Siamo abituati al giorno d’oggi ad associare la
parola calcio non solo all’evento sportivo, ma a tutto quello che ruota attorno
ad esso: soldi, marketing, visibilità, social network e soprattutto violenza.
Il calcio è visto ormai come uno sport deviante,
senza principi etici, solo un’accozzaglia di giocatori che guardano prima al
loro portafoglio che all’amore per il gioco.
Sergio Giuntini con questo libro vuole invece
raccontare come il calcio sia, volente o nolente, lo Sport in Italia con la “s”
maiuscola e quanto la comunicazione sportiva abbia influenzato il modo di
vederlo.
Un’analisi profonda, lunga più di un secolo, che si
trasforma in un memento per le persone che oggi banalizzano il calcio in una
sola manifestazione sportiva.
Sfogliando le pagine di questo libro si ha la
percezione di come il calcio si sia amalgamato nelle pieghe della società, come
l’abbia accompagnata nel suo sviluppo e di come sia stato veicolo per
manifestare una superiorità politica, come accadde durante il regime fascista.
Un libro nuovo quello di Giuntini. Mai nessuno aveva
raccolto il meglio e il peggio della letteratura calcistica italiana in un solo
libro, riuscendo a raccontare i fatti senza cadere, come spesso succede nella
narrazione sportiva, in retorica inutile.
Un viaggio di un secolo che ha raccolto non solo la
prorompente analisi di Gianni Brera, ma ha anche fatto scoprire analisi
calcistiche di autori particolari che hanno aggiunto una visione diversa del
calcio.
Nonostante il calcio sia lo sport predominante nella
penisola italiana, Giuntini inizia l’excursus sulla comunicazione sportiva
ovviamente dall’estero, citando giornali illustri come il Times che sempre più
inseriva contenuti sportivi nelle sue pagine.
In Italia alla fine dell’800 il calcio era
considerato uno sport di nicchia, come si legge nelle pagine del libro di
Giuntini, dato che sulle pagine dei quotidiani sportivi il ciclismo era quello
che dominava la scena.
Quello che rende unico questo libro è il modo
minuzioso di far entrare il calcio all’interno della narrazione, anche
analizzando il cambiamento del lessico che negli anni ha avuto un distacco
importante dal mondo anglofono, precursore tra tutti Luigi Bosisio che modificò
il titolo della rubrica sulla Gazzetta dello Sport da “Foot-Ball” a “Calcio”.
Non solo giornalismo sportivo, ma anche ogni singolo
aspetto che ha riguardato la comunicazione sportiva italiana, come la nascita
delle riviste e il ruolo istituzionale che si voleva ritagliare a questo sport.
I “comunicati ufficiali” e i “regolamenti e gli statuti” Giuntini li inserisce
nella letteratura del calcio proprio perché verranno inseriti nelle riviste
quali il "Guerin Sportivo" per esempio, proprio per sottolineare come la
comunicazione sportiva non si limitasse al mero racconto, ma anche ad un ruolo
istituzionale ed educativo che si voleva ritagliare in modo sempre più
importante.
Una caratteristica di questo libro è l’inserimento
all’inizio di ogni “capitolo” di frasi di personaggi illustri. Ce n’è una su
tutte che risalta a mio parere e che descrive in modo perfetto quanto la
politica abbia influenzato il racconto del calcio e il modo di insegnare a
guardarlo e forse lo sport in generale. La frase emblematica è stata
pronunciata da Jorge Valdano, ripresa da un concetto del suo mister Menotti,
c.t dell’Argentina di Maradona, che rimarca il dualismo tra sinistra e destra:
un calcio ricreativo e d’avanguardia il primo, un calcio conservatore e duro il
secondo; una frase che non descrive direttamente quello che avverrà durante il
regime fascista, anche perché fu pronunciata quasi 50 anni dopo, ma aiuta a
identificare quanto la destra e il suo pragmatismo abbiano aiutato in un certo
modo allo sviluppo della letteratura calcistica.
Sezione importante infatti del libro è quella
dedicata al modo in cui è stato usato il calcio per strumentalizzare anche la
sfera politica. L’immagine è stata la grande rivoluzione: nascono infatti i
primi settimanali illustrati come La Domenica Sportiva.
Una cosa che Giuntini è riuscito a fare per rendere
questo libro un gioiello è la continua contrapposizione tra i vari autori
citati: la sezione dedicata alla vera e propria letteratura calcistica di
regime mette a confronto per esempio autori antitetici l’uno all’altro come
Gabriele D’Annunzio, il primo a raccontare lo sport in modo differente e in
poesia e Filippo Tommaso Marinetti anch’esso narratore di uno sport visto come
culto e azione per il progresso della società.
La narrativa fascista è sconfinata e nel libro la
parte dedicate a questa è davvero consistente, anche se la principale attività
della comunicazione fascista fu utilizzata a fini propagandistici.
La narrazione sportiva ha coinvolto anche giornalisti
che non propriamente nascevano in quell’ambito e il ricordo del Grande Torino
in questo libro avviene tramite le penne di Dino Buzzati e Indro Montanelli per
il Corriere della Sera con due articoli-gioiello, due affreschi per celebrare
la squadra italiana più forte di sempre.
La Storia della narrazione sportiva però solo ad uno
può essere attribuita, di certo il più grande di sempre: Gianni Brera. La
grandezza del personaggio, quello che ha dato allo sport, la sua critica
graffiante, il suo linguaggio e i suoi neologismi che accompagnano ancora oggi
tutti noi traspaiono perfettamente in questo libro. Un’istantanea perfetta per
godere di quello che è stato il modello per chiunque voglia fare il giornalista
sportivo.
La cosa che mi ha colpito in modo positivo di questo
libro è la sorpresa che mi ha suscitato nel vedere citati autori che ignoravo
fossero compatibili con il mondo calcistico. Uno di questi è Pasolini, che
grazie alla penna di Giuntini ho scoperto essere un amante viscerale del
calcio. Non solo poesia per lui, ma un vero e proprio coinvolgimento personale,
giocatore prima, tifosissimo del Bologna e successivamente poeta del calcio.
Considerava il calcio un “fenomeno di costume importante” e il capocannoniere
di un campionato di calcio come “il miglior poeta dell’anno”. Spunti
interessantissimi, che hanno fatto crescere in me la voglia di scoprire questo
lato di Pasolini a me oscuro.
Dalla letteratura alta di Brera e Pasolini, nella
parte finale del libro Giuntini si concentra sul cambiamento. Non per forza un
cambiamento deve essere proiettato in positivo ed è quello che si percepisce
nelle pagine che si occupano del fenomeno Biscardi: la voglia di calcio negli
anni ’80 era ormai spropositata, lontana anni luce dall’inizio del secolo e
l’autore racconta della involuzione della narrazione calcistica.
Il “salotto” di Biscardi con Il processo del lunedì
aveva portato ad una comunicazione bassa, sgrammaticata, spesso scimmiottata da
ospiti che con il mondo dello sport non avevano propriamente a che fare. È
diventato un simbolo, ha segnato una linea di demarcazione netta e precisa tra
quello che è stata prima e quello che è venuto dopo.
La goliardia e il chiasso sono l’emblema di quel tipo
di comunicazione sportiva che ancora oggi aleggia sopra di noi, anche se come
sottolinea Giuntini, la letteratura del calcio deve marginare questa situazione
che in un certo senso ha portato alla rappresentazione della goliardia del calcio anche nel cinema con i
celeberrimi Lino Banfi e Diego Abatantuono nei loro film più celebri.
Un libro che mi ha stupito in tutto, sia nel modo di
raccontare snello e veloce nonostante sia pieno di nozioni e di cenni storici,
sia nell’efficacia nel mandare messaggi importanti alla società odierna
raccontando quanto sia stata importante la cultura sportiva nello sviluppo del
nostro paese.
Simone Massari
Sergio Giuntini
Calcio e letteratura in Italia (1892-2015)
Biblion, Milano, 2017.
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