*cit. LaStampa.it, 26.2.2019.
Le riviste dell'informazione
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- Tabloid
28 febbraio 2019
Nati per il giornalismo
"Nessuno che non sia nato per il giornalismo e non sia pronto a morire per esso potrebbe resistere in una professione così incomprensibile e vorace, il
cui lavoro finisce dopo ogni notizia, come se fosse per sempre, e non concede un attimo di pace fin quando non ricomincia, con più entusiasmo che mai, il minuto dopo".
Gabriel García Márquez *cit. LaStampa.it, 26.2.2019.
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26 febbraio 2019
In libreria
Jacopo Tomatis
Storia
culturale della canzone italiana
Milano, Il Saggiatore, 2019, pp. 810.
Descrizione
Tutti
sappiamo – o pensiamo di sapere – che cos’è la canzone italiana. Ne
parliamo con gli amici guardando Sanremo, la ascoltiamo su Spotify o su
vinile, la cantiamo sotto la doccia, la amiamo, la odiamo, o tutt’e due
le cose insieme. Ma che cosa rende «italiana» una canzone? «Felicità»,
siamo tutti d’accordo, suona come una tipica «canzone italiana», al
punto che potremmo definirla «all’italiana». E allora «Via con me» di
Paolo Conte, coeva eppure lontana miglia e miglia dal successo sanremese
di Al Bano e Romina, non lo è? O forse lo è meno, con quello swing
americano e quella voce roca? Jacopo Tomatis parte da qui, dal
ripensamento delle idee più diffuse sulla canzone italiana («canzone
italiana come melodia», «canzone italiana come specchio della nazione»,
«canzone italiana come colonna sonora del suo tempo»), per scriverne una
nuova storia. Fatta circolare su spartito o su rivista, trasmessa dalla
radio, suonata da dischi e juke box, al cinema e alla tv, in concerti e
festival, la canzone è stata, per un pubblico sempre più giovane, il
punto di partenza per definire la propria identità (su una pista da
ballo come nell’intimità della propria stanza), per fare musica e per
parlare di musica. E allora hanno qualcosa da dirci non solo «Vola
colomba», «Il cielo in una stanza», «Impressioni di settembre», «La
canzone del sole», «Preghiera in gennaio», ma anche i nostri discorsi su
queste canzoni, come le ascoltiamo, come le suoniamo, come le
ricordiamo. Storia culturale della canzone italiana ripercorre
i generi e le vicende della popular music in Italia ribaltando la
prospettiva: osservando come la cultura abbia pensato la canzone, quale
ruolo la canzone abbia avuto nella cultura e come questo sia mutato nel
tempo – dal Quartetto Cetra agli urlatori, da Gino Paoli al Nuovo
Canzoniere Italiano, da De Gregori a Ghali. Con la consapevolezza e
l’ambizione che fare una storia della canzone in Italia non significa
semplicemente raccontare la musica italiana, ma contribuire con un
tassello importante a una storia culturale del nostro paese. Del resto,
quando parliamo di musica non parliamo mai solo di musica.
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24 febbraio 2019
In libreria
Claudio Nobili
I gesti dell'italiano
Carocci, Roma, 2019, pp. 128.
I gesti dell'italiano
Carocci, Roma, 2019, pp. 128.
Descrizione
Come e perché un linguista si interessa di gesti? Quali sono i principali risultati a oggi prodotti nel campo della teoria e della pratica lessicografica applicata alla gestualità italiana? Che cosa è stato fatto e resta ancora da fare per un’educazione integrale alla lingua e ai gesti in classe? Per rispondere a queste domande, il volume affronta il tema della gestualità italiana da un punto di vista linguistico. Vengono prima presentate le classificazioni adottate per individuare i gesti, dei quali sono poi evidenziate le caratteristiche salienti, anche all’interno di un quadro variazionale. Seguono una rassegna dei dizionari dei gesti italiani finora editi e la proposta di un modello per la costruzione di un nuovo dizionario chiamato Gestibolario. Chiudono il volume alcune indicazioni per una didattica della gestualità nei corsi universitari.
Come e perché un linguista si interessa di gesti? Quali sono i principali risultati a oggi prodotti nel campo della teoria e della pratica lessicografica applicata alla gestualità italiana? Che cosa è stato fatto e resta ancora da fare per un’educazione integrale alla lingua e ai gesti in classe? Per rispondere a queste domande, il volume affronta il tema della gestualità italiana da un punto di vista linguistico. Vengono prima presentate le classificazioni adottate per individuare i gesti, dei quali sono poi evidenziate le caratteristiche salienti, anche all’interno di un quadro variazionale. Seguono una rassegna dei dizionari dei gesti italiani finora editi e la proposta di un modello per la costruzione di un nuovo dizionario chiamato Gestibolario. Chiudono il volume alcune indicazioni per una didattica della gestualità nei corsi universitari.
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22 febbraio 2019
In libreria
Ferdinando Camon
Il mestiere di scrittore. Conversazioni critiche
Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2019, pp.190.
Il mestiere di scrittore. Conversazioni critiche
Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2019, pp.190.
Descrizione
Moravia, Pratolini, Bassani, Cassola, Pasolini, Volponi, Ottieri, Roversi, Calvino sono i nomi che troviamo in questa serie di conversazioni critiche condotte tra gli anni Sessanta e Settanta da Ferdinando Camon, scrittore militante della letteratura: non secondo la modalità dell’intervista né quella del ritratto, ma più propriamente di una narrazione a due voci da cui emerga lo scrittore, la sua opera ma anche le sue letture, i suoi ricordi, la politica, le idee. Ne nasce di volta in volta una dichiarazione di poetica indotta, e perciò soppesata, meditata, esatta, che non risente a una lettura attuale del tempo trascorso, ma è anzi ancora verificabile nell’eredità letteraria lasciata da ognuno di questi maestri.
Moravia, Pratolini, Bassani, Cassola, Pasolini, Volponi, Ottieri, Roversi, Calvino sono i nomi che troviamo in questa serie di conversazioni critiche condotte tra gli anni Sessanta e Settanta da Ferdinando Camon, scrittore militante della letteratura: non secondo la modalità dell’intervista né quella del ritratto, ma più propriamente di una narrazione a due voci da cui emerga lo scrittore, la sua opera ma anche le sue letture, i suoi ricordi, la politica, le idee. Ne nasce di volta in volta una dichiarazione di poetica indotta, e perciò soppesata, meditata, esatta, che non risente a una lettura attuale del tempo trascorso, ma è anzi ancora verificabile nell’eredità letteraria lasciata da ognuno di questi maestri.
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20 febbraio 2019
In libreria
Eric McLuhan - Marshall McLuhan
Le tetradi perdute di Marshall McLuhan
Il Saggiatore, Milano, 2019, pp. 281.
Descrizione
Le tetradi perdute di Marshall McLuhan
Il Saggiatore, Milano, 2019, pp. 281.
Descrizione
Le tetradi perdute – secondo alcuni il vero capolavoro di Marshall McLuhan – nasce come continuazione di Gli strumenti del comunicare e di La legge dei media. Nel corso del loro lavoro di aggiornamento e revisione, Marshall McLuhan e suo figlio Eric trovano uno strumento teorico completamente nuovo, che si manifesta in una forma assolutamente inusitata e che si applica tanto ai prodotti materiali (come gli occhiali) quanto a quelli astratti (come la repubblica) dell’evoluzione. Le nuove leggi scoperte dai McLuhan sono un metodo valido e rivoluzionario per la comprensione di ogni fenomeno umano. Sono le tetradi. Una tetrade raggruppa le quattro leggi che governano tutte le innovazioni umane: ogni innovazione amplifica, rende obsoleto, recupera e capovolge qualcosa. Questi processi hanno luogo in tutti i casi, senza eccezioni, ogni volta che un’innovazione si sviluppa e si diffonde nella cultura e nella società; perciò sono stati chiamati leggi. Sono le leggi dei media nella loro forma definitiva. Per esempio, il refrigeratore amplifica la gamma dei cibi disponibili, rende obsoleti il cibo fresco e il cibo essiccato, recupera il tempo libero di chi provvede alla cucina e si capovolge nell’omogeneità di sapore e consistenza. Oppure: l’orologio amplifica il lavoro, rende obsoleto l’ozio, recupera la storia come forma d’arte e si capovolge in un eterno presente. O ancora: la macchina fotografica amplifica l’aggressione privata, rende obsoleta la privacy, recupera il passato come presente e si capovolge nel dominio pubblico. Le tetradi perdute di Marshall McLuhan è l’opera che offre la cornice teorica conclusiva per l’analisi di ogni nuovo medium. E lo fa in una forma che trascende la forma tradizionale del discorso, la forma saggio, la forma comune di una comunicazione umanistica: una tetrade è una poesia, una strofe di quattro versi, presentata con un suo peculiare codice visivo. Qui accompagnata dalle spiegazioni di Eric McLuhan, che ci consentono di seguire il processo di invenzione e sviluppo delle tetradi nel suo farsi: ci consentono di assistere all’ultima rivelazione del grande filosofo dei media.
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19 febbraio 2019
Le (nuove) parole dell’informazione
Se è vero, come diceva Baricco nel 1998, che ciò che rende speciali i grandi scrittori è la loro capacità di «nominare le cose», il libro Liberi di crederci. Informazione, internet e post-verità (Codice edizioni, Torino 2018, 15€) può a buon diritto essere considerato un libro speciale. Il saggio scritto a quattro mani da Walter Quattrociocchi e Antonella Vicini, infatti, è una sorta di odierno dizionario dell’informazione, in grado di battezzare tutti i processi che caratterizzano la comunicazione contemporanea. Vi si ritrovano precise definizioni di termini ormai noti ai più, come fakenews, troll ed echo chamber, ma soprattutto vengono “nominati” e spiegati alcuni meccanismi per i quali fino a pochi mesi fa non esistevano nomi: newsfeed, backfire effect, webete, debunking, mysidebiase così via.
Walter Quattrociocchi e Antonella Vicini,
Liberi di crederci. Informazione, internet e post-verità
Codice edizioni, Torino 2018.
Muovendo dalla delusione dell’aspettativa che l’avvento di internet potesse garantire «la nascita
di un mondo aperto, che rendesse la conoscenza accessibile a tutti
indiscriminatamente e portasse alla costituzione di una società finalmente
globale e realmente interconnessa» (p. 11), gli autori analizzano le reali
conseguenze che il web ha prodotto sulle tecniche della comunicazione:
l’informazione è sempre più spesso affidata ai social network, dove gli utenti
prendono il posto dei giornalisti, i post sostituiscono i giornali, i tweet si ergono a notizie. Il primo
evidente effetto di questa tendenza è la disintermediazione,
«cioè il venire meno della figura dell’intermediario» (p. 26), dell’esperto
d’informazione, che poteva garantire la verità delle notizie e l’attendibilità
delle fonti. Ne deriva non solo l’imprecisione delle informazioni, con la
conseguente proliferazione di fake news,
ma soprattutto la semplificazione delle notizie che conduce ad un’irrimediabile
polarizzazione delle posizioni: per quanto delicata e complessa sia una
questione, si assiste oggi alla radicalizzazione delle opinioni tipica delle
ideologie forti. Vero o falso, buono o cattivo, bianco o nero, giusto o sbagliato:
non esistono più vie di mezzo e soprattutto non esiste confronto, dialogo fra
le fazioni. I dibattiti sui social media si riducono al muro contro muro, alla
testarda difesa di una posizione estrema che si oppone ad un’altra posizione
estrema, altrettanto difesa e supportata.
Quattrociocchi e Vicini
non si limitano a descrivere questi processi con definizioni ed esempi tratti
dai più recenti avvenimenti socio-politici, ma si impegnano ad elencare tutti i
fattori che stanno alla base della cosiddetta post-truth, definita dall’Oxford Dictionary come «ciò che è
relativo a, o che denota, circostanze nelle quali i fatti obiettivi sono meno
influenti nell’orientare la pubblica opinione rispetto agli appelli
all’emotività e alle convinzioni personali». Tra questi fattori figurano in
particolare alcuni bias cognitivi che svolgono un ruolo determinante «nella
nostra capacità di informarci, nella formazione dell’opinione pubblica e nella
propaganda» (p. 48); ad essi, si aggiunga la naturale tendenza al narcisismo
che viene scatenata dai meccanismi dei social network anche negli individui
meno vanitosi, e si avrà un quadro completo dell’informazione nell’epoca della
post-verità.
Evitando di accanirsi
acriticamente contro le moderne tecniche di comunicazione, ma tentando
piuttosto di ricercarne le cause e di studiarne gli sviluppi, Liberi di crederci non è un banale libro
di denuncia contro i social network, ma un’approfondita analisi delle nuove
frontiere dell’informazionee delle relative problematiche, che arriva addirittura
a fornire una “giustificazione” dell’apparente scomparsa di una verità
oggettiva: «post-truth forse è solo
l’emergere dell’essere umano nella sua più totale e profonda esigenza di
emanciparsi dalla dipendenza dagli altri, dagli intermediari. Adesso che tutta
la conoscenza dell’umanità è a portata di click, vogliamo
esercitare il nostro diritto di scegliere liberamente [a cosa credere]» (p. 130).
Alessandro RioWalter Quattrociocchi e Antonella Vicini,
Liberi di crederci. Informazione, internet e post-verità
Codice edizioni, Torino 2018.
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16 febbraio 2019
In libreria
Federica Maria Marrella - Federica Muzzarelli
Iconografie del consumo
La costruzione dell’immagine femminile tra moda, arte e pubblicità
Aracne, Roma, 2019, pp. 204.
Iconografie del consumo
La costruzione dell’immagine femminile tra moda, arte e pubblicità
Aracne, Roma, 2019, pp. 204.
Descrizione
Il volume esamina la rappresentazione femminile nelle campagne pubblicitarie fotografiche degli otto brand italiani di maggior fatturato di Luxury prêt–à–porter nel quinquennio 2010–2015, sezione abbigliamento. L’opera si sviluppa in due parti. Nella prima si descrive l’immagine iconografica della Ninfa warburghiana, le rappresentazioni femminili descritte da Linda Nochlin, Roland Barthes, Erving Goffman e Marshall McLuhan, proseguendo poi con la delineazione dei “corpi di moda” raccontati da Roberto Grandi e degli archetipi nella fotografia analizzati da Federica Muzzarelli. Nella seconda parte viene sviluppato un percorso iconografico e comunicativo sulla donna, che inizia con l’archeologia dell’immagine e arriva al linguaggio fotografico, sociale e pubblicitario dei nostri giorni.
Il volume esamina la rappresentazione femminile nelle campagne pubblicitarie fotografiche degli otto brand italiani di maggior fatturato di Luxury prêt–à–porter nel quinquennio 2010–2015, sezione abbigliamento. L’opera si sviluppa in due parti. Nella prima si descrive l’immagine iconografica della Ninfa warburghiana, le rappresentazioni femminili descritte da Linda Nochlin, Roland Barthes, Erving Goffman e Marshall McLuhan, proseguendo poi con la delineazione dei “corpi di moda” raccontati da Roberto Grandi e degli archetipi nella fotografia analizzati da Federica Muzzarelli. Nella seconda parte viene sviluppato un percorso iconografico e comunicativo sulla donna, che inizia con l’archeologia dell’immagine e arriva al linguaggio fotografico, sociale e pubblicitario dei nostri giorni.
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13 febbraio 2019
In libreria
Salvatore Sica - Giorgio Giannone Codiglione
Security and hate speech
Personal Safety and Data Security: Rights in the Age of Social Media
Il Mulino, Bologna, 2019, pp. 328.
Descrizione
Security and hate speech
Personal Safety and Data Security: Rights in the Age of Social Media
Il Mulino, Bologna, 2019, pp. 328.
Descrizione
Il volume nasce dall’esperienza culturale e organizzativa del primo G7 dell’avvocatura, tenutosi a Roma il 14 settembre 2017, e da esso mutua l’obiettivo di costruire un ponte di dialogo e di confronto tra le avvocature mondiali sui temi della sicurezza e della tutela dei diritti fondamentali nella nuova realtà informazionale e globale del cosiddetto web 2.0. Un percorso di riflessione innovativo e multidisciplinare, svolto grazie al contributo di avvocati, accademici, giudici, membri di governo e rappresentanti delle istituzioni comunitarie e sovranazionali, con l’obiettivo di fornire una visione d’insieme e di stimolare le successive fasi di questa interazione qualificata. Per una “verità” dell’informazione online tutelata e per un diritto che non sia mero strumento di regolazione della tecnica, ma “opera di tutti”, pilastro di crescita consapevole della società e promozione di valori condivisi.
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05 febbraio 2019
"F" di Fusilado!
Cronache infedeli
è un libro scritto da Flavio Fusi, collocabile nella serie narrativa. Un libro composto
da nove capitoli, tutti avvincenti e con diversi punti in comune descritti
nella presente recensione.
L’autore. La qualità
è garantita quando un professionista di elevata caratura come Flavio Fusi mette
per iscritto le vicissitudini che un mestiere vocazionale come quello del
giornalista inviato. Non i soliti improvvisati reporter, o neofiti privi di
esperienza. Flavio Fusi è un professionista di lungo corso. Pochi come lui
possono vantare un bagaglio esperienziale e culturale. Le prove di ciò emergono
dai racconti fatti attraverso uno stile di scrittura fluente ma preciso e
dettagliato che non va mai a discapito di nulla. Il libro in questione descrive
le vicende che lo hanno riguardato nel corso della sua lunga carriera
giornalistica da inviato. Terre sparse per il mondo, molte delle quali
dimenticate da Dio. Descrive dettagliatamente ambientazioni, eventi,
personaggi, ma soprattutto contesti sociali ed economici di mondi in crisi ove
regna una realtà atipica per noi occidentali. Una realtà in cui si chiede pace
e cibo ma si ottiene guerra e miseria.
Fusi mette da subito le cose in chiaro e avvisa il lettore dei viaggi
intrisi di cruente realtà incontrate nel corso degli anni e soprattutto nel
corso degli eventi. Questo nei primi capitoli è descritto in maniera precisa e
dettagliata tanto che pensando alla miseria kosovara, serba, russa, viene da
fermarsi nella lettura e meditare sulla fortuna dell’odierno vivere di noi occidentali.
Il titolo. Contrariamente
da quanto possa far pensare il titolo, in tutti i capitoli si viaggia a fianco
di un narratore che va a braccetto con la cronaca fedele, tipica di chi il
mestiere lo conosce bene ma conscio di dover fare i conti con la memoria. E
già, perché Fusi sostiene che la memoria sia quell’elemento che ci distingue
dagli animali e che al tempo stesso ci induce in errore lasciando le cose
piacevoli e sbiadendo quelle meno. Proprio da questo ragionamento muove la
scelta del titolo che sa di ossimoro bello e buono e che nei lettori farà
sorgere da subito la voglia di scoprirne il dilemma. Per quanto si voglia, esse
non potranno mai dichiararsi fedeli in quanto il tempo ha implacabilmente
svolto uno dei suoi compiti più complessi e inspiegabili: cancellare le cose
brutte. Ciò nonostante il libro appare tutt’altro
che infedele. Viene quindi da chiedersi quali altre cose più cruente avrebbe
riportato il Fusi se solo la memoria non fosse stata a sua volta vittima...ma del
tempo; e non si comprende quindi la scelta del titolo così criptico e
leggermente fuorviante rispetto al testo.
Tratti caratteristici. I capitoli sono splendenti, scritti nel Sole, si potrebbe dire.
Non vi è pagina infatti in cui non compaiano parole luminose come quella di
Sole e quella di Luce. Come un’auto che per andar dritta ha bisogno di un buon
guidatore, così questo libro ha avuto bisogno di parole strategiche che non
lasciano cadere il lettore in un grigiore ambientalistico. D'altronde,
trattandosi di guerra e fame, il rischio è elevato. Scelta giusta.
Operazione immedesimazione. Il libro fa immedesimare e leggendolo si ha la sensazione di
essere al fianco del cronista; di far parte storia dopo storia di un componente
del suo gruppo, cameramen, fonista e altri.
Dispiace la perdita di un loro componente che racconta di aver
conosciuto in vita e che muore durante le ardite riprese di una guerriglia tra
le tante dei posti raggiunti. La tragedia è descritta bene e incute addirittura
rabbia per l’incoscienza dell’operatore. Doveva ripiegare e scappare senza
telecamera piuttosto che portare a termine il servizio e la sua vita. Questo è quello che vien da pensare dopo aver
letto le pagine che narrano il nefasto evento. Il magone è in gola, un motivo
ci sarà. In altro scenario e contesto Flavio Fusi ci racconta di quando è stato
fermato da un poliziotto. “...Fusi suena como fucilado...” così gli dice
durante il fermo per la perquisizione. Il modo in cui descrive gli scenari e i
contesti rendono meglio il senso di come una semplice recensione riuscirebbe a
fare. Operazione immedesimazione riuscita!
E’ davvero
interessante per coloro a cui piace il giornalismo di inchiesta e di guerra,
fatto in un chiave inedita, quasi intima, giacché egli stesso lo consideri un
diario. Una veste singolare che fa dimenticare in più momenti di avere tra le
mani un libro. Una capacità espositiva semplice e diretta che spiega bene la
voglia e il coraggio di vivere degli autoctoni intervistati e che ci porta a
conoscere le inquietudini vissute da persone meno fortunate di noi. Persone che
al mattino zappano la terra e alla sera difendono i propri territori con in
braccio fucili e fionde. Difficile quindi tenere su la tesi
dell’infedeltà.
Il viaggio dell'eroe. Il buon senso vuole che i cronisti di guerra raggiungano il fronte e
che dalle retrovie registrino qualche immagine, intervistino qualcuno e
abbandonino il posto quanto prima. Ma ci sono anche professionisti - come il
nostro Flavio Fusi - che decidono di affiancare i disperati per più giorni al
fine di riportare realtà certe e articoli non asettici . Come già detto, Fusi riporta
esattamente la disperazione dei fortunati - si fa per dire - messicani. Loro
sono al confine e possono sperare nella benevolenza della vicina America del
nord che talvolta concede loro opportunità di lavoro. Ma questo in pochi lo
sanno. Il problema reale proviene dai paesi limitrofi al Messico. Il libro ne
parla ampiamente.
Cronache infedeli
è un diario dal tratto particolare ove spesso l’autore descrive i luoghi
visitati in passato e verso cui fa ritorno a distanza di anni. Un viaggio
dell’eroe in loop, che non finisce
mai, e in cui il protagonista si dimostra tenace al punto di andare alla
continua conferma o smentita che il presente sia come il passato.
La riprova. Pochi
sono gli avventurieri che si porterebbero presso un’area geografica locale
interposta tra la Russia e la Turchia come quella caucasica. Pochi lo farebbero
sia per la propria incolumità e sia perchè di luoghi come il Nagorno Karaback
importa poco o nulla. L’autore stupisce e delude. Si addentra e raggiunge
questo luogo di contesa tra nazioni che sono una più povera dell’altra: l’Armenia
e l’Azerbagian. Ma delude poichè in effetti qui è infedeltà: una volta tanto
che a parlare dell’Armenia non è un armeno, il risultato è stato un pò scarno.
Cronaca di storia - questa - che non
trova pace e giustizia neanche nel suddetto libro. E’ davvero un Peccato.
Nobiltà d'animo. Non
stupisce che un giornalista come lui voglia trasmettere segreti anche ai
lettori che sognano un giorno di fare lo stesso mestiere. Fornisce un consiglio
che può salvare la vita, proprio come accaduto a lui stesso durante il
soggiorno a Nairobi:
“...nella notte i ragazzi dell’ EBU hanno asciato l’ hotel. E quando si muovo l’Ebu puoi scommetterci, qualcosa succede, sempre. si mettono in movimento significa che presto qualcosa sta per accadere e che pertanto è meglio tagliare la corda quanto prima. La prima regola del giornalista in missione: mai perdere di vista quelle canaglie dell’European Broadcastinng Union...”
Informazione che per gli addetti alle prime armi può tornare utile. Quindi, generosità e altruismo professionale.
“...nella notte i ragazzi dell’ EBU hanno asciato l’ hotel. E quando si muovo l’Ebu puoi scommetterci, qualcosa succede, sempre. si mettono in movimento significa che presto qualcosa sta per accadere e che pertanto è meglio tagliare la corda quanto prima. La prima regola del giornalista in missione: mai perdere di vista quelle canaglie dell’European Broadcastinng Union...”
Informazione che per gli addetti alle prime armi può tornare utile. Quindi, generosità e altruismo professionale.
Deformazione professionale. Si da luogo al personale vezzo di osservare e cercare di
giustificare anche le scelte grafiche della copertina e si fa notare la
presenza del soggetto ivi raffigurato: un soldato con la testa china. Che
questo sia in corsa è intuibile dalla posizione delle gambe e ancor di più da
quella della testa. Domande: è un soldato qualsiasi quello raffigurato? È in
fuga da chi? o forse sarebbe meglio dire: da cosa? Una foto che la maggior
parte di noi conosce già. Una foto archètipa e che ha preso posto in ognuno di
noi. Taluni la ricorderanno immediatamente, altri dovranno scavare un attimo
nei ricordi; e se il collegamento tarda ad arrivare poco importa; basta
giungere alla lettura del capitolo dedicato al nefasto evento tedesco perchè il
vago ricordo ritorni in mente. Il giornalismo d’inchiesta che racconta e
fotografa i disertori alla ricerca di libertà. Quella foto è presente nei libri
di storia elementare e media; solitamente è buttata lì nelle ultime pagine,
dove la storia contemporanea perde d’importanza, di valore, e viene
snobbata...perchè tanto si è a fine anno. Magari, un’altra immagine più esclusiva
e leggera poteva rendere di più sia per empatia che per strategia di marketing;
ma è pur vero che quando si parla di certi argomenti ci sia poco da
tergiversare. Una scelta grafica coerente ma non avvincente. Alcuni diranno che
un libro non si giudica dalla copertina. Beh, è vero in parte.
Conclusioni. Per
conoscere altri posti visitati da questo grande giornalista basta leggere il
suo libro composto così egregiamente e attento ai particolari che a suo modesto
avviso “...sono meno di quelli che la
mente gli ha concesso di ricordare...”
Durante il corso
della presente recensione ci si è più volte posto il quesito se il titolo fosse
o meno appropriato e si è lasciato il dubbio che questo non lo fosse. Ciò non
per ammonimento ma per riconoscenza di merito di un professionista che ricorda
un pò il primo della classe, quello che dice di non aver studiato ma che poi
prende 10. La sostanza è tutta dentro e le prove sono tra le pagine, piene di
particolari che mai affaticano il lettore neanche quando parla di tribù e
avvicendamenti al potere di paesi del sud-Africa e del sud-America. Il
giornalista accetta la sfida di descrivere anche i nomi delle tribù locali.
Una scelta audace, che sicuramente rallenta la lettura ma che dimostra una
lealtà intellettuale che chiede e ottiene fiducia.
Insomma
un libro davvero ben fatto e che riempie di emozioni sin dalla premessa che lo
apre. Si legge tutto d’un fiato e fa giungere al termine con una maggiore
consapevolezza. La consapevolezza che l’essere umano è egoista, cattivo e
irrazionale come nessun altro, materializzandoli in morte, fame e miseria
generale. Magari fossero infedeli queste cronache.
Joannes Timurian
Flavio Fusi
Cronache Infedeli
Voland, Roma, 2017, pp. 288.
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04 febbraio 2019
Tra infobesità e fake news
Paolo
Pagliaro, giornalista e voce nota della tv - dal 2008 cura l’editoriale Il Punto di Paolo Pagliaro nella
trasmissione Otto e mezzo in onda su
La7 -dallo stile riconoscibilissimo per freschezza e lucidità.
Questo
libro prende le mosse dalle riflessioni del giornalista sul declino
dell’informazione. Con uno sguardo partecipe e analitico Pagliaro pone di
fronte al lettore una serie di problematicità che sembrano ormai un tutt’uno
con l’informazione stessa: il sensazionalismo a tutti i costi, la manomissione
delle parole, l’infobesità e, soprattutto, le fake news nell’epoca della post-verità (dove “post” sta per dopo, ma anche oltre).
“In
un periodo d’inflazione di informazioni” - scrive Pagliaro - “per catturare
l’attenzione non serve approfondire, verificare, filtrare, sistematizzare.
Spesso basta proporre un pensiero semplificato, non importa se labile o
bugiardo”. Così torna in essere un abuso che sembrava scomparso da tempo,
quello della credibilità popolare, perché, seppur paradossale che sia,
“sappiamo sempre di più, ma capiamo sempre di meno”. I dati della classifica OCSE
sull’analfabetismo funzionale parlano tristemente chiaro in questo senso: 8
italiani su 10 hanno difficoltà a utilizzare quello che ricavano da un testo
scritto, 7 su 10 hanno difficoltà abbastanza gravi nella comprensione e 5
milioni di persone hanno completa incapacità di lettura;preoccupanti anche i
dati sulla circolazione delle bufale,
dato che il fatto di non capire cosa si stia leggendo non implica che venga
evitato di condividerlo sui social.
Gli
Stati Uniti d’America meritano una digressione particolare sul versante delle fake news, dato che “la madre di tutte
le bufale” è nata proprio negli USA: il fatto che il regime iracheno di Saddam
Hussein possedesse armi di distruzione di massa, semplicemente, non era vero, ma
fu un fondamento necessario per l’invasione e la distruzione dell’Iraq. È
interessante notare, come fa Pagliaro, anche il fenomeno Donald Trump per la
quantità di false notizie che sono circolate in rete durante la campagna
elettorale del 2016, la quantità di bugie dette dal candidato stesso e l’incapacità
della stampa americana di capire e prevedere il cambiamento politico in atto
nel paese. Per questa analisi è fondamentale la decisione dell’Huffington Post
di trattare la candidatura di Trump nella sezione intrattenimento e non in
quella politica. Questa scelta, esaminata sul sito dell’European Journalism Observatory,
è stata vista come specchio dell’omogeneità dei lavoratori di spicco dei media
statunitensi: uomini bianchi, liberali e tendenzialmente benestanti, che vivono
in quelle parti di paese in cui l’avversario politico di Trump, Hillary
Clinton, ha preso percentuali che vanno dal 70% al 98%, persone che vivono e
lavorano in una bolla evidentemente distante dalla realtà.
Come
nella celebre opera del 1968 di Mario Merz riecheggia, stavolta non in una
pentola vuota, ma in quel mare magnum che è Internet la domanda “Che fare?”. Innanzi
tutto investire nell’informazione di qualità, andare a ingrossare le file dei debunkers, la più funzionale difesa
contro le fake news, puntare sulle breaking news e sulle inchieste; ma i
singoli giornalisti cosa possono fare? Due parole: autoregolamentazione
volontaria. Idee esposte dal giurista Cass R. Sunstein già più di quindici anni
fa, teorizzando un accordo tra produttori per impedire che i notiziari siano una
continuazione delle fiction, il prevalere di sensazionalismo e di opinioni
rispetto a notizie e fatti. In assenza di questa autoregolamentazione secondo
Sunstein è doveroso l’intervento della legge.
Secondo
Pagliaro i giornalisti dovrebbero attenersi alle regole d’oro del mestiere:
controllare i fatti, essere onesti e avere passione.
Tutto
qui?
Sì,
tutto qui: questo è il Punto.
Paolo Pagliaro
Punto. Fermiamo il declino dell’informazione
Il Mulino,
Bologna, 2017, pp. 128.
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03 febbraio 2019
Comunicare in un mondo che cambia
Potrebbe sembrare scontato affermare che il mondo, nel corso degli anni, ha subito notevoli cambiamenti, e che con esso è mutato anche il nostro modo di relazionarci e di comunicare. È, però, proprio ciò che è accaduto, ed è da questo assunto di base che prende le mosse il libro Comunicazione sociale e media digitali di Roberto Bernocchi, Alberto Contri e Alessandro Rea edito da Carocci nel 2018.
Dopo aver introdotto i principali mutamenti che hanno investito il mondo della comunicazione e più precisamente della pubblicità, sia prima sia dopo l’avvento della rivoluzione tecnologica e del fenomeno della globalizzazione, gli autori si sono addentrati nel vivo dei requisiti necessari ad una campagna di utilità sociale di successo, elencando i passaggi da seguire per raggiungere gli obiettivi prefissati: dall’individuazione del target alla creazione di contenuti, passando per la scelta del canale più adatto al messaggio che si vuole veicolare e della strategia da adottare. Tutte tappe fondamentali da non sottovalutare anche per quanto riguarda la pubblicità commerciale, che si differenzia da quella sociale solamente per i contenuti, in quanto le tecniche di diffusione rimangono le stesse. Gli autori, però, non hanno nascosto che sussistono dei problemi strutturali legati alla comunicazione sociale che impediscono all’Italia di stare al passo con le altre nazioni, come la mancanza di personale qualificato e di fondi economici.
A dimostrare che i siti web e i social media sono diventati i luoghi privilegiati della comunicazione di massa concorre un paragrafo, molto interessante, dove gli autori hanno presentato un’accurata descrizione dei social network attualmente più diffusi in Italia, nel quale sono state elencate le loro numerose funzionalità e i metodi per sfruttarli al meglio da parte di un’associazione non profit ma anche da utenti singoli. Segnale, appunto, di come una comunicazione efficace debba necessariamente spostarsi su nuove piattaforme, consapevoli che in futuro queste ultime cambieranno nuovamente, senza però dimenticare che il digitale non è un mondo a sé, ma che per essere maggiormente funzionale necessita del supporto degli strumenti comunicativi tradizionali. Diretta conseguenza di tutto ciò è stata la nascita di nuove figure professionali.
Descrivendo in maniera dettagliata lo scenario comunicativo contemporaneo si è rivelato un testo decisamente utile ed interessante per chiunque abbia intenzione di approfondire le proprie conoscenze in questo ambito. Attraverso l’utilizzo di un linguaggio nel complesso scorrevole, nonostante sia ricco di numerosi termini tecnici assolutamente necessari in un libro di questo tipo, il volume appare pienamente fruibile anche da un lettore che non possiede alcuna conoscenza base in materia.
Alessia Ciardullo
R. Bernocchi, A. Contri, A. Rea
Comunicazione sociale e media digitali
Carocci, Roma, 2018.
Dopo aver introdotto i principali mutamenti che hanno investito il mondo della comunicazione e più precisamente della pubblicità, sia prima sia dopo l’avvento della rivoluzione tecnologica e del fenomeno della globalizzazione, gli autori si sono addentrati nel vivo dei requisiti necessari ad una campagna di utilità sociale di successo, elencando i passaggi da seguire per raggiungere gli obiettivi prefissati: dall’individuazione del target alla creazione di contenuti, passando per la scelta del canale più adatto al messaggio che si vuole veicolare e della strategia da adottare. Tutte tappe fondamentali da non sottovalutare anche per quanto riguarda la pubblicità commerciale, che si differenzia da quella sociale solamente per i contenuti, in quanto le tecniche di diffusione rimangono le stesse. Gli autori, però, non hanno nascosto che sussistono dei problemi strutturali legati alla comunicazione sociale che impediscono all’Italia di stare al passo con le altre nazioni, come la mancanza di personale qualificato e di fondi economici.
A dimostrare che i siti web e i social media sono diventati i luoghi privilegiati della comunicazione di massa concorre un paragrafo, molto interessante, dove gli autori hanno presentato un’accurata descrizione dei social network attualmente più diffusi in Italia, nel quale sono state elencate le loro numerose funzionalità e i metodi per sfruttarli al meglio da parte di un’associazione non profit ma anche da utenti singoli. Segnale, appunto, di come una comunicazione efficace debba necessariamente spostarsi su nuove piattaforme, consapevoli che in futuro queste ultime cambieranno nuovamente, senza però dimenticare che il digitale non è un mondo a sé, ma che per essere maggiormente funzionale necessita del supporto degli strumenti comunicativi tradizionali. Diretta conseguenza di tutto ciò è stata la nascita di nuove figure professionali.
Descrivendo in maniera dettagliata lo scenario comunicativo contemporaneo si è rivelato un testo decisamente utile ed interessante per chiunque abbia intenzione di approfondire le proprie conoscenze in questo ambito. Attraverso l’utilizzo di un linguaggio nel complesso scorrevole, nonostante sia ricco di numerosi termini tecnici assolutamente necessari in un libro di questo tipo, il volume appare pienamente fruibile anche da un lettore che non possiede alcuna conoscenza base in materia.
Alessia Ciardullo
R. Bernocchi, A. Contri, A. Rea
Comunicazione sociale e media digitali
Carocci, Roma, 2018.
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02 febbraio 2019
Le verità non dette
Il male inutile di Marco Lupis, edito da Rubettino nel 2018, è un libro coinvolgente caratterizzato dalla costante ricerca della verità e dalla necessità di testimoniare per non dimenticare.
L’autore, un reporter di guerra che ha collaborato con testate del calibro di Panorama, La Repubblica, L’Espresso e Il Tempo, conduce il lettore sul campo mettendolo a contatto con una realtà che, forse, per un meccanismo di autodifesa, troppo spesso non riceve la giusta considerazione.
Attraverso i suoi reportage Lupis racconta le vicende che si sono verificate tra gli anni novanta e gli anni duemila in territori che vanno «dal Kosovo a Timor Est, dal Chiapas a Bali». In ogni testimonianza emerge l’importanza del ruolo svolto dall’inviato di guerra, il cui compito consiste nel far luce su quelle che sono le verità non dette durante lo svolgimento di un conflitto, raccontando i retroscena di queste vicende e le scelte che i governi e gli eserciti dicono di fare in nome dei cittadini ma che poi, frequentemente, cercano di nascondere.
L’obiettivo è quello di riportare l’attenzione collettiva sulle molteplici guerre che vengono facilmente dimenticate, sui crimini rimasti impuniti, sulle atrocità che l’essere umano è in grado di compiere, su coloro che hanno dedicato e che dedicano la loro vita a degli ideali cercando di
combattere le ingiustizie, sull’importanza del ruolo svolto dal giornalista-testimone ma soprattutto sul dolore e sulla sofferenza di tutte le vittime innocenti.
Tra le esperienze che vengono narrate nel testo quella che suscita un forte impatto emotivo è la testimonianza dei massacri che hanno avuto luogo a Timor Est. Dopo il 1975 quando l’Indonesia decise di annettere con la forza questo territorio, un’ex colonia portoghese, seguirono molti anni di guerra civile che portarono alla morte di gran parte della popolazione. Un vero e proprio genocidio del quale è possibile avere memoria grazie al lavoro svolto dai giornalisti che hanno deciso di sfidare la «sottile linea rossa», che separa la vita dalla morte, in nome della conoscenza.
Un libro utile di fronte all’inutilità del male, un libro per capire, un libro per non dimenticare «perché ciò che viene scritto non può essere cancellato. Scrivere una storia di abusi, raccontare di qualcuno che è stato terrorizzato, picchiato o ucciso, può davvero servire per ottenere giustizia, per trovare e punire i responsabili, anche se […] in tempo di guerra il percorso della giustizia può diventare lunghissimo. E più ancora dopo».
Elena Sofia Guareschi
Marco Lupis
L’obiettivo è quello di riportare l’attenzione collettiva sulle molteplici guerre che vengono facilmente dimenticate, sui crimini rimasti impuniti, sulle atrocità che l’essere umano è in grado di compiere, su coloro che hanno dedicato e che dedicano la loro vita a degli ideali cercando di
combattere le ingiustizie, sull’importanza del ruolo svolto dal giornalista-testimone ma soprattutto sul dolore e sulla sofferenza di tutte le vittime innocenti.
Tra le esperienze che vengono narrate nel testo quella che suscita un forte impatto emotivo è la testimonianza dei massacri che hanno avuto luogo a Timor Est. Dopo il 1975 quando l’Indonesia decise di annettere con la forza questo territorio, un’ex colonia portoghese, seguirono molti anni di guerra civile che portarono alla morte di gran parte della popolazione. Un vero e proprio genocidio del quale è possibile avere memoria grazie al lavoro svolto dai giornalisti che hanno deciso di sfidare la «sottile linea rossa», che separa la vita dalla morte, in nome della conoscenza.
Un libro utile di fronte all’inutilità del male, un libro per capire, un libro per non dimenticare «perché ciò che viene scritto non può essere cancellato. Scrivere una storia di abusi, raccontare di qualcuno che è stato terrorizzato, picchiato o ucciso, può davvero servire per ottenere giustizia, per trovare e punire i responsabili, anche se […] in tempo di guerra il percorso della giustizia può diventare lunghissimo. E più ancora dopo».
Elena Sofia Guareschi
Marco Lupis
Il male inutile. Dal Kosovo a Timor Est, dal Chiapas a Bali le testimonianze di un reporter di guerra, Rubettino, Soveria Mannelli, 2018, pp. 248.
01 febbraio 2019
La costruzione dell’Islam in Occidente
Nato come ideale prosecuzione di Orientalismo (1978) e La questione Palestinese (1992), Covering Islam, del noto critico del concetto di “orientalismo” Edward W. Said, consiste nell’analisi dei processi che hanno portato alla “rappresentazione” e contemporaneamente alla “copertura” del mondo islamico da parte dei media e delle istituzioni occidentali. Lungi dal prendere le difese di quelle società islamiche in cui la repressione delle libertà individuali e i regimi minoritari vengono legittimati, il testo si dimostra utile a comprendere i percorsi che hanno caratterizzato la dialettica tra il mondo Occidentale e quello del Medioriente negli ultimi quarant’anni. Oggi più che mai, è utile comprendere le dinamiche inerenti al mondo islamico che, raccontate all’ordine del giorno, vengono assunte come dati di fatto e accompagnate troppo spesso da affermazioni non ponderate e tanto meno accorte. Solo mettendo in luce il ruolo che i media statunitensi hanno avuto nel veicolare un’immagine dell’Islam semplificata e fuorviante, potremmo essere capaci di cogliere gli obiettivi manipolatori di giornalisti, intellettuali e sedicenti esperti di Islam messi al servizio di una narrazione stereotipata dell’Altro.
Grazie alla costruzione simbolica del nemico islamico, il diverso da “noi” è diventato capro espiatorio, colpevole di una resistenza al progresso offerto dalla modernizzazione. Con minuzia e sagacia, Said ripercorre la cronaca e i dibattiti che hanno trattato i momenti salienti della storia dell’Iran e gli episodi che hanno segnato la memoria dei cittadini americani. Come nel caso della “crisi degli ostaggi” in Iran del 1981, che mette in luce gli ingranaggi mediatici attivati per orientare l’opinione pubblica, lungo le pagine scopriamo come il governo americano abbia gestito notizie e immagini a favore di una visione frammentata della fede musulmana e della situazione politica interna agli stati islamici. Così, attraverso l’attenta rilettura delle affermazioni generali e pressapochiste di accademici e intellettuali intervenuti nel dibattito, il quadro che si compone mostra come gli attacchi tendenziosi all’Islam siano stati sempre più considerati legittimi e legittimati. L’ideologia della modernizzazione, come accusa Said, ha prodotto giudizi ampiamenti contestabili ma rafforzati dalla visione canonica del discorso orientalista e da quella eurocentrica, assunti che, a distanza di più di un ventennio dalla pubblicazione del testo, rimangono attuali e si sono ulteriormente radicati. La più diffusa conoscenza dell’Occidente viene dunque ricondotta dall’autore a una produzione ad hoc, incentrata su una logica di dominio e conquista che ha riscosso enorme successo in particolare negli Stati Uniti, dove per via di una mancata storia coloniale e a causa dei forti interessi petroliferi, la diffidenza nei confronti di una cultura distante migliaia di chilometri si è dimostrata un ottimo deterrente. Ciò che del testo rimane interessante e utile al pubblico contemporaneo, è il tentativo che l’autore fa di aprire una finestra di comprensione e tolleranza sul dialogo tra i due mondi ormai contrapposti, accompagnando il lettore verso un ideale approccio non coercitivo e situazionale, capace di interpretare la conoscenza di una cultura diversa in maniera relativa e non assoluta.
Chiara Rodino
Edward W. Said
Grazie alla costruzione simbolica del nemico islamico, il diverso da “noi” è diventato capro espiatorio, colpevole di una resistenza al progresso offerto dalla modernizzazione. Con minuzia e sagacia, Said ripercorre la cronaca e i dibattiti che hanno trattato i momenti salienti della storia dell’Iran e gli episodi che hanno segnato la memoria dei cittadini americani. Come nel caso della “crisi degli ostaggi” in Iran del 1981, che mette in luce gli ingranaggi mediatici attivati per orientare l’opinione pubblica, lungo le pagine scopriamo come il governo americano abbia gestito notizie e immagini a favore di una visione frammentata della fede musulmana e della situazione politica interna agli stati islamici. Così, attraverso l’attenta rilettura delle affermazioni generali e pressapochiste di accademici e intellettuali intervenuti nel dibattito, il quadro che si compone mostra come gli attacchi tendenziosi all’Islam siano stati sempre più considerati legittimi e legittimati. L’ideologia della modernizzazione, come accusa Said, ha prodotto giudizi ampiamenti contestabili ma rafforzati dalla visione canonica del discorso orientalista e da quella eurocentrica, assunti che, a distanza di più di un ventennio dalla pubblicazione del testo, rimangono attuali e si sono ulteriormente radicati. La più diffusa conoscenza dell’Occidente viene dunque ricondotta dall’autore a una produzione ad hoc, incentrata su una logica di dominio e conquista che ha riscosso enorme successo in particolare negli Stati Uniti, dove per via di una mancata storia coloniale e a causa dei forti interessi petroliferi, la diffidenza nei confronti di una cultura distante migliaia di chilometri si è dimostrata un ottimo deterrente. Ciò che del testo rimane interessante e utile al pubblico contemporaneo, è il tentativo che l’autore fa di aprire una finestra di comprensione e tolleranza sul dialogo tra i due mondi ormai contrapposti, accompagnando il lettore verso un ideale approccio non coercitivo e situazionale, capace di interpretare la conoscenza di una cultura diversa in maniera relativa e non assoluta.
Chiara Rodino
Edward W. Said
Covering Islam. Come i media e gli esperti determinano la nostra visione del resto del mondo, Massa, Transeuropa, 2017 (ed. or. Covering Islam: How the Media and the Experts Determine How We See The Rest of the World, 1996).
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