutti interventisti i giornali dell’epoca. La Stampa, che era il giornale di riferimento di Giolitti, per esempio non lo era. Ma quelli dell’altra sponda si facevano notare per la decisione dei toni. Il Corriere e Il Secolo, per esempio, in compagnia del più roboante di tutti: Il Popolo d’Italia diretto dal non ancora «caporedattore d’Italia», Benito Mussolini, che solo pochi anni prima inveiva contro «Giolitti e la sua banda criminale», da leader dei massimalisti, per aver portato l’Italia in guerra con la Libia. E ora si scaldava contro «Giolitti e la sua banda criminale» perché volevano tenere l’Italia fuori dalla guerra.
Poi arrivarono i tempi oscuri del duce. E la stampa si asservì diciamo pure di buon grado alla legge del nuovo padrone d’Italia, che dirigeva dal «desk» di palazzo Torlonia la redazione Italia. Con poche eccellenti eccezioni, va pur detto, come testimoniano le brevi ma intense avventure di Ordine Nuovo di Antonio Gramsci (ma anche di Umberto Terracini e Piero Sraffa, giovane e talentuoso economista che divenne presto un’icona di Cambridge) e le Energie nuove animato da un Piero Gobetti appena 17enne. Ma il lavoro di Mussolini fu rapido ed efficace: del resto era anche lui un giornalista e sapeva come prendere i colleghi. Che si adeguarono: «Non che tutti i giornalisti fossero tutti fascistissimi come Mino Maccari e Leo Longanesi - scrive Vercesi - ma tutti erano, nessuno escluso, abbastanza cinici da lavorare per il regime senza patemi d’animo. Era sulla loro indifferenza morale che faceva giustamente conto Mussolini». E così, caduta la traballante dittatura, sulla professione cadde il silenzio. Che non durò poi molto.
P. Lig.


___

04 ottobre 2008

Le elezioni americane

Nei giorni scorsi il prof. Massimo Rubboli, docente della nostra Facoltà, ha tenuto una lezione sulle elezioni americane presso la School of Journalism and Electronic Media dell'Università del Tennessee.
La notizia è stata pubblicata sul sito della Scuola.
di James Baird, 1° otobre 2008.

01 ottobre 2008

Nuove frontiere del giornalismo

Glauco Maggi
Se i lettori pagano le inchieste
Nuova frontiera del giornalismo: negli Usa il pubblico commissiona articoli ai cronisti
“La Stampa”, 10 settembre 2008


Il giornalismo cambia pelle, anche se l’ultima foggia sembra la scoperta dell’acqua calda: fornire ai lettori ciò che interessa davvero e, per non sbagliare, chiedere loro l’argomento prima di fare le inchieste. Benvenuti nella generazione del reporter a gettone, che si scatena dove lo indirizza il pubblico pagante. L’assedio soffocante dell’Internet gratuito sta circondando la cittadella del quarto potere, ma dall’interno della vecchia professione le prime squadre di coraggiosi resistenti e guastatori si organizzano, e preparano sortite di rilancio. E’ una risposta che viene, curiosamente, sia dall’ultima generazione dei genietti del web, sia da testimonial storici del giornalismo investigativo, che insieme condividono la fede nel ruolo non sostituibile dell’informazione. Per provarlo, gettano il ponte diretto tra se stessi e l’unico alleato che può davvero ribaltare le sorti della battaglia per la sopravvivenza della stampa: i lettori con le loro curiosità.
Le difficoltà degli editori dei giornali cartacei non sono un mistero: dal New York Times in giù, le ristrutturazioni con taglio degli staff si susseguono bilancio dopo bilancio. Con tanti giornalisti free lance per necessità più che per scelta, la ricerca di nuovi modelli operativi nell’era della grande rete è diventata un obbligo. La sfida consiste nel trasformare la crisi in occasione, accettando il declassamento del businnes dell’informazione, o se si preferisce il suo innalzamento, dal lucro al no-profit, dal mestiere alla missione.
Due primi esempi si confrontano dalle due sponde dell’America. Spot Us, un website californiano nato nell’area di San Francisco, sta sperimentando l’idea del «giornalismo finanziato dalla comunità»: sollecita suggerimenti di inchieste, seleziona quelle meritevoli di essere seguite, e invita il pubblico a finanziare in pool i costi vivi per la produzione dell’articolo. «Vogliamo dare un nuovo senso di potere editoriale ai lettori», ha detto al New York Times David Cohn, 26 anni, che ha avuto dalla Knight Foundation, un ente di beneficenza, un finanziamento di 340mila dollari per testare in due anni il suo progetto. «La nostra formula del finanziamento diffuso è quella di Obama e di Howard Dean», i due democratici che nelle elezioni del 2004 e in quella attuale hanno sfruttato magistralmente Internet per collegarsi ai fans e finanziarsi la campagna. Anche se non sei Bill Gates puoi dare 10 dollari per una buona causa, è la filosofia di Cohn.
Ma è proprio vero che il potere alla folla, nel raccogliere prima i temi da trattare, e poi la colletta per pagare la nota spese (e lo stipendio) è una rivoluzione? I critici osservano che, se ci sono gruppi di pressione con un proprio interesse dietro le sollecitazioni e il sostegno materiale, il quadro non è poi così diverso dalla vecchia formula dell’editore-padrone, e sicuramente peggiore dei giornali nei quali i direttori sono in grado di difendere un’effettiva indipendenza. Un esempio di inchiesta proposta, per esempio, è a cavallo tra i timori del global warming e della disoccupazione: come conciliare l’impegno della California a ridurre le emissioni di carbonio con il mantenimento di tutte le aziende che producono il cemento nello Stato, senza perdere posti e affari? L’inviato del popolo, raggiunto il budget di spesa prevista con i contributi della gente, si lancerà nella raccolta di dati, interviste e commenti, ed il risultato sarà messo sul website. Se sarà ben giudicato dai giornali «veri», questi ultimi lo potranno anche riprendere, che è lo scopo di Spot Us. E’ prevista anche l’esclusiva della pubblicazione ad un solo committente, ma a quel punto l’idea si riduce alla formula del service, cioè dell’acquisto da parte di un editore commerciale di un articolo prodotto da una società no-profit.
Da Manhattan, sull’altra costa, l’«interesse pubblico» nel tenere vivo il giornalismo investigativo è la ragione sociale di ProPublica, una società editrice indipendente, bipartisan, no-profit, finanziata con un piano pluriennale dalla Sandler Foundation e altri filantropi, e guidata da una coppia di navigati professionisti: Paul Steiger, ex direttore del Wall Street Journal, è il direttore responsabile e Stephen Engelberg, ex giornalista investigativo del New York Times, il direttore esecutivo. L’enfasi è sul recupero delle inchieste a servizio del pubblico, in un contesto di costante impoverimento dei giornalisti di questo genere nelle redazioni americane: «Molte aziende editrici vedono il giornalismo investigativo come un lusso che può essere accantonato nei tempi duri», sostiene Steiger. E cita un’indagine dell’Università di Stato dell’Arizona tra i 100 più diffusi quotidiani americani: il 37% non ha reporter investigativi a tempo pieno, la maggioranza ne ha uno o due, e solo il 10% ne ha 4 o più. Con i suoi 27 giornalisti d’altri tempi, sguinzagliati a scoprire per tempo i nuovi Watergate, ProPublica punta a produrre indagini di grande impatto, mettendo al centro solo i fatti e non sposando alcuna ideologia. Se avrà successo nel lanciare un marchio credibile, e le sue inchieste saranno riprese dai media tradizionali, il pubblico e i filantropi avranno di che essere soddisfatti.
___

*estratto dal sito de "La Stampa", 10 settembre 2008.

Festival internazionale del giornalismo

"INTERNAZIONALE A FERRARA, UN FINE SETTIMANA CON I GIORNALISTI DI TUTTO IL MONDO" questo il titolo della manifestazione che si svolgerà nella città del Polesine sabato e domenica prossima.

Per informazioni: http://festival.internazionale.it/
Marta Borsi
Donne e lavoro femminile in prima pagina. La Spezia 1861-1946
La Spezia, 2008

*edizione a stampa della tesi di laurea in Storia del gionalismo Facoltà di Scienze politiche, Università degli studi di Genova)

Archivio blog

Copyright

Questo blog non può considerarsi un prodotto editoriale, ai sensi della legge n. 62/2001. Chi desidera riprodurre i testi qui pubblicati dovrà ricordarsi di segnalare la fonte con un link, nel pieno rispetto delle norme sul copyright.