Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

_________________

Scorrendo questa pagina o cliccando un qualunque suo elemento acconsenti all'uso dei cookie presenti nel sito.



30 maggio 2013

Inviati al fronte

Avvenimenti simili, storie simili negli stessi luoghi. La Libia oramai post-rivoluzione, ancora e chissà per quanto tempo in trasformazione, dal vecchio regime, condannato da molti ma combattuto veramente solo ora, alle nuove speranze, con tutte le possibili contraddizioni e possibilità presenti in quella che è stata a tutti gli effetti una guerra civile. Questo l’estratto dell’esperienza dei due fotoreporter  Stefano Citati e  Fabio Bucciarelli impegnati nella descrizione dei mutamenti in corso di svolgimento in un mondo non così lontano dal nostro.
Citati e Bucciarelli vivono sulla loro pelle gli avvenimenti del conflitto a noi più vicino dai tempi della guerra nei Balcani degli anni ’90, rendendoci partecipi delle loro vicende, vivendo, in certi frangenti, alla giornata. Descrivono le collaborazioni e gli incontri tra colleghi di altre nazioni, gli spostamenti da e verso la linea del fronte, attraverso confini, incrociando le storie degli Shabab, i combattenti ribelli opposti alle milizie governative, vivendo il loro modo di combattere e dovendosi talvolta affidare a quella che resta ancora l’arma migliore di chi fa il loro mestiere, l’istinto affinato nel corso delle loro esperienze in giro per il mondo.
Vicende simili ma uguali, mai pienamente confrontabili. La Libia appunto, uno dei teatri mondiali in cui le conseguenze della ormai celebre primavera araba scoppiata nel 2010 in Tunisia si sono fatte sentire in modo magari non così dissimile, almeno nella forma, da altri scenari, come in Egitto o ancora oggi in Siria, ma a noi comunque legato anche e soprattutto da un punto di vista storico e geografico più o meno recente.
Nelle loro descrizioni, i due autori evidenziano anche le loro incertezze, i timori legati alle loro vicende e ancora emerge la consapevolezza che, nel mondo moderno, l’attenzione può mutare in breve tempo. Uno scenario caldo e appetibile fino a pochi giorni prima, non sembra più così interessante, fino a che non si riaccende l’interesse per un fatto eclatante, sensazionale e tragico allo stesso tempo. Ecco che allora la ricerca dello scoop dell’ultima parte del libro diventa motivo di rinnovato interesse, specie per chi si ritrova estraneo a quelle vicende; per alcuni diventa più di una semplice notizia, è un fatto di storia vissuto con consapevolezza, per altri è un traguardo, mentre per altri ancora diventa una notizia da ridistribuire, proveniente da uno scenario che stava perdendo a poco a poco visibilità.
Davide Baino
  

Fabio Bucciarelli - Stefano Citati
L’odore della guerra. Inviati al fronte
Prefazione di Mimmo Càndito
Roma, Aliberti, 2012, 165 pp.
Aliberti editore S.L. Roma


____

29 maggio 2013

Rodotà a Palazzo Ducale

Si è conclusa con un lungo applauso e una serie di interessanti questioni la tanto attesa conferenza del nostro “mancato” presidente Stefano Rodotà, ospite ieri 28 Maggio al Palazzo Ducale di Genova.
Inserito in un più ampio programma che dal 21 Maggio al 18 Giugno ospiterà interventi di diversi Professori sul tema “Cittadinanza sostantivo plurale”, quello di ieri è stato un incontro nel quale il tema della cittadinanza è stato affrontato sotto molteplici aspetti, sottolineandone i confini sempre più labili e dinamici, e i nuovi diritti e i nuovi beni che tale termine implica.
Uno dei temi sui quali vorrei soffermarmi è la forte importanza che Rodotà ha dato al binomio “cittadinanza e politica” e alle interazioni tra esse grazie alla rete. “Le rete non può più essere considerata un mondo estraneo al nostro essere cittadini”, sostiene Rodotà, le piattaforme digitali hanno profondamente modificato il modo di interazione tra i cittadini, e di conseguenza hanno modificato le opportunità di fare politica. Mentre fino a qualche anno fa solo i sindacati, i grandi partiti o le manifestazioni religiose erano in grado di spostare grandi masse, oggi abbiamo imponenti esempi di come soltanto l’essere presente in rete, possa mobilitare cittadini di tutta Italia (e non solo) affinché si partecipi ad eventi più svariati.
Il concetto di cittadinanza partecipativa attraverso la rete, si fonde con quello di democrazia partecipata, generando una vera democrazia di rete.
La democrazia partecipata non deve tuttavia opporsi a quella rappresentativa, ma entrambe devono essere viste come due facce della stessa medaglia, il cui rapporto deve essere di interazione e vitalizzazione reciproca affinché l’uno diventi espressione dell’altro.
Rodotà conclude l’ argomento sottolineando che non si possono chiudere gli occhi sul modo in cui la realtà sta cambiando, “non si può non considerare quanto cittadinanza, diritto, partecipazione politica, rete, stringano tra loro relazioni intense”.
Solo da una buona, funzionale e serena cittadinanza politica, può determinare una serena e produttiva cittadinanza privata e personale.
Ilaria Vitiello


 
_____

 

28 maggio 2013

Talking to the trees

Viaggio tra gli orrori e le speranze della Cambogia

Chi non è mai stato in Cambogia non sa, non può immaginare, quel che i bambini di questo paese riescono a raccontare solo con gli occhi, senza parlare. Da qualche giorno tuttavia un'occasione per scoprirlo esiste, e si chiama Talking to the trees (Parlando con gli alberi). L’iniziativa nasce dall'idea di due registi Italiani, Ilaria Borrelli e Guido Freddi, che hanno realizzato un lungometraggio a sostegno dell’ECPAT, una onlus che collabora con le ONG di Phnom Penh con lo scopo di prevenire e contrastare la prostituzione minorile. L'anteprima del film la si è potuta vedere a Roma sabato 26 maggio, mentre le altre città in cui sarà proiettato sono Torino (30 maggio), Genova (31 maggio), Abbiate Grasso (1 giugno) e Milano (2 giugno). In alternativa è possibile accedervi in streaming sul sito www.talkingtothetrees.com.
Grazie a questo progetto ognuno di noi si calerà, per un'ora e mezza, nella tragica realtà cambogiana, poco conosciuta dal mondo occidentale, ma che vale la pena approfondire.
Nel mondo milioni di bambini sono ogni giorno vittime dello sfruttamento sessuale. La Cambogia è uno dei paesi in cui questa brutalità costituisce la fonte di maggior profitto per le organizzazioni criminali e talvolta, anche se è difficile da accettare, per le famiglie disperate da dove provengono i piccoli.
Il film racconta la storia  di Mia, una giovane donna in carriera italiana ma che vive a Parigi, la quale, stanca  della superficialità  dell'ambiente che la circonda, decide di partire per la  Cambogia, dove lavora il marito. Quello che le si prospetta davanti ha dell’incredibile. Mia scopre con sgomento che  il compagno è di fatto un turista sessuale che trascorre intere giornate all’interno di raccapriccianti bordelli. L’obbiettivo di Mia,  sempre più sconvolta e disorientata dalla scoperta, diventa quindi quello di strappare tre bambini dal loro tragico destino.
Talking to the trees non è soltanto un  film di denuncia,   ma un vero e proprio atto di coraggio, non solo di chi lo ha realizzato e prodotto,  ma anche, per certi versi,  dello spettatore. I contenuti sono indubitabilmente forti, le scene crude, laceranti, difficili da sostenere,   e provocano rabbia e impotenza allo stesso tempo. Il tema,  già di per sé molto delicato, è reso ancora più straziante dalle immagini che scorrono inesorabili. Verrebbe da fermarle,  distaccarsene, dimenticarle magari, ma non si può,  non si deve, occorre  prenderne coscienza fino in fondo, senza alibi o difese. Dalla visione di questo lungometraggio se ne esce turbati, se ancora non ce ne fosse bisogno, si acquisisce la consapevolezza che i mostri non esistono soltanto nelle favole e non sono neppure così lontani da noi.  Ho vissuto per un certo periodo di tempo in Cambogia,  ho visto  bambini  che felici si tenevano la mano per andare a scuola, altri costretti dai genitori a lavorare o chiedere l’elemosina.  Sono tanti i lati oscuri e le contraddizioni di questo bellissimo e tragico paese. Perfino il paesaggio rispecchia questa ambivalenza,  ci si imbatte  in cittadine formate solo da lussuosi resort  per turisti, e poi, quasi  di colpo,  ci si addentra in  villaggi di paglia e fango senza acqua ne corrente elettrica. Eppure i cambogiani non hanno dimenticato il sorriso. Nonostante tutte le difficoltà, i soprusi e l’ancora tangibile devastazione portata dalla guerra civile, la voglia di vivere e  ricominciare è enorme; l'accoglienza, la semplicità,  la verità di questo popolo, disarmante.  Ma risollevarsi è difficile, la corruzione del governo logora il paese, la criminalità lo terrorizza, la povertà lo soffoca. Talking to the trees riesce a descriverne, con forza inaudita e realismo, il lato più buio, crudele, inaccettabile. Ma oltre a tutte queste orribili ingiustizie,  l’emozione che questo splendido film lascia nell'animo è la speranza, sì,  un briciolo di speranza, la stessa che i bambini cambogiani raccontano solo con gli occhi, senza parlare.
Camilla Licalzi

 

www.talkingtothetrees.it

_____

24 maggio 2013

I rischi della comunicazione internazionale

Molteplici sono i rilievi da cui il lettore del saggio Comunicazione e politica internazionale, a cura di Emilio Diodato, può muovere verso considerazioni proprie, tuttavia pare opportuno rilevare l’interesse che riveste per i cultori del rapporto tra autorità di governo e sistema dell’informazione in ambito internazionale. In specie dalla complessiva lettura si avverte una crisi irreversibile dell’informazione intesa come fattore di riflessione per il destinatario.
Già dall’antichità classica Aristotele pone in evidenza il fondamento “costruttivista” di ogni trasmissione di un messaggio tra le parti di un discorso. In sostanza il contenuto della comunicazione costruisce l’interpretazione della realtà oggetto della stessa. Tale approccio sembra, oggi, portato alle sue estreme conseguenze. L’opinione pubblica assurge ad elemento centrale delle relazioni politiche, internazionali ed interne, a seguito della diffusione dei mezzi di comunicazione di massa. In questo contesto rileva osservare che la risposta delle autorità di governo alla pervasività dei mezzi di comunicazione nel processo di formazione dei temi propri della società degli stati consiste nel news management. Questo si distingue sia dalla propaganda sia dalla censura. Si esplica in una condotta tesa non a ridurre l’ampiezza dell’informazione, ma, al contrario, in una serie di attività preordinate ad offrire ai canali di trasmissione una rappresentazione dei fatti conforme all’immagine che più risulta idonea all’obiettivo prefissato. All’uopo si organizzano conferenze stampa, briefing, l’embedding dei corrispondenti e così via.
Ora, è chiaro che l’informazione che gli organi esecutivi responsabili delle politiche internazionali ritengono di veicolare si atteggi sempre più quale prodotto da inserire nel mercato della comunicazione pubblica. La notizia assume la forma del pacchetto in sé concluso e destinato ad essere recepito passivamente dal pubblico di volta in volta interessato.
Tanto trova conferma, dal punto di vista delle fonti giornalistiche, nel criterio di notiziabilità che si impone quale filtro per l’accesso di un fatto al circuito di diffusione delle circostanze potenzialmente di interesse. Per la redazione giornalistica appare essenziale che un potenziale oggetto di comunicazione abbia specifiche caratteristiche ovvero, facile classificabilità con conseguente immediatezza narrativa ed inseribilità in una trasmissione di contenuti pianificata. Si aggiunga, inoltre, l’ulteriore fattore dipendente dalla relazionabilità della notizia alle altre. Si comprende, quindi, come lo stesso sistema della comunicazione possa essere suscettibile di accondiscendenza verso l’insidioso fenomeno del news management, vale a dire del prodotto informativo.
Ne discende un duplice fattore di crisi della comunicazione. Innanzitutto, emerge il rischio che fenomeni manipolativi diventino la prassi normale dei rapporti tra potere politico e mezzi di comunicazione, con serio pregiudizio per i destinatari finali della trasmissione, i quali vedono inconsapevolmente comprimersi il diritto ad una informazione, per quanto possibile, trasparente.
Si ravvede, tuttavia, un pericolo ancora maggiore. Il prodotto informativo, proprio perché teso ad accreditare una lettura e quindi in sé compiuto, presuppone un pubblico sempre più passivo, che riceve i pacchetti informativi di volta in volta necessari a giustificare una contingenza politica. Ne consegue che l’informazione sarà sempre meno orientata a dare un significato, un senso alla vita collettiva, con conseguente aumento del senso di smarrimento ed inoltre non assolverà alla funzione di favorire la riflessione del recipiente. In questa prospettiva assai difficilmente potrà formarsi una società ed una coscienza mondiale.
Ovviamente gli autori del testo affrontano anche la questione del ruolo e dell’incidenza dei mezzi di comunicazione nell’ambito delle relazioni internazionali e dei conflitti. Anche qui, tuttavia, a fianco del tema principale sorgono questioni inerenti l’integrità dei diritti afferenti la comunicazione.
L’avvento della comunicazione di massa, in particolar modo con la televisione ed, oggi, la rete, ha determinato un radicale mutamento dei rituali tradizionali delle diplomazie. Dei rapporti tra i soggetti della società delle nazioni, in cui peraltro si inseriscono sempre più frequentemente soggetti atipici come organizzazioni multinazionali e movimenti d’opinione, non possono conoscere solamente i protagonisti diretti, ovvero i governanti ed i diplomatici, ma deve darsene conto anche all’opinione pubblica. In questo senso sembra cambiare il ruolo degli organi di stampa.  Nel saggio, ovviamente si parla di media diplomacy, vale a dire la capacità concessa dai mezzi di comunicazione, ed in specie la televisione, di funzionare da mezzo di contatto tra l’esecutivo di un paese e la popolazione di un altro, cui il primo si rivolge direttamente per influenzarla.
Interessa qui, tuttavia, un altro aspetto che si evince dalla lettura del testo in questione. L’azione dei mezzi di comunicazione si identifica frequentemente con iniziative di agenda setting e di consent manufacturing effettuate in virtù di obiettivi propri degli stessi organi di comunicazione. Si sta modificando, in sostanza il rapporto tra la stampa ed il potere. I mezzi di comunicazione sempre meno agiscono quali sentinelle del potere politico. Per converso sembrano eseguire campagne di informazione dirette ad esercitare un influenza sul potere stesso. Il rapporto tra governi e mezzi di informazione, quindi, prende la forma di una lotta di potere tra soggetti di potere, in cui la pubblica opinione altro non è che il terreno di battaglia e non il beneficiario dell’attività informativa.
Vi è il rischio che le libertà, ormai ritenute consolidate, di espressione del pensiero e della libertà di stampa, che della prima è specificazione, siano così tradite perché piegate a fini che non collimano con l’originario spirito che ne ha determinato l’insorgenza. I media avvalendosi di tale facoltà concessa da tutti gli ordinamenti occidentali e facendosi scudo di essa, si tramutano essi stessi in organi di potere che stabiliscono e cercano di stabilire i temi fondamentali ed il ritmo delle relazioni internazionali e della vita politica. Si tratta di una questione di particolare delicatezza nell’attuale contesto internazionale che vede una contrapposizione proprio sul punto della libertà di pensiero, in particolare verso l’area di religione musulmana: diventa difficile far passare tale messaggio quando il nostro stesso modello di società tradisce i valori che cerca di accreditare presso altre culture.
Sono, questi, solo alcuni temi che sono apparsi emergere, anche indirettamente, dalla lettura del saggio in questione e che pare opportuno sottoporre all’attenzione del lettore per evidenziare la varietà di argomenti che possono trarsi da tale significativa lettura.
Corrado Grasso

Comunicazione e Politica Internazionale
 a cura di Emilio Diodato
Soveria Mannelli, Rubbettino Editore, 2004, pp. 163.

23 maggio 2013

Tra libri ed e-book

Robin Sloan 
Il segreto della libreria sempre aperta
Milano,  Corbaccio, 2013, 300 pp.
Descrizione
 «Irresistibile.» Newsweek «Fantastico: è un piacere tuffarsi nel mondo creato da Sloan. Il libro è pieno di nerd e di personaggi splendidi, ed è una celebrazione dei libri siano essi di carta o di inchiostro elettronico…» Wired «Una storia spiritosa, intelligente e particolarissima scritta con il cuore.» The Economist «Un’avventura surreale, una detective story esistenziale e un armadio delle meraviglie che ti lascia senza fiato.» Newsday «Uno dei libri più intelligenti e divertenti di questi ultimi anni..» NPR Books La crisi ha centrifugato Clay Jannon fuori dalla sua vita di rampante web designer di San Francisco, e la sua innata curiosità, la sua abilità ad arrampicarsi come una scimmia su per le scale, nonché una fortuita coincidenza l’hanno fatto atterrare sulla soglia di una strana libreria, dove viene immediatamente assunto per il turno... di notte. Ma dopo pochi giorni di lavoro, Clay si rende conto che la libreria è assai più bizzarra di quanto non gli fosse sembrato all’inizio. I clienti sono pochi, ma tornano in continuazione e soprattutto non comprano mai nulla: si limitano a consultare e prendere in prestito antichi volumi collocati su scaffali quasi irraggiungibili. È evidente che il negozio è solo una copertura per qualche attività misteriosa... Clay si butta a capofitto nell’analisi degli strani comportamenti degli avventori e coinvolge in questa ricerca tutti i suoi amici più o meno nerd, più o meno di successo, fra cui una bellissima ragazza, geniaccio di Google... E quando alla fine si decide a confidarsi con il proprietario della libreria, il signor Penumbra, scoprirà che il mistero va ben oltre i confini angusti del negozio in cui lavora... Fra secolari codici misteriosi, società segrete, pergamene antiche e motori di ricerca, con intelligenza, ritmo e umorismo, Robin Sloan ha cesellato un romanzo d’amore e d’avventura sui libri per i lettori.
 
____ 

22 maggio 2013

Censura e controllo in Cina, un paese a distanza di… click

Emma Lupano è una giornalista professionista che ha avuto l'onore di ricevere il Premio internazionale "Maria Grazia Cutuli" per la sua tesi di dottorato sui giornalisti freelance cinesi. In questa pubblicazione dimostra tutte le sue abilità, tentando e riuscendo a rappresentare il mondo dell'informazione cinese, arricchendo di dettagli reali una storia che, paradossalmente, sembra appartenere più al genere fantasy per l'incredibile diversità di metodo, contenuti e stile con i mass media presenti sul territorio italiano.
Ho servito il popolo cinese è un vero e proprio viaggio nelle attuali redazioni cinesi, integrato da un riepilogo sulla storia del giornalismo orientale: il fascino dell'argomento, unito allo stile fluido e discorsivo, rendono la lettura piacevole a chiunque sia interessato ad aprire i propri orizzonti verso un mondo tanto lontano quanto sconosciuto ai più. Per apprezzarlo compiutamente non serve una preparazione particolare, né dal punto di vista storico né da quello giornalistico, ed è proprio questa facilità di lettura che colpisce il lettore nel cuore, poiché i temi trattati sono, invece, a dir poco scottanti.
Si spazia, infatti, dalla presunta apertura ideologica risalente al periodo post-Mao al fenomeno Internet, passando per la televisione e il giornalismo investigativo: in questo libro sono confermate in pieno le sensazioni che chiunque, dall'esterno, ha della Cina. Ossia un mondo completamente chiuso in se stesso, a causa di un regime che fa della censura e del controllo dell'opinione pubblica il cardine essenziale della propria politica. Grazie allo sforzo intellettuale e letterario dell'autrice di Ho servito il popolo cinese questa scatola viene leggermente aperta e mostrata ai lettori italiani, permettendo loro di entrare nella redazione del "Quotidiano del popolo" di Pechino, foglio ufficiale del Partito Comunista Cinese (PCC), come nessun nostro connazionale è mai riuscito a fare.
Metodo, stile e rapporti umani: tutto è sviscerato nei limiti del possibile, poiché nemmeno una vera redattrice cinese è a conoscenza di ciò che avviene nelle "riunioni" di redazione, figuriamoci un'italiana. Eppure ne esce comunque una mappa dettagliata delle testate principali presenti sul territorio cinese: da quelle commerciali ai giornali di (anzi, del) partito, passando per le agenzie di stampa o le televisioni. Un viaggio affascinante nei meccanismi di formazione e controllo dei processi di comunicazione della seconda potenza mondiale, in cui i cittadini sono quotidianamente sorvegliati da 40.000 informatici, che ogni giorno controllano la rete internet, filtrando commenti e combattendo possibili dissidenti del regime comunista. La mente umana non sempre è manipolabile, però, e allora ogni giorno nascono artifici per aggirare la censura. Un esempio? Prima di leggere questo libro ignoravo che in Cina esistesse il 35 maggio, un modo come un altro per riferirsi agli avvenimenti del 4 giugno 1989 senza essere oscurati.
Questo mondo così lontano, però, nel XXI secolo è più che mai vicino, anche se ci sono dei limiti da non oltrepassare. "Servire il popolo - cinese, ndr - va bene, ma solo a tempo determinato. Credo però che per un giornalista ci sia anche un altro modo di servire il popolo cinese, facendo allo stesso tempo un piacere a noi: tentare di andare oltre i luoghi comuni e le semplificazioni sulla Cina che spesso riempiono i nostri giornali e i nostri talk show".
Alessandro Lelli


Emma Lupano
Ho servito il popolo cinese. Media e potere nella Cina di oggi
Milano, Brioschi editore, 2012, p. 174.

____



21 maggio 2013

Gianni Mura e il giornalismo 2.0

«Spero di non sapere mai cos'è il live tweeting»: è questo l'esordio di Gianni Mura all'incontro Giornali maiali”tenuto al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia lo scorso 25 aprile. Il celebre giornalista sportivo, che ha lavorato per La Repubblica, La Gazzetta dello Sport, Il Corriere di Informazione, Epoca e L'Occhio, ha esposto il suo punto di vista sullo stato attuale del giornalismo in uno scambio di battute con l'attuale condirettore di repubblica.it, Giuseppe Smorto. Quello che ne è derivato è stato lo specchio di due generazioni e due modi contrapposti di concepire il quinto potere. Smorto parla di social network e di fact-checking, ma Mura sfoglia il programma del festival e scuote la testa: «Mentre io ero distratto, nel giornalismo è capitato di tutto». Il suo tono è critico, ma anche fortemente ironico. Il pubblico è divertito. Lo stesso Smorto a stento riesce a trattenere le lacrime e decide di passare ad un argomento su cui Mura possa ritenersi ferrato: la rubrica Giornali maiali, tenuta dallo stesso Mura per trent'anni e in cui si esponeva la tendenza dell'opinione pubblica a colpevolizzare la stampa. Alla domanda se i giornali possano essere considerati parte della casta, segue una risposta secca: Gianni Mura si considera diffidente “da quando c'è l'informazione online”. «Non sono d'accordo, ma vai», lo incalza Smorto. E Mura prosegue: «Siamo accomunati alla casta perché l'abbiamo sorretta, pubblicizzata, tenuta in piedi anche quando cadeva da sola. La nostra colpa maggiore è quella di aver abbandonato le strade, le piazze. Ci siamo chiusi nelle redazioni sempre più desolate. […] Adesso quando metto piede in una redazione penso di aver sbagliato indirizzo». Di seguito, si passa a parlare di come sono cambiati i giornali e del ruolo attribuito ai grafici: «Hanno assunto il potere». Torna nuovamente l'umorismo e alla provocazione di Smorto su un Leopardi contemporaneo che si fosse trovato a scrivere l'Infinito per un giornale, Mura risponde che si sarebbe sentito dire: «Taglia “E il naufragar m'è dolce in questo mare”, che non ci sta [col grafico]”». Mura è ben consapevole di costituire “un vaso estrusco esposto al museo aerospaziale di Denver”, riconosce l'importanza della fotografia, della grafica e il fatto che “i new media vinceranno sempre”, ma il suo rifiuto della tecnologia è deciso. Smorto prova in tutti i modi a mostrare l'effettivo apporto positivo del progresso e di internet per il giornalismo, come la possibilità di avere a disposizione un'informazione aggiornata 24/7, ma si tratta dell'ennesimo fallimento: «La voglia di essere informati 24/7 la trovo compulsiva. Per un secolo la gente è andata a dormire alle sette con l'ultimo tg. Ora c'è davvero chi si collega alle tre del mattino per sapere cosa ha detto Mourinho? E se sì, di che gente si tratta?». Subito si crea un parallelo con l'apertura dei supermercati la domenica. «Io lo trovo giusto», controbatte Smorto. «Perché non lavori al supermercato», chiude Mura. Gianni Mura appartiene alla vecchia scuola di giornalismo ed è conscio dei cambiamenti in atto. Tuttavia, li rifiuta, sempre ben conscio di poterselo in un certo qual modo permettere: «Io non ho nessuna intenzione di misurarmi. Avendo 68 anni, posso benissimo farne a meno». Ciononostante, proprio la sua appartenenza ad un mondo di professionisti ormai quasi totalmente dimenticato può portarci a riflettere se in questo mondo in perpetuo mutamento, in cui la velocità regna sovrana, non abbiamo “perso di vista i nostri diritti, oltre che i nostri doveri”, come sottolinea lo stesso Mura.
Enrica Orru

*Link:
Festival Internazionale del Giornalismo
Gianni Mura, biografia

_____

20 maggio 2013

Fare politica insieme ai media… o senza?


Giuliano Bobba, dottore di ricerca in Scienza politica (Università di Torino) e in Science politique (Université de Rennes), presenta un’immagine colorata e molto attuale del rapporto tra giornalismo e politica in Italia e Francia. Attraverso complesse ricerche dimostrative l’autore confronta il processo di "mediatizzazione", che ha diretta dipendenza col contesto storico. Grazie a questo il lettore segue la logica dei movimenti storici prestando attenzione al loro legame con i mass media.
Secondo Bobba la stampa quotidiana è un prodotto della storia nazionale ed è inserita in un certo quadro economico, giuridico e sociale. Perciò appare interessante analizzare e confrontare la cultura giornalistica italiana e francese, quello che l’autore fa attraverso criteri precisi.
Anche il contesto politico viene chiarito in maniera abbastanza semplice e significativa. Il libro, pieno di esempi, propone al lettore di fare un passo e guardare indietro, ipotizzando di trovarsi nel 2006 in Italia e nel 2007 in Francia. Che cosa è successo allora? Come è stata organizzata la strategia dei leader della destra, Berlusconi e Sarkozy, e come a sinistra, Prodi e Royal, seguivano il loro modello di campagna elettorale?
Essendo straniera non posso non apprezzare la rappresentazione dei sistemi dei media italiano e francese dati dall’autore. In poche pagine egli riesce a delineare con chiarezza la nascita, il cambiamento e i punti di vista di tre giornali principali di ogni paese. In seguito le analisi vengono fornite anche con riferimento all’attuale situazione televisiva.
I dati statistici della televisione raccolti nelle tabelle vengono apprezzate dal lettore per trasparenza ed efficacia. Dopo aver mostrato il duopolio italiano e l’oligopolio francese, il professore ci avvicina agli esempi del loro impiego da parte dei politici nel periodo delle campagne elettorali. Le strategie di Berlusconi e Prodi vengono chiamate "quasi caricaturali": il vantaggio di visibilità del primo sui media con toni urlati, la cosiddetta "onnipresenza mediatica", si contrappone con la quasi indifferenza per i media dell’altro politico. Invece in Francia Sarkozy e Royal conquistano dimensioni di visibilità simili. I due competitors hanno un sostanziale equilibrio nell’impatto mediatico.
Nonostante tanti parametri somiglianti, i due paesi europei mostrano logiche di sviluppo del rapporto "attore politico – attore mediatico" diverse.
Il libro di Giuliano Bobba fornisce la base necessaria a ogni giornalista per poter rispondere da solo alla domanda del campo professionale: dove mettere la politica, "in vetrina" o "in ombra"? Quale direzione è meglio preferire? La scelta potrà cadere sulla "Political logic, con la sua democrazia dei partiti, i loro portavoce e il controllo delle fonti d’informazione, o invece sulla "Media logic" e la sua informazione neutra che lascia all’opinione pubblica la possibilità di avere autonomia.
 Svetlana Kiseleva
 
Giuliano Bobba
Media e politica In Italia e Francia.
Due democrazie del pubblico a confronto
Milano, Franco Angeli, 2011, 144 pp.
 
_____ 
 

14 maggio 2013

Stampa quotidiana in Albania


Il cambiamento del sistema politico in Albania viene associato con l’evoluzione e la trasformazione dei media. L’instaurazione del pluralismo politico e l’economia di mercato dopo gli anni ’90 ha portato il crollo del monopolio statale sui media. Considerando il fatto che per tutto il periodo comunista i media erano totalmente sotto il controllo del partito, i media ebbero un cambiamento radicale durante il passaggio da un sistema centralizzato a quello di libero mercato. A differenza degli altri paesi ex comunisti dove il passaggio avvenne gradualmente, in Albania avvenne in maniera radicale.
Durante il periodo 1990 fino al 1997 sparirono i giornali e le riviste controllate dallo stato comunista, fa eccezione solo “Zëri i Popullit” (La voce del popolo), che era il principale giornale del partito comunista, e il loro posto lo presero i nuovi quotidiani. Ormai la trasformazione stava prendendo una nuova via, quella della libertà di parola, fiorivano nuovi mezzi di comunicazione dove per la prima volta dopo il ’91 furono pubblicate quattro quotidiani e tre anni più tardi vide raddoppiare il numero, arrivando anno dopo anno a un aumento progressivo dei quotidiani.  Considerando il fatto che prima degli anni ’90 si pubblicavano solo due giornali: “Zëri i Popullit” (La voce del popolo), e “Bashkimi” (Unione), attualmente, riferendomi all’Union of Albanian Journalists [1] che è il sindacato dei giornalisti in Albania, sono all’incirca 22[2] i quotidiani nazionali con una diffusione di non più di 70.000 copie. Solo i quotidiani “Panorama” e Shekulli (Secolo) vendono da 15 mila fino a 25 mila copie, mentre le altre vendono solo 5 mila copie.
Con il libero mercato l’esplosione dei media ha portato una situazione un po’ caotica ovviamente colpa della legislazione che ha lasciato molti spazi a questo disordine nel mercato dei media. Secondo uno studio fatto da Mark Marku sui media, una delle caratteristiche principale del mercato dei media albanese è la mancanza di trasparenza finanziaria. I media privati quando entrano nel mercato  non dichiarano i loro investimenti. Questo causa problemi nel mercato perché entrano in scena grandi imprenditori da altri campi cambiando così il panorama dei media. Quindi i giornali di questi imprenditori, che entrano nel mercato con grossi investimenti, sono più diffusi nel paese[3], e anche se hanno perdite nel costo dello stampo del giornale recuperano con altri guadagni provenienti da altri business.
Freedom House ha segnalato che l’Albania è parzialmente libera classificandola al 96° posto (The 2013 World Press Freedom Index). Fatto sta che la risorsa primaria di sopravvivenza dei media albanesi, giornali e Tv, sono il guadagni che traggono dalle pubblicità, spesso diventano dipendenti di quest’ultima che poi diventa la chiave per distinguere i colori della bandiera che portano. Poiché il governo dispone di un budget pubblicitario per tutti i suoi ministeri la maggior parte dei soldi viene data ai media filo-governativi, quelli che hanno appoggiato la linea del governo, scatenando l’ira dei media di opposizione.
Eduart  Lleshaj


[1] Union of Albanian Journalists, http://unioni-gazetareve.com/shtypi.html
[2] ABC, Albania, Balli i Kombit, Gazeta 55, Gazeta Ballkan, Gazeta Shqiptare, Gazeta Start, Integrimi, Koha Jone, Korrieri, Metropol, Panorama, Rilindja Demokratike, Shekulli, Shqip, Sot, Sot, Sporti Shqiptar, Tema, Tirana Observer, Tirana Times, Zeri i Popullit.
[3] http://al.ejo-online.eu/293/ekonomia-e-medias/mediat-shqiptare-dhe-specifikat-e-tregut-lokal
____

13 maggio 2013

Dove osano le idee


Manifestazione culturale di fama internazionale, il Salone Internazionale del libro di Torino, giunto alla sua XXVI edizione, tornerà dal 16 al 20 maggio. L’edizione 2013, dal titolo  Dove osano le idee, affronta la tematica della creatività e della cultura del progetto, intendendo sollecitare la riflessione su un aspetto che l’Italia ha trascurato, proponendosi come una sorta di laboratorio per offrire ai giovani indicazioni concrete sul "come fare" e "dove andare" per portare avanti i propri progetti innovativi nel campo dell’arte, della scienza, della letteratura. Una scelta coraggiosa per dimostrare che il pensiero creativo, in tutte le sue sfaccettature, è la leva su cui bisogna puntare per uscire dalla difficile situazione in cui si trovano l’Europa e il nostro Paese.
Ospite d’onore sarà il Paese di Pablo Neruda, Il Cile, la cui letteratura è conosciuta in tutto il mondo grazie a nomi di culto quali Isabel Allende, Roberto Bolano, Louis Sepùlveda, Antonio Skarmeta, Marcela Serrano, Francisco Coloane e Alejandro Jodorowsky.
Inoltre quest’anno cade il centocinquantesimo anniversario della nascita di Gabriele D’Annunzio, a cui il Salone, insieme Alla fondazione " Il Vittoriale degli Italiani", renderà omaggio con diversi eventi ed incontri che intendono approfondire la sua poliedrica figura.
Non bisogna però dimenticare la partecipazione di tre case editrici liguri: il Canneto, Sagep Editori, Il Piviere, che porteranno a Torino alcune delle loro pubblicazioni per raccontare l’eccellenza della nostra regione tra arte, turismo, cookbook, natura e letteratura.
Una manifestazione di grande richiamo per esperti e appassionati che vedrà un susseguirsi di dibattiti, incontri con grandi ospiti, conversazioni che varieranno dalla letteratura al cinema, dalle scienze alle nuove sfide dell’editoria e del giornalismo digitale, dall’arte alla filosofia, insomma, un appuntamento da non perdere.
Giulia Di Re

*link al sito del Salone Internazionale del libro
http://www.salonelibro.it/


 

12 maggio 2013

Viaggi nel Cyberspazio tra rischi e opportunità


Antonio Teti, autore de Il potere delle informazioni, edito presso il Gruppo24ore, è responsabile del supporto tecnico informatico della Direzione Generale dell’Università G. D’Annunzio di Chieti-Pescara e docente di Cyberspace Sciences presso la Facoltà di Psicologia dell’Università di Chieti.
Sin dai primi sistemi di scrittura, l’informazione ha sempre rivestito un ruolo fondamentale nella storia dell’essere umano, sin dalla sua comparsa. Le scoperte scientifiche, l’arte, la cultura, le grandi opere, le guerre e le rivoluzioni di ogni epoca, sono state tutte caratterizzate, nel bene e nel male, dalla comunicazione, straordinario elemento di influenza. La comunicazione rappresenta il vettore della storia dell’uomo, che lo ha accompagnato e condizionato nelle sue scelte. Sono stati soprattutto i giornali, la radio, la televisione e i new media ad incrementare, nel corso di decenni, il valore dell’utilizzo delle informazioni. Internet e le sue molteplici applicazioni hanno poi consacrato in maniera definitiva il passaggio dal mondo dell’informazione a quello che Teti chiama il nuovo “modello di produzione della conoscenza”, in cui il potere di informare, che prima era concentrato nelle mani delle potenze economiche e politiche, è diventato patrimonio di tutti.
 Il volume, lungo le sue 286 pagine, accompagna il lettore in un interessante viaggio in questo nuovo mondo, il mondo del Cyberspazio, passando tra hacker, cracker, attivisti, idealisti e cavalieri, Teti riesce a cogliere in pieno quelli che sono gli interessi geopolitici, politici e globali messi in gioco dall’avvento della Web Age.
La lettura è vivamente consigliata a chi è appassionato di Web, di psicologia della comunicazione, di geopolitica e di intelligence internazionale. L’analisi estremamente ricca e documentata apre gli occhi sul futuro, un futuro che in realtà è già presente, portando alla riflessione sul tema già affrontato da G. Orwell in 1984: tutto quello che postiamo sui social network e sui blog, le foto, le immagini o i filmati che carichiamo su Youtube o altri software viene fagocitato da questo nuovo e estremamente più potente Grande Fratello, che è la rete Web.
Grazie alla ricchezza di citazioni e riferimenti l’autore permette di apprendere in un colpo solo che in Rete (si intende Facebook e simili), meno si mette, meglio è.
Inoltre risulta chiaro come l’ecosistema digitale, specie per i cosiddetti “nativi digitali”, possa diventare il principale teatro tattico-strategico di scontro in un’ipotetica “guerra cibernetica” e nello stesso tempo il “terreno” di conquista” per l’affermazione delle nuove supremazie geopolitiche.
 Il professor Teti sostiene che il cyberspazio rappresenta uno strumento di informazione e comunicazione di una potenza straordinaria, libertà assoluta e democrazia, ma se male utilizzato è in grado di produrre danni incalcolabili. Proprio per questo viene sottolineata l’importanza di uno studio attento di tutti i risvolti e le implicazioni tecnologiche, sociologiche, psicologiche, politologiche e filosofiche che la rete attualmente presenta e presenterà sempre di più.
Giulia Di Re
 
 
Antonio Teti
Il potere delle informazioni.
Comunicazione globale, Cyberspazio, Intelligence della conoscenza
Milano, Gruppo24ore, 2012, p.286.
 
____
 


08 maggio 2013

Inchieste nella dorata distopia tedesca

 

Chiunque volesse andare oltre l’ormai stereotipica visione della Germania “locomotiva d’Europa”, dei conti pubblici in regola (3200 miliardi di dollari di PIL che crescono del 3% l’anno), dei redditizi affari con i mercati emergenti, dei rendimenti decennali dei Bund divenuti il terrore per ogni altro titolo di stato europeo e dell’enorme influenza di Berlino sulla BCE e sulle sorti dei governi indebitati e inadempienti, insomma, chiunque sia interessato a sapere cosa ci sia dietro tutta questa magnificenza in salsa teutonica, potrà soddisfacentemente placare la propria curiosità leggendo Notizie dal migliore dei mondi. Una faccia sotto copertura.
Edito in Italia da L’orma (Roma, ottobre 2012) per la tagliente collana Kreuzville, è la raccolta di cinque reportage d’inchiesta di un vero specialista del travestimento, il camaleontico Günter Wallraff, giornalista tedesco già noto dagli anni ’80 al pubblico internazionale per aver raccontato, con il libro Faccia da turco, la sua esperienza da “infiltrato speciale” nell’inferno degli immigrati in Germania durante il boom economico.
Alla soglia dei settant’anni, lo ritroviamo qui dipinto di nero nei panni del tedesco-africano, in fila per un posto letto in un centro di accoglienza nelle consunte vesti di un senzatetto, sbarbato e tirato a lucido a impersonare un dinamico quarantanovenne nell’angusta postazione di un frenetico call-center. Sul volto tante maschere diverse celano gli stessi occhi penetranti, pronti a documentare le condizioni di vita, di lavoro, di degenza e di disperazione di chi, nel grande teatro germanico, già del socialdemocratico Shröder e oggi della cristiano-democratica Angela Merkel, si ritrova, suo malgrado, a recitare la parte dell’ultima ruota di un pur maestoso carro.
Quello che nell’immaginario comune viene rappresentato come “il migliore dei mondi”, visto e vissuto in prima persona da una prospettiva interna, scrutando tra le fronde di una società profondamente stratificata e ricca di contraddizioni, appare, in alcuni dei suoi variegati contesti, ancora intriso di pregiudizi, di intolleranza e di sentimenti razzisti; si rivela indifferente, quando non indolente e cinico, nei confronti degli “ultimi”, come i vagabondi, gli emarginati e i tossicodipendenti; si mostra avido, spietato e meschino nello speculare sul lavoro alienante dei telefonisti dei call-center; infine, si scopre insensibile, disumano e un po’ criminale nel relegare a una follia indotta, magari legato a un letto di una clinica psichiatrica, chi non riesce a reggere psicologicamente a un ritmo di vita forsennato, che trasforma l’uomo in un pescecane sempre alla ricerca di pesci più piccoli da sbranare.
Personaggio tanto amato quanto temuto in patria, Wallraff si cala, con la maestria dell’attore navigato e con il consueto “fegato”, nelle spire meno note della galoppante Federazione, portando l’occhio del lettore là dove l’impietosa realtà è tale solo per chi vi è invischiato quotidianamente, mentre per gli altri esiste solo in quanto “sentito dire” sconveniente, che si preferisce ignorare per mai averci a che fare
Fingendosi un “negro”, un “barbone” o un disoccupato di lungo corso, il giornalista tedesco intende abbattere la sorridente barriera di apparenza dietro la quale, chi è dinanzi a un esponente della stampa, inevitabilmente si trincera, per dare di sé agli altri solo l’immagine migliore. Ne risulta una lettura intrigante, in cui le molte scene descritte si susseguono a un ritmo sostenuto, tipico del film-documentario.
Ascoltando le tristi storie delle vittime di una società sempre più sfilacciata perché prona alle impietose esigenze del libero mercato, Wallraff vuole documentare quegli habitat lavorativi che meglio esemplificano il trionfo della competitività, dell’alienazione, della lotta tra poveri, ma soprattutto dell’imbarbarimento etico che una crudele politica aziendale produce nei sottopagati dipendenti. È il caso delle scuole di formazione per l’alta cucina e dei famigerati call-center in cui centinaia di “polli in batteria” cercano, gomito a gomito, di abbindolare il prossimo, in un’ambientazione che non poco ricorda le scene dell’huxleyano Brave New World, dal quale l’autore trae infatti l’ispirazione per il titolo originale del suo libro, Aus der shöenen neuen Welt (letteralmente, “Il bel mondo nuovo”).
Dare voce a chi non ha voce. Sbattere a tutti in faccia una realtà cruda e ostica da digerire. Annullare ogni giorno se stessi e la propria indignazione per continuare a rendere conto, sotto mentite spoglie, di quelle identità silenziose o inascoltate che con le loro umiliazioni sul posto di lavoro, con i loro geloni raggomitolati dentro un sudicio sacco a pelo, con le loro paghe da fame e con le loro sindromi da burnout, compongono ampie fasce del tessuto sociale tedesco: questo è il modo da tempo scelto da Wallraff per contribuire al cambiamento della sua nazione.
Günter Walraff accende la luce su alcune zone d’ombra di una Germania dai mille volti, tante quante sono le maschere del “camaleonte del reportage” che, insieme ai microfoni nascosti, indossa una maschera per smascherare il vero volto di uno stato che, nella corsa al primato economico, al taglio del debito pubblico e alla lotta alla crisi dei mercati internazionali, non si fa scrupoli a sacrificare il welfare state, l’equità sociale e la dignità dei propri cittadini.
Un pugno nello stomaco alla coscienza. Un inno alla solidarietà che fa riflettere tutto l’Occidente.
Alessandro Pucci


Günter Wallraff
Notizie dal migliore dei mondi. Una faccia sotto copertura
Roma, L’orma editore, 2012, 312 pp.


____

 

07 maggio 2013

Giovani giornalisti: incontro con Matteo Agnoletto


In occasione del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, lo scorso 25 aprile si è tenuto un panel discussion dal titolo “Fact-checking all'italiana”. Tale incontro, che si è per l'appunto focalizzato su diversi progetti made in Italy di verifica delle dichiarazioni rilasciate dai politici, ha visto tra gli speaker Matteo Agnoletto. Agnoletto, laureando in Informazione ed Editoria presso l'Università degli Studi di Genova, è il fondatore del Politicometro, “strumento che misura il grado di veridicità delle dichiarazioni dei politici”, come si evince dalla descrizione presente sul sito della testata.
Matteo ha poco più di vent'anni, sta per concludere il tradizionale ciclo quinquennale universitario e negli stessi cinque anni è entrato ed è cresciuto all'interno del mondo del giornalismo. È per questo che ho reputato opportuno e significativo porgli alcune domande per conoscere e comprendere le idee, i progetti e la determinazione di un ragazzo in cui gli iscritti al corso di Informazione ed Editoria e non solo possano rispecchiarsi.
Fondatore e direttore di politicometro.it, laureando in InfoEd, nel mondo del giornalismo da cinque anni e ne hai solo 23. Quando e come sei entrato nel mondo del giornalismo?
Ho iniziato subito dopo la maturità scientifica inviando mail a tutte le redazioni di Genova. Gli unici a richiamarmi furono quelli di Minigoal, settimanale sul calcio giovanile e dilettantistico, nel novembre 2008. A gennaio 2009 lavoro per il Corriere Mercantile: fino a luglio come collaboratore e da settembre a luglio 2010 come coordinatore in redazione. Ad agosto 2010 passo alla redazione genovese del Giornale come collaboratore in cronaca, ruolo che conservo fino a marzo 2013. A gennaio 2012 nasce l'idea Politicometro, concretizzata con la messa online il 15 marzo.
Sul sito politicometro.it ho letto che l'idea è nata durante una lezione di Storia del Giornalismo. Quale ruolo ha giocato e quale ruolo giocherà la magistrale genovese sia a livello ispirazionale che sul piano pratico, del tuo percorso lavorativo?
Sul piano ispirazionale la laurea magistrale ha fatto molto, visto che mi ha dato l'input proprio durante una lezione con ospite Raffaele Mastrolonardo. Un altro aspetto importante è la frequenza alle lezioni e il seguire gli incontri proposti dal corso: spesso un'idea o un contatto possono nascere proprio in queste occasioni. A livello pratico, invece, devo confessare che non credo che questo corso di laurea basti di per sé: tutte le nozioni che dà -e non sono poche- servono solo se affiancate ad un'esperienza "da strada". In poche parole, non si diventa giornalisti solo sui libri e a lezione.
Quale titolo di laurea triennale hai conseguito? La laurea magistrale ne costituisce il naturale proseguimento o la passione per l'informazione è nata successivamente?
Nella triennale mi sono laureato in Lettere moderne e la magistrale ne è in parte il suo naturale proseguimento, essendo un'interfacoltà tra Scienze Politiche e Lettere. Nella scelta del curriculum di studi ho optato però per quello più vicino a Scienze Politiche (GPPO), in modo da ampliare il più possibile le mie conoscenze ed evitando di "ripetere" materie già studiate nella triennale. La passione per l'informazione è nata prima di ogni corso di laurea, il problema è stato canalizzarla in un percorso di studi attinente, senza puntare sulle scuole di giornalismo vere e proprie.
Tornando al Politicometro, la testata è regolarmente registrata in tribunale, siete partiti dal territorio genovese e volete estendervi a livello nazionale. È stato difficile per un gruppo di giovani studenti "professionalizzare" il progetto? Se sì, quali problemi avete dovuto affrontare?
È vero che la nostra età media è molto bassa e qualcuno di noi è ancora studente, ma siamo tutti giornalisti (chi con già il tesserino in mano, chi lo sta prendendo in questi mesi) con qualche anno di esperienza alle spalle. Per professionalizzare il progetto abbiamo cercato e cerchiamo tuttora di dare un prodotto qualitativamente molto valido e senza sbavature, in modo da essere noi stessi i primi garanti dell'autorevolezza del lavoro. Se questa autorevolezza è poi riconosciuta anche dagli utenti, il processo di professionalizzazione è già a buon punto.
Qual è il tuo giudizio su Genova? La consideri un terreno fertile per le radici di aspiranti giornalisti quali sono gli studenti di InfoEd?
Credo che Genova sia oggi uno dei terreni meno fertili per qualsiasi aspirante giornalista. Abbiamo poche testate e quasi tutte sono in crisi: entrare diventa difficilissimo e ottenere degli equi compensi pare utopico. A onor del vero, anche nel resto d'Italia la situazione non è rosea, ma esistono realtà sicuramente più aperte e con più possibilità, come Milano. Il mio consiglio -nonché quello che sto facendo io stesso- è quello di specializzarsi in più tipi di giornalismo: cartaceo, online, televisivo, radiofonico.
Il tuo giudizio sull'Italia: scappare o restare?
Oggi la situazione del Paese ci vede quasi costretti a scappare per realizzarci. Io provo a fare di necessità virtù, quindi dico: scappare oggi per formarci, migliorarci, acquisire esperienze nuove e poi tornare domani per risollevare/ricostruire il tessuto di questo Paese.
Progetti per il futuro?
Miei: apprendere il più possibile dal tirocinio a Telenord che comincerò tra pochi giorni, discutere la tesi a settembre, provare l'esperienza del tirocinio Schuman a Bruxelles, Rai a Roma o SGRT di Perugia.
Politicometro: proseguire il lavoro nazionale con un'azione di monitoraggio sul nuovo Governo, cercare di riprendere il discorso delle redazioni locali in primis a Genova, trovare un minimo di sostenibilità economica.

Enrica Orru

Link:

Archivio blog

Copyright

Questo blog non può considerarsi un prodotto editoriale, ai sensi della legge n. 62/2001. Chi desidera riprodurre i testi qui pubblicati dovrà ricordarsi di segnalare la fonte con un link, nel pieno rispetto delle norme sul copyright.