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28 ottobre 2011
In libreria
Comunicazione liberata. Altri modi di comunicare e partecipare
a cura di Luca Cian,
Milano, Brioschi Editore, 2011, 256 pp.
Descrizione
"Internet, giornalismo, televisione, teatro, musica, arte, pubblicità, marketing sono mezzi potenti ma devono tornare nelle nostre mani"
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Giornalismo digitale,
Giornalismo partecipativo,
Libreria,
Web
26 ottobre 2011
In libreria
Marica Spalletta
Gli (in)credibili. I giornalisti italiani e il problema della credibilità
Soveria Mannella, Rubbettino, 2011, 238 pp.
Descrizione
Gli (in)credibili. I giornalisti italiani e il problema della credibilità
Soveria Mannella, Rubbettino, 2011, 238 pp.
Descrizione
Che cos’è la credibilità del giornalismo? Quando e perché un sistema giornalistico, una notizia, un giornalista possono definirsi credibili? E che rapporto c’è tra la credibilità di cui i giornalisti credono di godere e la credibilità che gli viene invece riconosciuta dal pubblico? Credibilità proiettata e credibilità percepita devono procedere sempre di pari passo, oppure esse possono percorrere sentieri diversi? Ma, soprattutto, i giornalisti hanno percezione di ciò che il pubblico pensa di loro e del conseguente grado di fiducia che esso è disposto a concedergli? Quelle appena richiamate sono solo alcune delle questioni su cui questo libro si sofferma a riflettere, attraverso un’analisi che, pur senza tralasciare il contesto globale, focalizza l’attenzione sul caso specifico del giornalismo italiano. Un giornalismo – il nostro – che spesso viene accusato di essere (in)credibile: incredibile, da una parte, per cause che hanno a che fare col suo ruolo sociale, con l’assetto del sistema, con gli operatori, col rapporto con le fonti, col messaggio, col formato, con le regole e i valori; e, dall’altra parte, incredibile per l’atteggiamento (incredulo) con cui sovente i giornalisti reagiscono allorquando qualcuno ha l’ardire di far notare la scarsa fiducia che il pubblico nutre nei loro riguardi. Un giornalismo che, in sintesi, fatica a imporsi come interprete credibile di un ruolo sociale essenziale per il corretto declinarsi dei rapporti fra i sistemi e, di conseguenza, per la sopravvivenza della stessa democrazia.
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24 ottobre 2011
Addio Super Sic
Domenica mattina mi sveglio verso le 13 e mi dirigo al computer ancora intirizzato e assonnato, ignaro della tremenda notizia che sto per leggere sulla homepage di yahoo.
E' morto Marco Simoncelli. Nonostante non sia un tifoso appassionato di Motomondiale, apprendo la notizia con la stessa brutale forza di uno schiaffo in faccia. Non ci credo, resto completamente basito e impotente.
Una faccia pulita, come se ne vedono poche in giro. Uno splendido sorriso a trentadue denti, l'innocenza stampata sulle labbra e quegli occhi dolci e gioviali. Un bel ragazzo di 24 anni con quei capelloni enormi che lo rendevano un pò buffo e simpatico a tutti. Il carisma, il talento e la personalità che, nonostante la giovane età, lo hanno portato a competere con i grandi campioni della categoria. La vivacità e la gioia della sua espressione durante le infinite interviste, i giri nei paddock durante il pregara e quel sorriso stanco alla fine di una dura lotta. Quel modo di fare particolare di chi ha un pò la testa tra le nuvole. L'entusiasmo, l'energia e la voglia di vivere e di vincere, tutte caratteristiche in cui è facile rispecchiarsi per i ragazzi giovani. Questo ritratto si accartoccia d'improvviso in un inferno di lamiere a Sepang, durante il secondo giro del Gran premio della Malesia. Un battito d'ala, un fremito, un rintocco secco, un tonfo sordo. Gli occhi di spettatori e fan, della famiglia e della fidanzata, del team e dei suoi avversari. Tutto si ferma per un istante, la sua anima vola nel cielo come una foglia trascinata dal vento. La morte di Marco è incredibilmente silenziosa nell'assordante rumore del rombo delle moto. E' un colpo di scure che si abbatte su un ceppo di legno dividendolo in due precise metà.....un'interminabile secondo di assordante silenzio.
Nessun moralismo, nessun processo, nessun perbenismo...oggi non voglio sentire niente di tutto ciò. Una lacrima cade dai miei occhi e si infrange al suolo....le lancette dell'orologio si fermano un istante, quando il mondo si è fermato per ricordare Marco Simoncelli.
Un'eco..... Super Sic.....
Stefano Ciccone
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Ritorno.....al Passato
Nella sfida al femminile fra il sindaco Marta Vincenzi e la senatrice Roberta Pinotti per la candidatura a primo cittadino di Genova, nelle primarie del centrosinistra spunta un outsider: il marchese Marco Doria, della blasonata stirpe che fece la storia della Superba.
Questo stralcio di articolo da "L'espresso" del 27 ottobre annuncia il possibile ritorno di un Doria alla guida della nostra città. Un deja vu che fa pensare alla voglia di tornare al passato in un momento in cui il presente è disastrato, se non disastroso, e il futuro si prospetta anche peggio se possibile.
Il passato, di per sè, ha una sua stabilità al contrario degli anni a venire che sono quanto mai incerti. Candidare un Doria, al di là del suo orientamento politico, sembra nascondere dietro all'uomo politico di oggi la speranza che ci sia un ritorno a ciò che già conosciamo, all'uomo politico di ieri. Una vecchia conoscenza che ci mette al riparo dalla politica attuale, che ci trascini con sè negli antichi fasti della nostra Superba che, pur avendo subito congiure e crisi, non riuscirebbe ad eguagliare la situazione attuale.
Questa riflessione, se Marco Doria dovesse essere eletto primo cittadino, inconsciamente ci accompagnerebbe per tutto il periodo del suo mandato.
Prenderemo un abbaglio o vivremo un ritorno al passato?Sara Azza
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23 ottobre 2011
In libreria
Massimo Maugeri
L’e-book e (è) il futuro del libro
Historica edizioni, 2011.
Descrizione
L’e-book e (è) il futuro del libro
Historica edizioni, 2011.
Descrizione
L’e-book è davvero il futuro del libro? Che cos’è un libro? Un supporto cartaceo, o il suo contenuto? O entrambi? Cosa ne pensa la scrittrice Dacia Maraini? E gli operatori del settore e i giornalisti che si occupano di editoria? L’intento di Massimo Maugeri, autore del testo L’E-book e (è) il futuro del libro e figura di spicco della comunicazione letteraria sul web, non è quello di proporre approfondimenti tecnici sull’e-book, ma di divulgare opinioni emotive sull’argomento.
*link al sito di Historica edizioni.
*link al sito di ScrivendoVolo.
*segnalato da C.S.
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22 ottobre 2011
CiclisticaMente
“Vienna e Monaco hanno più piste ciclabili di tutte quelle dei nostri Comuni messi insieme”. Questa frase, apparsa appena pochi giorni fa su un articolo di Stefano Rodi pubblicato dal Corriere della sera, dovrebbe farci riflettere. Ebbene si, in Italia, nonostante i 30 milioni di biciclette presenti, si “fa fatica” a pedalare. Nel nostro Paese, come emerso da uno studio di Ipr, si predilige il velocipede nel fine settimana, relegandolo al ruolo di “passatempo” piuttosto che di mezzo di trasporto. Altri dati, infatti, rilevano che “in base ad una ricerca di Legambiente, dal 2000 al 2010, nonostante l'incremento delle piste ciclabili in Italia, il numero degli spostamenti in bicicletta in città è rimasto identico, fermo al 3,8%”. Che cosa fa sì che l’italiano medio non riesca ad intendere la bicicletta come utile, economico ed ecologico mezzo di trasporto di cui poter far uso sempre più, e non sempre meno? Innanzitutto, ciò che l’Italia non ha in comune con paesi tipo Vienna e Monaco è l’ingente presenza di piste ciclabili, di cui questi paesi possono ormai ben vantarsi.
La Germania, infatti, per gli amanti della bicicletta, è una specie di paradiso: la rete di piste ciclabili (lunghezza complessiva fuori dai centri urbani: 40.000 km), ben tenuta ed efficacemente segnalata, soddisfa svariate esigenze, permettendo a tutti i cittadini di viaggiare in bicicletta comodi e sicuri, spesso e volentieri anche con carrozzine apposite per avere sempre i bambini al seguito. Meraviglioso è, anche, vedere bambini alle prime armi con il nuovo mezzo fermi al semaforo ed educati perfettamente al traffico ciclistico/stradale. In Germania la bici è diventata una sorta di status symbol, usato sia come mezzo di trasporto che come vera e propria attività sportiva, nonché ludica. Questo può succedere grazie ad una offerta infrastrutturale assai ampia e articolata.
L’Italia, purtroppo, a dispetto di molti altri paesi Europei, e nonostante l’incremento delle sue piste ciclabili, non può permettersi di “gareggiare”, da questo punto di vista, con nessuno. L’Emilia Romagna detiene il primato italiano in termini di lunghezze ciclabili percorribili: dai 405 km del 2000 si è passati ai 1.031 del 2008, ma questi dati non bastano per consentire al nostro Paese di rivaleggiare, e per poter dimostrare che anche l’Italia è entrata, sempre per rimanere in tema, in pista. In Italia solo otto città hanno piste ciclabili percorribili per oltre 100 km. Mancanza di piste ciclabili significa mancanza di sicurezza, ma non solo, significa anche mancanza di praticità. Ragion per cui anche un mezzo utile, economico e pratico, come potrebbe ben definirsi la bicicletta, perde in Italia ogni sua qualifica primaria. Viaggiare in bicicletta, in Italia, viene visto quasi sempre come un'impresa, un’ardua impresa.
Di conseguenza, la cultura della bicicletta, piuttosto diffusa nel contesto europeo a tal punto da caratterizzare l'immagine di alcuni Paesi, risulta ben lontana dal caratterizzare l’immagine del Bel Paese. Ed è proprio sul concetto di cultura che vorrei focalizzare l’attenzione. Indipendentemente dalle strutture ciclistiche, dai mezzi a disposizione che l’uomo ha, è proprio di cultura che dobbiamo parlare. Che cosa distingue il nostro paese dalla maggior parte dei Paesi Europei? La risposta è molto semplice: in Italia manca la cultura della bicicletta. Il cittadino italiano, a differenza di un cittadino tedesco, olandese o via dicendo, ha ceduto il posto alla modernità, alla tecnologia, alla super velocità e alla comodità priva di fatica, e ha così etichettato la bicicletta, il più delle volte, come mezzo scomodo, poco pratico e facilmente rimpiazzabile. Non sono quindi le strutture ad allontanarci dalla bicicletta, ma la nostra cultura anticiclistica a farci allontanare le strutture e di conseguenza ad allontanarci dalla bicicletta. Così, mentre in Germania ci si prepara all’assai innovativa “autostrada per biciclette”, noi italiani, clacson alla mano, ci immergiamo nel traffico, nervosi ma soddisfatti delle nostre comode auto.
Barbara Morello
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21 ottobre 2011
Levanto, la “California d’Italia”
È ormai iniziato il conto alla rovescia per il campionato mondiale di surf che si terrà dal 10 al 20 novembre p. v. per la prima volta, nella storia di questo sport, in Italia. In particolare è stato scelto un comune della nostra regione: Levanto, località al centro di un’ampia vallata tra Bonassola e le 5 Terre. La conformazione del golfo e la contemporanea presenza di fondali sabbiosi, rocciosi e misti combinati con i venti di Libeccio e Maestrale permettono, infatti, la formazione di onde perfette per la pratica del surf. Queste le caratteristiche che hanno convinto la Asp (l’Associazione mondiale dei surfisti, fondata nel 1976 per promuovere il surf professionistico e unica autorità riconosciuta per stabilirne le regole e i formati di gara) a stabilire la cittadina della riviera come sede per il “Bear pro World Longboard Title 2011”. L’occasione si rivela importante per far emergere e aprire ad un pubblico più ampio questo sport, che solitamente viene legato a tradizioni straniere, come quella californiana. Inoltre l’iniziativa ispira l’organizzazione di eventi paralleli: la “surf arte”, gli skate-park e il “cinesurf” con una rassegna di film dedicati al surf. Gabriele Raso, il consigliere comunale che ha particolarmente a cuore il progetto spiega che: “i mondiali rappresentano un ritorno di visibilità notevole per il territorio, ci saranno infatti televisioni e siti come l’Asp, in contatto con 170 nazioni. E’ previsto inoltre l’arrivo di più di cinquantamila persone, distribuite sui 10 giorni di manifestazione”. Il Comune, infatti, ha preso accordi con le strutture ricettive per garantire un’offerta turistica con prezzi speciali per l’occasione, appoggiandosi anche sulle località vicine di Monterosso Bonassola e La Spezia. Non resta che aspettare l’arrivo dei trentadue surfisti più forti al mondo per dare il via alle gare.
Giulia Cavallo
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19 ottobre 2011
Mamma Italia
A volte mi soffermo a pensare alla nostra bella Italia. La immagino come una forte signora, con un panno bianco avvolto intorno al capo, i vestiti consunti e solchi nel volto che raccontano la storia di una guerriera forgiata dal fuoco di numerose battaglie.
Questa impavida matrona ha affrontato innumerevoli ostacoli: è stata regina del mondo, ha perso molti figli acquisiti, si è divisa, si è riunificata, ha seguito la ragione con l'Illuminismo, si è abbandonata alla spiritualità con il Romanticismo e ha confidato nell’uomo con l'Umanesimo. E' stata rasa al suolo dopo due guerre e si è rialzata dopo una dittatura. Ci sono stati istanti in cui predominava il terrore di vedere prosciugati i propri laghi, deviati i corsi dei fiumi e bruciate le sagge foreste.
Eppure Lei, la mamma Italia non si è mai data per vinta. Ha combattuto giorno dopo giorno, anno dopo anno, secolo dopo secolo. Si è messa nelle mani di una politica che forse non era degna della sua grandiosità, ha dato fiducia a predicatori di falsi ideali rischiando di rimanere per sempre in ginocchio. Forse il suo errore è stato quello di abbassare la guardia, forse la situazione è più pericolosa adesso rispetto a quando la bella Italia si vedeva piombare le bombe dall'alto, dico forse perché ora non si ha più la consapevolezza di chi sia il nemico. La propaganda è ormai troppo subdola per poterla riconoscere e mamma Italia pare troppo stanca per cogliere ciò che di più infimo aleggia nell'aria.
Quando chiudo gli occhi e cerco di dare un volto a questa signora la immagino come una madre che vuole il meglio per i propri figli. La vedo che lavora sodo per permettere loro di studiare ed avere l'istruzione necessaria per affrontare il mondo esterno, dotandoli delle armi richieste per vincere la prossima battaglia. Ma poi riapro gli occhi e vedo che in realtà la crisi che sta piegando la nostra bella Italia sta tagliando le gambe al futuro. E mi domando : «Ma come? Se davvero l'Italia fosse una vera madre non permetterebbe mai che ai suoi figli venisse a mancare l'unica cosa che può permettere loro di rialzarsi e camminare a testa alta. Se si fanno dei tagli all'istruzione come saranno i futuri combattenti di una guerra le cui armi sono l'arte diplomatica e le penne a sfera?». Una vera madre non vorrebbe mai che i propri figli fuggissero da lei per diventare scienziati in America o ingegneri in Inghilterra.
Come vorrei rivolgermi a Lei per domandarle se ha abbastanza forza per reagire a questo alone di ipocrisia e rassegnazione. Ma avrei timore della sua risposta. Cosa mi direbbe? Dopotutto siamo un piccolo stivale di terra inglobato in una realtà dal sapore troppo amaro. Sarebbe stupendo se questo piccolo stivale potesse calpestare i politici corrotti e il falso buonismo di coloro che spacciano le menzogne per verità assolute.
Chissà se mamma Italia ha il tacco dello stivale troppo consunto per camminare ancora... dico questo perché ora la vedo strisciare e quando anche i vestiti saranno troppo logori per coprire le sue vergogne le rimarrà solo quel panno bianco che le avvolge il capo. Allora potrà sfilarselo e nascondere il volto dietro di esso...
Silvia Civano
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17 ottobre 2011
Alta velocità, Bassa felicità
Nel nostro paese si è iniziato a parlare di trasporti ad alta velocità verso la fine degli anni '80. Nel 1991 si approda al progetto TAV, super tunnel sotto le Alpi di oltre 50 chilometri per treni ad alta velocità sulla tratta Torino-Lione. Il così detto "corridoio 5" ha messo d' accordo politici di destra e sinistra, francesi e italiani, all' unanimità, gli ultimi definendo l' opera "irrinunciabile". Le autorità, dagli esordi, hanno promosso il progetto come fondamentale per lo sviluppo dei trasporti italiani, un' ancora di salvezza per non restare tagliati fuori dall' Europa. Tuttavia l' idea si è rivelata ben più che ambiziosa e di complicata realizzazione, senz' altro troppo per un paese come il nostro. A tutto questo hanno assistito per anni gli abitanti della Val di Susa, in provincia di Torino, non certo senza reagire. Il paradosso è che l' opera è stata sostenuta dal governo come metodo contro l' inquinamento, poichè si ritiene che il trasporto su rotaie inquini meno di quello stradale. Ma di certo non è il caso della Val di Susa: l' insostenibilità del progetto, anni e anni di cantieri, tonnelate di materiali da smaltire, macchinari da far funzionare, infiniti viaggi di camion sono sufficienti ad aver determinato uno spreco di risorse ed energia così notevole da avere un impatto devastante, che perdurerà negli anni, sull' ambiente. La realtà è che, per ridurre l' inquinamento, si sarebbe dovuto rinnovare e migliorare la rete ferroviaria già esistente. Secondo le stime di Fulco Pratesi, fondatore del WWF Italia:" Il tratto di ferrovia in discussione, in gran parte in galleria, dovrebbe essere completato dopo il 2030 e sarà utilizzato, a regime, da 16 treni passeggeri al giorno, pur avendo una capacità di 250 treni. Secondo gli esperti, esso non influirà sullo spostamento delle merci dalle strade sovraffollate alla ferrovia e in più avrà un costo per l’ Italia, al netto del contributo dell’ UE, tra i 9 e i 12 miliardi di euro ad essere prudenti). Questo in un Paese che ha perso, dal 1939 a oggi, 7000 chilometri di ferrovie, (la Francia ne ha perse 4.225, la Gran Bretagna 2.403) e, solo dal 1970, più di 4000 km, portando la percentuale di merci trasportate per ferrovia tra le più basse d’Europa, con riflessi pesanti sui consumi di energia e di suolo, sugli inquinamenti e sul paesaggio."
I soldi che verranno impiegati per la Torino-Lione, secondo le ultime stime, ammontano tra i 15 e i 20 miliardi di euro, tre volte tanto il costo del Ponte di Messina, per il risparmio di circa un' ora di viaggio ne può valere la pena? L' opera oltre che costosa è completamente inutile, dal momento che già esiste la linea ferroviaria del traforo del Frejus, che collega Torino alla Francia passando dalla Valle, affiancata inoltre dal tunnel autostradale. Se i pro TAV esaltano la possibilità di nuovi posti di lavoro, la promessa viene subito smentita, come ha affermato recentemente a Firenze il Professor Ponti, ordinario di economia applicata al Politecnico di Milano: "L’ occupazione creata per ogni euro speso per l’alta velocità è bassa, si tratta di un’ opera ad alta intensità di capitale ma non di lavoro. Per creare occupazione nel sistema dei trasporti, dovremmo piuttosto pensare a fare lavori di manutenzione e sicurezza, a realizzare piccole opere. Solo così il lavoro sarà duraturo e il suo termine non coinciderà con il completamento dell’opera”. Tenendo poi conto che parte delle contestazioni degli abitanti sono connesse ai rischi legati alla presenza di uranio, amianto e radon nei tratti dove passeranno i tunnel, documentata da medici e geologi esperti, questa sarà solo l' occasione per erigere l' ennesimo "cantiere della morte", un vero inferno per la salute dei lavoratori e di chi abita in zone limitrofe. Invece di creare occasioni di impiego nella manutenzione e ristrutturazione di opere che già esistono, ma non funzionano o funzionano male come ospedali, scuole, ferrovie, acquedotti, energie rinnovabili, la classe dirigente si preoccupa di creare "grandi opere", che non saranno di nessun aiuto all' economia disastrata del paese. Anzi, Le Osservazioni ai progetti 2010 della Comunità Montana Valli Susa e Sangone, come molti altri studi compiuti, smentiscono i calcoli sull' utilità del progetto stimati dalla società francese LTF, Lyon Turin Ferroviaire, infatti:" Rispetto alla scala delle previsioni di crescita di LTF – un aumento di sei volte del traffico merci per ferrovia tra oggi e il 2030, nel corridoio della nuova linea – si ritiene che i flussi tra Italia e Francia rimarranno sostanzialmente stazionari nel prossimo decennio. Si potranno avere nei prossimi dieci anni variazioni di qualche decimo attorno ai valori attuali, forse un aumento del 50% se le condizioni politiche e normative saranno particolarmente favorevoli al trasporto su ferro, ma i 20 milioni di tonnellate immaginati da LTF, non saranno raggiunti, nemmeno nel caso del tutto improbabile che al 2020 sia in funzione la nuova linea ".
Questa è solo un' ennesima prova che il paese non potrà giovare in nessun modo della Torino-Lione. Proprio in questi giorni in cui si parla tanto di Black Bloc, vandali, delinquenti in rivolta vale la pena ricordare le proteste e i movimenti che da anni lottano pacificamente in Val di Susa. Gente comune, padri di famiglia, pensionati, agricoltori, donne, bambini, ambientalisti, giovani, in una parola i NO TAV, si battono con immensa dignità per la propria terra. Queste persone incarnano il diritto e la responsabilità di ogni cittadino di battersi per l' ambiente in cui si vive e che si spera di lasciare, un giorno, ai figli. Non si tratta di prendere posizione contro il progresso, ma si sceglie di stare dalla parte del futuro, dell' ambiente, l' unica terra a nostra disposizione. Siamo d' accordo che l' Italia necessiti un grosso cambiamento, ma può iniziare solo dal basso, dalle piccole cose di tutti i giorni, per questo un treno veloce non cambierà certo le nostre vite, ma tanti treni locali che partono in orario si! Come ha affermato lo scorso giugno l' associazione Pro Naturta Torino:" Se anche si rinunciasse a costruire il TAV non ci sarebbero penali di alcun genere, al contrario di quanto ha dichiarato il Ministro Maroni: gli esperti di diritto internazionale francesi che nel 2003 hanno esaminato il Trattato di Torino del 2001 per l’audit al parlamento commissionato dal governo hanno sentenziato che il Trattato italo-francese dice, al primo articolo, che la nuova linea “dovrà entrare in servizio alla data di saturazione delle opere esistenti”; questo significa che se non c’è prospettiva di saturazione non c’è impegno e quindi nessuna sanzione per chi abbandona."
Siamo acora in tempo a rimediare e soprattutto a toglierci dalla testa che la solita minoranza che guadagna a discapito dei più deboli abbia irrimediabilmente deciso per tutti quanti.
Ludovica Brunamonti
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... è l'ora di ubriacarsi
Rileggendo i post su Steve Jobs in cui sono state spesso citate e commentate le parole “stay hungry, stay foolish” mi viene in mente un poemetto in prosa di Charles Baudelaire, intitolato "Ubriacatevi" dal francese "Enivrez-vous".
Bisogna sempre essere ubriachi. Tutto qui: è l'unico problema. Per non sentire l'orribile fardello del Tempo che vi spezza la schiena e vi tiene a terra, dovete ubriacarvi senza tregua. Ma di che cosa? Di vino, poesia o di virtù : come vi pare. Ma ubriacatevi. E se talvolta, sui gradini di un palazzo, sull’erba verde di un fosso, nella tetra solitudine della vostra stanza, vi risvegliate perché l’ebbrezza è diminuita o scomparsa, chiedete al vento, alle stelle, agli uccelli, all'orologio, a tutto ciò che fugge, a tutto ciò che geme, a tutto ciò che scorre, a tutto ciò che canta, a tutto ciò che parla, chiedete che ora è; e il vento, le onde, le stelle, gli uccelli, l'orologio, vi risponderanno: "E' ora di ubriacarsi! Per non essere gli schiavi martirizzati del Tempo, ubriacatevi, ubriacatevi sempre! Di vino, di poesia o di virtù , come vi pare".
Il fatto che Baudelaire, sia noto non solo per le sue poesie ma anche per la sua vita sregolata, chiamato a questo proposito “poeta maledetto”, ci può indurre a pensare che questo scritto sia un inno a una vita fatta di eccessi, di perdita di controllo della realtà, ma in realtà è esattamente l’opposto, è un inno per farci prendere in mano la situazione, per permetterci di gestire al meglio le nostre vite con lo scopo di “non essere schiavi martirizzati del Tempo”.
Il poema è stata scritto nel XIX secolo e sorprende vedere come i consigli dati oggi da Steve Jobs sono un po’ gli stessi dati da Baudelaire anni fa, negli anni cambia la società, cambiano le tecnologie, i mezzi di trasporto, cambiano le strade, le città, le prospettive lavorative, ma la ricerca di un senso dell’esistenza è sempre la stessa, per ogni epoca e per ogni vita di ognuno di noi si è sempre alla ricerca di una strada da intraprendere. Stare affamati, ubriacarsi, che vuol dire? significa riempirsi la vita di conoscenza, di cultura, di esperienze. “Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza” diceva l’Ulisse dell’Inferno dantesco. Un consiglio per non stare con le mani in mano. Allora dico grazie a Steve Jobs e a Charles Baudelaire perché mai come adesso, noi giovani nel momento in cui ci troviamo, abbiamo bisogno di una guida e di consigli per trovare una via che ci permetta di costruire la nostra identità.
Il poema è stata scritto nel XIX secolo e sorprende vedere come i consigli dati oggi da Steve Jobs sono un po’ gli stessi dati da Baudelaire anni fa, negli anni cambia la società, cambiano le tecnologie, i mezzi di trasporto, cambiano le strade, le città, le prospettive lavorative, ma la ricerca di un senso dell’esistenza è sempre la stessa, per ogni epoca e per ogni vita di ognuno di noi si è sempre alla ricerca di una strada da intraprendere. Stare affamati, ubriacarsi, che vuol dire? significa riempirsi la vita di conoscenza, di cultura, di esperienze. “Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza” diceva l’Ulisse dell’Inferno dantesco. Un consiglio per non stare con le mani in mano. Allora dico grazie a Steve Jobs e a Charles Baudelaire perché mai come adesso, noi giovani nel momento in cui ci troviamo, abbiamo bisogno di una guida e di consigli per trovare una via che ci permetta di costruire la nostra identità.
Maria Vittoria Dapino
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16 ottobre 2011
...a volte ritornano
Un mese dopo la marcia su Roma, un giovane torinese di 21 anni, pubblicava su una rivista da lui stesso fondata un programma morale dall'attualità disarmante:
"Non possiamo star neutrali, non possiamo rimanere in benevola attesa, neanche un istante. Mai come oggi c'è stato bisogno di critica libera e coraggiosa. "La Rivoluzione Liberale" uscì l'altra settimana mentre ancora non si sapeva se chi parlava aperto sarebbe stato perseguitato e condannato. Uscì parlando aperto. E' diventata da allora un simbolo. Siamo rimasti quasi soli ad avere la responsabilità della formazione delle nostre classi dirigenti. Sentiamo la delicatezza, la gravità del compito.
Fra tanti ciechi siamo condannati a vedere; fra tanti illusi dobbiamo essere consci di tutta un'esperienza storica e attuale. Non è lecito guardare con fiducia esperimenti che la storia ci addita dannosi, e far credito a uomini che tutti sappiamo impreparati e incapaci di costruire in Italia una coscienza moderna.
Sentiamo le difficoltà quasi insuperabili che la nuovissima tirannide impone al nostro lavoro. I partiti di massa si sono dimostrati inferiori alle loro funzioni. Gli uomini politici sono stati tutti liquidati. La salvezza verrà dal movimento autonomo che gli operai contrapporranno alla presente tirannide. In mezzo alle orge dei vittoriosi riaffermiamo che lo spirito della rivoluzione e della libertà non si potrà uccidere. Si possono bruciare le Camere del lavoro: non si distrugge un movimento operaio che è nato insieme col Risorgimento nazionale". - Piero Gobetti
*dal numero 33 della rivista "La Rivoluzione Liberale" (novembre 1922).
Simona Tarzia
14 ottobre 2011
Giorni da ricordare
Lo sciopero degli operai di Fincantieri e il discorso di Mario Draghi offrono un interessante spunto di riflessione sulla realtà politica e sociale del nostro Paese, che porta a conclusioni per nulla ottimistiche e confortanti.
Mercoledì 12 ottobre, da mezzogiorno circa fino a pomeriggio inoltrato, la stazione ferroviaria di Genova Piazza Principe è stata occupata dagli operai di Fincantieri, che protestavano contro il proprio licenziamento. La folla di manifestanti e di pendolari si assiepava ora lungo il binario 11, in superficie, ora lungo i binari sotterranei, a seconda di dove fosse previsto il treno, i primi impedendo il normale svolgimento del servizio ferroviario, i secondi sperando di poter partire. Gomito a gomito, essi hanno avuto modo di confrontarsi: i protestanti rivendicavano il proprio diritto a lavorare, gli utenti di Trenitalia chiedevano che cosa c'entrassero loro se questo non veniva garantito e si lamentavano di non poter usufruire di un servizio che lo Stato dovrebbe erogare con regolarità. Il giorno seguente alcuni quotidiani nazionali hanno riportato il discorso di Mario Draghi, governatore di Bankitalia, sulle condizioni necessarie alla ripresa economica del nostro Paese. Fra queste, egli individuava la necessità che la società riscopra un nucleo di valori comuni su cui gettare le basi di una nuova solidarietà, in modo da ricostruire insieme quel che resta della nostra economia.
Riflettendo sui due avvenimenti, sorge spontaneo chiedersi a chi avrebbe dato ragione Draghi, se fosse capitato a Piazza Principe in quel mezzogiorno di fuoco. A quale valore si sarebbe appellato, per tentare di conciliare i due interessi contrastanti, eppure entrambi legittimi? Probabilmente, sentendo le sue parole, qualcuno si è interrogato su quale condivisione possiamo fare leva, noi poveri Italiani lasciati a noi stessi, abbandonati da un Governo troppo occupato a rimanere in piedi per risolvere i problemi reali. Che solidarietà potremo mai avere gli uni con gli altri, se per avere un minimo di visibilità siamo costretti a pugnalare alle spalle il nostro vicino di casa?
Che gli eventi di questi giorni siano ricordati e servano come spunto di riflessione, purtroppo, è pura utopia. Chi conosce anche solo un po' la storia del nostro Paese sa bene che, per quanto le piazze siano in tumulto, gli operai scioperino, gli studenti manifestino, non viene preso nessun provvedimento. La Casta politica rimane sempre ferma, in immobile difesa dei propri privilegi, appannaggio di pochi, ignorando i diritti di tutti gli altri, che vengono calpestati ogni giorno.
Ilaria Bucca
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Etichette:
*Genova,
Economia,
Politica italiana,
Sindacato
13 ottobre 2011
AIESEC - Associazione Studentesca Internazionale
AIESEC – Sono aperte le selezioni
AIESEC è la più grande associazione universitaria al mondo riconosciuta dall'ONU. Presente in oltre 110 paesi, con più di 50'000 membri, gestita esclusivamente da studenti, AIESEC da oltre 60 anni si prefigge di formare da un punto di vista personale e professionale i proprio membri attraverso stage all'estero e la realizzazione di progetti e attività su argomenti globalmente rilevanti.
Attività in team, scambio culturale, rapporti con l'estero, istituzioni, imprese, associazioni, ruoli di leadership, un network internazionale, esperienze, formazione … questo e molto altro AIESEC offre ai propri membri.
VIVI UNA ESPERIENZA INTERNAZIONALE ... RESTANDO NELLA TUA CITTA' !
*link al video di presentazione su YoutubeAIESEC Genova ha aperto le selezioni per l'ingresso dei nuovi membri. Le iscrizioni chiuderanno il 22 ottobre.
*Link alla application online.
Eventi si presentazione:
Lunedì 17 ottobre 2011, ore 12.30 / 14.30 presso la Facoltà di Economia e Commercio, aula Caffaro 4° piano – Buffet gratuito
Giovedì 20 ottobre 2011, ore 13.00 /15.00 presso la Facoltà di Lettere e Filosofia Via Balbi 4 – Piano Terra Sala Mandela aula M,
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O vieni a trovarci presso il nostro ufficio:
Facoltà di Economia Piano Terra
Via Vivaldi 5, Genova
Orario: Mar – Mer – Gio. dalle 10.30 alle 14.30.
Website: www.aiesec.org/italy/genova
Blog: aiesecitaly.blogspot.com
Giacomo Carozza
responsabile relazioni esterne
AIESEC - Genova
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La chef-mania
Da un po' di tempo a questa parte, il mondo della cucina si è aperto anche ai meno esperti.
Siamo stati coinvolti in un turbine di Gamberi rossi, guide Michelin e grandi cappelli bianchi che, inseriti in programmi televisivi, hanno fatto irruzione nel mondo comune.
Abbiamo riscoperto l'arte della cucina con tutto il suo fascino: sarà perchè ci è stata presentata con uno stile "modaiolo", sarà perchè siamo italiani e tutti questi riconoscimenti UNESCO ci riempono d'orgoglio, ma ormai la cucina interessa un po' tutti. Alcuni preferiscono restare spettatori e godere delle nuove, innumerevoli trasmissioni Tv, altri sono del tutto contagiati e si cimentano in piatti nuovi portando la nouvelle cousine fuori dai prestigiosi ristoranti francesi. Non è da sottovalutare quanto ha contribuito il fascino parigino della cucina, quella magia che avvolge una città che non deluderà mai e, poichè di magia si tratta, il connubio tra alta cucina e cartone animato, ha scatenato la scintilla che ha fatto sognare grandi e piccoli, avvicinandoli ad un mondo non più così lontano e meno circoscritto ai soli esperti. Il film di animazione Ratatuille, è il caso di dirlo, non ha affascinato solo i bambini. L'enogastronomia, di recente, sembra essere percepita come una moda che si è diramata su internet con la creazione di molti blog. Non resta da sperare che se proprio di moda si tratta, almeno non sia passeggera.
Sara Azza
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12 ottobre 2011
Quando si ha sete di informazione...
Il primo giorno di lezione la Professoressa Milan, senza un minimo cenno d’incertezza, ci disse che in ogni luogo e ogni epoca, l’informazione ha sempre vinto e continua a vincere. Chi vuole divulgare una qualunque notizia, in un modo o nell’altro, supera, da sempre, ogni sorta di censura.
Improvvisamente la mia fiducia nei confronti del Giornalismo, quello con la G maiuscola, riprese vigore, anche se, confesso, una certa diffidenza nei confronti di una dilagante “mala informazione”, continuava a lasciarmi in dubbio a riguardo.
Pochi giorni dopo leggo sui giornali che il Governo sta cercando un’altra volta di imbavagliare la Stampa (anch’essa degna di maiuscola) ed ecco che lo sconforto torna prepotentemente.
In questa altalena di stati d’animo ieri mi ha salvata la notizia che Santoro è riuscito a raccogliere la bellezza di 210 mila euro (contando solo i versamenti paypal), nel giro di 48 ore dal lancio della raccolta fondi per il suo nuovo programma Comizi d’amore.
Subito ho pensato “questa è democrazia”: il popolo che si autofinanzia i programmi che desidera vedere. Altro che partecipazione attiva, qui siamo ad un passo dalla rivoluzione contro il bavaglio!
Questo moto di ottimismo mi ha riportata all’esperienza del 2010 di Rai per una notte: 50 mila cittadini che con un contributo di 2.50 euro a testa danno vita ad un programma che, solo in diretta, ha registrato il 13% di share, senza essere trasmesso nelle reti “tradizionali”. Per non parlare del numero di persone che lo hanno rivisto nelle successive 48 ore: un vero successo!
Ora, non voglio santificare Santoro (mi si perdoni il facile gioco di allitterazione), prima di vedere di che pasta è fatto il suo nuovo programma, ma desidero, questo sì, sottolineare un fatto: gli italiani hanno sete d’informazione e sono disposti a pagare 10 euro a testa, se non di più, per dissetarsi.
Dati i fatti, mi tocca essere completamente d’accordo con la frase che ci ha imposto la prof. il primo giorno: l’informazione vince sempre. Così penso ad Enzo Biagi che, dopo l’assurda censura che subì dalla Rai per mezzo dell’allora ed attuale Presidente del Consiglio, uscì nelle librerie con un saggio dal titolo provocatorio “Quello che non si doveva dire”, nel quale vennero raccolte le inchieste che il maestro del giornalismo fece ugualmente con la sua equipe e che non furono mai mandate in onda. Già, chissà cos’è che non si poteva dire.
Spingendoci oltre i libri, adesso gli imbavagliatori devono fare i conti con i nuovi mezzi di comunicazione, sempre più alla portata di tutti e molto più veloci di una qualsiasi legge proibizionista. La vera informazione adesso è sul web e, se attraverso Facebook i nordafricani sono riusciti a ribaltare i loro longevi regimi dittatoriali, si potrà mai pensare che in un Paese come il nostro la Stampa si debba fermare davanti ad un Decreto Legge?
Marta Farruggia
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In libreria
Critica e recensioni sui quotidiani in Italia e in Europa
a cura di Paolo Serafini
Torino, Allemandi, 2011, 128 pp.
Descrizione
a cura di Paolo Serafini
Torino, Allemandi, 2011, 128 pp.
Descrizione
Il volume raccoglie i contributi dei relatori intervenuti agli incontri su Lo stato della critica d’arte sui quotidiani in Italia e in Europa, tenuti all’Università La Sapienza di Roma, ed esamina, proponendo un confronto europeo, l’importanza e il significato del ruolo acquisito dalle pagine di cultura dei quotidiani nel campo storico-artistico, con particolare attenzione al valore culturale, di indirizzo e divulgativo delle recensioni delle mostre, ai rapporti tra la critica d’arte e la recensione, alla continua corsa a vantaggio dell’informazione e a scapito della riflessione.
*segnalato da C.S.
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Post-coccodrillo per Steve Jobs
Se qualcuno ha la prova che Gutenberg abbia inventato qualcosa - un carattere mobile o stampato un libro - ce lo dica. Il concetto vale anche per Steve Jobs. Ma se del primo non ci sentiamo di escludere del tutto che possa essere stato un inventore, del secondo sì. Jobs ha semmai cavalcato meglio degli altri la rivoluzione di Alan Turing, che nel 1936 intuì la possibilità di "inventare un'unica macchina che può essere usata per computare qualsiasi sequenza computabile".
Al pari di Bill Gates, Jobs è stato un carismatico pioniere di quell'impresa digitale che ci fa sentire superati attimo per attimo dalla nostra tecnica e dalla nostra scienza sino a capovolgerci le prospettive del mondo conosciuto.
Più che inventore dunque è stato un enciclopedista che, con spirito illuminato e profondo, ha saputo mettere in relazione il pensiero speculativo e l'attività pratica nella sua officina dei sogni di Cupertino.
Ma sopra ogni cosa il suo capolavoro sono state le strategie, le soluzioni organizzative adottate per un marketing globale. E lo si è visto: la "ola" mediatica del pianeta battezza Jobs come il nuovo Gutenberg, un genio al pari di Leonardo da Vinci, ecc.
“D'ora in poi la socializzazione avverrà nel computer”: le parole dell'aspirante profeta Nicolas Negroponte ("Essere digitali”", 1995) si sono materializzate in oracoli del gusto e del desiderio, fino ad assumere le sembianze della geniale invenzione.
Francesco Pirella
*Francesco Pirella, editore e studioso dell'arte grafica, è fondatore e direttore di ARMUS Archivio Museo della stampa di Genova.
*pubblicato per gentile concessione dell'autore.
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11 ottobre 2011
Il film "americano" di Paolo Sorrentino
Esce il 14 ottobre nelle sale cinematografiche italiane il nuovo film firmato Paolo Sorrentino, This must be the place. Dopo il grande successo de Il Divo, suggellato da un' ottima critica italiana e straniera e dalla vittoria del Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes 2008, il regista partenopeo torna dopo tre anni sul grande schermo e lo fa con un film internazionale. Girato tra l'America e l'Irlanda, interamente in lingua inglese e con un cast eccezionale capitanato da Sean Penn, il film, dopo aver ottenuto un riscontro positivo alla sessantaquattresima edizione del Festival di Cannes, è senza dubbio una delle novità più attese dagli appassionati di cinema e c'è già chi mormora una sua candidatura agli Oscar 2012.
Sorrentino, nonostante abbia potuto contare su un budget impensabile per un film italiano, 28 milioni di dollari, in gran parte assicurati dalla produzione italiana (Indigo Film, Lucky Red e Medusa), in parte frutto di accordi di co-produzione con Francia e Irlanda, non ha rinunciato ad alcuni dei suoi più fidati collaboratori come Umberto Contarello per la sceneggiatura, Cristiano Travaglioli per il montaggio e Luca Bigazzi per la fotografia.
Il regista sceglie Sean Penn come protagonista del suo film. I due si incontrarono durante il Festival di Cannes 2008 in cui l'attore ricopriva il ruolo di Presidente della giuria, promettendosi reciprocamente di lavorare al più presto insieme. Nonostante la volontà di concedersi un anno di pausa dopo la vittoria del suo secondo premio Oscar con il film Milk, Penn decise ugualmente di prendere parte al progetto di Sorrentino. Lo troviamo così immortalato sulla locandina del film, con una chioma nera cotonata, le labbra truccate di rosso e gli occhi bistrati di nero alla Robert Smith dei Cure. Interpreta Cheyenne, un ebreo cinquantenne ed ex rockstar depressa e annoiata che va a trovare il padre in fin di vita ma trovandosi dall'altra parte del continente, arriva troppo tardi per dargli l'ultimo saluto. Scopre solo in quel momento, sfogliando le pagine di un diario del padre, che era stato prigioniero in un campo di concentramento e tra le terribili azioni di cui fu vittima ricorda, con grande rancore, l'umiliazione subita da una guardia del lager. Per tutta la vita aveva cercato invano di vendicarsi dando la caccia al criminale nazista. Cheyenne decide così di proseguire l'opera mettendosi alla ricerca di quell'uomo che tanto aveva segnato la vita del padre.
Uno degli elementi chiave del film è la musica, come peraltro accade spesso nei film di Sorrentino. Il titolo del film è tratto da un pezzo dei Talking Heads di David Byrne e la colonna sonora è firmata proprio da lui che ritroviamo anche nel cast insieme a Frances Mc Dormand, Harry Dean Stanton e Eva Hewson, figlia di Bono degli U2.
Sorrentino dopo il successo delle sue precedenti pellicole, L'Uomo in più, Le conseguenze dell'amore, L'amico di famiglia e Il Divo, torna a far parlare di sé dimostrando, non solo al pubblico nazionale ma anche a quello straniero, che il cinema italiano non è un cinema spazzatura incapace di attraversare i confini nostrani e convincere la critica fino a strappare premi e riconoscimenti importanti, ma un cinema maturo, capace, ricco di elementi interessanti incorniciati in uno stile eclettico e sofisticato fatto di immagini e inquadrature vorticose da capogiro.
Resta solo l'attesa di pochi giorni per scoprire se il debutto americano del regista napoletano sarà ritenuto all'altezza delle aspettative ed entusiasmerà il pubblico italiano.
Camilla Andrianopoli
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Italiansia....
Che caos! che enorme, gigantesco ingorgo di voci contrastanti. Un guazzabuglio,un labirinto, un intricato gomitolo di lana da cui è difficile districarsi per scoprire cosa sta davvero succedendo nel nostro paese.
I vertiginosi crolli delle borse italiane ed europee hanno provocato il volatilizzarsi di milioni di euro nelle ultime settimane, gettando nello sconforto moltissimi risparmiatori italiani svegliatisi con l'eco poco piacevole di venti recessionisti e di concreti timori di default, tanto da convincere molti a ritirare parecchio denaro liquido dai propri conti.
Ma cosa sta succedendo veramente? Com'è cominciato tutto ciò?
La firma che ha provocato l'inizio della crisi economica e finanziaria odierna proviene dalla penna del presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, che nel 1999 abrogò la legge bancaria nota come Glass-Steagall Act del, ovverosia quella legge che permise agli Usa di uscire dalla crisi del 1929 separando le attività bancarie tradizionali da quelle di investimento, controllando così eventuali speculazioni
L'abrogazione della Glass-Steagall, istituita nel 1933, fu sostituita con la promulgazione della Gramm-Leach-Bliley act che riportò le banche commerciali e le investment bank a poter essere esercitate di nuovo dallo stesso intermediario.
Oggi le ultime oscillazioni dei titoli e le presunte instabilità delle banche hanno diviso gli analisti di borsa in due diverse correnti di pensiero: una parte, detta anche "matematica", ritiene sia difficile scendere sotto il minimo storico di 12905 toccato da piazza affari il 23 ottobre 1995 e quindi auspica un rialzo imminente della borsa e consiglia gli investimenti almeno a medio termine. Invece l'altra parte predica molta prudenza e consiglia vivamente pochi investimenti e molto mirati a causa della grande incertezza del momento.
Molto difficile dire chi abbia torto o chi ragione, sicuramente la causa di una simile situazione non è imputabile solo all'abrogazione della Glass Steagall o alla crisi della Grecia o all' imprevedibilità della borsa, poichè in realtà le banche italiane, tra cui Unicredit e Intesa, sono tra le più stabili in Europa non avendo investito ad esempio nei mercati greci.
La realtà dei fatti è che in Italia servono delle riforme e anche urgentemente. Molte voci si sono alzate negli ultimi giorni, come ad esempio quella di Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, che ha dichiarato senza mezzi termini la necessità di una riforma fiscale che sgravi di tasse le aziende che sostengono l'economia italiana e i lavoratori, una riforma delle pensioni, alcune privatizzazioni, e investimenti sulle infrastrutture. Una buona idea auspicata da tanti sarebbe rifare la rete elettrica e quella delle telecomunicazioni (ormai moderne ed eccellenti in tutta Europa) e fare una mappa delle eccellenze italiane come ad esempio il settore tessile e quello meccanico per poter poi reinvestire su formzione e istruzione, pietre miliari per una rinascita.
Intanto il tempo passa e queste riforme in Italia non vengono attuate, lasciando il cuore degli italiani sommerso da un'ansia impenetrabile che aleggia sulla testa come una spada di Damocle; tra Marchionne che lascia Confindustria e non si sa se lascerà anche l'Italia, tra il mistero del successore di Draghi, diretto a Francoforte, per prendere le redini della Banca d'Italia sulla cui nomina sembra esserci l'ennesima guerra intestina che poco sembra avere a che fare con il bene del paese, tra il poco chiaro fallimento del S.Raffaele, non si può affatto stare tranquilli.
Penso che la degna conclusione di quanto detto fino ad ora possa essere riassunta efficacemente dalle parole della giornalista Milena Gabanelli, ospite domenica sera a "Che tempo che fa", programma condotto da Fabio Fazio su Raitre : "Se le poltrone pubbliche sono occupate da incompetenti si sviluppano disastri e a quel punto non sarà più sufficiente tinteggiare la casa ma sarà necessario cambiare ogni singolo mattone". Chi ha orecchie per intendere, intenda....
Stefano Ciccone
10 ottobre 2011
Da Gutenberg a Harry Potter
Alla metà del Quattrocento risale una delle invenzioni che più cambiarono il modo di vivere dell'uomo: nel 1439, Gutenberg inventa la stampa a caratteri mobili, strumento che dà la possibilità di considerare il libro non più come un elemento da consultare solo in biblioteca, ma come oggetto che può far parte della quotidianità. Quest'invenzione si diffonde rapidamente e si diffondono altrettanto rapidamente i primi giornali. Con il trascorrere dei secoli, si è passati dalla stampa a caratteri mobili alla macchina da scrivere e, in seguito, al computer.
In questi ultimi anni, un'altra grande rivoluzione si sta inserendo nella pratica giornalistica: grazie all'uso di iPhone o smartphone in tasca i reporter hanno sempre con sé una redazione portatile. Si ha infatti la possibilità di scattare fotografie, montare dei video, di accedere alle fonti del web e di trasmettere istantaneamente qualsiasi informazione in redazione. Questi nuovi giornalisti sono stati definiti in linguaggio informatico: Giornalisti 3.0.
Parlando di Steve Jobs, Bruno Ruffilli afferma che "le lezioni di calligrafia di cui parla servirono anche a dare una veste grafica più elegante a giornali e libri, realizzati spesso da giovani alle prime esperienze, affascinati dalle possibilità che la piattaforma Apple offriva. Una generazione di giornalisti e grafici si è formata con Illustrator e Freehand, ha scoperto le magie di Photoshop, esplorato i font con Suitcase, disegnato pagine con PageMaker e Quark Xpress. Prima ancora della sua scomparsa, Steve Jobs era già visto come il Gutenberg dell’era digitale, per aver portato sull’iPad giornali ed eBook o per iniziative come il Daily, primo quotidiano solo su tablet: giusto, ma la sua rivoluzione era cominciata ventisette anni fa".
Riporto, infine, una notizia letta qualche settimana fa: a Dublino, il quotidiano "Metro Herald" contiene alcuni elementi pubblicitari ed editoriali che, semplicemente passandovi sopra con uno strumento come l'iPhone o l'iPad, si animano o diventano tridimensionali. Siamo arrivati, dunque, grazie alle nuove tecnologie, a rendere possibili le fantastiche magie lette nei libri di Harry Potter, in cui i personaggi ritratti nelle fotografie dei giornali si muovevano e si spostavano a loro piacimento.
A tanto hanno portato le innovazioni tecnologiche di personaggi che spesso sono stato definiti pazzi e visionari: in realtà, solo quelli che hanno avuto la possibilità di guardare oltre, sono riusciti a raggiungere l'impossibile.
Martina Zavagna
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09 ottobre 2011
L'altra faccia della moda: la responsabilità
Si pensa che la moda sia solo consumo ostentativo, lusso, tendenza, frivolezza e superficialità, ma in realtà la moda è molto altro. Esiste un aspetto della moda, forse sconosciuto ai più, che sta emergendo proprio in questi ultimi anni: la moda etica e responsabile. Cos’è? È una moda impegnata nel sociale. Si tratta di un sistema moda più attento e sensibile al rispetto per l’ambiente, alla tutela dei diritti dei lavoratori, alla valorizzazione del contenuto storico e artigianale dei prodotti. Da parte non solo dei consumatori ma anche dei produttori si sta muovendo un interesse crescente verso questi aspetti. Le persone hanno sempre più bisogno di trasparenza, di conoscere la provenienza e la filiera produttiva dei vari prodotti presenti sul mercato.
C’è da dire che è diffuso un pregiudizio nei confronti di questo tipo di moda, magari considerata troppo “alternativa” o etnica, ma un evento come quello di Parigi “Il Salone del lusso sostenibile” ha permesso di sfatare questo mito per attribuire il giusto valore alla moda etica.
Un esempio è Cangiari, un marchio di moda etica e sociale gestito da Goel, un consorzio di imprese sociali nato nella Locride che ha come scopo il cambiamento della Calabria, operando per il riscatto delle comunità locali. La mission di questa cooperativa è combattere il potere della ‘ndrangheta e rilanciare le tradizioni artigianali calabresi creando occupazione nella regione, e risolvere il problema della disoccupazione giovanile offrendogli un’alternativa concreta per scappare dalla malavita organizzata. Lo stesso negozio di Cangiari, situato a Milano, è un immobile che è stato confiscato alla mafia anni fa, quindi oltre a essere un punto vendita è anche un luogo di sensibilizzazione culturale sui temi della giustizia sociale. La parola stessa Cangiari significa “cambiare” in calabrese e fa riferimento al cambiamento che può avvenire all’interno del sistema della moda, indica l’intenzione di voler creare un nuovo modello economico basato sulle cooperative sociali.
Per parlare del sistema moda in generale, oggi stiamo assistendo a un processo di saturazione di significati, oramai è difficile vedere nei capi proposti ogni anno dai vari stilisti internazionali dei veri elementi innovativi, creare una vera e propria innovazione estetica è davvero difficile, gli stili del passato vengono rivisitati continuamente e ciò lascia a noi consumatori l’impressione di acquistare capi già visti e rivisti. Pensando al futuro, è proprio la moda etica che ci permette di attribuire alla moda un insieme di nuovi significati e valori che sono importanti per la società.
Maria Vittoria Dapino
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"Stay hungry. Stay foolish" (S.J)
"Quando ero un ragazzo c’era una incredibile rivista che si chiamava The Whole Earth Catalog [...] E’ stata creata da Stewart Brand [...] Stewart e il suo gruppo pubblicarono vari numeri di The Whole Earth Catalog, e quando arrivarono alla fine del loro percorso, pubblicarono il numero finale.[...] Nell’ultima pagina del numero finale c’era una fotografia di una strada di campagna di prima mattina [...] Sotto la foto c’erano le parole: “Stay Hungry. Stay Foolish.”, siate affamati, siate folli. Era il loro messaggio di addio. Stay Hungry. Stay Foolish. Io me lo sono sempre augurato per me stesso. E adesso che vi laureate per cominciare una nuova vita, lo auguro a voi.Stay Hungry. Stay Foolish."
Queste quattro semplici parole le abbiamo sentite spesso negli ultimi giorni. Pronunciate da Steve Jobs nel 2005, in occasione della consegna dei diplomi di laurea, nonchè della sua stessa laurea ad honorem alla Standford University, genio informatico che ci ha lasciati pochi giorni fa, vinto dal male del secolo.
Non sono qui per parlare della sua brillante carriera, nè tantomeno delle sue invenzioni tecnologiche, non ne avrei le capacità, sinceramente. Vorrei invece riflettere su questa semplice frase, che sta rimbalzando dai giornali, alla televisione, al web: "Stay hungry. Stay foolish", pronunciata da Mr. Jobs. Una sorta di "testamento spirituale", tanto semplice quanto potente ed esplosivo.
Cosa significano queste parole, "Stay hungry. Stay foolish"?Traducendo semplicemente dall'inglese diventerebbe: "siate affamati, siate folli".
Un po' riduttivo, forse, dargli soltanto questo significato.
Questa bellissima frase mi colpì particolarmente nel 2005, ed è affiorata alla mia memoria pochi giorni fa, in occasione della tragica notizia.
Non credo abbia un vero e proprio significato universale e categorico, può essere interpretata in moltissimi modi diversi; a grandi linee si è tutti d'accordo nel pensare che l'augurio che Steve intendeva fare ai giovani laureati che si affacciavano alla vera vita, quella difficile, quella spinosa era una speranza.
Una speranza di non dimenticarsi mai di cercare, scoprire, documentarsi, essere letteralmente "hungry", affamati di cultura, di novità, di vita. Tutto ciò condito con un pizzico di "follia", di volontà di non arrendersi e di prendere le situazioni di petto, anche con un po' di incoscienza, se è il caso.
Credo che, preso da questo punto di vista, sia il migliore augurio che un uomo adulto, che già vive nella "vita reale" possa fare a dei ventenni.
Ma poi, quello che mi ha maggiormente colpito è l'impalpabilità di questo messaggio, "Siate folli", folli? Affamati? Ingordi di vita?
Bè, è molto particolare sentirlo dire da uno degli informatici più famosi al mondo, un uomo che dal nulla ha progettato un Machintosh. Un uomo che, apparentemente, con la follia ha ben poco a che fare: i personal computer, una sequenza di codici, impulsi elettrici e fili, così logici, così materiali, come logico e materiale deve essere il tecnico che li costruisce e li progetta.
E invece? E invece quella persona così logica e quadrata spera che la generazione di domani sia si responsabile, pragmatica e razionale ma anche libera, leggera, piena di sogni nel cassetto..."foolish".
Ma alla fine, poi, è tutto comprensibile: un uomo non ha una sola personalità, ne ha mille, mille diverse, opposte, simili o contrarie.Si, è vero, si dice che chi nasce tondo non diventerà mai quadrato, ma chi non nasce ne tondo ne quadrato può assumere la forma che vuole.
E forse Steve Jobs era così, poliforme.Francesca Alberti
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Scrittura e lettura: Se una notte d'inverno un viaggiatore
Un lettore, una lettrice e un non lettore. Uno scrittore e un falsario. Questi sono i personaggi di Se una notte d’inverno un viaggiatore, opera di Italo Calvino pubblicata nel 1979.
Non la storia di un lettore qualsiasi, ma è la tua storia: sei un lettore attento, interessato. Una mattina entri in libreria e ti lasci avvolgere dalla curiosità per un titolo ipotetico, Se una notte d’inverno un viaggiatore. Hai voglia di farti trasportare in un'altra dimensione, il titolo ti piace, ti ricorda quei romanzi dell’ottocento che iniziavano tutti in una notte buia e tempestosa. Vai a casa, ti sistemi sulla tua poltrona e inizi a leggere il romanzo. Dopo il primo capitolo, però, ti rendi conto che le pagine a seguire sono bianche e, in preda al desiderio di sapere come andrà a finire, ti rechi in libreria per segnalare il problema. Ecco che, in mezzo ai libri, entra nel tuo campo visivo la Lettrice: anche lei ha comprato lo stesso libro e ha riscontrato lo stesso errore di stampa. Decidete di mettervi insieme sulle tracce del manoscritto, iniziano così le vostre incalzanti avventure che vi porteranno a incominciare dieci libri diversi senza riuscire a portarne a termine nemmeno uno.
È un’opera caratterizzata dal senso d’attesa di suspense tipica dell’incipit: lo scopo di Calvino è, infatti, quello di scrivere un libro di soli inizi, in quanto il momento iniziale della lettura è quello contraddistinto dalla maggiore tensione e curiosità. L’incipit è il momento in cui tutte le speranze del lettore non sono ancora state disattese dallo scorrere della storia, il momento in cui il romanzo che si sta iniziando può prendere la forma di tutti i romanzi possibili.
Queste è l’idea iniziale da cui parte l’autore che, per contestualizzarla, crea una cornice essenziale: la storia del lettore. I personaggi, infatti, sono funzionali a una riflessione sul romanzo considerato da ogni punto di vista. Per quanto riguarda l’atto della lettura, Se una notte d’inverno un viaggiatore offre un campionario di modi di leggere: abbiamo la lettura professione del dottor Cadavegna, un editore, che rimpiange l’epoca della sua infanzia in cui leggere era solo un piacere, la lettura erudita dei professori universitari che mirano solo a trovare conferma di nozioni acquisite. Abbiamo poi la lettura elettronica di Lotaria, sorella della Lettrice, che consiste nell’analisi delle liste di vocaboli del testo disposte, grazie a un software in ordine di frequenza. C’è poi la lettura normale della Lettrice che legge solo per il piacere di leggere e un personaggio, Irnerio, che ha deciso di smettere di leggere: dopo aver disimparato a leggere, processo molto più difficile di quello opposto, usa i libri solo come oggetti da cui ricavare sculture.
È presente, inoltre, una riflessione sulla scrittura, incarnata dallo scrittore Silas Flannery che esprime l’utopia calviniana di poter scrivere tutti i romanzi possibili e, allo stesso tempo, vagheggia una scrittura in cui l’autore è assente dicendo “come scriverei bene se non ci fossi”.
Infine ogni incipit appartiene a generi letterari differenti: si passa dal romanzo psicologico, al thriller, dallo stile del racconto erotico giapponese al romanzo rivoluzionario russo.
Riporto in conclusione, un brano del libro appartenente al diario di Silas Flannery, che si interroga sulla possibilità di una scrittura e di una lettura oggettiva, prescindendo dall’individualità dello scrittore e del lettore, uno dei punti culminanti della riflessione di Calvino contenuta nell’opera.
"Ho letto in un libro che l’oggettività del pensiero si può esprimere usando il verso alla terza persona impersonale: dire non “io penso”, ma “pensa”, come si dice “piove”. C’è del pensiero nell’universo, questa è la constatazione da cui dobbiamo partire ogni volta. […] solo quando mi verrà naturale d’usare il verbo scrivere all’impersonale potrò sperare che attraverso di me s’esprima qualcosa di meno limitato che l’individualità del singolo. E per il verbo leggere? Si potrà dire “oggi legge“ come si dice “oggi piove”? a pensarci bene, la lettura è un atto necessariamente individuale, molto più dello scrivere. Ammesso che la scrittura riesca a superare la limitatezza dell’autore, essa continuerà ad avere senso solo quando verrà letta da una persona singola e attraverserà i suoi circuiti mentali".
Martina Zavagna
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08 ottobre 2011
Steve Jobs e l'arte della calligrafia
"[... ] Il Reed College all’epoca offriva probabilmente la migliore formazione del Paese in calligrafia. In tutto il campus ogni poster, ogni etichetta, ogni cartello era scritto a mano con grafie bellissime. Dato che avevo mollato i corsi ufficiali, decisi che avrei seguito il corso di calligrafia per imparare a scrivere così. Fu lì che imparai i caratteri serif e sans serif, la differenza tra gli spazi che dividono le differenti combinazioni di lettere, quello che rende eccezionale un’eccezionale stampa tipografica. Era bello, storico, artistico e raffinato in un modo che la scienza non è in grado di offrire e io ne ero completamente affascinato.[...]". - Steve Jobs, 2005.
Colpisce davvero che la geniale avventura umana di Steve Jobs sia partita da un corso di calligrafia, quando questa disciplina era già fuori moda. Che cosa c'è di più "formale" della calligrafia, che cosa ci può essere di più sostanziale nella calligrafia? La calligrafia è l'arte di saper fare bene, con precisione ogni tratto di penna, senza errori, senza sbavature con l'eleganza della leggerezza. Steve Jobs partendo dalla calligrafia scoprì Leon Battista Alberti e il Rinascimento italiano e da allora cercò e praticò la bellezza della perfezione, l'eccellenza in ogni cosa che si fa. Che lezione per noi che neppure sappiamo chi fosse Leon Battista Alberti ed aboliamo la storia dell'arte dai programmi del liceo. Che lezione per la nostra contemporaneità, sempre impegnata a correre verso la mediocrità, a sottrarre bellezza la dove c'é. Il discorso di Jobs del 2005 agli studenti dell'Università di Stanford (che nella prospettiva ricorda la metafora della cattedrale di S. Vito Praga di Vaclav Havel) è uno straordinario progetto di futuro, innestato sul cammino lungo della storia perché nella bella calligrafia "...non è possibile unire i puntini guardando avanti; potete solo unirli guardandovi indietro. Dovete aver fiducia che, in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire".
mmilan
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07 ottobre 2011
Steve Jobs, genio folle
Oggi il mondo è attonito perchè è consapevole di aver perso un vero fantastico genio: Steve Jobs il creatore della Apple (Classe 1955).
Questa invenzione straordinaria e le altre che verranno in seguito, hanno letteralmente rivoluzionato in meglio la vita di noi tutti facendone degli oggetti insostituibili perchè grazie a loro, gli uomini si sono sentiti meno soli perchè la facile comunicazione ha sconfitto la solitudine e la musica è diventata un'amica inseparabile.
Ma chi era ai miei occhi Steve Jobs?
Un personaggio carismatico che ha saputo conquistare il cuore di noi giovani rivolgendosi con semplicità, calma e fermezza. Ci ha fatto credere ancora nel futuro e ci è riuscito usando semplicemente delle parole che ci hanno trasmesso coraggio e fiducia e facendoci capire che solo usando il nostro intuito e il nostro cuore riusciremo a conquistare le nostre aspirazioni.
Il punto è: non dobbiamo farci sconfiggere dalle opinioni così negative che la società oggi tende a farci credere scoraggiandoci ma dobbiamo cercare e trovare ciò che veramente amiamo perchè il giusto lavoro riempirà gran parte della nostra vita e sarà l'unico modo per essere veramente soddisfatti.
A questo proposito mi viene in mente un altro personaggio che ha lasciato un testamento spirituale che ormai è già scritto nella storia: Papa Wojtyla. Anche lui grande amico di noi ragazzi. Mai un Papa si era avvicinato così tanto al mondo dei giovani di ogni colore, nazionalità e classe sociale.
" Fate della vostra vita un autentico e personale capolavoro, non abbiate paura!". Questa è una delle frasi che non dimenticherò più.
Anche il discorso che Steve Jobs ha fatto in occasione della consegna dei diplomi celebratesi il 12 giugno 2005 all'università di Stenford, è ricco di frasi indimenticabili. Quella che però mi ha lasciato più sbalordita è la seguente: "Nessuno vuole morire. Neanche chi vuole andare in Paradiso vuole morire per arrivarci. E nonostante tutto, la morte è la destinazione che condividiamo. Nessuno vi è mai sfuggito. E così dovrebbe essere perchè la Morte è probabilmente l'unica, migliore invenzione della Vita. E' l'agente di cambiamento della Vita. Elimina il vecchio per far spazio al nuovo".
In una società in cui noi abbiamo perso il senso di un destino collettivo e quindi sentiamo la nostra morte come un evento esclusivamente individuale, definitivo e perciò inaccettabile, Jobs riesce a spiegarci nuovamente che senza la morte la vita che cosa è? La morte non è solo la conclusione inevitabile ma è la precondizione della vita. L'uomo si deve sentire di fare parte di un destino più ampio, della famiglia, della comunità, della specie, della natura stessa, in cui la sua vita e la sua morte si sciolgono nell'eterno gioco nel passaggio di testimone fra generazioni, fra i vecchi e i giovani. Questi sono i motivi che consentono all'uomo di accettare la morte con una certa serenità.
Jobs sapeva che prima o poi questa battaglia così dura che stava combattendo dal 2004 contro il nemico oscuro e incurabile sarebbe prima o poi finita. Ci ha messo tutto il suo coraggio, il suo ottimismo ma il male ha vinto. Mr Jobs consapevole che le sue forze prima o poi l' avrebbero lasciato, ha voluto regalarci questo importante messaggio.
"Questa sera sono stata un po' folle, per seguire l'insegnamento di Jobs, ho scritto in suo onore il mio primo articolo."
Elena Astengo
05 ottobre 2011
Steve Jobs
Oggi muore Steve Jobs, creatore di una nuova era multimediale, inventore del primo personal computer, fondatore della Apple, oggi prima azienda in campo di sistemi operativi informatici.
Il mondo piange l'inventore del Macintosh, dell'Ipod e dell'Ipad, sigle che abbiamo imparato a conoscere come sinonimi di innovazione, modernità, che hanno rivoluzionato dal campo musicale fino a quello editoriale. Ognuno vuole esprimere il proprio dolore, dall'America fino all'Europa la notizia rimbalza suscitando sgomento. La CNN ha parlato di un generale sentimento di Isad. La Apple ha addirittura istituito un indirizzo, rememberingsteve@apple.com, per inviare pensieri e condoglianze in sua memoria.
Quasi come una rockstar se ne celebra la scomparsa e si delineano già i contorni di un mito, il popolo del web chiede già la santificazione.
Ma cosa c'è di interessante in quest'uomo? Cosa rappresenta per il mondo occidentale?
Basta entrare in un mega store della Apple a Londra per capirlo: ha compreso l'importanza di sposare la tecnologia al design, ha dato un tocco di fantasia a strumenti elettronici fino agli anni Novanta incomprensibili per la maggior parte della gente comune. Ora perfino le nonne possono facilmente usare un Ipod.
Ha saputo essere un imprenditore astuto, ha fiutato i gusti e le aspettative del mercato, ha fatto delle presentazioni dei suoi prodotti dei veri e propri show.
Da perdente, scalzato nell'era di Windows dell'acerrimo nemico Bill Gates, ha saputo riconquistarsi una posizione se non un primato, lanciandosi nel mondo della produzione cinematografica digitale di cartoni animati Pixar.
Jobs è stato molto più di un mito da copertina, è stato un ragazzo pieno di fantasia che ha saputo comunicare al mondo la scoperta di un nuovo linguaggio per il villaggio globale. E' stato un eccentrico sognatore, un rivoluzionario, un uomo che non si è accontentato degli schemi precostituiti, un ex figlio dei fiori assetato di conoscenza. La mela è stato il simbolo della sua azienda, la Apple, e per il suo primo prodotto, Machintosh.
E credo che proprio qui stia la sua grandezza: essere diventato lui stesso il simbolo di una rinnovata imprenditoria, basata di nuovo sulla conoscenza, sulla sete di sapere e di far sapere. E oggi il suo messaggio è il discorso fatto a dei ragazzi universitari: “stay hungry, stay foolish”, conosci e sii un folle, uno “stra-ordinario” e, come diceva Socrate: Γνῶθι σαυτόν, conosci te stesso.
Manuela Prigelli
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04 ottobre 2011
In libreria
Giovanni Gozzini
Storia del giornalismo
Milano, Bruno Mondadori, 2011, 368 pp. (nuova edizione).
Descrizione
Descrizione
La storia del giornalismo è la storia di una professione: la storia di uomini e donne che hanno dato vita a un nuovo mestiere, lo hanno reso autonomo da altre figure lavorative, lo hanno fatto crescere in complessità e potere sociale. Da molto tempo gli effetti di questo processo plurisecolare sono davanti agli occhi di tutti: il potere incarnato dal sistema dell’informazione è oggetto di una costante discussione civile che lo esalta o lo demonizza a seconda delle circostanze.Il panorama tracciato da Gozzini restituisce l’identità complessa e plurale della stampa che è, nello stesso tempo, libertà e diritto, industria culturale e monopolio privato, tecnologia complessa e strumento per creare consenso. Le vicende dei diversi giornalismi nazionali – dalle prime gazzette degli imperatori cinesi a Internet – vengono raffrontate tra loro per mettere in evidenza analogie e differenze, ritardi e anticipazioni, modelli e imitazioni.Questa nuova edizione è arricchita dal quadro delle più recenti trasformazioni del mondo della notizia, tra la crisi della carta stampata e le rivoluzionarie modalità di informazione condivisa del web 2.0, che hanno portato alla nascita di nuove prospettive e professionalità.
*link all'Indice del libro.
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