Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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30 dicembre 2011

In libreria

I mercanti della notizia
Guida al controllo dell'informazione in Italia

Bologna, Emi, 2011, 288 pp.
Descrizione
Questo libro si pone un duplice obiettivo. Il primo: fare luce sulle famiglie e le istituzioni che di fatto detengono il potere economico e politico in Italia. Il secondo: aiutare a riconoscere giornali ed emittenti televisive in base ai loro proprietari. Lo scenario che emerge non è dei più confortanti, ma conoscere è il primo passo per potersi muovere nel mondo dell'informazione con quella giusta dose di circospezione che ci permette di non cadere totalmente vittime della manipolazione delle notizie. Il volume è curato dal Centro Nuovo Modello di Sviluppo, coordinato da Francesco Gesualdi. È sorto a Vecchiano (PI) nel 1985. La sua attività consiste nella stesura di guide sul comportamento delle imprese, l'organizzazione di campagne, suggerimenti sugli stili di vita.

*link al sito del Centro Nuovo Modello di Sviluppo .

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27 dicembre 2011

In libreria

Giulio Di Luzio
Brutti spochi e cattivi. L’inganno mediatico sull’immigrazione

Roma, Ediesse, 2011, 184 p.
Descrizione
L’Autore indaga con rigore scientifico e passione civile sul ruolo dei media nella costruzione della figura, generalmente negativa, dell’immigrato, sempre e solo chiamato clandestino, secondo una vulgata giornalistica, che non riconosce loro altro status: migrante, immigrato, irregolare, richiedente asilo, profugo politico, rifugiato. Ben diversa è l’immagine che risulta negli ambienti scientifici, dalla ricerca sul campo, dai rapporti diretti con comunità di stranieri in Italia. Ma la realtà conta poco quando la posta in gioco non è la credibilità scientifica ma la preziosa merce del consenso. Gran parte della stampa italiana ha acquisito un ruolo centrale nella definizione del clima di sospetto verso i nuovi arrivati, quando non addirittura di aperta xenofobia. Qualcosa che i meridionali migrati a Torino o Milano negli anni Sessanta ben ricordano, quando erano sbattuti in prima pagina dai quotidiani come «calabresi», «pugliesi» o «siciliani». Come ieri per tanti di noi, i luoghi comuni e la ricerca di capri espiatori si presentano con nuove vesti ed oggi anche l’immigrato perde identità, diventando semplicemente un "extracomunitario". Di Luzio si lancia in un coraggioso lavoro di ripristino della verità storica e di informazione, riportando alla memoria recenti avvenimenti di cronaca, che hanno rappresentato pagine poco dignitose per l’informazione del nostro Paese.
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25 dicembre 2011

Giorgio Bocca

1920-2011
"[...]La dittatura nessuno la auspica e la vuole, a parole, ma in molti la preparano, giorno per giorno, approvando, spalleggiando ogni giorno ciò che svuota la democrazia, aggiungendovi ogni giorno qualcosa che la limita. Il passaggio dall'autoritarismo al terrore si annuncia in modi disparati, apparentemente disparati. Oggi è il drogato ucciso a percosse, domani il barbone bruciato vivo, la donna con le mani tagliate, che sembrano non lasciare traccia. Ma la lasciano, lasciano l'ostilità alle leggi, l'avversione ai diritti umani, l'ignoranza dei doveri. [...]".  -
Giorgio Bocca, 2009.

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Giorgio Bocca
È la stampa, bellezza! La mia avventura nel giornalismo
Milano, Feltrinelli, 2008, 240 p.


*link alla scheda dell'editore in cui si trovano anche alcuni stralci del libro e una video-intervista all'autore.


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20 dicembre 2011

Tra arte ed economia

 

Palazzo del Melograno

Per il turista che arrivasse a Genova, indifferentemente per mare o per terra, potrebbe risultare difficile comprendere la ricchezza culturale, ed in particolare artistica, che caratterizza la nostra città: Genova è come il vecchio Arpagone, tutto chiuso in se stesso nel tentativo di nascondere i propri tesori allo sguardo estraneo. E’ difficile squarciare un velo così spesso di diffidenza ed è probabile, immagino, che per molti forestieri la ricerca si areni presto in un sommesso: “ Niente di speciale”. Noi sappiamo, o dovremmo sapere, come individui che vivono la città giorno per giorno e ne interpretano i sospiri, ne assecondano i lamenti e ne asciugano il sudore, quanta luce ci sia tra i vicoli del Centro Storico e quanto colore si nasconda dentro i portoni dei palazzi; il vociare incessante di lingue diverse eppure tutte profondamente legate in un abbraccio multietnico, rivela agli occhi, ed ancor più al cuore, la natura complessa di questa città, riflesso delle mille sfaccettature dell’animo umano.
In un tale crogiuolo di esperienze e di stratificazioni provenienti da epoche differenti, tra contraddizioni che si mescolano ed inebriano i sensi, il quadro d’insieme è articolato ma pur sempre armonioso. Passeggiando per gli stretti carruggi, in una domenica di dicembre già intrisa di Natale, non posso fare a meno di pensare alla vocazione commerciale di questa mia città, allo splendore ormai in parte perduto. E nella ricerca di regali, che anche per oggi non riuscirò a trovare, finisco in Piazza Campetto ed entro in un negozio della Upim. Non so perché, ma già un attimo prima di varcare la soglia provo una strana sensazione, quasi un senso di sospensione tra due mondi, tra due tempi che non dovrebbero incontrarsi. Abbacinato da una luce forte che sembra voler mettere a nudo ogni mio pensiero, resto un attimo immobile anche per potermi abituare allo sbalzo termico insostenibile. Respiro, resisto all’istinto di voltarmi e immergermi nuovamente nell’anonimato di mille viuzze e comincio ad ambientarmi. No, un attimo: queste colonne cosa ci fanno qui? Da quando i centri commerciali hanno adottato uno stile simile? Non c’è bisogno di un’indagine troppo accurata per conoscere i fatti: nel 2004 Upim decide di ristrutturare il negozio che occupa il Palazzo del Melograno. Il risultato è questo intreccio un po’ bizzarro ma non per questo meno interessante. Al piano terra, in fondo alla grande sala su cui dà l’ingresso, si può scorgere facilmente una Fontana con statua di Ercole che abbatte l’Idra. L’autore è Filippo Parodi, scultore italiano del periodo Barocco, nato a Genova nel 1630 e morto nel 1702 e noto soprattutto per le sue sculture in marmo. E la vista di questo Ercole, maestoso ed equilibrato allo stesso tempo, ne spiega immediatamente il motivo. L’aspetto più interessante, grottesco forse visto il posto in cui mi trovo, è che, contrariamente a quanto avvenne in pittura, Filippo Parodi fu l’unico artista genovese di quel periodo che si distinse nel campo della scultura. All’epoca, infatti, a Genova operavano soprattutto scultori lombardi. Giusto, quindi, riservargli un posto speciale. Ma non è tutto: basta salire le scale, piuttosto ampie affinchè non si dimentichi di trovarsi in un palazzo antico, e giunti al primo piano, rivolgendo lo sguardo sulla sinistra, si resta senza fiato nell’ammirare una Madonna della Misericordia di Savona che appare al beato Botta. Pare che, durante i lavori di ristrutturazione dell’edificio, in un maschio murario sia stato scoperto questo capolavoro, contenuto in una nicchia completamente decorata.
Non capisco se sopraffatto dall’emozione o se in preda ad un inaspettato delirio ma, senza neanche accorgermene, mi ritrovo a selezionare alcuni capi di abbigliamento in mezzo al negozio. E, dopo un attimo, mi infilo in un camerino. Ma anche qui dentro la febbre consumistica viene inesorabilmente turbata: e così mi ritrovo, in mutande e scalzo, a fissare con sguardo ebete un soffitto affrescato come se fossi all’aperto, nel cuore della notte, sotto un cielo stellato. Qualcosa mi suggerisce che per questa domenica la mia sete e la mia fame sono state ampiamente soddisfatte ma che, sfortunatamente per l’economia del mio Paese, non spenderò neanche un soldo. Mi rivesto, il sorriso di un demente ancora ben stampato sul volto, e me ne torno a casa, forse un po’ frastornato ma altrettanto convinto di vivere in una città che, nel bene o nel male, non ha eguali.
Michele Archinà
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19 dicembre 2011

Natale a Genova

Anche quest'anno si svolge a Genova il Circumnavigando Festival, una manifestazione di teatro di strada organizzata in collaborazione con la mostra "I saltimbanchi di Picasso: figure in mostra tra il sogno e la realtà" (dal 16 dicembre al 29 gennaio a Palazzo Ducale). Per l'occasione, nelle giornate dal 16 al 18 dicembre numerosi artisti, non solo italiani ma provenienti anche dalla Francia e dall'Inghilterra, si sono esibiti come clown, giocolieri e trapezisti, proprio accanto alle sale che accolgono la mostra. La cornice suggestiva è diventata magica grazie a questa combinazione fra pittura e teatro di strada, con forti richiami al poetico mondo del circo. Proprio un tendone, presso il Porto Vecchio, verrà allestito dal 29 dicembre all'8 gennaio a conclusione della manifestazione. L'atmosfera magica del Natale prende vita nel centro della città. Oltre al carattersitico mercatino natalizio allestito davanti al Palazzo, i curiosi hanno avuto la possibilità di immergersi completamente in un'atmosfera affascinante, ricreata sia dai dipinti (15 opere fra acqueforti, incisioni e puntesecche prese in prestito dalla Galleria d'Arte Moderna di Albenga), che dalle esibizioni dei simpatici artisti ospiti. Davanti all'ingresso della mostra si sono esibiti un cuoco eccentrico, un giocoliere russo e la sua stravagante aiutante e altri divertenti personaggi. Ai più fantasiosi è sembrato che i soggetti dei dipinti prendessero vita, diventando magicamente reali grazie a questo incanto natalizio.
Chi non ha avuto la possibilità di assistere agli spettacoli è ancora in grado di recuperare: il 5 gennaio la compagnia Lanchilonghi si esibirà in uno spettacolo di trampolieri e saltimbanchi e il 6, il 7 e l'8 la compagnia Ribolle organizzerà una performace di danza e canto, sullo sfondo di una suggestiva coreografia di stravaganti e multiformi bolle di sapone. Il festival, organizzato dalla compagnia Sarabanda, non è indicato solo per i bambini, ma anche per gli adulti che non hanno perso il gusto di sognare. Almeno per Natale.
Ilaria Bucca

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18 dicembre 2011

Sguardi di futuro

   "[...] Perché mai nei tempi passati si costruivano edifici così sontuosi, di scarsa utilità secondo gli standard attuali? Una possibile spiegazione è che ci sono stati periodi storici in cui il profitto materiale non rappresentava il valore assoluto, in cui gli uomini erano consapevoli dell'esistenza di misteri inspiegabili ai quali si poteva solo guardare con umile meraviglia per poi forse proiettare questa meraviglia in strutture dalle guglie svettanti in alto. In alto, perché si vedessero da lontano indicando a ciascuno ciò che vale la pena di guardare. In alto, oltre i confini dei secoli, in alto, verso ciò che non riusciamo a vedere, la cui silenziosa esistenza preclude, a noi tutti, qualunque diritto di considerare il mondo una fonte infinita di profitti a breve termine e richiede la solidarietà di tutti coloro che dimorano sotto la sua volta misteriosa. Per iniziare ad affrontare alcuni dei più profondi problemi del mondo dobbiamo anche noi volgere gli occhi in alto, chinando il capo con umiltà".
Vaclav Havel 


*V. Havel, Investire nei valori umani per riscattare i paesi poveri, "la Repubblica", 28 dic. 2000.
*link al sito ufficiale di Vaclav Havel.
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In libreria


Marco Salotti

Al cinema con Mussolini. Film e Regime 1929-1939
Genova, Le Mani, 2011, 260 pp.
Descrizione

Durante gli anni Trenta andare al cinema con Mussolini è una scelta di italianità. Non importa se è un film militante alla Blasetti o una commedia alla Camerini, se si canta Giovinezza Giovinezza o Parlami d’amore Mariù, se i protagonisti indossano la camicia nera o quella bianca dello smoking: tutti, credenti e agnostici, fascisti e non fascisti, collaborano a creare l’immagine di una nuova Italia che si sta trasformando in società di massa. L’ottimismo nel presente e la speranza nel futuro animano sia l’eroe aviatorio che il fattorino dei grandi magazzini, sia il combattente etico che il giovane scanzonato. Alla fine degli anni Venti il Fascismo è fatto, ora bisogna fare l’Italia fascista: il cinema, assieme ad altri media, partecipa alla elaborazione di un immaginario che deve essere attuale e insieme ispirato al genio italico. L’impegno del regime, durante gli anni trenta, è quello di far coincidere l’identità italiana con l’identità fascista, “moderna” e “rivoluzionaria”. I film nazionali si collocano sull’ambiguo confine tra queste due identità, tra propaganda esplicita e apparente disimpegno, tra collaborazionismo e fiancheggiamento, tra organicità e presa di distanza tattica. Ma sullo schermo del regime tutto si tiene strategicamente, in un immaginario di celluloide che coinvolge Scipione l’Africano e De Sica, Garibaldi e Amedeo Nazzari, Casta Diva e Mille lire al mese, Ettore Fieramosca e Macario, l’Impero e Totò.


*link alla collana Cinema (editore Le Mani).


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16 dicembre 2011

In libreria

Il grillo parlante dell'unità di Italia.
Collodi giornalista scelto da Sigfrido Bartolini

a cura di Simonetta Bartolini
Firenze, Mauro Pagliai editore, 2011, 64 pp.
Descrizione
"Lasciatemelo dire: l'umiltà italiana è veramente esemplare. Non sentirete mai uscire dalla nostra bocca una parola vanagloriosa; noi siamo poveri, noi siamo falliti, noi non abbiamo né buoni generali, né buoni soldati di mare, né buone leggi, né buoni amministratori, né galantuomini, né Capitale definitiva. Una volta almeno gli Italiani potevano vantare il bel cielo d'Italia. Oggi è sparito anche quello". Così scriveva nel 1871 Carlo Lorenzini (1826-1890), in arte Collodi, reso immortale dalla storia del burattino di legno che diventa uomo più che dall'attività di giornalista, sagace polemista, critico di costume, fustigatore dei vizi e delle contraddizioni italiche. Almeno fino a quando l'artista Sigfrido Bartolini, che di Pinocchio nel 1983 fece una monumentale edizione illustrata, non raccolse numerosi scritti giornalistici accompagnandoli con un saggio, "Attualità" di Carlo Lorenzini, destinato a mostrarne l'attualità e il valore. Pubblicato purtroppo dopo la morte di Sigfrido Bartolini, a cura della figlia Simonetta, questo volume contiene sia il saggio che l'antologia di articoli, corredati dalle xilografie del maestro.
*segnalato da Ilaria Bucca

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15 dicembre 2011

Scaffale amico

Maura Fioroni,
I colori di Cuba
Piombino, Edizioni Il foglio, 2011, 130 pp.
Descrizione
I colori di Cuba non è un saggio e neppure un romanzo, ma è il classico reportage narrativo, un racconto partecipe di una viaggiatrice che non si nasconde dietro alle ideologie e non pensa di avere in tasca verità preconfezionate. Maura Fioroni per tre mesi osserva un mondo nuovo, si immerge in un panorama insolito, si nutre di un sogno che non è suo, vive una realtà difficile da capire. Ma lo fa in mezzo alla gente, ascoltando, parlando, chiedendo informazioni e cercando di soddisfare tante curiosità. Tra le pagine di questo libro incontrerete personaggi che cercano di modificare un difficile presente, ma non mancano Mariela Castro, Raúl, il fantasma di Fidel, Che Guevara e il sogno d’un uomo nuovo. L’autrice incontra Yoani Sánchez e raccoglie il suo parere insieme a quello di Elio Menzione, ambasciatore italiano a Cuba. Non esprime opinioni, ma racconta fatti, trasmette immagini e comunica sensazioni. Un libro utile per un primo approccio con la vera Cuba, fuori da troppi facili schematismi. [Gordiano Lupi].
Maura Fioroni (Albenga, 1981). Laureata in Scienze Politiche all'Università di Bologna con la tesi La percezione della stampa italiana nei confronti di Cuba. Ha conseguito una seconda laurea in Editoria, Comunicazione Multimediale e Giornalismo (Università degli studi di Genova), con la tesi Ventiquattro ore dopo. Yoani Sánchez: una voce alternativa a L’Avana. Ha collaborato al quotidiano online "Il Ponente". Il suo primo libro, I colori di Cuba, è un mix di pensieri, frutto di una permanenza a Cuba e del suo interesse verso l’isola. Vive ad Alassio.
*link al sito dell'Associazione Culturale Il Foglio.
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13 dicembre 2011

In libreria

Alberto De Sanctis
La fede ribelle
Molfetta (Ba), edizioni la meridiana, 2011, 188 pp.
Descrizione
Nessuno conosce “il punto di vista di Dio”. Quindi non è legittima la pretesa dell’uomo di farsi Dio. Per questo bisogna opporsi all’attitudine che induce a sostituirsi a Dio, rigettare la ragione propensa a creare nuove schiavitù, rispondere a un potere che si va disumanizzando. Si ritiene, specialmente nel contesto italiano in cui il cattolicesimo è maggioritario, che la religione predisponga ad un atteggiamento accomodante se non addirittura connivente rispetto al potere. Ma così si rendono marginali tutti quegli aspetti del cristianesimo che muovono da un’irriducibile conflittualità col potere. Per questo si è spesso trascurata la rilevanza di una critica religiosa del potere – anche di matrice cattolica – che ha svolto invece una funzione sociale e politica importante. Proprio muovendo da presupposti religiosi, questa critica ha saputo contrastare il potere, ogniqualvolta abbia rivestito i panni del totalitarismo e dell’autoritarismo. Nell’opporsi a queste due tipologie di potere degenerato, la critica religiosa ha individuato come suo bersaglio sia le deviazioni imputabili alle chiese e ai cleri, sia quelle dovute a certi approcci politico-ideologici. Il perno intorno cui ruota questo volume, inconsueto e spiazzante, è l’analisi del fattore religioso o della religiosità come critica del totalitarismo e dell’autoritarismo. Come una guida essenziale e, dunque, indispensabile, i contributi raccolti, che coprono un arco temporale compreso tra la prima metà dell’Ottocento e la fine del secondo millennio, passano in rassegna le coscienze libere che hanno osato, non solo in nome di una fede liberante ma anche contro ogni soggezione complice col potere. Si tratta di figure più ortodosse e altre meno scontate, come Romano Guardini, Luigi Sturzo, Jacques Maritain ed Emmanuel Mounier, poi ancora Mirza Agha Khan Kermani, il movimento Cartista, Ernesto Buonaiuti, Carlo Rosselli, Simone Weil, Aldo Capitini, Samuel Ruiz, Pier Paolo Pasolini e Fabrizio De André.
Alberto de Sanctis è professore di Storia delle dottrine politiche all’Università di Genova. Ha al suo attivo diverse partecipazioni a convegni nazionali e internazionali e saggi pubblicati su varie riviste e in volumi collettanei. Si è interessato di problematiche relative al rapporto tra religione e politica, approfondendo lo studio del pacifisimo e della nonviolenza.
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11 dicembre 2011

Il terzo settore nella provincia di Genova

Il peso del non profit, del cosiddetto Terzo Settore, continua a crescere in tutta Italia e rappresenta, ormai, un pilastro significativo anche dal punto di vista economico. Non a caso, lo stesso legislatore fiscale ha posto la sua attenzione sulla disciplina specifica che questo settore richiede, innanzitutto, per sopravvivere e, in secondo luogo, perdurare nel tempo.
La provincia di Genova è in linea con questo trend ed è interessante prendere visione di alcuni dati numerici messi a disposizione da CELIVO, il Centro Servizi al Volontariato. In attesa della rilevazione annuale, in arrivo come di consueto a dicembre, si può provare ad interpretare alcune delle statistiche del 2010 per cercare di orientarsi nel mondo del volontariato di Genova e provincia. Dividendo idealmente l’area di interesse in due, quella del Genovese e quella del Tigullio, si può constatare che il maggior numero di organizzazioni sia situato, come prevedibile, a Genova (610), seguita da Golfo Paradiso (22) e Scrivia (22). Per quanto riguarda l’area del Tigullio, invece, al primo posto per numero di organizzazioni non profit c’è Entella (45), che precede Golfo del Tigullio (29) e Petronio (18). In sintesi, è il Comune di Genova che vede la maggiore concentrazione di associazioni ed enti di vario tipo, per la precisione il 76% del totale, mentre la provincia racchiude il 24%. All’interno del comune, poi, si può notare una maggiore densità nei Municipi del centro est, del Medio Levante e della bassa Val Bisagno. Infine, sezionando ulteriormente la zona, si può osservare la distribuzione delle organizzazioni di volontariato nel Comune di Genova per quartiere: Pre Molo Maddalena in testa (81), seguito da Portoria (63), San Fruttuoso (40) e Foce (37).
Come sempre quando si cerca di sistematizzare lo sviluppo di un fenomeno più o meno diffuso, si arriva a risultati a volte contraddittori: pertanto, se non stupisce la preponderanza di attività di volontariato nella zona del centro storico, allo stesso tempo non è così evidente la diminuzione delle stesse muovendosi verso la periferia del Comune. E lo stesso vale se si estende il discorso alla provincia: l’area di Genova è al primo posto per numero di organizzazioni ma al terzo troviamo un’area “periferica” come la Valle Scrivia.
Certamente, laddove la concentrazione di etnie e ceti sociali differenti è maggiore, sono più evidenti fenomeni di marginalizzazione e discriminazione che determinano un rafforzamento quasi automatico del Terzo Settore. Nelle zone più interne della provincia, pensiamo alla Val Trebbia, per esempio ( ultimo posto dell’ area genovese con solo 4 organizzazioni), le differenze sociali ovviamente ci sono ma risultano, forse, meno avvertite a causa della minore densità abitativa.
Tra i dati più interessanti occorre evidenziare quelli relativi ai destinatari delle attività associative: innanzitutto bambini e/o bambine da 0 a 12 anni (198), dato che quasi fa sorridere se si pensa che Genova e tutta la Liguria, sono notoriamente “anziane”. E, non a caso, al secondo posto ci sono le organizzazioni rivolte agli anziani ( 197). Tale apparente contraddizione si spiega, naturalmente, con la migrazione e le ormai diffuse comunità di sudamericani e nordafricani, per fare gli esempi più noti, che vivono nel territorio genovese; al contempo, sono molti gli anziani soli, con una pensione misera e che spesso non possono permettersi un’assistenza. I meno considerati dalle organizzazioni non profit sono i consumatori (9), le prostitute/i (8) e gli omosessuali e/o transessuali, transgender (3). Fa riflettere, soprattutto, il dato relativo alla prostituzione che rappresenta un fenomeno ampiamente diffuso sul nostro territorio e che spesso, purtroppo, è collegato allo sfruttamento. Per quanto riguarda gli omosessuali, è molto difficile trarre delle conclusioni da un unico numero, tuttavia, se può colpire che una delle categorie più interessate da fenomeni di discriminazione e razzismo non riceva assistenza, si può anche riflettere sul fatto che determinate problematiche, laddove possibile, vengano affrontate con professionisti competenti, psicologi o psicoterapeuti.
Tra i principali settori di intervento, si può facilmente constatare che le organizzazioni di volontariato nella provincia di Genova sono rivolte, in primo luogo, al socio-assistenziale ( 35% ), seguito dal sanitario ( 24%) e dall’educativo-formativo (14%). Al quarto posto troviamo le associazioni che si dedicano al settore culturale ed alla tutela dei beni culturali ( 7%): lodevole l’attenzione della popolazione genovese al patrimonio quasi illimitato di cui disponiamo e che spesso non vediamo, d’altro canto sarebbe auspicabile che le Autorità locali riuscissero a svolgere tutte, o quasi, le attività necessarie alla conservazione del centro storico tra i più grandi e meglio conservati d’Europa.
Per quanto riguarda il riconoscimento giuridico degli enti che operano nel Terzo Settore, com’è noto, essi possono operare come associazioni riconosciute, vale a dire iscritte nei pubblici registri o come associazioni non riconosciute. In Liguria vi è una netta prevalenza delle prime, circa 649, cifra che corrisponde all’81% del totale, mentre sono 153 quelle non iscritte, ovvero il 19% dell’ intera torta.
In conclusione, tenendo conto del periodo economico tutt’altro che roseo, dello smantellamento progressivo del c.d. Welfare a tutti i livelli, l’aumento delle attività non profit è, senza dubbio, un dato positivo, testimonianza viva di un certo spirito di responsabilità dei cittadini genovesi. Al contempo, occorre evidenziare quella che è una problematica a livello nazionale, vale a dire le finte associazioni che sfruttano le numerose agevolazioni, in particolar modo fiscali, per celare attività economiche tradizionali ed esercizi d’impresa. E’ importante, ed in questo senso tanto si sta già facendo, che tutti gli enti preposti, in primo luogo l’Agenzia delle Entrate, operino e vigilino al fine di stanare i soggetti fraudolenti sia per un bisogno di legalità di cui si sente ormai l’urgenza, sia per non macchiare l’eccellente lavoro che svolgono le associazioni vere operanti sul nostro territorio.
Michele Archinà

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08 dicembre 2011

In libreria

Patrizia Traverso, Luigi Surdich
Genova ch'è tutto dire

Genova, Il Canneto Editore, 2011, 226 pp. (Collana Evoé)
Descrizione
A cent’anni dalla nascita di Giorgio Caproni, una delle sue poesie più note viene riproposta al lettore con un nuovo apparato critico e una galleria di scatti fotografici straordinari. Nessun poeta ha mai parlato di una città come Giorgio Caproni ha parlato di Genova. Caproni visse a Genova dal 1924 al 1939, cioè dai dodici ai ventisette anni, e ne scrisse per tutta la vita. I novanta mattoni che compongono Litania (tante sono le volte che Caproni vi nomina, quasi per ossessione, la città) costituiscono una mappa di Genova, più approfondita di una radiografia, più lucida di un sogno.

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07 dicembre 2011

Scaffale amico

Luca Policastro
I segreti dell'etere. Storia e stile del giornalismo della radio
Civitavecchia, Prospettiva editrice, 2011, pp. 157.
Descrizione

Le caratteristiche dell'odierno linguaggio radiofonico sono dovute da un lato alle peculiarità tecniche del mezzo, dall'altro all'evoluzione dell'ascolto in un'epoca, la seconda metà del ventesimo secolo, che ha visto la nascita e L'affermazione della televisione. Questo libro, dopo aver ripercorso le principali tappe evolutive della radio (da Marconi alla BBC, dalle radio libere alla radio digitale), vuole fornire le basi teoriche per comprendere a fondo gli ingredienti del flusso radiofonico, punto di arrivo di questa evoluzione. Vengono esaminati infine alcuni dei più importanti radiogiornali trasmessi quotidianamente sul territorio italiano, allo scopo di evidenzare i meccanismi che ne regolano la stesura, anche alla luce dei moderni software di messa in onda.
L'autore Luca Policastro (La Spezia, 1986) è dottorando in Lingue, culture e tecnologie dell'informazione e della comunicazione presso l'Università degli Studi di Genova, dopo aver conseguito la laurea in Giornalismo culturale ed editoria presso lo stesso ateneo. Autore e dj presso alcune emittenti radiofoniche locali, si interessa di radio, didattica delle lingue straniere e delle scienze, musica e sport di resistenza.
*link al sito di Prospettivaeditrice.
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06 dicembre 2011

Entrare e uscire dalle parole

L'intervista ad Ivo Carezzano* ha suscitato, almeno in me, non pochi spunti di ondivaga riflessione e mi ha portato a fantasticare, non trovo verbo più adatto sinceramente, su ciò che può essere, oggi, il giornalista. Ed il primo concetto ad essere richiamato alla mia mente è stato quello di società liquida, coniato dal celebre sociologo polacco Zygmunt Bauman: davvero le relazioni, i sentimenti e gli esseri umani stessi assumono nella realtà contemporanea contorni sempre meno definiti. Di conseguenza, dal momento che nascono e si strutturano come un'appendice/creazione dell'uomo, anche diverse professioni seguono questa scia incerta.
E per farsene un'idea è sufficiente citare solo poche righe dell'intervista a Carezzano e, in particolare, il punto in cui dice che "è stato ucciso il giornalista, ma per ricrearsi, perchè dalle ceneri di un vecchio giornalismo ne nasca uno nuovo."Il che ci suggerisce, in buona sostanza, che ciò che è stato, in questa professione, non esiste più e che quello che sarà è, di fatto, tutto da inventare, da immaginare. Ecco perchè il verbo fantasticare è stato usato nell'incipit di questo intervento con tanta disinvoltura. Il fatto è che "[...] allora mancavano le notizie, [...] oggi le notizie sono infinite e il giornalista deve essere capace di selezionare dando un senso logico e soprattutto un senso utile. Uno non fa il giornale per informare e basta; lo fa per informare e formare." Già. Al punto che, sempre più bombardati da informazioni, il livello di attenzione del pubblico è piuttosto basso e si ringalluzzisce solo quando la notizia assume i contorni di una super-notizia, di un segreto venuto a galla, di una soffiata (leak). Ma purtroppo Wikileaks è un fenomeno sporadico mentre per il resto occorre confrontarsi con ciò che offre la routine quotidiana. E' sempre, a mio avviso, la curiosità a rendere il giornalista un vero giornalista ma è pur vero che senza un'adeguata preparazione culturale e un amore autentico per la parola a prescindere da tutto, non si può neppure cercare di raggiungere quel duplice obiettivo che è dato dall'informazione e dalla formazione.
La preghiera dei laici, in un mondo in cui la religione è stata ridotta quasi ad un feticcio, rischia di cadere nel vento, come una voce che giunge ad orecchie sorde, parole scritte (o digitate) che arrivano ad occhi ciechi, come una preghiera, appunto, che cerca invano di toccare un cuore troppo duro.
Eppure, il cammino impervio e le mille difficoltà rendono la sfida ancora più affascinante.
Michele Archinà

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05 dicembre 2011

Un Fatto Umano: un team di fumettisti alle prese con la lotta anti-mafia

A 20 anni dalla morte di Falcone e Borsellino, Einaudi pubblica il fumetto che ci racconta gli anni più oscuri della lotta a Cosa Nostra.

“La mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine”.
Con queste parole Giovanni Falcone esprimeva la sua fiducia nella lotta alla mafia, convinto che prima o poi si sarebbe conclusa con una vittoria. Oggi, a 20 anni dalla morte di Falcone e Borsellino, un coraggioso team di fumettisti, composto da Manfredi Giffone, Fabrizio Longo e Alessandro Parodi, ha deciso di rendere omaggio al pool antimafia più centrale della storia italiana con una graphic novel. Il libro Un Fatto Umano, edito da Einaudi Stile Libero (2011), è il racconto consapevole e politico degli anni più oscuri e minacciosi del nostro paese, il racconto della lotta antimafia ad opera di un gruppo di uomini coraggiosi.
Tra gli anni ’70 e gli anni ’90 Cosa Nostra è l’organizzazione criminale più influente al mondo. Tanto potente da sferrare un attacco frontale allo Stato. In questi anni di terrore e continue tensioni tra poteri forti, personaggi fondamentali per la comprensione della nostra attuale situazione politica si fanno strada e prendono la parola in uno scenario devastante.
Il fumetto ha inizio con la narrazione di Mimmo Cuticchio, il più grande cuntista e puparo palermitano, il quale cede presto il passo a un manipolo di personaggi “bestiali” che attraverso i fatti ci riportano indietro nel tempo sino a quegli anni di lotta e di sangue versato. “Bestiali” perché, seguendo la tradizione avviata da Fedro, riproposta poi da Orwell con la sua Fattoria degli animali e più recentemente da Spielgman, autore di Maus, Parodi, Giffone e Longo ci presentano dei personaggi dalle sembianze animali. L’intento, nella creazione dei protagonisti, è stato quello di unire peculiarità fisiche a caratteristiche di tipo più strettamente morale, in modo da trovare i giusti accostamenti. Troviamo così un Andreotti-Pipistrello, un Riina-Cinghiale e -nemmeno a dirlo- un Vittorio Mangano-Cavallo. Centrali, però, sono le figure di Paolo Borsellino, immaginato come un gatto paffuto, e Giovanni Falcone, un fox terrier in giacca e cravatta. Cane e gatto che lavorano insieme per un mondo migliore. Insomma un vero e proprio zoo umano dove le vicende politiche vengono raccontate e –fatto più rilevante- ricordate attraverso 200 personaggi.
Ciò che tuttavia più stupisce di questo progetto è la delicatezza con la quale gli autori sono riusciti a raccontare i terribili eventi di quegli anni. Un susseguirsi di tavole surreali unite al gusto del fatto storico e alla poesia degli ideali. Quel genere di ideali per cui vale sempre la pena combattere. E poi la grande accuratezza con la quale il team si è dedicato all’epico progetto: più di 100 libri inseriti nella bibliografia, 372 tavole ad acquerello disegnate, 15 processi interamente consultati e una sceneggiatura di 200 cartelle per un totale di 7 anni di lavoro. Rilevanti sono, infine, la partnership con l’associazione antimafia Fondazione Progetto Legalità e i vari rapporti avuti in questi anni con diversi magistrati.
Valentina Risaliti


M. Giffone, F. Longo, A. Parodi, 
Un Fatto Umano. Storia del pool antimafia 
Torino, Einaudi Stile Libero, 2011, pp. VII+376.


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04 dicembre 2011

Mentre scrivo...

Mentre scrivo va in onda la Gabannelli; la trasmissione di questa sera verte sul tema dei beni culturali in Italia e la polemica scaturisce dal fatto che, udite udite, in questo paese fondato e retto sull'arte, sul reperto archeologico e sul monumento storico, tutto questo potenziale non venga sfruttato economicamente come potrebbe e come accade, del resto, in qualsiasi altra parte del Mondo.
Avendo nel cassetto un rotolo di cartone contenente una laurea in beni culturali, questi discorsi li conosco bene, ma anche se mi fossero estranei, la sera in cui leggiamo in tempo reale (o quasi) le esilaranti novità emerse dalla manovra del professor Monti, mi sarei aspettato un tema diverso, magari uno sciopero in tempo reale (questo si, si poteva fare) della trasmissione "popolare" di Rai 3.
La patrimoniale? un sogno per quel 99% che non ha patrimoni. La pensione? Un miraggio per chi ha lavorato una vita intera e ha la schiena appezzi, un utopia per chi come tutti noi studenti lavora in nero per pagarsi i libri che immancabilmente alla Berio sono andati rubati. Mi sorge questa riflessione: perché non smettiamo di illuderci? Perché non ammettiamo a noi stessi di fare schifo, come popolo? Chi studia sociologia forse può trovare delle cause storiche, forse nel medioevo feudale dove un signore faceva il buono e cattivo tempo e tutti gli altri cercavano di arrangiassi come potevano, rubando l'un l'altro. Spesso si sente parlare di "indignati" ma l'indignazione contiene in sé il concetto di amor proprio come identificazione e protezione del'"io" verso ciò o chi è causa dell'indignazione, invece noi siamo e dobbiamo essere sgomenti, siamo rassegnati, siamo come dei sani che girano in una città appestata, alla ricerca di cibo, sapendo che , come mangiamo quel cibo, finiremo appestati noi stessi. Il popolo Italiano è stato guidato da Mussolini, poi dalla DC, poi da Craxi, poi da Berlusconi, e adesso da un economista che sino a pochi mesi fa era consulente internazionale della Goldman Sachs, una delle banche dalla quale è scaturita la goccia che ha provocato l'attuale crisi. Vogliamo fermarci un attimo a pensare, o vogliamo scandalizzarci ancora perché i muri di Pompei cadono e sperare ancora che un giorno avremo una classe dirigente onesta, che creerà lavoro, abbasserà le tasse eccetera, eccetera? Qualcuno ha detto che un popolo ha il governante che merita.
Davide Olivieri
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L'alba del pianeta delle scimmie


L’incontro con Raffaele Mastronardo ha instillato in molti studenti del corso di Laurea magistrale in Informazione e Editoria la voglia di riflettere e discutere intorno all’argomento “stampa e futuro”. Tralasciando motti piuttosto semplicistici come “il futuro è morto” o la “stampa è finita” quello che a mio parere è emerso è un dato chiaro: le opportunità, sia lavorative, sia intellettuali e speculative che il mondo del giornalismo 2.0, ma forse è meglio dire dell’Informazione con una rigida e magniloquente lettera maiuscola, offre sono enormemente maggiori rispetto a quelle di soltanto dieci anni fa. Prima la figura del giornalista era sostanzialmente una figura “manichea”, intimamente divisa entro due nature, anzi quattro, due “di specie” e due “etiche”: c’erano i giornalisti della carta stampata (classicamente e imperturbabilmente in cappello, cravatta e cappotto) e gli anchorman della televisione (condannati a vita alla dorata prigione del tubo catodico); poi le inscindibili categorie dei “buoni giornalisti” e dei “cattivi giornalisti”. Ora, le ultime due categorie hanno la stessa valenza degli universali per la filosofia tomistica: sono la conditio sine qua non della sussistenza stessa dell’Informazione. Ma le altre due categorie, quelle che sprezzantemente ho definito “specie”, si sono notevolmente evolute e modificate. Ora per fare il giornalista non si deve per forza seguire quelle due strade obbligate ma si possono seguire vie alternative, con, certamente una maggiore confusione e incertezza, ma anche una ridda esponenzialmente più ricca di opportunità. Nella nostra epoca cangiante (ma quale epoca non è stata di transizione, quale epoca non si è “mossa” ma è stata ferma?) può accadere che giovani blogger iraniani, olandesi o camerunensi diano notizie in anticipo, con un rapido e impalpabile tweet, rispetto alle grandi agenzie stampa internazionali. Può accadere anche che un computer, una serie di algoritmi creati dall’uomo sia in grado di scrivere articoli di baseball “dannatamente buoni” e superiori, per abilità nel conteggio del punteggio e imparzialità (ma anche parzialità) di giudizio, rispetto a quella dei cronisti sportivi “di lunga data. Ma tutta questa carica di stordente novità non fa tramontare l’era del giornalista competente, arguto, capace di avere, per dirla come in Whatever Works di Woody Allen, “una visione d’insieme, una percezione allargata delle cose del mondo”. Tutto il contrario. L’esigenza di prendere fiato dall’incessante flow delle notizie, delle breaking news e dell’informazione compressa e frullata in pochi secondi, fa aumentare il desiderio, il bisogno fisico e mentale di una riflessione, sicuramente di parte, ma proprio per questo di maggior valore rispetto alla notizia brutalmente sbattuta in poche parole. La verità, nel mondo del giornalismo, non esiste e il fatto stesso, come c’insegnano i grandi (e piccoli) maestri del giornalismo, di dare o non dare (o dare in un certo qual modo) quella notizia piuttosto che quell’altra è indice di scelta. La scelta, come ci dice Carofiglio, è insita nel genere umano e per fortuna che si sceglie se no si sarebbe delle scimmie, che scrivono articoli di baseball molto buoni, ma senza conoscere la bellezza di passeggiare per i boulevard di Parigi ascoltando la vox populi che parla ora del tandem Merkozy ora delle vicende di Bel-Ami. Guy de Maupassant racconta la vicenda di un “supergiornalsta” di un certo modo di intendere tale professione: collusione con i poteri forti, volontà di emergere, stile strillato e sopra le righe e animo incendiario ma anche remissivo di fronte alla censura (autoimposta a volte). Ma non solo questo è il giornalista “corrotto”. Spesso si è corrotti anche facendo bene il proprio lavoro, con puntiglio e rigore, ma senza alcuna personalità e, per l’appunto, “volontà e capacità di scelta”:
«La Vie Française era, soprattutto, un giornale d’affari, il padre un affarista a cui la stampa e il mandato parlamentare avevano servito da trampolino. Della bonarietà si era fatta un’arma, aveva sempre manovrato sotto la maschera sorridente di un brav’uomo, ma non affidava un lavoro, qualunque fosse, se non a gente che aveva davvero conosciuta, provata, istruita, e che sentiva astuta, audace, arrendevole. Duroy, nominato capo cronista, gli sembrava un ragazzo prezioso. Quell’incarico era stato affidato fino ad allora al segretario di redazione, Boisrenard, vecchio giornalista, corretto, puntuale, meticoloso come un impiegato. Da trent’anni era stato segretario di redazione in undici giornali diversi, senza mutare in niente il suo contesto e le sue vedute. Passava da una redazione all’altra come si cambia trattoria, accorgendosi appena che la cucina non ha il medesimo sapore. Le opinioni politiche o religiose gli restavano estranee. Si dedicava al giornale, qualunque fosse, pratico del mestiere, e prezioso per la sua esperienza. Lavorava come un cieco che non vede niente, come un sordo che non sente niente, e come un muto che non parla mai di nulla. Aveva tuttavia una grande lealtà professionale, e non si sarebbe prestato a nessuna cosa che non giudicasse onesta e leale, corretta dal punto di vista particolare del suo mestiere.»
Le ultime parole “non si sarebbe prestato a nessuna cosa che non giudicasse onesta e leale, corretta dal punto di vista particolare del suo mestiere” sono parole che mi hanno sempre agghiacciato e spaventato a morte, più di un dozzinale romanzo di un qualche scrittore americano di romanzi horror. La figura di questo “giornalista di mestiere” è la quintessenza di un certo modo di fare il giornalista, che è si lavoro artigianale, di fatica, estremamente fisico ancora prima dell’atto supremo di vergare il foglio intonso (tanto ormai esistono gli smart-phone e gli i-pad senza rischi di rovesciare inchiostri o di macchie sospette) ma è innanzi tutto un lavoro di scelte, non di ossequioso lavoro impiegatizio ma di pressante sforzo intellettuale. La notizia non si presenta per così dire in atto, ma con un grado di in potenza sempre diverso. Sta al giornalista, buono, cattivo, della stampa, televisivo, collegato da un blog, giovane o vecchio, vagliarla, arricchirla con le sue impressione, distorcerla, ampliarla o modificarla. Il futuro non è morto, non è stata ancora scritto come amava dire Joe Strummer, è compito nostro, nostra missione e nostra natura, sceglierlo.
Mattia Nesto

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03 dicembre 2011

In libreria

Antonella Russo
Storia culturale della fotografia italiana
Dal Neorealismo al Postmoderno
Torino, Einaudi, 2011, 428 pp.
Descrizione
Questo volume intende ricostruire le caratteristiche e lo specifico contributo della fotografia italiana alla piú generale storia della fotografia internazionale, non solo analizzando le opere dei maggiori autori italiani, ma anche presentando il fitto tessuto culturale, sociale e istituzionale di immagini, mostre, scuole, dibattiti teorici, pubblicazioni e correnti in un ampio arco di tempo che va dal dopoguerra agli albori del digitale.
Indice del libro
Introduzione. - I. Neorealismo e fotografia. II. L'associazionismo fotografico in Italia. III. Oltre il Neorealismo: verso una fotografia italiana contemporanea. IV. Il Piano Marshall e la fotografia italiana. V. Dalla fotografia italiana alla storia della fotografia italiana. VI. La fotografia italiana nelle istituzioni. VII. Verso la promozione di una cultura fotografica. VIII. Il fotogiornalismo in Italia. IX. La fotografia italiana e la scena artistica contemporanea. X. La fotografia italiana tra gli anni Ottanta e Novanta. - Bibliografia selezionata. - Indice dei nomi.
*link all' Introduzione del libro.
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02 dicembre 2011

Chi vincerà il premio Pulitzer nel 2020?

I padri della “scimmia-giornalista” che sfida i vecchi cronisti sportivi americani non avrebbero dubbi: entro il 2020 sarà la loro creatura informatica ad aggiudicarsi il prestigioso premio giornalistico. Qualche perplessità, invece, la mostra Raffaele Mastrolonardo, coautore insieme al collega Nicola Bruno del discusso libro La scimmia che vinse il Pulitzer. Personaggi, avventure e (buone) notizie dal futuro dell’informazione (Milano, 2011).
Ma andiamo con ordine: chi è Raffaele Mastrolonardo? Dottore di ricerca nella Facoltà di Filosofia di Genova, fondatore dell’agenzia effecinque  (che fra i maggiori clienti può vantare Sky.it, il Corriere della Sera, il Manifesto, l’Espresso…), è uno di quei giornalisti di cui la vecchia Superba ha disperatamente bisogno: intraprendente, attento ad ogni cambiamento tecnologico, lo sguardo sempre rivolto al futuro. Tutto quello che manca alla città anagraficamente più anziana d’Italia.
Ed è proprio a noi, studenti del corso di Laurea Magistrale Informazione ed Editoria che si è rivolto con parole ottimistiche e rassicuranti: «Il futuro del giornalismo siete voi, gli stessi che vivono su Twitter, Facebook, I-Pad, ecc. è con quegli strumenti che farete i giornalisti un domani».
L’incontro è cominciato con una dinamica carrellata di alcune delle storie più significative che Mastrolonardo e Bruno hanno raccolto nel loro, ormai popolare, saggio: Bill Adair, fondatore di PolitiFact il portale che verifica le dichiarazioni dei politici americani, Michael Van Poppel, il ragazzino prodigio che a 17 anni è entrato in possesso del prezioso video di Osama Bin Laden, ora fondatore e direttore del BNO News, Ory Okolloh, la avvocatessa keniana che si è inventata la piattaforma attualmente utilizzata per monitorare le sommosse post-elezioni nel mondo, Birgitta Jonsdottir, parlamentare islandese che ha deciso di fare del suo paese il paradiso della libertà di stampa, Julian Assange e la storia di Wikileaks fino al secondo prima che diventasse un caso planetario.
Perché tre erano le regole che si erano imposti prima di cominciare questa avventura: le storie dovevano essere personali, paradigmatiche e poco note.
E poi c’è la scimmia, colei che, giurano i suoi creatori, non ruberà il lavoro ai giornalisti, ma al contrario sarà in grado di collaborare con gli esseri umani per sviluppare insieme un diverso modo di fare giornalismo. Si tratta di un software in grado di scrivere autonomamente un articolo di cronaca sportiva (attualmente limitato al baseball), creando il titolo, inserendo la foto, utilizzando dati storici e, cosa ancora più sorprendente, essendo capace di scrivere un pezzo anche “politicamente orientato” a seconda del giornale al quale lo dovrà poi vendere.
Raffaele Mastrolonardo non si limita a raccontare. Le facce stupite del suo pubblico hanno bisogno di una dimostrazione, così il giornalista improvvisa una specie di Turing test (per vedere se la scimmia riesce ad ingannare l’astuto essere umano). Legge tre attacchi di cronaca sportiva riferiti alla stessa partita: due sono scritti da giornalisti in carne ed ossa, uno dalla scimmia-software: le differenze sono minime, ma la platea riesce ugualmente ad individuare l’articolo della macchina, anche se un certo sconcerto emerge dal chiacchiericcio che si alza in aula.
Possibile che un computer possa sostituire persino il lavoro del giornalista? Certo la macchina non commette errori, esegue calcoli molto complicati in poco tempo, è in grado di riscrivere un articolo all’ultimo secondo utile, ma sarà in grado di dare al pezzo quel tocco di colore che solo la penna umana fin’ora è riuscita a inserire in un articolo?
Il giornalista di effecinque ne dubita e lancia ai ragazzi una sfida avvincente: «I creatori della scimmia sono convinti che entro il 2020 vinceranno il Pulizer, io onestamente spero che lo vinciate voi!».
Marta Farruggia



Nicola Bruno - Raffaele Mastrolonardo
 La scimmia che vinse il Pulitzer.
Personaggi, avventure e (buone) notizie dal futuro dell’informazione,
Milano, Bruno Mondadori, 2011, 192 pp.
*link al blog lascimmiachevinseilpulitzer
**link al sito dell'agenzia effecinque 
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01 dicembre 2011

La zona grigia calabrese

«È un inchiesta dei colleghi di Milano ma spero almeno che non si dica più che le indagini si fermano sulla soglia della ‘zona grigia'». Sono state queste le prime dichiarazioni rilasciate alla stampa da parte del Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, nel momento in cui un magistrato, un politico, un avvocato, un medico e un maresciallo della Guardia di finanza venivano arrestati in Calabria per ordine della procura di Milano.
Un momento triste e ben difficile da metabolizzare per tutto il Paese, ancor più per chi della Regione ultima fra le ultime è originario; e forse non di meno per un onesto servitore dello Stato che non più tardi di un anno e mezzo fa, era il Maggio 2010, veniva ‘omaggiato’ di un regalo da parte di quelle cosche sempre più indebolite dall’opera di sequestro beni portata avanti proprio da Pignatone in collaborazione con la Direzione Investigativa Antimafia di Reggio Calabria. Era un bazooka. Fatto trovare, dopo una telefonata anonima, davanti al Tribunale di Reggio Calabria.
Facile immaginare cosa possa esser passato nella testa del Procuratore quando ad essere arrestato è stato il presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, Giuseppe Vincenzo Giglio, accusato di rivelazione di segreti d’ufficio e favoreggiamento personale aggravato dalla finalità di favorire l’associazione mafiosa. Eppure nonostante l’inevitabile shock personale i primi pensieri di Pignatone si sono rivolti a questa specie di simbolo mitico, questa zona grigia sempre narrata e sempre descritta ma evidentemente mai compresa fino in fondo, nella sua essenza e nella sua esistenza reale e non soltanto in quella di comodo, di facciata. Quell’esistenza che ha spinto vari cronisti a tracciarla con le loro penne il più delle volte in modo strumentale quando le porte di determinati Tribunali non si aprivano come invece essi avrebbero preferito raccontare. Ed era a questo che si riferiva il Procuratore di Reggio nelle sue dichiarazioni.
Già Primo Levi ne parlava come di una ‘realtà dai contorni mal definiti, che insieme separa e congiunge i due campi dei padroni e dei servi’ ma il termine è ancora attuale al punto da comparire spesso nella letteratura criminologica con il significato di quell’area intermedia tra legale e illegale. E nel giorno in cui oltre a Giglio finiscono in carcere anche il consigliere regionale calabrese, Francesco Morelli, l’avvocato del foro di Palmi (Reggio Calabria) ma con uffici tra Milano e Como, Vincenzo Minasi, il maresciallo capo della Guardia di finanza, Luigi Mongelli, e nel giorno in cui c’è un secondo magistrato, Giancarlo Giusti di Palmi, divenuto ormai già celeberrimo per l’intercettazione in cui arriva a confessare al presunto boss Giulio Lampada di come nella vita lui ‘avrebbe dovuto fare il mafioso’; ecco è questo lo scenario che inevitabilmente porta a pensare che forse mai come adesso si è accesa la luce su questa zona d’ombra che da sempre governa con la ‘ndrangheta la vita e gli affari della regione calabrese.
Da anni siamo abituati praticamente a tutto. Un politico calabrese indagato per fatti di mafia non fa più notizia, anche sul mercato dell’informazione è diventato ormai un prodotto scadente. Quando però ad essere colpiti sono i magistrati tutti, di colpo, ci si scopre impreparati alla enormità della notizia, indifesi e frastornati.
Ebbene da calabrese spero di avere ancora a lungo la capacità di stupirmi di fronte a notizie di questo tipo. Anche se forse indagini come questa, che vanno dritte al cuore della classe dirigente con lo scopo di far luce su questo crepuscolo fatto di collusione e connivenza, riescono involontariamente ad ottenere il risultato di annerire ancor di più gli orizzonti del resto di una società civile che classe dirigente non è. E che a queste condizioni non vorrà mai divenire, continuando cosi a schivare le responsabilità che dovrebbe invece assumere.
Marco Tripepi

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