Molteplici sono i rilievi
da cui il lettore del saggio Comunicazione e politica internazionale, a
cura di Emilio Diodato, può muovere verso considerazioni proprie, tuttavia pare
opportuno rilevare l’interesse che riveste per i cultori del rapporto tra
autorità di governo e sistema dell’informazione in ambito internazionale. In
specie dalla complessiva lettura si avverte una crisi irreversibile
dell’informazione intesa come fattore di riflessione per il destinatario.
Già dall’antichità
classica Aristotele pone in evidenza il fondamento “costruttivista” di ogni
trasmissione di un messaggio tra le parti di un discorso. In sostanza il
contenuto della comunicazione costruisce l’interpretazione della realtà oggetto
della stessa. Tale approccio sembra, oggi, portato alle sue estreme
conseguenze. L’opinione pubblica assurge ad elemento centrale delle relazioni
politiche, internazionali ed interne, a seguito della diffusione dei mezzi di
comunicazione di massa. In questo contesto rileva osservare che la risposta
delle autorità di governo alla pervasività dei mezzi di comunicazione nel
processo di formazione dei temi propri della società degli stati consiste nel news
management. Questo si distingue sia dalla propaganda sia dalla censura. Si
esplica in una condotta tesa non a ridurre l’ampiezza dell’informazione, ma, al
contrario, in una serie di attività preordinate ad offrire ai canali di
trasmissione una rappresentazione dei fatti conforme all’immagine che più
risulta idonea all’obiettivo prefissato. All’uopo si organizzano conferenze
stampa, briefing, l’embedding dei corrispondenti e così via.
Ora, è chiaro che
l’informazione che gli organi esecutivi responsabili delle politiche internazionali
ritengono di veicolare si atteggi sempre più quale prodotto da inserire nel
mercato della comunicazione pubblica. La notizia assume la forma del pacchetto
in sé concluso e destinato ad essere recepito passivamente dal pubblico di
volta in volta interessato.
Tanto trova conferma, dal
punto di vista delle fonti giornalistiche, nel criterio di notiziabilità che
si impone quale filtro per l’accesso di un fatto al circuito di diffusione
delle circostanze potenzialmente di interesse. Per la redazione giornalistica
appare essenziale che un potenziale oggetto di comunicazione abbia specifiche
caratteristiche ovvero, facile classificabilità con conseguente immediatezza
narrativa ed inseribilità in una trasmissione di contenuti pianificata. Si
aggiunga, inoltre, l’ulteriore fattore dipendente dalla relazionabilità della
notizia alle altre. Si comprende, quindi, come lo stesso sistema della
comunicazione possa essere suscettibile di accondiscendenza verso l’insidioso
fenomeno del news management, vale a dire del prodotto informativo.
Ne discende un duplice
fattore di crisi della comunicazione. Innanzitutto, emerge il rischio che
fenomeni manipolativi diventino la prassi normale dei rapporti tra potere
politico e mezzi di comunicazione, con serio pregiudizio per i destinatari
finali della trasmissione, i quali vedono inconsapevolmente comprimersi il
diritto ad una informazione, per quanto possibile, trasparente.
Si ravvede, tuttavia, un
pericolo ancora maggiore. Il prodotto informativo, proprio perché teso ad accreditare
una lettura e quindi in sé compiuto, presuppone un pubblico sempre più passivo,
che riceve i pacchetti informativi di volta in volta necessari a giustificare
una contingenza politica. Ne consegue che l’informazione sarà sempre meno
orientata a dare un significato, un senso alla vita collettiva, con conseguente
aumento del senso di smarrimento ed inoltre non assolverà alla funzione di
favorire la riflessione del recipiente. In questa prospettiva assai
difficilmente potrà formarsi una società ed una coscienza mondiale.
Ovviamente gli autori del
testo affrontano anche la questione del ruolo e dell’incidenza dei mezzi di
comunicazione nell’ambito delle relazioni internazionali e dei conflitti. Anche
qui, tuttavia, a fianco del tema principale sorgono questioni inerenti
l’integrità dei diritti afferenti la comunicazione.
L’avvento della
comunicazione di massa, in particolar modo con la televisione ed, oggi, la
rete, ha determinato un radicale mutamento dei rituali tradizionali delle
diplomazie. Dei rapporti tra i soggetti della società delle nazioni, in cui
peraltro si inseriscono sempre più frequentemente soggetti atipici come
organizzazioni multinazionali e movimenti d’opinione, non possono conoscere
solamente i protagonisti diretti, ovvero i governanti ed i diplomatici, ma deve
darsene conto anche all’opinione pubblica. In questo senso sembra cambiare il
ruolo degli organi di stampa. Nel
saggio, ovviamente si parla di media diplomacy, vale a dire la capacità
concessa dai mezzi di comunicazione, ed in specie la televisione, di funzionare
da mezzo di contatto tra l’esecutivo di un paese e la popolazione di un altro,
cui il primo si rivolge direttamente per influenzarla.
Interessa qui, tuttavia,
un altro aspetto che si evince dalla lettura del testo in questione. L’azione
dei mezzi di comunicazione si identifica frequentemente con iniziative di agenda
setting e di consent manufacturing effettuate in virtù di obiettivi
propri degli stessi organi di comunicazione. Si sta modificando, in sostanza il
rapporto tra la stampa ed il potere. I mezzi di comunicazione sempre meno
agiscono quali sentinelle del potere politico. Per converso sembrano eseguire
campagne di informazione dirette ad esercitare un influenza sul potere stesso.
Il rapporto tra governi e mezzi di informazione, quindi, prende la forma di una
lotta di potere tra soggetti di potere, in cui la pubblica opinione altro non è
che il terreno di battaglia e non il beneficiario dell’attività informativa.
Vi è il rischio che le
libertà, ormai ritenute consolidate, di espressione del pensiero e della
libertà di stampa, che della prima è specificazione, siano così tradite perché
piegate a fini che non collimano con l’originario spirito che ne ha determinato
l’insorgenza. I media avvalendosi di tale facoltà concessa da tutti gli
ordinamenti occidentali e facendosi scudo di essa, si tramutano essi stessi in
organi di potere che stabiliscono e cercano di stabilire i temi fondamentali ed
il ritmo delle relazioni internazionali e della vita politica. Si tratta di una
questione di particolare delicatezza nell’attuale contesto internazionale che
vede una contrapposizione proprio sul punto della libertà di pensiero, in
particolare verso l’area di religione musulmana: diventa difficile far passare
tale messaggio quando il nostro stesso modello di società tradisce i valori che
cerca di accreditare presso altre culture.
Sono, questi, solo alcuni
temi che sono apparsi emergere, anche indirettamente, dalla lettura del saggio
in questione e che pare opportuno sottoporre all’attenzione del lettore per
evidenziare la varietà di argomenti che possono trarsi da tale significativa
lettura.
Corrado Grasso
Comunicazione e Politica Internazionale
a cura di Emilio Diodato
Soveria
Mannelli, Rubbettino Editore, 2004, pp. 163.