*M. Hack, Il mio infinito, Milano, Dalai, 2011.
Le riviste dell'informazione
- Bollettino LSDI
- British Journalism Review
- Columbia Journalism Review
- Comunicatori & Comunicazione
- Cuadernos des Periodistas
- Digital Journalism
- Etudes de communication
- Image of the Journalist in Popular Culture Journal
- International Journal of Press Politics
- Journal of Computer-Mediated Communication
- Journalism
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- Key4biz.it
- Le Temps des médias
- Les Cahiers du Journalisme
- Media2000
- Mediascape Journal
- Nieman Reports
- Prima comunicazione
- Problemi dell'informazione
- Tabloid
29 giugno 2013
Margherita Hack
"Ma di certo, l’enigma più grande e straordinario, ancora più che l’universo, è la nostra mente, di cui ancora sappiamo tanto poco, molto meno di quello che essa ha capito dell’universo.”
Margherita Hack
*M. Hack, Il mio infinito, Milano, Dalai, 2011.
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28 giugno 2013
I social media, strumento o evoluzione democratica?
Internet, i social network, i blog hanno radicalmente cambiato il nostro vivere sociale, il modo di fare informazione, di fare politica. Le nuove tecnologie ci permettono di essere sempre connessi e programmi come "Facebook", "Twitter", "My Space", ci consentono di condividere ogni aspetto della nostra vita, sia con i nostri amici che con persone sconosciute. Ci raccontiamo, ci mettiamo a nudo e inconsapevolmente "regaliamo" piccoli aspetti della nostra vita a grandi multinazionali che possono usare queste informazioni per costruire pubblicità su misura e incrementare in questo modo il loro già esorbitante giro di affari. Ma la rete è anche un’efficace strumento democratico, come dimostrano i recenti fatti che hanno caratterizzato la primavera araba, o la campagna elettorale di Obama.
Il potere socievole. Storia e critica dei social media, non è solo un'analisi sulla tecnologia o una riflessione sui mutamenti sociali sviluppatisi dall'uso massivo della rete e dei social network. In questo interessante testo, Fausto Colombo, docente di Teoria e tecnica dei media presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, si propone di esaminare i social media cercando di coglierne gli aspetti meno ovvi e ponendo interessanti interrogativi e riflessioni relativamente al peso che questi strumenti hanno assunto nella vita di tutti noi.
La peculiarità di questo testo, a differenza di altri relativi allo stesso argomento, è l'approccio con cui i social media vengono analizzati. Si tratta infatti di una riflessione che unisce al tempo stesso storia, sociologia, economia, pubblicità, politica, a dimostrazione che l'argomento trattato è molto vasto e totalmente permeato nella nostra quotidianità.
Il libro è diviso in quattro sezioni diverse. Nella prima parte viene proposta una breve storia dei social media e delle tecnologie che li caratterizzano. Nelle sezioni centrali vengono proposti due esempi concreti, la storia di un blog attaccato dai "troll" e la cronaca di una vittoria elettorale determinata in gran parte da un certo uso dei "nuovi media". Proponendo esempi reali, diventa facile per il lettore identificare le ambiguità della rete e porsi domande su strumenti che usiamo tutti i giorni. La libertà di parola che la rete amplifica e garantisce mi permette di dire tutto quello che voglio indipendentemente dagli altri? I contesti discorsivi, come per esempio i blog, appartengono a chi li crea o sono di dominio pubblico? I social media rappresentano il futuro della democrazia o sono solo un semplice strumento? In che modo la vita politica viene influenzata dalla rete? Come dobbiamo porci nei confronti di un mondo che traccia ogni aspetto di quello che dico e faccio per usarlo, nel migliore dei casi, a scopo pubblicitario?
Queste e molte altre riflessioni, che nascono dalla lettura del libro, sembrano rimanere insolute. Colombo infatti cerca di fornire un quadro complessivo, evitando commenti e giudizi.
Nel quarto e conclusivo capitolo tuttavia, l'autore propone una prospettiva di indagine sui social media ispirata al pensiero e agli studi di Michel Foucault. E' estremamente interessante, illuminante e molto attuale il parallelismo proposto tra il Panopticon, che Foucault aveva identificato come paradigma della società moderna, e i social media, così come la riflessione sull'ossessione del dire di sé.
E' a questo punto che il giudizio di Colombo sui vari argomenti proposti in precedenza affiora. Sembra infatti che l'autore voglia proporre una serie di problematiche al lettore senza suggerire una linea interpretativa. Essa tuttavia emerge con maestria nel capitolo conclusivo. Questo espediente permette al lettore di affrontare le tematiche proposte e provare a darsi delle risposte in maniera autonoma, potendo contare su informazioni puntuali e ben documentate per poi confrontarsi, ma solo alla fine, con il pensiero dell'autore.
E' un libro molto interessante che offre una prospettiva del tutto inedita di un fenomeno decisamente attuale. Lo stile scorrevole e l'utilizzo di esempi concreti consentono una facile comprensione ed una buona contestualizzazione degli argomenti trattati. La suddivisione in capitoli permette una buona organizzazione degli argomenti, tutti comunque strettamente collegati e continuamente richiamati tra loro, con una buona commistione tra teoria e pratica. Non mancano infine interessanti riferimenti a tesi sociologiche, economiche e tecniche che rendono il testo tutt'altro che banale.
Manuela Montignani
Fausto Colombo
Il potere socievole. Storia e critica dei social media
Milano, Bruno Mondadori, 2013, 168 pp.
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27 giugno 2013
Il mondo trasparente di WikiLeaks
Fabio Chiusi è un giornalista e blogger. È
redattore per Lettera43 e scrive di politica, social networking e critica
della disinformazione sul blog il Nichilista. Da qui il suo sicuro interesse per la vicenda di WikiLeaks,
“l’organizzazione che ha cambiato per sempre il rapporto tra internet,
informazione e potere”.
Melbourne, in una stanza coi muri ricoperti di
formule e diagrammi di flusso, Julian Assange trascorre le sue notti davanti al
monitor di un computer, deciso a rinunciare per sempre alla vita da
programmatore per mettere in piedi la più grande media organization, come
l’ha definita lui stesso, che ha fatto della trasparenza assoluta la propria
ragion d’essere.
È questa l’immagine del numero uno di WikiLeaks che
Fabio Chiusi propone al lettore di Nessun segreto. Il libro ripercorre
la vita di Assange dall’adolescenza fino all’apice del successo mediatico,
passando attraverso le accuse di stupro e molestie sessuali a suo carico e agli
anni da hacker, che segnano il vero punto di partenza per la nascita di
WikiLeaks.
L’autore riesce con un linguaggio preciso ed una
scrittura dinamica a catturare l’attenzione di chi legge attraverso il racconto
di guerre, trame segrete e ingiustizie economiche, il lettore viene così
catapultato in uno scenario degno di un libro sullo spionaggio intriso di
congiure, scandali e ricatti.
Il senso del libro è quello di esaminare in
profondità un nuovo modo di fare informazione grazie alla comparsa di internet
e di analizzare in maniera efficace un nuovo modello di giornalismo, basato
sulla pubblicazione in rete di materiali coperti da segreto, ma di interesse
pubblico. A qualcuno tutto questo potrà certamente non piacere, ma non si può
negare che abbia mostrato la propria forza ed efficacia.
A partire dal 2006 l’organizzazione di Assange ha
scatenato una vera e propria cyber guerra culminata nel 2010 con pubblicazione
del video Collateral Murder. Pubblicando centinaia di migliaia di documenti sul
conflitto in Iraq, su quello in Afghanistan e sulla diplomazia statunitense
WikiLeaks ha mostrato la facilità con cui è possibile trafugare documenti
segreti, mettendo in imbarazzo i governi di tutto il mondo, Stati Uniti in
testa, ed attirando per questo su di sé pesanti critiche e minacce. Sempre nel
2010, con la diffusione del Cablegate, l’organizzazione si ritrova in mano
oltre 250.000 documenti classificati come sensibili e segreti pronti per la
pubblicazione. Da questo momento in poi il sito internet viene messo sotto
attacco, si cerca di farlo sparire dalla rete e lo stesso Assange viene
marchiato come un pericolo per la sicurezza nazionale da parte del governo
americano.
Come ha fatto WikiLeaks a diventare in pochi anni una
minaccia tanto osteggiata in quasi tutto il mondo? Il modus operandi è sempre
lo stesso: i comuni cittadini, i whistleblower, gli “anon” inviano dei
file contenenti documenti sensibili, che vengono successivamente pubblicati sul
sito internet dell’organizzazione senza alcuna modifica o censura, in nome del
diritto alla libertà di espressione. Sono dunque gli stessi utenti, trasformati
per l’occasione in lettori e redattori, a dettare la “linea editoriale” di WikiLeaks.
Il giornalismo scientifico di Assange, basato su
fatti verificabili, è riuscito grazie all’utilizzo di internet a catturare
l’attenzione di ognuno di noi, lo ha fatto in modo nuovo e senza dubbio discutibile,
ma mettendo a segno più scoop di tutti i media messi insieme.
Le azioni di Assange hanno costretto il mondo intero
ad interrogarsi sul rapporto tra informazione e potere nell’era digitale, la
rivoluzione fondata sui principi dell’hacking, del giornalismo investigativo e
dell’attivismo porta con sé l’utopia, tanto a cuore ad Assange, di un mondo senza segreti, ma la nostra
società è davvero pronta ad adottare la regola della libera stampa e della
trasparenza? L’interrogativo, anche alla luce dei nuovi scandali che vedono
come protagonista il governo americano, rimane tuttora aperto.
Diletta Gabetti Costa
Fabio Chiusi
Nessun segreto. Guida minima a WikiLeaks,
l’organizzazione che ha cambiato per sempre il rapporto tra internet,
informazione e potere.
Milano, Mimesis, 2010, 188 pp.
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Recensione,
Relazioni internazionali
Tutto quello che avreste voluto sapere sul giornalismo internazionale (ma non avete mai osato chiedere)
Jean-Paul Marthoz, giornalista, scrittore, docente di giornalismo
internazionale presso l’Università Cattolica di Lovanio, consigliere del
Comitato per la protezione dei giornalisti, ex direttore dell’informazione
presso la Human Rights Watch, è senza
ombra di dubbio un personaggio poliedrico. Nel suo ultimo libro, intitolato Journalisme
International, traccia egregiamente il percorso e l’evoluzione del
giornalismo internazionale, declinandolo in ogni sua sfaccettatura.
Nel terzo millennio, l’era della globalizzazione e dell’esplosione delle tecnologie dell’informazione, si ha
“sempre più comunicazione, ma sempre meno comunione”. Il mondo sembra a portata
di click, ma la convinzione di conoscere veramente tutto si rivela un’illusione
colossale, che ha come conseguenza diretta l’isolamento, l’incomprensione e l’incomunicabilità globale. I centri dell’informazione continuano a essere concentrati nel Nord del
mondo, a Washington, New York, Bruxelles, Londra, Parigi, mentre in Cina, Cuba,
Birmania, Asia Centrale e nella maggior parte dei paesi islamici l’informazione
non è libera.
Il volume è a doppio binario, poiché è concepito come un manuale per gli studenti di
giornalismo, ma anche come un sostegno
per i professionisti del settore.
Gli studenti sono guidati nella scoperta del mondo dell’informazione
attraverso un’articolata analisi che ha come punto di partenza la grande stampa internazionale. Dallo
studio delle fonti dell’informazione- - le tradizionali agenzie, i quotidiani
generalisti o specializzati, le radio internazionali, i blog, i social network,
la stampa ribelle e terrorista, la stampa alternativa o d’opinione – si passa
alle differenti figure di giornalisti, dal reporter al disoccupato freelance.
Segue una panoramica che prende in considerazione le varie tipologie di
articoli, i soggetti dell’informazione e gli spazi occupati dalla notizia internazionale nella stampa
mondiale.
I giornalisti sono aiutati a muoversi nello scenario internazionale,
caratterizzato da sfide sempre più complesse. In un mondo in cui l’informazione
è piegata alle logiche di mercato, a causa delle crescenti concentrazioni,
privatizzazioni e conglomerazioni (ingresso di gruppi finanziari e industriali
nel mondo dei media) il rischio principale è la diminuzione dello spazio dedicato alla notizia internazionale, con
la conseguente spettacolarizzazione e banalizzazione della notizia.
Altre sfide sono poste dalla globalizzazione che, come nel caso del
giornalismo americano, ha generato una situazione di autismo nei confronti della notizia internazionale. Il risultato è
un pubblico ignorante, incapace di
comprendere i grandi avvenimenti, che favorisce la possibilità di manipolare
l’opinione.
Tuttavia, di fronte a quello che viene definito “giornalismo dei muti”, in
cui si pratica la censura per omissione, c’è ancora chi si impegna a fare controinformazione, dimostrando la
propria autonomia rispetto ai discorsi dominanti.
Quello che colpisce maggiormente è la praticità
di questo volume: citando nomi, cifre, date, e focalizzandosi sulle debolezze
del giornalismo attuale, Marthoz fornisce consigli pratici e soluzioni concrete
(sebbene alcune questioni rimangano irrisolte) che fanno di questo libro una bussola per orientarsi, una sorta di guida per esplorare l’universo del
giornalismo internazionale.
Significative le pagine dedicate al giornalismo
di guerra, ai genocidi e al terrorismo: sono queste le situazioni più
delicate, nelle quali il giornalista perde di vista il proprio ruolo e le
proprie responsabilità. L’autore fornisce alcuni trucchetti per superare questi
momenti di estrema difficoltà, invitando ad esempio i giornalisti a evitare l’ipermediatizzazione delle immagini in
tempo di guerra, a favore della contestualizzazione.
Un libro che insegna ai giornalisti e agli studenti che aspirano a questa
professione a combattere la miopia
del nostro tempo, ad essere “partigiani di un giornalismo senza paura né
favori”, un giornalismo vero, che
“per la verità può sacrificare la sua fortuna materiale”, evitando
l’eurocentrismo e ricercando l’obiettività.
Marthoz ricorda al giornalista che il suo mestiere ha senso se riesce a fare la differenza, se è capace di
donare un valore aggiunto attraverso la verifica e l’approfondimento delle
notizie, se è in grado di esercitare la sua funzione di cane da guardia delle autorità, permettendo al pubblico di
diventare cittadino a tutti gli effetti.
Un libro consigliato anche ai non addetti ai lavori che volessero avere un quadro
completo sul giornalismo internazionale.
L’unico inconveniente? Al momento il volume è disponibile solo in lingua
francese.
Maria Saia
Jean-Paul Marthoz
Journalisme International
Bruxelles, De Boeck, 2012, pp. 272.
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26 giugno 2013
L’euro in Lettonia
La crisi economica colpisce fortemente l’Europa, molti paesi mediterranei (Grecia, l’Italia e la Spagna) fanno fatica a tentare di trovare una soluzione che li permetta di garantire una ripresa dell'attività economica. La Lettonia e il governo di Valdis Dombrovskis sono consapevoli che alcuni paesi della zona euro non stanno attraversando un buon periodo economico, tuttavia il governo lettone crede in una futura ripresa economica della zona euro e lancia un segnale di speranza al resto dei paesi che ancora sono in dubbio dell’adozione della moneta unica. Il commissario economico Olli Rehn ha dichiarato che questo piccolo stato baltico adotterà il primo di gennaio del 2014 la moneta unica europea, ciò nonostante questa decisione dovrà essere ratificata dal Parlamento Europeo nel mese di luglio. La ripercussione dell’annuncio della nuova adesione alla zona euro della Lettonia ha avuto un riscontro positivo da parte del governo italiano. Il Presidente del Consiglio, Enrico Letta ha salutato positivamente il via libera della Commissione europea all’ingresso della Lettonia nell’euro e ha invitato a Dombrovskis in Italia, il direttore del Bruegel Guntram Wolff (responsabile del gruppo di riflessione che svolge le sue funzioni in ambito politico-economico internazionale) dichiarando positivamente la scelta della Lettonia di far parte dell’euro. La maggior parte dei politici tedeschi ha gradito la notizia dell’adesione della Lettonia alla zona euro, ricordando che i tedeschi hanno un forte interesse commerciale con gli stati baltici, ad esempio il direttore dell'Istituto economico mondiale di Amburgo Thomas Straubhaar è convinto che “l'euro rimane una moneta incredibilmente attraente soprattutto per le piccole economie”, il parlamentare europeo Burkard Balz membro del partito politico della Cdu (Christlich Demokratische Union Deutschlands) ha rilasciato dichiarazioni di ottimismo al giornale Frankfurter Allgemeine Zeitung “La Lettonia si è tirata fuori dalla crisi finanziaria con grande disciplina e attraverso la ricetta di dure e dolorose politiche di risparmio ora è matura per entrare nell'area dell'euro”.Ciò nonostante quale sono i motivi principali del rifiuto del popolo lettone nei confronti dell’adesione alla zona euro?
Il motivo principale è la corruzione politica che attraversa la Lettonia; il popolo lettone non ha fiducia nelle scelte politiche dei propri governanti; bisogna ricordare che per la prima volta nella storia democratica lettone il parlamento (Saeima) fu sciolto nel 2011 dal presidente della repubblica e tramite un referendum elettorale dove più del 80% della popolazione approvò lo scioglimento del Saeima.
Valdis Zatlers era convinto di non voler sostenere l’immunità parlamentare del deputato Ainārs Šlesers, che fu approvata dal Saeima, proteggendo al magnate lettone accusato di corruzione. Inoltre le dichiarazione polemiche dell’ex presidente della repubblica Valdis Zatlers, è stato molto critica con i politici del Saeima e, usando un linguaggio diretto, ha accusato i deputati del Saeima di corruzione.
Un altro motivo della sfiducia dell’ingresso della Lettonia all’eurozona è la crisi economica che colpi questo piccolo stato baltico tra il 2008-2009 dove si polverizzò un quinto del suo PIL e dove si verificarono feroci manifestazioni popolari. Bruxelles fa i conti senza ascoltare troppo i cittadini che, in Lettonia, non devono essere poi particolarmente entusiasti dei successi ottenuti dal governo riguardo l’adozione dell’euro.
In aggiunta alle elezioni comunali tenutesi il 1 giugno, il popolo lettone è andato alle urne per rinnovare 119 comuni piccoli e grandi, il risultato è stato una doccia fredda per il partito dell'Unità del premier europeista Valdis Dombrovskis. In particolare a Riga, dove il Centro dell'armonia guidato dal sindaco uscente Nils Usakovs ha raccolto il 58% dei voti, pochi mesi dopo che i suoi deputati al parlamento avevano bloccato una serie di leggi amministrative necessarie all'adozione dell'euro. A essi va aggiunto il 18% ottenuto dall'Alleanza nazionale, un partito nazionalista critico nei confronti della moneta unica, mentre l'Unità di Dombrovskis si è dovuta accontentare del 14%.
D’altra parte, l'istituto di sondaggi Tns-Latvia ha rilevato comunque una crescita dei lettoni favorevoli all'euro negli ultimi mesi: tra marzo e aprile si è passati dal 29 al 36% e tutto fa sembrare che nel lungo periodo la moneta unica possa essere gradita dalla popolazione lettone.
Renzo Jsmael Levano Jeri
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25 giugno 2013
I Servizi Segreti, Mangiafuoco dell’informazione
Fonte di continue ed interessanti riflessioni risulta essere l’inchiesta effettuata da Aldo Giannuli sull’importanza del ruolo che i Servizi Segreti rivestono nel panorama dell’informazione. Il libro in esame, Come i servizi segreti usano i media pubblicato a Firenze da Ponte alle Grazie nel 2012, riprende in parte temi già affrontati dallo stesso Giannuli in una sua precedente pubblicazione intitolata «Come funzionano i servizi segreti» suggellando una attività di ricerca e di studio sul tema Intelligence che prosegue da oltre venticinque anni.
Un linguaggio ricercato, ma allo stesso tempo chiaro ed immediato, rende la lettura piacevole ed intrigante sia allo studente inesperto che si affaccia per la prima volta al tema dei Servizi Segreti, sia al lettore più informato ed efferato sull’argomento che potrà confrontare le proprie valutazioni riguardo particolari temi di carattere internazionale e non, con quelle di Giannuli, ex consulente parlamentare nelle commissioni di inchiesta sulle stragi.
Da subito l'autore pone l’accento sulla centralità dell’informazione nel mondo contemporaneo e dello stretto ed ormai imprescindibile legame tra informazione, comunicazione ed economia. Una società privata dei suoi strumenti di informazione e comunicazione, risulterebbe improvvisamente tagliata fuori dal resto del mondo. Assodata la rilevanza dell’informazione, occorre chiedersi in che misura gli interessi di un paese sono collegati alle informazioni che circolano al suo interno e quanto la comunicazione e i mass media incidono sulle scelte economiche, politiche, relazionali di uno Stato. Giannuli afferma che “Sapere è Potere” dunque la manipolazione e il controllo dell’informazione risultano essere strumenti essenziali per orientare ogni scelta di potere.
Coloro i quali, assumendo le più svariate forme, penetrano e si posizionano all’apice del sistema informativo sono i Servizi Segreti: i veri burattinai dell’informazione. Il compito dei Servizi Segreti è quello di tutelare gli interessi dello stato o dell’organo presso il quale lavorano, garantendo l’ordine e l’equilibrio interno. La supervisione dei media è quindi intrascurabile.
Per questi enormi Mangiafuoco dell’informazione, burattini indispensabili risultano essere le fonti aperte, quelle cioè consultabili liberamente e facilmente accessibili a tutti. Giannuli dedica un intero capitolo all’OSINT-Open Source Intelligence, soffermandosi su come l’informazione quotidiana, quella che leggiamo tra un morso di brioche e un sorso di cappuccino, sia anch’essa in gran parte figlia dell’Intelligence, detta appunto “delle fonti aperte”.
L’analisi del Professor Giannuli si conclude proponendo episodi vicini a noi fornendone una chiave di lettura più svincolata rispetto a quella canonica, esortando il lettore a dotarsi di un maggiore senso critico e ad impegnarsi in un’accurata selezione dello sterminato materiale informativo di cui dispone quotidianamente.
Il libro non mira a screditare la serietà del giornalismo moderno, ma introduce e presenta il personaggio Servizi Segreti, personaggio nuovo sul teatro della notizia, personaggio che molti non avevano idea esistesse, alcuni pensavano fosse una semplice comparsa confinata dietro le quinte, e solo pochi sapevano essere il vero regista.
Ilaria Vitiello
Aldo
Giannuli
Come i servizi segreti usano i
media
Firenze, Ponte alle Grazie, 2012, 236 pp.
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Censura,
Giornalismo internazionale,
Politica internazionale
24 giugno 2013
Giornalisti e SpettAutori
Sono le news, bellezza! Il libro di Michele Mezza appare come un faro che ci orienta, in modo semplice, sulle trasformazioni che stanno avvenendo in campo giornalistico, descrivendo la fase di transizione che costringe, inevitabilmente, il giornalista ad un ripensamento della propria funzione. Si tratta, ovviamente, di una rivoluzione che parte dal settore informatico ma che necessariamente coinvolge tutta la società. Fondamentalmente l’obiettivo che Mezza si prefigge è quello di dimostrare che la modernità della rete è una riproposizione di antichi ideali e di antiche usanze, rimaste latenti nel DNA umano, quasi “ibernati” dall’epoca fordista. Secondo il giornalista infatti, l’avvento della produzione basata sulla catena di montaggio aveva trasformato il sistema produttivo in senso verticale, distruggendo la straordinaria cultura della cooperazione umana, definita collaborazione di tipo orizzontale. Per più di cento anni questa idea della cooperazione è rimasta solo un vecchio ricordo, finché non è comparsa la rete. Internet e, in modo esasperato, i social network, hanno basato tutta la loro esistenza proprio sulla creazione della collaborazione umana prefordiana, senza la quale sarebbe oggi impossibile parlare di rete.
Il testo inizia con la battuta un po’ provocatoria di Tim Berners – Lee che recita: “Il web è più un’innovazione sociale che un’innovazione tecnica” , una citazione che senza dubbio attira il lettore e che fa da linea guida per il percorso di analisi di Mezza. Un percorso tortuoso, ma chiaro, che a volte parte molto da lontano per spiegare moderni fenomeni: come, ad esempio, quando paragona il fermento culturale ed artistico messo in atto attorno alle cattedrali gotiche e alle prime biblioteche, custodi del sapere preumanistico, con la collaborazione tra utenti in rete; oppure quando il fermento del network è paragonato al bazar, mitico luogo di incontro e di commercio, in epoca medievale. Paragoni e similitudini bizzarri certo, ma davvero efficaci se pensiamo al crogiolo di culture, di linguaggi e di costumi che potevamo trovare in un bazar che in effetti, a livello concettuale, non dista molto da ciò che possiamo scoprire in un social network.
Molto simile doveva apparire, agli occhi dei contemporanei, la città di Bruges, nel cuore delle Fiandre, il vero centro pulsante di tutti i commerci e gli scambi marittimi tra il 1200 e il 1300. Ed è proprio nella zona dei Paesi Bassi che avviene un altro eccezionale avvenimento, grazie alla tecnica dell’incisione portata in luce dal maestro Dürer un centinaio di anni dopo, l’opera d’arte diventa copiabile e riproducibile, un’infinità di volte: proprio come il nostro quotidiano e straordinario copia e incolla.
Il testo inizia con la battuta un po’ provocatoria di Tim Berners – Lee che recita: “Il web è più un’innovazione sociale che un’innovazione tecnica” , una citazione che senza dubbio attira il lettore e che fa da linea guida per il percorso di analisi di Mezza. Un percorso tortuoso, ma chiaro, che a volte parte molto da lontano per spiegare moderni fenomeni: come, ad esempio, quando paragona il fermento culturale ed artistico messo in atto attorno alle cattedrali gotiche e alle prime biblioteche, custodi del sapere preumanistico, con la collaborazione tra utenti in rete; oppure quando il fermento del network è paragonato al bazar, mitico luogo di incontro e di commercio, in epoca medievale. Paragoni e similitudini bizzarri certo, ma davvero efficaci se pensiamo al crogiolo di culture, di linguaggi e di costumi che potevamo trovare in un bazar che in effetti, a livello concettuale, non dista molto da ciò che possiamo scoprire in un social network.
Molto simile doveva apparire, agli occhi dei contemporanei, la città di Bruges, nel cuore delle Fiandre, il vero centro pulsante di tutti i commerci e gli scambi marittimi tra il 1200 e il 1300. Ed è proprio nella zona dei Paesi Bassi che avviene un altro eccezionale avvenimento, grazie alla tecnica dell’incisione portata in luce dal maestro Dürer un centinaio di anni dopo, l’opera d’arte diventa copiabile e riproducibile, un’infinità di volte: proprio come il nostro quotidiano e straordinario copia e incolla.
L'autore ci introduce anche ad un altro argomento interessante, del quale, a suo avviso, pochi riescono ad afferrarne la grande portata comunicativa: si tratta dell’elezione di Barack Obama. Il presidente americano di colore, super acclamato dagli Stati Uniti e da buona parte del continente, ha basato tutta la sua campagna elettorale proprio sulla rete, sapendo sfruttare a suo vantaggio il potere mediatico di internet e dei social network. Obama vince nel 2009 e in lui si è visto l’homo novus anche grazie alla strategia vincente e all’intuizione geniale di utilizzare la rete non tanto per comunicare con i suoi elettori, quanto di far comunicare essi tra di loro. Con questi presupposti ha realizzato una vittoria veramente troppo perfetta che ha segnato uno straordinario cambiamento dal punto di vista politico, culturale e inevitabilmente sociale. Mezza sostiene che Obama è il primo leader che assume il linguaggio della rete come programma politico e la sua strategia è così efficace perché sceglie di parlare a un nuovo popolo e di farsi scegliere da esso. Il legame tra il presidente e la comunità in rete, però, va monitorato e compreso: compreso soprattutto quando qualcosa è iniziato a cambiare, generando un effetto di ritorsione su Obama stesso. Occorre non dimenticare che il popolo della rete è calcolatore ed approfittatore e soprattutto molto competitivo oltre che “generoso”, per cui il presidente si è trovato davanti il rischio di farsi disintegrare dalla stessa rete che lo ha portato ai vertici del mondo. Probabilmente questo pericolo era stato sottovalutato dallo stesso Obama.
Abbandonato il ragionamento sul presidente americano, l’autore si sofferma a riflettere sul destino giornalistico, stimolato da un avvenimento davvero eclatante: l’assegnazione, nell’anno 2010, dell’ambitissimo premio Pulitzer non ad una testata cartacea bensì ad un sito internet, grazie ad una inchiesta sull’eutanasia messa in atto durante la tragedia dell’uragano Katrina, dell’agosto 2005. Il conferimento del Pulitzer al giornalismo in rete è sintomo del cambiamento epocale che si sta consumando nel mondo dell’informazione. Non possiamo che prendere coscienza di questa evoluzione in seno al giornalismo che, secondo Mezza, altro non è se non una rielaborazione di antiche consuetudini, rimaste intrappolate dall’avvento del sistema verticale del fordismo.
La rete ci pone davanti ovviamente una serie di innovazioni, non solo tecnologiche, per le quali è diventato fondamentale, in campo giornalistico, l’adeguamento; parliamo principalmente di velocità di informazione, di ipertestualità, della moltiplicazione delle notizie, del giornalismo embedded e soprattutto dell’apparizione della nuova figura di “spettautore”. Ognuno di noi, grazie alle nuove tecnologie quali, ad esempio, gli smartphone, e la rete ha la possibilità di trasformarsi da semplice fruitore di notizie ad autore: si dispongono di nuove tecnologie e al contempo di nuovi saperi. Per essere un buon giornalista, secondo l’autore, non occorre più consumare la suola delle scarpe andando avanti e indietro per il paese a caccia di notizie e di scoop, ora basta indossare un pigiama e piazzarsi, magari nel salotto di casa, davanti ad un pc ovviamente connesso in rete, perché quel che conta è essere sempre connessi e cooperanti con l’umanità.
E’ la gente comune a generare notizie e a mediare l’informazione; per questo motivo, i giornali devono dimostrare di essere diventati qualcosa che sa andare oltre all’idea tradizionale di se stessi.
Mezza ripete più volte che il giornalismo deve reinventarsi e individua nella “sesta W” proprio il codice per il nuovo sviluppo giornalistico: è la W di While, ovvero il mentre, il momento esatto in cui la notizia si sta formando, meglio noto come real time. L’immediatezza diventa fondamentale ma è anche un trauma per la macchina giornalistica che fatica nell’adattarsi alla velocità degli eventi.
Partendo proprio dalla necessità e dal desiderio del pubblico di avere notizie “freschissime”, Mezza avanza l’interessante idea di fondere la struttura dei telegiornali regionali con il servizio offerto da Rai News 24, ovvero con la logica di integrare la grande ragnatela territoriale, fonte di notizie locali sempre aggiornate e in “presa diretta” sul campo, con il servizio nazionale 24 ore su 24 ma privo di proprie fonti. Chiaramente, per rendere possibile tale processo, occorre svincolare le redazioni locali dallo stato di arretratezza tecnologica in cui versano, essendo “figlie” non più evolute degli anni ottanta.
Il progetto di Mezza dovrebbe prevedere la ricostruzione di una testata attorno ad una potenza digitale di selezione ed archiviazione, al fine di configurare la prima agenzia audiovisiva quotidiana del sistema Italia. In tale senso si potrebbe dare nuovamente dignità alle redazioni regionali che, allo stato attuale, si trovano a lavorare in una situazione di inadeguatezza rispetto ai tempi che, inevitabilmente, si traduce in un sovraccarico di costi con un conseguente livello di inefficacia produttiva.
Sempre in seno a “mamma Rai”, Mezza ipotizza un passaggio ideologico, oltre che fisico, dal simbolo del cavallo alla farfalla: il cavallo, si sa, ha identificato per circa cinquanta anni la Rai ma negli ultimi anni è stato virtualmente sostituito dalla farfallina che metaforicamente svolazza sugli schermi; un passaggio quanto mai efficace simbolicamente, come metafora di due ere contrapposte in cui la Rai si trova a vivere. L’epoca del cavallo, in cui il servizio pubblico, con la sua forza e prestanza fisica, è il fulcro, il perno del motore e la nuova epoca interpretata dalla farfallina in cui i progetti si diluiscono, diventano più effimeri e mutevoli, proprio come una farfalla. Secondo l’autore è ora che i dirigenti della Rai smettano di pensare alla televisione pubblica italiana come ad un colosso che guida e campeggia una folta schiera di adepti, bensì inizino a vedersi come parte di un unico progetto, in cui anche gli spettatori diventano autori, andando via via a confondersi con essi. Ovviamente Mezza, appartenendo al mondo Rai, è in grado di osservare e di fare dei ragionamenti sul futuro della televisione e di muovere delle critiche acute: sprona la Rai a ritornare ad essere il colosso di un tempo, adeguandosi alla modernità, ritrovando il senso originario di utilità sociale.
La televisione, peraltro, è diventata portatile, come l’informazione e per poterne fruire basta possedere uno smartphone, per cui è accessibile praticamente a tutti, ovunque e in tempo reale.
Mazza provoca quando sostiene che la Tv è stata abbandonata da Dio, ma effettivamente si rende conto che veramente il “dio successo” appare oggi più che mai lontano dalla tv generalista; a tal proposito basta osservare gli investimenti dei pubblicitari che stanno calando vorticosamente sul vecchio media, per raggiungere picchi invece sul web. Si sta realizzando un vero e proprio fenomeno involutivo e si è passati dal boom berlusconiano della pubblicità, inaugurata da Telemilano e che ha visto gli eccessi in Mediaset; ora gli investitori e le aziende puntano al web, consapevoli che è proprio lì che si combatte la sfida della modernità.
La competizione dell’innovazione continua, a colpi di invenzioni tecnologiche che si riflettono poi automaticamente in quelle mediatiche, come ad esempio la sfida del tridimensionale.
Dato che tutto il filo del discorso di Mezza che ci intrattiene per poco meno di duecento pagine ha come trait d’union il richiamo al passato come causa dell’oggi, nel quale tutto si evolve nella pratica ma non nel concetto, ecco venir fuori un’idea tanto bizzarra quanto geniale di vedere nel lavoro del pittore di corte Van Dyck e dello scultore Gian Lorenzo Bernini, proprio le origini del 3D. Per spiegare al lettore stupito questo bizzarro collegamento, Mezza ci racconta un aneddoto molto interessante che vede il Van Dyck intorno al 1630 intento a preparare, per conto di Carlo I Stuart, re dell’Inghilterra, un suo ritratto, nel quale venivano rappresentati i tre lati del sovrano, da inviare allo scultore italiano per farne poi il celebre busto. L’idea del geniale pittore di corte, secondo l’autore, altro non è se non la base per la nascita della grafica tridimensionale, dalla quale oggi siamo completamente assorbiti. Il tempo nostro oggi è il tempo della realtà dilatata, aumentata e riprodotta: è la nuova grafica della moviola, del rallenty e delle graphic novel. Il tanto acclamato fenomeno holliwoodiano inaugurato dall’impresa colossale di Avatar, nel 2009, non è che l’evoluzione naturale e conseguente, dell’intuizione geniale di un pittore rinascimentale di corte. La tecnologia sta semplicemente supportando il genio umano ed è tempo di accorgersene e di adeguarsi.
Michele Mezza, giornalista ed ideatore di Rai News 24, tenta di delineare la figura del nuovo giornalista, capace di districarsi tra la portata tecnologica ma allo stesso tempo anche in grado di dare un’anima alla notizia: a suo avviso i tempi sono maturi per una svolta davvero radicale. Il giornalismo ha un grande futuro davanti a sé, oltre che un glorioso passato al quale guardare fieri.
Velocità, condivisione e partecipazione sono alcune delle parole chiave utilizzate da Mezza per la descrizione dell’era digitale in cui ci si trova a vivere. E’ una vera e propria “rivoluzione” quella della velocità digitale che, secondo l’autore, sta producendo un nuovo “umanesimo”, trasformando il mezzo informatico in una vera e propria fabbrica di saperi, nella quale un grande numero di “artigiani” crea delle comunità virtuali e realizza dei prodotti di informazione, per poi metterli a disposizione della collettività.
Per questo motivo i giornalisti devono rimettersi in gioco: il processo sarà possibile solo grazie al loro contributo che, ovviamente, comporterebbe una mutazione professionale del loro profilo.
Sicuramente lo sconvolgimento in atto costituisce una formidabile opportunità per gli operatori del settore della comunicazione e, secondo Mezza, sono soprattutto i giornalisti a trovarsi dentro ad una svolta epocale: essi non saranno più dei “mediatori e disvelatori unici” ma si trasformeranno in “selezionatori, decifratori e coproduttori” di informazioni. Secondo Mezza non siamo affatto al tramonto del giornalismo, bensì ad una fase di inevitabile mutazione genetica, durante la quale maneggiare e possedere le nuove tecnologie diventa una necessità e non più solo una semplice opzione. Non siamo alla vigilia di un futuro cibernetico e snaturante, quanto di un’espansione di un moderno umanesimo digitale, che riemerge dopo essere stato latente durante la parentesi fordista.
Il testo è ricco di spunti e di proposte ed è davvero originale la copertina, nella quale è rappresentato un camaleonte che si aggira su una tastiera del computer. L’animaletto, simpaticamente, riassume il pensiero generale dell’autore sulla figura del nuovo giornalista, per il quale lo spirito di adattamento mutevole alle evoluzioni della realtà, diviene una caratteristica imprescindibile per la propria sussistenza. Il camaleonte, inoltre, è contraddistinto da alcune peculiarità, oltre alla straordinaria capacità di mutare colore, possiede una lingua retrattile e appiccicosa, (un po’ come il giornalista, secondo l’immaginario comune) ed è dotato di grandissimi occhi, in grado di guardare anche in direzioni diverse. Mai similitudine poteva essere più azzeccata.
Elisa Piana
Michele Mezza
Sono le news, bellezza!
Vincitori e vinti nella guerra della velocità digitale
Roma, Donzelli editore, 2011.
Abbandonato il ragionamento sul presidente americano, l’autore si sofferma a riflettere sul destino giornalistico, stimolato da un avvenimento davvero eclatante: l’assegnazione, nell’anno 2010, dell’ambitissimo premio Pulitzer non ad una testata cartacea bensì ad un sito internet, grazie ad una inchiesta sull’eutanasia messa in atto durante la tragedia dell’uragano Katrina, dell’agosto 2005. Il conferimento del Pulitzer al giornalismo in rete è sintomo del cambiamento epocale che si sta consumando nel mondo dell’informazione. Non possiamo che prendere coscienza di questa evoluzione in seno al giornalismo che, secondo Mezza, altro non è se non una rielaborazione di antiche consuetudini, rimaste intrappolate dall’avvento del sistema verticale del fordismo.
La rete ci pone davanti ovviamente una serie di innovazioni, non solo tecnologiche, per le quali è diventato fondamentale, in campo giornalistico, l’adeguamento; parliamo principalmente di velocità di informazione, di ipertestualità, della moltiplicazione delle notizie, del giornalismo embedded e soprattutto dell’apparizione della nuova figura di “spettautore”. Ognuno di noi, grazie alle nuove tecnologie quali, ad esempio, gli smartphone, e la rete ha la possibilità di trasformarsi da semplice fruitore di notizie ad autore: si dispongono di nuove tecnologie e al contempo di nuovi saperi. Per essere un buon giornalista, secondo l’autore, non occorre più consumare la suola delle scarpe andando avanti e indietro per il paese a caccia di notizie e di scoop, ora basta indossare un pigiama e piazzarsi, magari nel salotto di casa, davanti ad un pc ovviamente connesso in rete, perché quel che conta è essere sempre connessi e cooperanti con l’umanità.
E’ la gente comune a generare notizie e a mediare l’informazione; per questo motivo, i giornali devono dimostrare di essere diventati qualcosa che sa andare oltre all’idea tradizionale di se stessi.
Mezza ripete più volte che il giornalismo deve reinventarsi e individua nella “sesta W” proprio il codice per il nuovo sviluppo giornalistico: è la W di While, ovvero il mentre, il momento esatto in cui la notizia si sta formando, meglio noto come real time. L’immediatezza diventa fondamentale ma è anche un trauma per la macchina giornalistica che fatica nell’adattarsi alla velocità degli eventi.
Partendo proprio dalla necessità e dal desiderio del pubblico di avere notizie “freschissime”, Mezza avanza l’interessante idea di fondere la struttura dei telegiornali regionali con il servizio offerto da Rai News 24, ovvero con la logica di integrare la grande ragnatela territoriale, fonte di notizie locali sempre aggiornate e in “presa diretta” sul campo, con il servizio nazionale 24 ore su 24 ma privo di proprie fonti. Chiaramente, per rendere possibile tale processo, occorre svincolare le redazioni locali dallo stato di arretratezza tecnologica in cui versano, essendo “figlie” non più evolute degli anni ottanta.
Il progetto di Mezza dovrebbe prevedere la ricostruzione di una testata attorno ad una potenza digitale di selezione ed archiviazione, al fine di configurare la prima agenzia audiovisiva quotidiana del sistema Italia. In tale senso si potrebbe dare nuovamente dignità alle redazioni regionali che, allo stato attuale, si trovano a lavorare in una situazione di inadeguatezza rispetto ai tempi che, inevitabilmente, si traduce in un sovraccarico di costi con un conseguente livello di inefficacia produttiva.
Sempre in seno a “mamma Rai”, Mezza ipotizza un passaggio ideologico, oltre che fisico, dal simbolo del cavallo alla farfalla: il cavallo, si sa, ha identificato per circa cinquanta anni la Rai ma negli ultimi anni è stato virtualmente sostituito dalla farfallina che metaforicamente svolazza sugli schermi; un passaggio quanto mai efficace simbolicamente, come metafora di due ere contrapposte in cui la Rai si trova a vivere. L’epoca del cavallo, in cui il servizio pubblico, con la sua forza e prestanza fisica, è il fulcro, il perno del motore e la nuova epoca interpretata dalla farfallina in cui i progetti si diluiscono, diventano più effimeri e mutevoli, proprio come una farfalla. Secondo l’autore è ora che i dirigenti della Rai smettano di pensare alla televisione pubblica italiana come ad un colosso che guida e campeggia una folta schiera di adepti, bensì inizino a vedersi come parte di un unico progetto, in cui anche gli spettatori diventano autori, andando via via a confondersi con essi. Ovviamente Mezza, appartenendo al mondo Rai, è in grado di osservare e di fare dei ragionamenti sul futuro della televisione e di muovere delle critiche acute: sprona la Rai a ritornare ad essere il colosso di un tempo, adeguandosi alla modernità, ritrovando il senso originario di utilità sociale.
La televisione, peraltro, è diventata portatile, come l’informazione e per poterne fruire basta possedere uno smartphone, per cui è accessibile praticamente a tutti, ovunque e in tempo reale.
Mazza provoca quando sostiene che la Tv è stata abbandonata da Dio, ma effettivamente si rende conto che veramente il “dio successo” appare oggi più che mai lontano dalla tv generalista; a tal proposito basta osservare gli investimenti dei pubblicitari che stanno calando vorticosamente sul vecchio media, per raggiungere picchi invece sul web. Si sta realizzando un vero e proprio fenomeno involutivo e si è passati dal boom berlusconiano della pubblicità, inaugurata da Telemilano e che ha visto gli eccessi in Mediaset; ora gli investitori e le aziende puntano al web, consapevoli che è proprio lì che si combatte la sfida della modernità.
La competizione dell’innovazione continua, a colpi di invenzioni tecnologiche che si riflettono poi automaticamente in quelle mediatiche, come ad esempio la sfida del tridimensionale.
Dato che tutto il filo del discorso di Mezza che ci intrattiene per poco meno di duecento pagine ha come trait d’union il richiamo al passato come causa dell’oggi, nel quale tutto si evolve nella pratica ma non nel concetto, ecco venir fuori un’idea tanto bizzarra quanto geniale di vedere nel lavoro del pittore di corte Van Dyck e dello scultore Gian Lorenzo Bernini, proprio le origini del 3D. Per spiegare al lettore stupito questo bizzarro collegamento, Mezza ci racconta un aneddoto molto interessante che vede il Van Dyck intorno al 1630 intento a preparare, per conto di Carlo I Stuart, re dell’Inghilterra, un suo ritratto, nel quale venivano rappresentati i tre lati del sovrano, da inviare allo scultore italiano per farne poi il celebre busto. L’idea del geniale pittore di corte, secondo l’autore, altro non è se non la base per la nascita della grafica tridimensionale, dalla quale oggi siamo completamente assorbiti. Il tempo nostro oggi è il tempo della realtà dilatata, aumentata e riprodotta: è la nuova grafica della moviola, del rallenty e delle graphic novel. Il tanto acclamato fenomeno holliwoodiano inaugurato dall’impresa colossale di Avatar, nel 2009, non è che l’evoluzione naturale e conseguente, dell’intuizione geniale di un pittore rinascimentale di corte. La tecnologia sta semplicemente supportando il genio umano ed è tempo di accorgersene e di adeguarsi.
Michele Mezza, giornalista ed ideatore di Rai News 24, tenta di delineare la figura del nuovo giornalista, capace di districarsi tra la portata tecnologica ma allo stesso tempo anche in grado di dare un’anima alla notizia: a suo avviso i tempi sono maturi per una svolta davvero radicale. Il giornalismo ha un grande futuro davanti a sé, oltre che un glorioso passato al quale guardare fieri.
Velocità, condivisione e partecipazione sono alcune delle parole chiave utilizzate da Mezza per la descrizione dell’era digitale in cui ci si trova a vivere. E’ una vera e propria “rivoluzione” quella della velocità digitale che, secondo l’autore, sta producendo un nuovo “umanesimo”, trasformando il mezzo informatico in una vera e propria fabbrica di saperi, nella quale un grande numero di “artigiani” crea delle comunità virtuali e realizza dei prodotti di informazione, per poi metterli a disposizione della collettività.
Per questo motivo i giornalisti devono rimettersi in gioco: il processo sarà possibile solo grazie al loro contributo che, ovviamente, comporterebbe una mutazione professionale del loro profilo.
Sicuramente lo sconvolgimento in atto costituisce una formidabile opportunità per gli operatori del settore della comunicazione e, secondo Mezza, sono soprattutto i giornalisti a trovarsi dentro ad una svolta epocale: essi non saranno più dei “mediatori e disvelatori unici” ma si trasformeranno in “selezionatori, decifratori e coproduttori” di informazioni. Secondo Mezza non siamo affatto al tramonto del giornalismo, bensì ad una fase di inevitabile mutazione genetica, durante la quale maneggiare e possedere le nuove tecnologie diventa una necessità e non più solo una semplice opzione. Non siamo alla vigilia di un futuro cibernetico e snaturante, quanto di un’espansione di un moderno umanesimo digitale, che riemerge dopo essere stato latente durante la parentesi fordista.
Il testo è ricco di spunti e di proposte ed è davvero originale la copertina, nella quale è rappresentato un camaleonte che si aggira su una tastiera del computer. L’animaletto, simpaticamente, riassume il pensiero generale dell’autore sulla figura del nuovo giornalista, per il quale lo spirito di adattamento mutevole alle evoluzioni della realtà, diviene una caratteristica imprescindibile per la propria sussistenza. Il camaleonte, inoltre, è contraddistinto da alcune peculiarità, oltre alla straordinaria capacità di mutare colore, possiede una lingua retrattile e appiccicosa, (un po’ come il giornalista, secondo l’immaginario comune) ed è dotato di grandissimi occhi, in grado di guardare anche in direzioni diverse. Mai similitudine poteva essere più azzeccata.
Elisa Piana
Michele Mezza
Sono le news, bellezza!
Vincitori e vinti nella guerra della velocità digitale
Roma, Donzelli editore, 2011.
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21 giugno 2013
Un Paese, tre diverse prospettive
Con l’inizio del ventunesimo secolo, il ruolo dei Paesi Arabi nel contesto geopolitico mondiale ha avuto un peso notevole. Numerosi eventi hanno riguardato in modo diretto le nazioni MENA (Middle East North Africa) e quelle dell’Asia Centrale. Dagli attentati dell’undici settembre in poi, l’opinione pubblica occidentale ha osservato in maniera ambivalente questi Paesi: come governi illiberali, i quali offrono rifugio a cellule terroristiche (Afghanistan) e come speranza di cambiamento, dopo rivolte sanguinose (nazioni protagoniste della Primavera Araba).
Lo Yemen si inserisce perfettamente all’interno di questa ambivalenza: il Paese è sì sospettato di collaborazione con alcune cellule di Al – Qaida, ma allo stesso tempo ha lottato contro il governo ultratrentennale del Presidente Saleh, ottenendo timide aperture liberali.
Il volume analizza la "crisi di gennaio 2010", successiva al fallito attentato del volo Amsterdam – Detroit del Natale 2009, tramite i punti di vista di alcuni media europei, italiani e mediorientali. Viene messa a fuoco l’attenzione riservata a ogni singolo tema, quali gli attentati, il traffico d’armi, la crisi politica, la pirateria, la cooperazione con le potenze occidentali. L’utilizzo di giornali, sia cartacei sia on-line e di agenzie di stampa di tre ambiti geografici, vuole sottolineare le differenti sensibilità che i temi sovra citati hanno stimolato, ognuno in maniera diversa.
Con l’ausilio di grafici e tabelle, l’opera descrive come i media guardano allo Yemen, quali parole rimandano all’opinione pubblica europea (e spesso italiana) e quali a quella araba.
L’autrice, insieme al suo team di ricercatori, pone alcune questioni importanti riguardo il Paese asiatico. Può esserci una stretta connessione tra la crisi yemenita e le vicende legate ai conflitti afghano e iracheno? Quanto la vicinanza con il "failed state" somalo può peggiorare la situazione legata alla pirateria? Quale aiuto concreto possono dare le potenze occidentali?
Questione israelo – palestinese, legami con i "giganti" dell’area Iran e Arabia Saudita, rapporti con Al – Qaida, sino alle lotte intestine tra nord e sud del Paese. Ogni tema, ogni parola chiave viene analizzata secondo tre diversi punti di vista, con risultati che ben descrivono la differenza di interesse che alcune problematiche hanno rispetto ad altre.
Il volume, un quaderno di ricerca, è facilmente fruibile da un ampio pubblico, soprattutto da coloro i quali si interessano a problematiche legate alla politica internazionale, in special modo all’ambito che abbraccia l’intera regione mediorientale. Il linguaggio è chiaro e semplice, non banale, più simile a un testo giornalistico che non a un libro. L’uso di tavole grafiche è un segnale di completezza dell’opera e una sintesi degli argomenti trattati. Si segnala il fatto che il manuale è l’inizio di una collaborazione tra un gruppo di ricerca universitario dell’ateneo di Urbino e la Direzione Generale Affari Politici e di Sicurezza del Ministero degli Esteri; l’idea sembra essere quella di creare un "pensatoio" di ambito accademico-istituzionale, che cerchi di cogliere e interpretare alcune grandi problematiche internazionali.
Giovanni Guido
Anna Maria Medici
Yemen: la crisi e la sicurezza.
Informazione e opinione pubblica in Europa e nel Golfo
Milano-Udine, Mimesis Edizioni, 2011, 95 pp.
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19 giugno 2013
In libreria
Falce e fumetto. Storia della stampa periodica socialista e comunista per
l'infanzia in Italia (1893-1965) a cura di Juri Meda
Firenze, Nerbini, 2013, 336 pp.
*link all'Indice del libro e all'Introduzione .
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Ilaria Mattioni
Inchiostro e incenso. Il Giornalino: storia e valori educativi di un periodico cattolico per ragazzi (1924-1979)
Firenze, Nerbini, 2012, 216 pp.
Descrizione
Un viaggio lungo cinquant’anni fra le pagine del periodico per ragazzi più longevo d’Europa: Il Giornalino. Dai difficili esordi durante il ventennio fascista fino alla fine degli anni Settanta, questa ricerca indaga per la prima volta le motivazioni che portarono alla nascita della pubblicazione della Pia Società San Paolo, la sua specificità in quanto portavoce dei valori cattolici fra bambini e adolescenti, il ruolo di mediazione fra le opposte istanze della formazione e dell’evasione. Al centro lo speciale rapporto instaurato coi lettori e la missione educativa del Giornalino, un «amico di carta» con cui confrontarsi e dialogare.
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Storia italiana
18 giugno 2013
Il meteorite Internet: quale futuro per la carta stampata?
Ignacio Ramonet, titolando il suo ultimo libro L'esplosione dei media, si interroga sul futuro
della carta stampata, domanda ormai molto ricorrente e alla quale si sentono
risposte contrastanti. C'è chi da ormai per “spacciati” i quotidiani e chi
invece ritiene che internet non potrà mai sostituirsi alla carta stampata. In
questo scenario, Ramonet si colloca nel mezzo, infatti egli ritiene che il
meteorite internet sia stato un vero e proprio cataclisma per il mondo
dell'informazione, proprio come era avvenuto all'epoca dei dinosauri, ma allo
stesso tempo un'opportunità per i giovani giornalisti.
L'avvento del digitale ha inevitabilmente cambiato lo
scenario dell'informazione e molti giornali rischiano l'estinzione. Non si può
negare che negli ultimi anni le principali testate abbiano subito un notevole
arresto nelle vendite. I quotidiani nazionali d'informazione a pagamento, sono
le principali vittime della crisi dei media, in quanto soffrono della concorrenza della stampa
gratuita e delle loro stesse piattaforme digitali. Ormai è evidente che il
pubblico è migrato su internet: tutti hanno uno smartphone, un iphone o un tablet,
sistemi che consentono di tenersi informati costantemente e senza spendere un
euro. Come emerge dal libro, alla stampa non rimane che adattarsi o morire.
Ovviamente l'esplosione del digitale ha cambiato anche il ruolo dei destinatari
dell'informazione che ora non sono più semplici lettori, ascoltatori o
telespettatori inerti, ma sono e vogliono essere i protagonisti
dell'informazione. Nella nuova società delle reti quindi, ogni cittadino
diventa un “giornalista” potenziale e questo va a discredito della professione
del giornalista stesso, che ha perso quel suo ruolo di mediatore e di portavoce
della società. Oggi la fedeltà ad una sola testata è venuta meno, le persone
sono più critiche e tendono a consultare più fonti, anche perché la stampa è
spesso troppo dipendente dalla politica. Tutto questo non fa che contribuire
all'erosione della credibilità dei media. Siamo passati dai media di massa alla
massa dei media, dove ognuno può comunicare ciò che vuole e con il mezzo che
preferisce, dove ci sono talmente tanti media da perdersi, dove il rischio di
essere ingannati è molto alto perché l'informazione è inquinata dalle continue
menzogne dette allo scopo di fare audience. È necessaria una inversione di
rotta per la stampa, che deve reinventarsi per poter sopravvivere in questo
nuovo scenario e recuperare di credibilità. Ma come fare?
Dalla lettura emerge che è essenziale decontaminare
l'informazione: meno informazioni ma di migliore qualità; bisognerebbe poter
acquistare un giornale con il timbro “garantito senza bugie”.
A tale proposito Ramonet
mette in luce l'operato di Wikileaks che contribuisce a diffondere le
fughe di informazioni facendo conoscere al mondo notizie che riguardano i
cittadini e che i poteri non vogliono rivelare.
Internet sembrerebbe quindi l'arma vincente per salvare i
quotidiani, ma gli incassi della rete non permettono per ora a nessun grande
giornale di compensare gli investimenti realizzati sul web né di colmare i
deficit del cartaceo. Da qui l'idea di molti quotidiani, come il Times, di annullare la gratuità di internet mettendo a
pagamento ogni sito online. Pare quindi finita l'era del gratuito sostituita
dal “freemium”. Ma sarà davvero questa la soluzione per salvare la stampa?
Ovviamente Ramonet non ha la bacchetta magica per sapere cosa accadrà, ma ha
una sua idea ben definita.
Invito chiunque abbia la curiosità di scoprirla, a leggere
il libro.
Colpisce la quasi totale assenza di riferimenti al nostro
paese, probabilmente spiegati dalla carenza di interesse in Italia, negli ultimi
anni, al destino dell'informazione.
La lettura risulta piacevole, scorrevole e di grande
interesse non solo per chi si occupa di informazione o lavora nell'ambito della
comunicazione, ma anche come arricchimento culturale su vicende che, in un modo
o nell'altro, ci toccano tutti. Vivamente consigliato, soprattutto a chi ha
intenzione di svolgere la professione di giornalista.
Alessandra Comino
Ignacio Ramonet
L'esplosione del giornalismo.
Dai media di massa alla massa dei media
Dai media di massa alla massa dei media
Napoli, Edizioni Intra Moenia, 2012, 155 pp.
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17 giugno 2013
I media italiani: una selva oscura?
In un’arena politica dai toni
accesi e spregiudicati, il giornalismo si presenta inevitabilmente come
specchio di un confronto bipolare dalla vis polemica intensa. Esercito di carta offre una visione puntuale
del panorama informativo italiano e tenta di farlo con un certo grado di
obiettività.
Si parte da quella che è
percepita nel nostro Paese come una verità assoluta e cioè che tanto la carta
stampata quanto il mezzo televisivo non possano esimersi da una scelta di
campo: le ragioni risiedono in parte nella convinzione che l’imparzialità sia
un’utopia; in parte sembrano rispondere a una logica di sopravvivenza nei
confronti della disaffezione del pubblico. L’ipotesi che schierarsi paghi di
più nel nostro Paese trova conferma nell’unica realtà editoriale che abbia
avuto successo negli ultimi anni: il Fatto Quotidiano. Giugliano e Lloyd non
mancano di essere critici nei confronti dell’approccio di Padellaro e della sua
squadra. L’antiberlusconismo è la ragione del successo editoriale del Fatto e
potenzialmente sarà la causa di un prossimo declino quando si entrerà nell’era
post-berlusconiana.
In realtà anche il filo
conduttore dell’analisi di Giugliano e Lloyd è, come prevedibile e anche un po’
scontato, Berlusconi: l’ascesa al potere, il carisma giustamente riconosciutogli
e l’impero mediatico di cui dispone, sono alcuni degli aspetti che mettono in
luce la figura di questo imprenditore della politica. Dal
punto di vista giornalistico, Berlusconi è il principale fautore dello scontro
bipolare che è sotto i nostri occhi.
E' indubbio che il suo potere si
sia consolidato attraverso il mezzo televisivo. Non a caso i due autori
dedicano ampio spazio alla RAI, al problema sempiterno della lottizzazione e dell’indipendenza
di quella che sembra essere non la televisione degli italiani ma dei politici.
La parentesi secondo molti più cupa è quella della direzione Minzolini al TG1:
in quel periodo la parzialità del telegiornale sprofonda quasi nel ridicolo,
fino all’omissione di alcune notizie o di alcuni dettagli fondamentali. E’ il
periodo degli editoriali di Minzolini che non scioccano in quanto tali (la
tradizione era stata iniziata dal suo predecessore Gianni Riotta) ma per il
contenuto eccessivamente di parte.
L’omologazione di RAI e Mediaset in
chiave filogovernativa ha però favorito la comparsa di realtà nuove che sono
andate a soddisfare il bisogno inespresso di un’informazione meno faziosa: è il
caso di SKY Italia e del TG di La7 condotto da Enrico
Mentana.
L’ultima parte del libro è
dedicata a Internet: sono citati i blog più importanti del panorama
italiano da Piovono Rane, a Linkiesta e Lettera43. In molti casi
la considerazione è che si tratti di eccellenti start-up alle prese con
difficoltà enormi per riuscire a stabilizzarsi sul piano economico.
Il merito più grande dei blog, in
Italia come altrove, risiede comunque nel tentativo di rompere con i vecchi
modelli di giornalismo. Questo è vero soprattutto con riferimento al
giornalismo economico-finanziario che nel nostro Paese non è caratterizzata da
una particolare imparzialità. Casi esemplari sono Noise from America e La
Voce anche se riguardano nicchie di mercato.
In conclusione, Eserciti di carta è un libro adatto a
chiunque voglia approfondire il legame tra politica e media nel nostro Paese.
Tra la crisi della carta stampata e il diffondersi virale della Rete è certo
che, come nelle altre democrazie occidentali, il mondo dell’informazione in
Italia stia già vivendo un processo di cambiamento inarrestabile. Sta al
giornalista, dicono Giugliano e Lloyd, non guardare con troppa malinconia al
passato e abbracciare finalmente il futuro. Un futuro che offre più opportunità
che vicoli ciechi se si ha il coraggio di aprire gli occhi.
Michele Archinà
Ferdinando Giugliano - John Lloyd
Eserciti di carta. Come si fa informazione in Italia
Milano, Feltrinelli Editore, 2013, 283 pp.
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15 giugno 2013
Chiarire incomprensioni
Il quotidiano "L'Osservatore Romano", in occasione del suo cinquantesimo anniversario, ha organizzato in Vaticano, il 10 novembre 2011, un incontro relativo al rapporto, complicato e difficile, tra Chiesa cattolica e media. Giovanni Maria Vian, giornalista e direttore de "L'Osservatore Romano" ha raccolto gli otto interventi susseguitisi durante la giornata, tenuti da personalità e professionisti differenti: due docenti di storia contemporanea (Andrea Riccardi e Lucetta Scarafia), cinque giornalisti non italiani(John L.Allen, Paul Badde, Jean-Marie Guénois, John Hooper e Antonio Pelayo) e un cardinale (Gianfranco Ravasi).
Il libro si apre proprio con il discorso del cardinale Ravasi, il cui intervento risulta particolare per la sua appartenenza al clero. Ci si aspetterebbe, infatti, che egli sostenesse posizioni di assoluta difesa dei metodi comunicativi della Chiesa cattolica. Ma non è così: egli, attraverso una lunga ed articolata analisi, sostiene che la Santa Sede non dovrebbe rinchiudersi in se stessa e isolarsi dal mondo moderno, perché ciò significherebbe allontanarsi dai suoi fedeli.
Questa linea è sostenuta anche da altri professionisti dei quali vengono riportate le riflessioni: non viene richiesto alla Santa Sede di modificare i contenuti e principi religiosi su cui si fonda, anche se a molti sembrano scontrarsi con la modernità e la secolarizzazione, bensì il modo e le parole con cui questi vengono comunicati e diffusi: il rapporto tra la sede del papato e i media è così incisivo e influente sull'opinione pubblica e sullo stesso mondo cattolico, che gli errori mediatici compiuti dal Papa hanno permesso l'apertura di dibattiti mondiali su questioni delicate.
Questo viene dimostrato riportando aneddoti e modalità comunicative dei diversi papi che si sono succeduti nella seconda metà del '900: Paolo VI, Giovanni Paolo II e papa BenedettoXVI.
Con papa Paolo VI, e in particolare con l'enciclica Humanae Vitae, sembra incrinarsi quel rapporto solido che si era creato tra il cristianesimo e la comunicazione. Sembra proprio questo il punto in cui il filo si interrompe. Negli anni successivi, la relazione tra i media e la Chiesa è progressivamente peggiorata, fino ad arrivare al culmine della sua rottura con gli errori mediatici compiuti da papa Benedetto XVI.
E' da sottolineare, dunque, come sia importante la comunicazione che proviene dalla Santa Sede, e come la mala gestione di questa comporti la degenerazione delle informazioni provenienti da Roma e dei significati delle parole pronunciate dal Papa.
La comunicazione tra media e Chiesa, però, per essere trasparente ed efficace, richiede anche un impegno da parte dei professionisti della comunicazione, che non devono incorrere in scorrettezze o negligenze professionali. I giornalisti devono evitare di scivolare nella ricerca superficiale di scandali per poter "fare notizia". E' anche per questo che spesso le informazioni provenienti dalla Chiesa cattolica sono caratterizzate da tempeste mediatiche ricche di distorsioni e omologazione di posizione.
La lettura dei saggi rende chiaro come l'atteggiamento comunicativo della Chiesa e le necessità mediatiche non concilino, portando così alla nascita di incomprensioni.
La lettura del libro è scorrevole, nonostante la particolarità e la delicatezza dei temi trattati. Risulta però necessaria la conoscenza della materia e delle vicende che hanno investito il papato e il mondo della Chiesa cattolica, almeno negli ultimi 50 anni: viene data per scontato una conoscenza approfondita di questi eventi.
La lettura è quindi consigliata a chi è appassionato di questi temi, relativi alla comunicazione proveniente dalla sede del Vaticano, ma è utile anche per chi voglia avere una chiara idea di come avvenga il processo mediatico e di come fatti e parole si trasformino rapidamente in notizie che fanno il giro del mondo.
Monica Laisi
Il filo interrotto. Le difficili relazioni tra il Vaticano e la stampa internazionale, a cura di Giovanni Maria Vian
Milano, Mondadori, 2012, 145 pp.
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14 giugno 2013
Quarto Mondo e media
Rolando Belvedere è un giornalista e scrittore romano che attualmente ricopre il ruolo di opinionista sulla rete televisiva RTI e scrive sul "Quotidiano della Calabria". Nel 2008 ha ideato e realizzato il periodico culturale "Biblionews". Nel 2011 ha pubblicato Dietro i media del Quarto mondo, un libro che conduce il lettore in un vero e proprio viaggio attraverso i meccanismi della comunicazione radicati nei paesi più poveri del mondo.
Nell’era della globalizzazione ognuno di noi è ormai sommerso da notizie di ogni genere che rimbalzano in tempo reale da una parte all’altra dell’emisfero. Belvedere, grazie a uno stile rapido, asciutto e incisivo, spalanca una finestra su una realtà del tutto differente, descrivendo nei dettagli la situazione di degrado sociale che stanno vivendo, ancora nel XXI secolo, circa 805 mila persone in tutto il mondo. Stati come Haiti, Angola, Burkina Faso, Burundi, Ciad, Afghanistan, Bangladesh, Nepal, Laos, Cambogia, solo per citarne alcuni, vivono tutt’oggi in totale isolamento mediatico, l’unica forma di comunicazione è orale o, nei migliore dei casi, via radio. D’altronde come lo stesso autore afferma, chi di noi dovendo sopravvivere con meno di un dollaro al giorno si occuperebbe di spendere i pochi risparmi per un quotidiano o un libro? L’informazione è tuttavia un elemento necessario per la crescita sociale e culturale di uno Stato, poiché contribuisce a preservarne l’identità nazionale. Purtroppo proprio l’indispensabilità dei media, il fatto che nessuno può vivere senza comunicazione, ha contribuito al peggioramento della sua qualità. Il Primo Mondo, ovvero i paesi industrializzati, ha lentamente trasformato la notizia in pura "merce" di scambio, che rispetta proprie leggi di mercato e che di conseguenza, per essere acquistata, deve apparire il più "attraente" possibile. La cronaca è sostituita dal puro intrattenimento, le notizie pessimistiche sono soppiantate da racconti improntati all’ottimismo.
Uno degli obbiettivi dei governi del Quarto mondo è inoltre manipolare l’opinione pubblica, in alcuni casi reprimerla attraverso l’uso della violenza. Reporters sans Frontières, che monitora la libertà di stampa in tutto il mondo, ha registrato, nel 2009, l’uccisione di 77 giornalisti. Sono numeri inaccettabili, sono donne e uomini morti in nome del coraggio di essere riusciti a infrangere, anche solo per un istante, il silenzio che sta inghiottendo questi paesi.
Uno spiraglio di speranza si scorge tuttavia nel mondo del web, dove l’informazione è ancora molto difficile da controllare. In Myanmar, per esempio, nonostante la legge imponga un autorizzazione per avere il modem, sui 48 milioni di abitanti oltre 50 mila navigano su internet per aggirare la censura.
La lettura di questo saggio è consigliata a tutti coloro che sentono la necessità di allontanarsi dagli schemi mentali e sociali imposti dalla civiltà capitalistica, che desiderano capire la vera importanza della libertà di opinione e della libertà di stampa. I paesi più poveri del mondo stanno tutt’ora lottando per questi diritti fondamentali, mentre gli Stati del primo mondo continuano la propria vita frenetica senza nemmeno curarsene.
Camilla LicalziRolando Belvedere
Dietro i media del Quarto mondo.
Nuova geopolitica della comunicazione
Roma, Armando editore, 2011
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Un percorso arduo, ma ne è valsa la pena
Un lungo percorso, quello delle giornaliste americane. A partire dal Settecento, in cui scrivere per un giornale era considerato sconveniente per una donna e allo stesso tempo le vedove degli editori si trovavano a dover mandare avanti l’attività per garantire un futuro alla famiglia, fino ai giorni nostri. Un percorso difficile, pieno di ostacoli, in cui le donne spesso si sono trovate chiuse fuori dai colleghi uomini. Eppure, si sono rialzate, hanno rifiutato di conformarsi agli standard che le volevano mogli e madri e hanno lottato. Fino ad essere quasi la metà della forza lavoro nei giornali attuali.
Cristina Scatamacchia ci accompagna in un viaggio ricco di personaggi indimenticabili, provenienti dai più diversi retroscena, ma accomunati da un solo obiettivo: quello di entrare a far parte del mondo dell’informazione, un campo precluso al genere femminile per troppo tempo. E così, ci ritroviamo al fianco di giornaliste come Margaret Fuller, definita dall’autrice "la più grande giornalista dell’Ottocento"; Nellie Bly, che con le sue inchieste sotto copertura mise a nudo gli abusi nei manicomi e nelle fabbriche di New York; Martha Gellhorn, una delle primissime reporter di guerra; e così via fino alle odierne Christiane Amanpour e Oprah Winfrey. Un viaggio trasversale che, senza pretendere di essere esaustivo, prende in considerazione protagoniste con diverse provenienze e idee.
Le giornaliste americane dal Settecento ad oggi è un libro denso, scritto con grande passione ed entusiasmo, che ci ricorda quanta strada sia stata percorsa per arrivare ai risultati attuali, e quanta ce ne sia ancora da fare. Nella sua analisi l’autrice non si ferma al passato: guarda al presente e al futuro, mettendo in evidenza il fatto che le donne in posizione di potere nei giornali sono ancora poche e che la crisi economica mette in pericolo i traguardi finora raggiunti: le testate tendono a non voler assumere nuovo personale e a licenziare quello già presente, a partire dalle giornaliste.
Un libro apparentemente "piccolo" (appena un centinaio di pagine), ma che contiene un mondo tutto da scoprire. Sempre che si riesca a trovarlo: il titolo è fuori catalogo e non ordinabile in libreria. Tuttavia, internet (e Amazon) contengono risorse illimitate, quindi non è il caso di disperare. In fondo, vale la pena lottare per ciò che vale davvero, sia esso un libro o la libertà di informazione.
Mariarosa Milazzo
Cristina Scatamacchia
Le giornaliste americane dal Settecento ad oggi
Bologna, I Libri di Emil, 2012
*link al sito dell'editore I libri di Emil.
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12 giugno 2013
Parola chiave: consapevolezza
Quando si studiano i processi che hanno portato all’informazione odierna ci si rende immediatamente conto dell’importanza che la struttura della società civile ha da sempre rivestito riguardo l’informazione. I detentori del potere, Regnanti e Chiese, hanno capito più di 500 anni fa l’importanza della gestione e della manipolazione del cosiddetto “quarto potere”: l’informazione. La richiesta di informazione va di pari passo con l’aumento della consapevolezza, quindi dell’istruzione delle popolazioni dei vari Stati.
Nel '400 - '500 non si
sentiva il bisogno di un’informazione critica sull’operato di chi deteneva il
potere in quanto questo proveniva da Dio e quindi era ricoperto da una sorta di
scudo divino. A mio parere, nel tempo, la situazione nella sostanza non è
cambiata di molto.
Il Novecento è stato
caratterizzato dalle forti ideologie predominanti, nazionalsocialista e comunista,
che hanno veicolato l’opinione pubblica verso le tre grandi catastrofi del XX secolo:
la prima guerra mondiale, la seconda guerra mondiale e la guerra fredda. Attraverso
censura e propaganda si sono creati nemici ed eroi che hanno portato intere popolazioni
allo scontro, alla sofferenza e alla fame.
Con l’aumento delle
democrazie e dei nuovi valori post-materialistici i governi democratici hanno
incontrato la necessità di spostare l’attenzione verso nuovi desideri, nuovi
bisogni, nuove questioni e soprattutto nuovi modi per controllare le tecnologie
e il consenso.
Così, prendendo ad
esempio il nostro paese, l’utilizzo di una nuova fonte di intrattenimento
alternativo a quella esistente e poco divertente quale è stato l’avvento di Mediaset
in Italia ha permesso la discesa in politica nel 1993 di Silvio Berlusconi
“colui che piace alle casalinghe”. Il suo impero mediatico gli ha consentito di
attirare a sé nuove fasce di “consumatori” grazie al proprio prodotto di
intrattenimento: uno specchietto per le allodole fatto di gambe al vento,
costumi succinti, notizie velate e nascoste e notizie falsificate ad arte. La
critica del nulla e il nulla dove la critica era necessaria.
L’avvento di internet,
in particolar modo dei social network, ha sicuramente consentito un’apertura
dal punto di vista della critica e un aumento della partecipazione diretta dei cittadini
alle tematiche che si presentano di giorno in giorno ma ha anche provocato un’emorragia
di notizie false e l’aumento di specchietti per le allodole.
Non riesco a
comprendere la lotta al “mi piace” utilizzando e pubblicando notizie senza nemmeno
averle verificate. In particolare mi riferisco ad un video apparso in questi
giorni sul social network facebook. Il video in questione proviene dalla Spagna
ed è intitolato Dopo aver visto questo video non berrai mai più la Coca Cola (bibita nota in tutto il mondo). Questo, a mio parere è un ottimo esempio di
specchietto per le allodole all’interno della lotta al “mi piace”: viene
ripresa una persona che mette in un pentolino la bibita accendendo la fiamma e
aspettando una mezzora. Dopo la mezzora, per ragioni puramente chimiche, il
liquido diventa denso e scuro e alla fine del cortometraggio appare una scritta
“PENSA A COSA BEVI!”. Qualsiasi persona che si diletti minimamente di cucina sa
benissimo che questo processo è normale in qualsiasi composto liquido che contenga
zucchero e acqua ma il web si è scatenato contro la bevanda. Ora ci si potrebbe
chiedere: questo cosa centra con la gestione del potere e dell’informazione? Questo è un ottimo
esempio di come la corsa alla notizia flash e al “mi piace” abbia completamente
fatto venir meno la verifica di quello che si legge e soprattutto di quello che
si pubblica. Le nuove tecnologie permettono a tutti di diventare fonti
dell’informazione ma questo dovrebbe avvenire di pari passo con la
consapevolezza delle persone, proprio come nel 600, la maggiore consapevolezza
della borghesia inglese ha fatto sì che si verificasse il processo che ha
portato alla libertà di stampa e opinione.
Sheila Badano
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11 giugno 2013
L'Albergo Etico di Asti
Rispondere alla domanda
“cos’è Albergo Etico?”, ci obbliga ad una riconsiderazione delle nostre certezze
riguardo il mondo della disabilità.
L’associazione Albergo Etico
di Asti, è attiva sotto diversi punti di vista, come per la recente
partecipazione al salone internazionale del libro di Torino, le collaborazioni
con altri enti come il centro di formazione professionale “Colline
Astigiane” di Agliano Terme, le Scuole Alberghiere
di Stresa e Valsesia ed è dotata di un proprio giornale, Uovo Notiziario.
L’associazione, già oggetto di una tesi di Laurea e presentata al “Convegno
internazionale di sociologia delle disabilità” a Napoli, si può considerare
come una via per collegare, gettare nuovi ponti tra il mondo della disabilità e
la società. Tutto questo nella concreta speranza di spingerla a riconsiderare i
suoi punti di vista sulle effettive possibilità di queste persone, in
particolare affette dalla sindrome di Down, di puntare a una vita più autonoma.
Questo percorso ha portato
Albergo Etico ad essere insignito del riconoscimento “Cittadino europeo
dell’anno 2012” per i suoi obiettivi etico sociali.
Autonomia della persona
appunto, la capacità di rendersi autosufficienti sfruttando la possibilità di
imparare attraverso lo stimolo del lavoro, che richiede particolare attenzione
e responsabilità; inserito in un contesto alberghiero, attraverso un percorso
di formazione paziente in grado di mettere a contatto con una realtà
impegnativa, in un modo il più possibile vicino al modello casa, quello
alberghiero appunto, concretizzato nel ristorante Tacabanda.
L’obiettivo di Albergo Etico
viene perseguito attraverso un sistema che ruota attorno alla parola
“download”. Ricalcando la terminologia informatica, questo sistema si impegna a
trasferire tutta una serie di nozioni e di dati utili per il lavoro da parte di
esperti ai nuovi arrivati, senza imporre un metodo formativo precostituito,
gettando in questo modo le basi per quello che è considerabile, a tutti gli
effetti, un successo collaterale, ma che ci può stupire solo nella misura in
cui viene normalmente considerata la realtà del mondo disabile. Stiamo parlando
di un insegnamento che passa dai ragazzi più esperti, ai nuovi arrivati,
superando anche difficoltà linguistiche, date le esperienze ed i legami con
altre realtà estere e mettendo in evidenza una capacità di adattamento davvero
notevole, un livello che potremmo definire superiore, e che quindi fa ben
sperare per i prossimi passi.
Gettare ponti dunque, ma non
solo tra la nostra società, ormai costretta ad interessarsi maggiormente agli
altri, ma anche all’interno della stessa realtà della disabilità. Tutto questo
integrato in una realtà a 360 gradi, integrata da “Supermammadown”, nome
esemplificativo di un servizio che rende possibile mettersi in contatto con
altri genitori di figli con sindrome di Down, al fine di condividere esperienze
e mostrare la possibilità di una realtà lavorativa positiva, che possa magari
essere d’ispirazione per il proprio futuro.
Che cosa potrebbe impedire un
futuro lavoro in ambiti simili per coloro abituati e collaudati da questa
realtà che può vantare rappresentanti come
Guglielmo in Svizzera e la suora laica Cristina in Vaticano? D’altronde
la consapevolezza acquisita dei propri mezzi e la possibilità di mettere in
pratica le proprie esperienze non sarebbero motivo di soddisfazione per
chiunque? Con le mosse giuste, le ricadute economiche e sociali sarebbero
potenzialmente dirompenti e a vantaggio di tutti.
La possibilità di ampliare
l’esperienza unendo le potenzialità di “Albergo Etico”, delle svizzere la
“Capriola” e “Fondazione Diamante” per formare una rete sarebbe quindi un passo
auspicabile che aiuterebbe davvero l’integrazione europea.
Davide Baino
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09 giugno 2013
Islam e Diplomazia
Il ruolo del diplomatico musulmano nelle relazioni internazionali per contribuire alla promozione della pace e del dialogo tra i diversi popoli. Convegno organizzato dalla European Muslim League con il patrocinio di Regione Liguria e Comune di Genova. Genova, Palazzo Ducale, 8 giugno 2013.
*
L'evento di cui si tratta è esempio di diplomazia culturale, che riveste sempre maggiore centralità nelle relazioni internazionali. In particolare, gli interventi hanno colto il mutamento oggi in atto della professione del diplomatico, non più solo soggetto incaricato di curare i rapporti con le Autorità di Governo del paese di accreditamento, ma attivo promotore del proprio modello di vita e di cultura.
In proposito va fin da ora evidenziato che in carenza di una adeguata e diffusa comunicazione dell’evento, si vanifica l’obiettivo stesso di processi comunicativi di tale rilievo. Il convegno tenutosi a Palazzo Ducale ha visto la partecipazione di delegazioni diplomatiche e politiche di elevato rango, tuttavia, è stata vissuta soprattutto come fatto concernente la comunità musulmana di Genova, con una non rilevantissima partecipazione della cittadinanza e conseguente perdita di occasione per reciproca conoscenza.
Tornando alla riferita tematica, nel corso degli interventi è emerso come la promozione culturale sia diventata una delle principali competenze dei diplomatici di paesi musulmani. A seguito degli attentati dell’11 settembre 2001 si è reso necessario trasmettere un messaggio alternativo rispetto a quanto proposto dai media occidentali che, per un non breve periodo, hanno esteso a tutto il mondo islamico le tesi sostenute dai gruppi terroristici afferenti la rete di Al Qaeda. A contrastare tale argomento è stata fondamentale la constatazione che il rifiuto dell’uso della forza è parte integrante del precetto dell’Islam, in comune con le altre religioni monoteistiche. Tale argomento, tuttavia, avrebbe forse richiesto un maggior approfondimento, per non apparire un richiamo obbligato, ma scontato.
Si è, quindi, rilevato che una diplomazia "sociale", ovvero diretta a raggiungere una effettiva conoscenza non solo tra organi di vertice, ma, e soprattutto, tra i popoli, è necessaria per stabilire effettive relazioni di partenariato. Tanto assume importanza nei confronti delle nazioni più deboli poiché un partenariato consegue ad un rapporto effettivamente paritario tra nazioni, fondato sulla conoscenza delle reciproche culture e che, per l’effetto, prescinde da rapporti di forza tra il paese che aiuta, spesso con interesse, ed il paese in via di sviluppo.
Corrado Grasso
*link al Programma del Convegno.
*link a European Muslim League
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03 giugno 2013
Il giornalismo a 360° di Dino Buzzati
Inserire l’esame di Letteratura italiana moderna e contemporanea nel mio piano di studi è stata una delle più belle scelte della mia vita! Grazie Università.
Per preparare questo esame, ho dovuto scegliere una figura nel panorama culturale italiano moderno o contemporaneo che fosse rilevante sia per la sua attività di giornalista che di scrittore. Così, senza sapere quasi nulla sui personaggi indicati dal docente, la mia scelta è caduta quasi per istinto, su Dino Buzzati. Oggi, che ho scoperto Buzzati, mi sento arricchita e riempita dalle pagine che ho letteralmente divorato sulla vita e l’attività giornalistico/letteraria dell’autore bellunese.
Un uomo che nasce per scrivere, un uomo che vive per raccontare, un uomo che osserva per commentare, un uomo che fa dei suoi talenti e delle sue passioni la sua professione.
Chi non sognerebbe la vita e la carriera di Buzzati, un ragazzo che appena ventiduenne varca la soglia del “Corriere delle Sera” diventandone una delle firme più prestigiose di sempre.
Buzzati lo si descrive come un giornalista scrupoloso, attento, preciso, immediato nel linguaggio e nelle tecniche espressive, uno scrittore esemplare che straborda di fantasia e spunti creativi, eppure ciò che lo rende il Dino Buzzati che io ho apprezzato, e per il quale ho deciso di scrivere questa breve nota, è l’umiltà.
A Buzzati vengono assegnati i compiti e gli incarichi più svariati, comincia con la cronaca musicale, diventa inviato di guerra, scrive di cronaca nera, riveste il ruolo di critico d’ arte, di cronista di mostre, di critico teatrale e cinematografico, non esita ad esporsi come critico letterario, tratta in modo esemplare temi alpinistici, si improvvisa egregiamente cronista sportivo per il Giro d’Italia, riempie con i suoi racconti settimanali ed elzeviri, dirige “La Domenica del Corriere”, scrive per Fellini, e l’elenco potrebbe continuare includendo la sua produzione letteraria.
Tutto è eseguito in modo magistrale, ottenendo successi, complimenti ed apprezzamenti da un pubblico sempre più vasto. Eppure Buzzati non assume mai l’atteggiamento di giornalista snob e presuntuoso, più volte traspare la sua paura di non essere all’altezza delle mansioni affidategli, di non essere adatto a quell’incarico, di non saperne abbastanza. Tutti sintomi che dimostrano la sua estrema volontà di precisione, di svolgere con coscienza e accuratezza il lavoro affidatogli.
Forse leggere Buzzati mi ha fatto capire ancora di più che ansie, paura di non farcela, dubbi sulle proprie capacità, fanno parte dell’uomo, e che anche i grandi uomini ne sono stati vittime. Ma reagire, affrontare con impegno, costanza e passione la vita quotidiana, ripagherà.
Per preparare questo esame, ho dovuto scegliere una figura nel panorama culturale italiano moderno o contemporaneo che fosse rilevante sia per la sua attività di giornalista che di scrittore. Così, senza sapere quasi nulla sui personaggi indicati dal docente, la mia scelta è caduta quasi per istinto, su Dino Buzzati. Oggi, che ho scoperto Buzzati, mi sento arricchita e riempita dalle pagine che ho letteralmente divorato sulla vita e l’attività giornalistico/letteraria dell’autore bellunese.
Un uomo che nasce per scrivere, un uomo che vive per raccontare, un uomo che osserva per commentare, un uomo che fa dei suoi talenti e delle sue passioni la sua professione.
Chi non sognerebbe la vita e la carriera di Buzzati, un ragazzo che appena ventiduenne varca la soglia del “Corriere delle Sera” diventandone una delle firme più prestigiose di sempre.
Buzzati lo si descrive come un giornalista scrupoloso, attento, preciso, immediato nel linguaggio e nelle tecniche espressive, uno scrittore esemplare che straborda di fantasia e spunti creativi, eppure ciò che lo rende il Dino Buzzati che io ho apprezzato, e per il quale ho deciso di scrivere questa breve nota, è l’umiltà.
A Buzzati vengono assegnati i compiti e gli incarichi più svariati, comincia con la cronaca musicale, diventa inviato di guerra, scrive di cronaca nera, riveste il ruolo di critico d’ arte, di cronista di mostre, di critico teatrale e cinematografico, non esita ad esporsi come critico letterario, tratta in modo esemplare temi alpinistici, si improvvisa egregiamente cronista sportivo per il Giro d’Italia, riempie con i suoi racconti settimanali ed elzeviri, dirige “La Domenica del Corriere”, scrive per Fellini, e l’elenco potrebbe continuare includendo la sua produzione letteraria.
Tutto è eseguito in modo magistrale, ottenendo successi, complimenti ed apprezzamenti da un pubblico sempre più vasto. Eppure Buzzati non assume mai l’atteggiamento di giornalista snob e presuntuoso, più volte traspare la sua paura di non essere all’altezza delle mansioni affidategli, di non essere adatto a quell’incarico, di non saperne abbastanza. Tutti sintomi che dimostrano la sua estrema volontà di precisione, di svolgere con coscienza e accuratezza il lavoro affidatogli.
Forse leggere Buzzati mi ha fatto capire ancora di più che ansie, paura di non farcela, dubbi sulle proprie capacità, fanno parte dell’uomo, e che anche i grandi uomini ne sono stati vittime. Ma reagire, affrontare con impegno, costanza e passione la vita quotidiana, ripagherà.
Ilaria Vitiello
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02 giugno 2013
In libreria
Stefano Bartezzaghi
II falò delle novità. La creatività al tempo dei cellulari intelligenti
Torino, Utet, 2013.
II falò delle novità. La creatività al tempo dei cellulari intelligenti
Torino, Utet, 2013.
*disponibile anche in formato e-book
Descrizione
Non c’è nulla di meno creativo – fruttifero, produttivo – della creatività a tutti i costi in cui spesso s’incappa nella nostra terra di santi, poeti, navigatori (del web), tutti, per l’appunto, creativi. Creatività made in Italy che è arte sì, ma d’arrangiarsi. Dove stanno allora, in questo profluvio di creativi di ogni sorta, il talento, l’estro, la fantasia, l’immaginazione, l’inventiva, le idee? Nel suo nuovo libro Stefano Bartezzaghi ci insegna che possiamo e forse dobbiamo parlare ancora di creatività, a patto che impariamo a non cadere nella rete di stereotipi, frasi fatte e usurati cliché che a essa si associano. E che possiamo farlo anche grazie alla tanto esaltata e criticata intelligenza collettiva, prendendo spunto dalle battute e dalle arguzie del popolo della Rete, dei perfetti sconosciuti (o soliti noti) che cinguettano e si beccano su Twitter. «È molti anni che cerco di stare alla larga dalla creatività, e non ci riesco» scrive Bartezzaghi. Purtroppo, o per fortuna, neanche noi.
Non c’è nulla di meno creativo – fruttifero, produttivo – della creatività a tutti i costi in cui spesso s’incappa nella nostra terra di santi, poeti, navigatori (del web), tutti, per l’appunto, creativi. Creatività made in Italy che è arte sì, ma d’arrangiarsi. Dove stanno allora, in questo profluvio di creativi di ogni sorta, il talento, l’estro, la fantasia, l’immaginazione, l’inventiva, le idee? Nel suo nuovo libro Stefano Bartezzaghi ci insegna che possiamo e forse dobbiamo parlare ancora di creatività, a patto che impariamo a non cadere nella rete di stereotipi, frasi fatte e usurati cliché che a essa si associano. E che possiamo farlo anche grazie alla tanto esaltata e criticata intelligenza collettiva, prendendo spunto dalle battute e dalle arguzie del popolo della Rete, dei perfetti sconosciuti (o soliti noti) che cinguettano e si beccano su Twitter. «È molti anni che cerco di stare alla larga dalla creatività, e non ci riesco» scrive Bartezzaghi. Purtroppo, o per fortuna, neanche noi.
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01 giugno 2013
In libreria
Maurizio Vivarelli
Le dimensioni della bibliografia. Scrivere di libri al tempo della
rete
Roma, Carocci, 2013, 312 pp.
Roma, Carocci, 2013, 312 pp.
Nel
corso della sua storia, definitasi a partire dai primi decenni dell’età moderna,
l’ambito disciplinare della bibliografia è stato variamente delimitato e
interpretato, dando origine a modelli teorici e a pratiche applicative di
diversa natura, dalla bibliografia enumerativa a quella analitica, rispondenti
gli uni e le altre al mutare del contesto culturale e documentario. Le potenti
trasformazioni tuttora in atto, indotte anche dalla diffusione delle tecnologie
digitali, rendono indispensabile un ripensamento dei concetti fondanti intorno
ai quali la disciplina si organizza e si struttura: le informazioni, il
documento, il libro, il libro elettronico. Secondo questa prospettiva, nel
volume vengono prese in esame le linee di riflessione che hanno investito e
investono la memoria, la sua configurazione storica e i modelli di
organizzazione della conoscenza, da Gesner fino ai “visionari” del Web,
attraversando i confini della bibliografia classica, con riferimenti ad autori
quali Derrida, Foucault, De Certeau, Ferraris, per definire le condizioni di un
pensiero bibliografico in grado di “scrivere di libri” anche negli scenari
incerti della documentalità contemporanea.
*link all'Indice del libro.
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